Stato dell’America Settentrionale. Secondo Stato del mondo per estensione dopo la Russia, occupa poco meno della metà del Nordamerica, all’incirca tra i 41° e gli 83° latitudine N e tra i 52° e i 141° di longitudine O Gr., comprendendo numerose e grandi isole (Terranova a E; Baffin, Ellesmere, Vittoria e le altre isole dell’Arcipelago Artico Americano a N; Vancouver a O). Confina con i soli Stati Uniti: a S, la linea di confine è relativamente articolata nella sua sezione più orientale, dove si stabilirono i primi coloni europei; quindi per un tratto segue il parallelo di 45° N; poi ripartisce quattro dei cinque Grandi Laghi (il Michigan ricade interamente in territorio statunitense); infine segue il parallelo di 49° fino alla costa pacifica. Anche a O il confine terrestre è con gli Stati Uniti (Alaska), e anche qui il tratto più meridionale ha un andamento irregolare, subparallelo alla costa, in corrispondenza dell’area investita dall’espansione russa che diede origine alla circoscrizione dell’Alaska, poi ceduta agli USA; dal vertice del Golfo d’Alaska (Monti Sant’Elia), il confine segue il meridiano di 141° O fino al Mar Glaciale Artico.
La maggior parte del territorio canadese è compresa nel cosiddetto scudo canadese (o laurenziano), esteso su poco meno di 7 milioni di km2, tutt’attorno alla Baia di Hudson e nell’Arcipelago Artico; nell’area affiorano formazioni cristalline precambriane e paleozoiche, corrugate e spianate in più fasi, ultima delle quali quella della glaciazione würmiana che l’ha disseminata di morene e di depressioni (oggi occupate da numerosissimi laghi); coperta da foreste di conifere e, nel Nord, dalla tundra, ha notevole importanza mineraria, minima dal punto di vista agricolo, assai scarsa quanto a insediamenti.
Ai margini sudoccidentale e sudorientale dello scudo canadese si allungano due fasce pianeggianti, di diversa estensione: molto vasta è quella occidentale, detta delle Grandi Pianure o delle Praterie, appena lievemente ondulata, che prosegue verso N l’analoga regione statunitense allungata a E delle Montagne Rocciose e, come quella, è limitata verso il Pacifico dal grande sistema montuoso; le rocce sedimentarie (paleozoiche e mesozoiche) che ne sono la base hanno prodotto suoli fertili che consentono un esteso sfruttamento agricolo e zootecnico della regione. La fascia, pure pianeggiante e collinare, che borda lo scudo canadese a SE, alla sinistra del basso corso e dell’estuario del San Lorenzo e fino in Labrador, ospita l’area di maggiore addensamento di popolazione e di attività di tutto il paese.
Ancora più all’esterno, due fasce montuose orlano il territorio del Canada: a O l’imponente sezione settentrionale delle Montagne Rocciose, fascio di corrugamenti relativamente recenti (Cretaceo) che hanno dato luogo a più catene parallele che dalle Grandi Pianure si susseguono verso O, fino a un altopiano interno, oltre il quale sorge la Catena Costiera sulla costa pacifica. Assai elevata nella zona orientale (con vette come Robson, 3954 m; Columbia, 3747 m) e all’estremità settentrionale della Catena Costiera (Logan, 5959 m), questa fascia di montagne funge da spartiacque tra Pacifico e Atlantico (Baia di Hudson) e Mar Glaciale Artico; le sue condizioni climatiche dipendono dall’esposizione ai venti pacifici. Un’ulteriore catena, più a O della Catena Costiera, è stata parzialmente sommersa e ha formato le isole che fronteggiano la riva dall’Arcipelago Alessandro (parte in Alaska, parte in Canada) all’isola Vancouver.
A SE dei bassopiani del San Lorenzo si spingono le parti più settentrionali degli Appalachi, che interessano il Canada solo per una piccolissima parte, anche se tanto la penisola della Nuova Scozia quanto le isole Principe Edoardo, Capo Bretone e Terranova possono esserne considerate la prosecuzione; dal punto di vista altimetrico i rilievi sono assai modesti (Monte Jacques Cartier, 1277 m, nella Penisola di Gaspé), ma le qualità climatiche e pedologiche ne hanno fatto un’area di insediamento piuttosto denso, e l’abbondanza di approdi lungo una costa frastagliata e protetta vi ha favorito lo sviluppo portuale.
È del tutto prevalente un clima freddo di tipo continentale, poco piovoso (400-750 mm annui, a distribuzione estivo-autunnale), con temperature medie invernali basse e minime che possono essere straordinariamente basse (nella valle del fiume Yukon fino a -60 °C), mentre le medie del mese più caldo si dispongono tra 15 e 20 °C. In rapporto con la posizione e l’altitudine, le condizioni climatiche variano in realtà da regione a regione, ma quasi solo per quanto riguarda le precipitazioni, e non anche per le temperature: nel Canada sudorientale si raggiungono i 1500 mm annui di precipitazioni, che tendono a diminuire via via che ci si addentra verso O, fino alle Montagne Rocciose; qui le precipitazioni sono più abbondanti, ma immediatamente a O, nella regione d’altopiano, si scende sotto i 300 mm. Sulla costa del Pacifico si ha clima freddo marittimo, con piogge più copiose procedendo verso N, fin oltre i 2500 mm. L’area più settentrionale e più interna (bacino del Mackenzie, Labrador settentrionale, isole dell’Arcipelago Artico Americano) ha un clima nettamente polare, con temperature medie del mese più freddo inferiori a -20 °C, e nel mese più caldo comprese tra 5 e 10 °C; il permafrost vi ha una grande estensione; il disgelo estivo, con la lunga insolazione dell’estate polare, produce una rapida crescita della vegetazione.
Le acque interne coprono una superficie molto vasta, corrispondente al 7,5% del paese, con un’impressionante quantità di bacini lacustri. Per la maggior parte, le acque gravitano in maniera piuttosto incerta (data la debolissima pendenza del terreno) verso la Baia di Hudson. Sono frequenti le biforcazioni dei fiumi e la formazione di espandimenti lungo i corsi, in laghi e ristagni, da cui possono prendere origine più emissari. Molti dei laghi canadesi hanno superfici assai ragguardevoli: i più vasti sono il Gran Lago degli Orsi (31.792 km2), il Gran Lago degli Schiavi (28.438 km2) e il Winnipeg (24.514 km2); più estesi, ma solo in parte in territorio canadese, sono i laghi Superiore e Huron, che con Erie e Ontario (e con il Michigan negli USA) formano il sistema dei Grandi Laghi, a sua volta incluso nel bacino del fiume San Lorenzo. Questo costituisce il sistema idrografico più interessante sotto il profilo economico e insediativo, rappresentando nel suo insieme la via d’acqua più frequentata al mondo, benché alla foce il fiume geli per diversi mesi all’anno; sia per superare l’ostacolo del ghiaccio, sia per connettere più ampie regioni ai Grandi Laghi, il sistema del San Lorenzo è collegato da canali tanto con il bacino del Mississippi quanto con i fiumi della Nuova Inghilterra, gli uni e gli altri in territorio statunitense, ma importanti anche per i traffici canadesi. Compresi i tratti lacuali, il San Lorenzo è accreditato di una lunghezza complessiva di 3058 km, per un bacino di oltre 1,5 milioni di km2. Più lungo è il Mackenzie, che scorre per 4240 km interamente in territorio canadese, drenando un bacino di 1,8 milioni di km2 in cui ricadono alcuni grandi laghi (Athabasca, Gran Lago degli Schiavi, Gran Lago degli Orsi) e sfociando nel Mar Glaciale Artico; la sua importanza economica è però molto scarsa. Scorre in parte in Canada, dove ha i suoi rami sorgentiferi, e in parte nell’Alaska, lo Yukon (2897 km). Rilevanti sono inoltre il Nelson-Saskatchewan (2575 km), il Churchill (1609 km) e l’Albany (980 km), che sfociano nella Baia di Hudson. Fra quelli che tributano all’Oceano Pacifico, il principale è il Fraser (1360 km).
Nelle zone a clima polare si estende la tundra; in quelle della prateria e dell’altopiano della British Columbia predominano le graminacee, che rivestono anche le zone più elevate della regione montuosa. Il resto del paese, a prescindere dalle vaste aree coltivate, è coperto da immense foreste di aghifoglie, con prevalenza di Picea alba, interrotte solo lungo i fiumi e intorno ai laghi da boschi di pioppi, salici e betulle. Il manto forestale ricopre una superficie pari a 3,3 milioni di km2. La fauna è relativamente povera: vi sono rappresentate soltanto una settantina di famiglie di Vertebrati terrestri (tra i quali i più numerosi sono gli Uccelli), ma neanche una di esse è peculiare della regione. Tra i Mammiferi sono presenti il wapiti, la renna, l’alce, la pecora dalle grosse corna, la martora americana, diversi Pinnipedi, l’orso polare, la volpe polare e il lupo. Nel Canada settentrionale è frequente il bue muschiato. Altri Mammiferi frequenti nel paese sono la capra rupestre, il castoro canadese, lo scoiattolo volante d’America, l’ondatra, l’istrice arborea, due specie di lepri (Lepus americanus e Lepus groenlandicus), la lince canadese, l’orso grigio e il procione. Meno caratteristici gli Uccelli e ancor meno gli altri Vertebrati.
La popolazione del Canada è tuttora molto scarsa, se rapportata all’estensione del paese: poco più di 3 ab./km2 in media; anche escludendo le vastissime superfici sostanzialmente inabitabili dell’Artico, si ottengono valori medi irrisori. La più densamente popolata delle province, la piccola Isola Principe Edoardo, raggiunge appena i 24 ab./km2. Dalla data del primo censimento (1871), tuttavia, la popolazione del Canada è aumentata di oltre 7 volte e tuttora presenta un tasso d’incremento dell’ordine dell’1% annuo, spettante per circa tre quarti all’immigrazione, mentre il solo incremento naturale è debolmente positivo, secondo la tendenza comune ai paesi occidentali avanzati. L’andamento demografico è differenziato secondo le varie regioni: in decremento o stazionarie sono le province marittime atlantiche (specie Terranova), in sensibile aumento quelle occidentali (specie la British Columbia).
Considerato che debolissimo e molto disperso era il popolamento indigeno del territorio canadese, e che i discendenti dei popoli originari sono oggi appena circa il 2% del totale, dopo che guerre, diffusione di malattie, cattive condizioni di vita, emarginazione e anche espressi interventi di contenimento demografico (come la sterilizzazione coatta) avevano depresso questa percentuale a valori anche inferiori, è evidente che il popolamento del Canada è effetto quasi integrale dell’immigrazione. I flussi immigratori sono notevoli dalla metà dell’Ottocento, anche se presentano un andamento discontinuo. A una prima, lunga fase che ha visto piccole quantità di francesi, dapprima, quindi anche di britannici, stanziarsi prevalentemente nelle regioni sudorientali, ha fatto seguito l’avvio di una immigrazione massiccia, dal decennio 1880 all’inizio della Prima guerra mondiale; ripresa dopo la guerra, interrotta dalla Grande Depressione, ripresa fino al nuovo arresto provocato dalla Seconda guerra mondiale, di nuovo tornata a dimensioni ragguardevoli nell’immediato secondo dopoguerra, per rallentare poi con gli anni 1970 e stabilizzarsi, l’immigrazione ha visto nel suo insieme prevalere largamente la provenienza dalle isole britanniche; la popolazione di origine britannica, tuttavia,oggi costituisce poco più di un terzo del totale, mentre meno di un quarto è quella di origine francese: le due componenti principali, le cui lingue hanno valore ufficiale nel paese, insieme assommano nemmeno il 57%, mentre circa il 40% della popolazione proviene da una varietà di regioni; fra queste va prendendo sempre maggiore importanza l’area asiatico-pacifica (da dove oggi arriva quasi la metà dei nuovi immigrati) a scapito dell’area europea. Spiccata è la propensione dei nuovi immigrati per le aree urbane (in primo luogo Toronto e Vancouver, che rispettivamente assorbono gli immigrati da est e quelli da ovest), così che sono le città principali a presentare la più grande varietà etnica. L’integrazione, tuttavia, procede con una certa rapidità, come dimostra l’aumento del numero di coloro che si considerano ‘canadesi’ senza specificazioni etniche ulteriori (oltre un terzo), mentre le persone che si riconoscono in una sola provenienza etnica sono molto meno numerose di chi si riconosce in più gruppi, in quanto appartenenti a famiglie miste. Gli Italiani sono poco più di 720.000, che salgono a quasi 1,3 milioni tenendo conto anche dei discendenti da famiglie miste. Tra i gruppi meno integrati appaiono i Cinesi (oltre un milione) e gli asiatici in generale, tra quelli più integrati gli abitanti di origine britannica e francese, irlandese, tedesca, e gli europei in generale, ma anche gli appartenenti ai popoli amerindi.
La dinamica migratoria ha fortemente influito sulla composizione religiosa, portando negli ultimi decenni a una netta prevalenza dei cattolici (44%) rispetto ai protestanti (29%); seguono coloro che non professano alcuna religione (16,5%) e piccole quote di popolazione che praticano una varietà di culti diversi. La positiva situazione economica ha, per altro verso, contribuito a fare del Canada uno dei paesi con più alto livello di vita al mondo, in termini sia di reddito sia di sviluppo umano, condizione che certo favorisce la soluzione dei problemi di convivenza.
La distribuzione della popolazione rimane fortemente squilibrata: tra le province orientali (Québec e Ontario da sole ospitano quasi due terzi dei canadesi) e quelle occidentali (essenzialmente per cause di origine storica, legate alla variabile antichità dell’occupazione, che è proceduta da E verso O; fra il S e il N del paese), dove ovviamente prevalgono i motivi ambientali; e poi tra aree urbane (oltre l’80% degli abitanti) e campagne. Le grandi agglomerazioni urbane si riducono, in sostanza, a tre: da tempo consolidate sono quelle orientali di Toronto, con 5,3 milioni di abitanti, e Montréal, con 3,6 milioni; sulla costa occidentale, quella di Vancouver ha segnato una crescita rapidissima che l’ha portata a ospitare 2,2 milioni di abitanti. Ma si tratta palesemente di dimensioni ancora piuttosto contenute. Nel resto del paese solo Calgary ed Edmonton, nell’Alberta, superano il milione di abitanti e si distaccano dalla dimensione media che caratterizza quasi tutte le principali città canadesi: Québec, Hamilton e Winnipeg hanno, nelle rispettive agglomerazioni, poco più di 700.000 ab.; sotto il mezzo milione si collocano London e Kitchener.
Il distacco del Nunavut («nostra terra» nella lingua degli Inuit) dai Territori del Nord-Ovest è la più recente modifica territoriale del Canada: definito nel 1991, delimitato nel 1993, dotato di un capoluogo (Iqaluit) nel 1995, il nuovo territorio entrò in funzione nel 1999, per rispondere alle richieste della popolazione inuit in termini di autonomia e di ripristino delle condizioni di vita tradizionali, messe in pericolo dall’invadenza, in specie, dello sfruttamento minerario.
Pur senza essere transitata attraverso i cicli produttivi spesso tipici delle economie coloniali, anche il Canada ha risentito della protratta condizione di subordinazione politica. Per qualche secolo (se si eccettuano gli insediamenti rurali e commerciali dell’area orientale) basata sulla caccia degli animali da pelliccia e sulla pesca, sul taglio del legname e sull’estrazione di minerali (oro), l’economia canadese solo a partire dal tardo Ottocento, con l’aumento demografico e con la maturazione di un assetto politico-territoriale più definito, ha preso a diversificarsi. Ma è stato soprattutto nel Novecento, e principalmente dopo l’indipendenza e il conseguente forte afflusso di capitali statunitensi, che si è avviata un’industrializzazione intensa (sempre solo nelle regioni meridionali e, in particolare, in quelle sudorientali) e, successivamente, una notevole diversificazione dell’assetto produttivo. Oggi assolutamente prevalente è il terziario, sia per contributo al PIL (quasi il 70%), sia per numero di addetti (circa il 75%); ma le produzioni industriali continuano ad avere un peso notevolissimo, così come, per altro verso, le produzioni agricole, quelle silvicole e, da qualche decennio, quelle minerarie. Certamente declinata (ma non scomparsa) la produzione di pellicce, ormai fornite da allevamenti, fra le attività tradizionali conserva rilevanza locale la pesca, marittima e fluviale, tanto sulla costa atlantica, dove tuttora caratterizza l’insediamento, disperso in villaggi dotati di piccoli porti e dediti alla pesca, soprattutto, del merluzzo e alla sua lavorazione, quanto su quella pacifica (salmone). Enorme è il potenziale silvicolo, attentamente gestito: circa un terzo del territorio canadese è coperto da foreste, che per almeno la metà sono produttive, alimentando non solo l’esportazione di legname grezzo, ma soprattutto numerose attività industriali di filiera, dalle segherie alla fabbricazione di carta, ubicate nei punti di convergenza della rete idroviaria, utilizzata per il trasporto dei tronchi.
La produzione agricola ha ricevuto nella seconda metà del Novecento un impulso straordinario, in particolare con la valorizzazione progressiva dei terreni delle Grandi Praterie e di quelli a N dei Grandi Laghi, oltre che con l’intensificazione delle colture nella regione stessa dei Grandi Laghi, in quella appalachiana e in quella costiera pacifica, dove esistono le condizioni per la produzione di frutta e ortaggi. A occidente dei Grandi Laghi, imponenti opere di irrigazione e l’adozione di varietà colturali a crescita rapida e alta resa hanno consentito di estendere verso O e soprattutto verso N i terreni idonei alla coltivazione di cereali (frumento, orzo, avena), rendendo il Canada uno dei principali esportatori di grano. La conduzione agricola segue un modello analogo a quello statunitense, con grandi estensioni aziendali, forte meccanizzazione, intenso impiego di capitali, altissime rese per addetto; analoga la situazione per l’allevamento (bovini, suini, volatili).
La disponibilità di energia abbondante e a basso costo è stata una delle condizioni determinanti per lo sviluppo industriale del paese, insieme con la vastissima gamma di minerali. L’industrializzazione ebbe avvio nella regione dei Grandi Laghi, all’inizio del Novecento, facendo leva sui minerali presenti nella regione, sul carbone e sull’energia idroelettrica; a svilupparsi per prime furono l’industria di base (metallurgia, meccanica, chimica) e della lavorazione del legname, notevolmente potenziate dalla domanda internazionale durante la Seconda guerra mondiale. La metallurgia e la meccanica continuano ad avere grande importanza, soprattutto per la produzione di beni strumentali richiesti dal mercato interno e per i mezzi di trasporto; anche la chimica ha proseguito il suo sviluppo, orientandosi in particolare verso i prodotti per l’agricoltura. Ancora importantissimo è il comparto del legno e derivati, in passato a lungo principale voce dell’economia canadese; oltre la produzione di legname da opera, pasta di legno e carta, l’industria canadese si è orientata verso lavorazioni a più alto valore aggiunto (mobili, lamellati). Notevole, infine, tutto il settore agroalimentare. Nel suo insieme la produzione industriale non è adeguata alla domanda interna di beni di consumo, dato il prevalente orientamento ai prodotti di base, ma è largamente integrata con quella statunitense e, in generale, alimenta importanti flussi di esportazioni. Il Canada ha rinunciato a diversificare ulteriormente la sua industria e il ricorso al commercio internazionale (di cui il Canada detiene oltre il 3%) è quindi una condizione indispensabile; le sue produzioni industriali ad alta tecnologia, tuttavia, sono divenute molto rilevanti, non solo per il mercato interno.
Nella seconda metà del Novecento, il Canada si è venuto affermando come grande produttore di minerali, anche per l’intraprendenza di alcune aziende che si sono rapidamente internazionalizzate, pur avendo conosciuto già in precedenza la coltivazione di giacimenti d’oro (specie nel Nord-Ovest, tuttora molto produttivi), di carbone e di ferro. Attualmente, il Canada è il primo produttore mondiale di uranio e uno dei primissimi di gas naturale, e poi ancora di nichel, cobalto, molibdeno, zinco, rame, tutti di rilevanza strategica per l’industria contemporanea, nonché di quasi tutti i metalli rari, di diamanti (di recente scoperta nel Nunavut), di metalli preziosi.
La produzione di carbone, già intensa, è in declino come ovunque; quella di petrolio, fornita soprattutto dai giacimenti dell’Alberta, pur essendo consistente è assorbita dal mercato interno; la produzione di gas alimenta un importante flusso verso gli Stati Uniti (data la distanza dai luoghi di consumo, è stato necessario impiantare una rete di condotte che raggiunge i 50.000 km complessivi). La produzione di energia, del resto, è affidata in primissimo luogo allo sfruttamento delle potenzialità idriche e non ai combustibili fossili; con oltre 70 milioni di kWh installati e oltre 330 miliardi di kWh prodotti (2004), il Canada è ai primi posti al mondo per la produzione di elettricità, anch’essa esportata; grande produttore di uranio e cobalto, inoltre, il Canada si è dotato anche di una ventina di centrali termonucleari.
Condizione necessaria per valorizzare il territorio canadese e impedirne la frammentazione è un sistema di comunicazioni e trasporti di scala continentale. Il problema fu affrontato e risolto già nell’Ottocento, come negli Stati Uniti, mediante l’apertura di linee ferroviarie da costa a costa, da cui si diramano linee di penetrazione verso il N e altre di connessione verso gli USA, per un totale (2004) di circa 58.000 km in esercizio. Un’altra direzione in cui il Canada si distinse fu la valorizzazione delle vie d’acqua interne: se l’idrovia del San Lorenzo (3769 km navigabili senza interruzioni, dopo i grandi lavori di canalizzazione conclusi nel 1959) è certamente la più imponente, i tratti fluviali e lacustri navigabili sono straordinariamente estesi e interessano quasi tutto il Canada; alla navigazione si somma, peraltro, la fluitazione del legname. Quanto ai trasporti marittimi, il porto di gran lunga principale è ormai quello di Vancouver, seguito da lontano da alcuni porti di più o meno recente sviluppo nella regione atlantica (Come-by-Chance a Terranova, per gli idrocarburi; Saint John nel New Brunswick; Port Hawkesbury in Nuova Scozia; nel Québec, Sept-Îles, specializzato in minerale di ferro, e Québec-Lévis). Le evoluzioni più recenti e rilevanti, però, sono quelle della rete stradale e autostradale (1.042.300 km nel 2005), anche in questo caso innervate da una linea da costa a costa (7700 km di tratta autostradale); e del trasporto aereo, che può contare su poco meno di un migliaio di aeroporti e campi d’atterraggio e su una grande capacità di trasporto. Va sottolineato, inoltre, come il complesso di infrastrutture marittime, fluviali, lacustri, terrestri e aeree sia fortemente integrato.
Nell’insieme, il potenziale produttivo vede ancora prevalere, tra le varie province, l’Ontario, caratterizzato da un comparto industriale molto evoluto e integrato con quello statunitense, malgrado i contraccolpi non tutti positivi dell’entrata in vigore del NAFTA (1994); la regione gode non solo di notevoli potenzialità naturali (risorse minerarie), ma soprattutto di condizioni insediative che hanno permesso l’addensarsi di popolazione, dell’accesso a vie di comunicazione a basso costo e molto estese (idrovie), e infine del livello di urbanizzazione relativamente elevato nella regione dei Grandi Laghi, e quindi della presenza di servizi evoluti.
Caratteri non molto dissimili, ma in misura più tenue, presenta anche il Québec meridionale, nella fascia ai lati del San Lorenzo. Le province marittime nel loro insieme non hanno partecipato alla più recente modernizzazione economica, mantenendo piuttosto i loro caratteri tradizionali, in termini sia di propensioni produttive, sia di modello insediativo e infrastrutturale, di impianto culturale, di relazioni sociali.
Dove gli effetti della progressione economica hanno segnato in maniera più vistosa lo spazio canadese, è nelle Grandi Pianure, che recano evidenti le conseguenze dell’ampia messa a coltura di terre e dell’apertura di enormi impianti estrattivi, malgrado la vastità delle aree tuttora coperte da foreste o comunque non raggiunte dall’antropizzazione: nel giro di pochi decenni è stata resa produttiva una superficie analoga a quella dell’Italia, uniformemente coltivata a cereali o a soia.
Notevoli le conseguenze della modernizzazione anche sulla fronte pacifica, benché quasi solo a Vancouver e nella sua area metropolitana, dove tuttavia ha preso a svilupparsi tutta la gamma delle attività avanzate di ambito urbano, facendo della città il referente metropolitano di tutto l’Ovest canadese.
Le regioni a N, all’incirca, del parallelo di 50° hanno un peso economico non confrontabile, per quanto stiano attraversando una fase di intensa valorizzazione; ma questa fa perno sulle risorse minerarie, la cui coltivazione ha un impatto locale notevole, peraltro inevitabilmente circoscritto agli effetti meno positivi e meno desiderabili (deforestazione, produzione di scorie, inquinamento e così via), ma non può al tempo stesso attivare nei luoghi di estrazione attività ulteriori: i minerali vengono lavorati, cioè, altrove, non ultimo motivo della vivace opposizione delle popolazioni indigene che considerano perlopiù ‘predatorie’ le attività avviate nel Nord e lamentano ricadute positive quasi inesistenti, a fronte di quelle negative fin troppo numerose e vistose.
Una gran parte del territorio canadese, infine (quasi tutto il Nord, quasi tutta la regione delle montagne occidentali), o al momento non è suscettibile di utilizzazione economica o è stata in vario modo protetta e destinata alla preservazione degli equilibri naturali. Dopo la costituzione del Nunavut, inoltre, gli interventi di infrastrutturazione e l’avvio di attività produttive moderne sono soggetti al preventivo accordo delle popolazioni indigene e a forme di salvaguardia e di compensazione che ne rendono ulteriormente gravosa la messa in valore, fino alla non convenienza economica, stando a quanto sostengono le imprese interessate; lo sfruttamento delle risorse del Nord potrebbe così rimanere interrotto, peraltro garantendo al paese la preservazione di riserve in buona parte note, da avviare a sfruttamento, nel caso, in futuro e secondo modalità meno distruttive.
Nel corso dell’11° sec. spedizioni vichinghe toccarono la costa canadese in più punti, fondandovi insediamenti che ebbero breve vita e di cui nulla si seppe in Europa. Nel 1497 Giovanni e Sebastiano Caboto, con una spedizione inglese, scesero presso Capo Bretone; i fratelli Cortereal, portoghesi, riconobbero le coste di Terranova e Labrador; più tardi (1509), sembra che S. Caboto, sempre per conto degli Inglesi, abbia raggiunto la Baia di Hudson. Con una spedizione francese, Giovanni da Verrazzano (1524) compì un’esplorazione sistematica delle coste a S di Capo Bretone, replicata l’anno seguente da Estevão Gomes per conto degli Spagnoli. Jacques Cartier effettuò poi tre viaggi (1534, 1535 e 1541) esplorando il Golfo del San Lorenzo e risalendo il fiume fino al sito di Montréal; in nome della Francia prese possesso del paese, da allora noto con il nome di Canada (forse dall’irochese kanata «villaggio»). All’inizio del 1600 iniziò l’esplorazione terrestre, con Samuel de Champlain, che tra il 1603 e il 1615 percorse il bacino del San Lorenzo fino al lago Huron, fondando nel 1608 anche la città di Québec (futura capitale della Nuova Francia), in cui Richelieu impose il governo della Compagnia della Nuova Francia. Étienne Brulé scoprì il Lago Superiore (1621) e Jean Nicollet il Michigan (1634). Le esplorazioni francesi proseguirono quindi a N dei laghi, fino a toccare (1672) la costa della Baia di Hudson, che dal 1668 (dopo esplorazioni marittime, tra cui quelle di Martin Frobisher e William Baffin) la corona d’Inghilterra aveva concesso all’omonima Compagnia; ebbe così inizio un periodo di serrata competizione anglo-francese, tra la Compagnia della Baia di Hudson e le analoghe compagnie commerciali francesi impegnate nel tentativo di anticiparsi reciprocamente nell’esplorazione dell’O, tramite sia spedizioni appositamente organizzate sia l’azione individuale di cacciatori di pellicce e commercianti. Nei primi decenni del 1700 furono raggiunti il lago Winnipeg e il fiume Saskatchewan, più tardi il fiume Coppermine e la costa artica, il Gran Lago degli Schiavi, il fiume Mackenzie (1789) e infine, superate le Montagne Rocciose, l’Oceano Pacifico (le cui coste erano già note per le spedizioni russa di Vitus Bering (1741), inglese di James Cook (1778), spagnola di Alessandro Malaspina (1791) e inglese di George Vancouver (1791-94). Nell’Ottocento e nel primo Novecento proseguì l’esplorazione sistematica dell’Ovest e soprattutto dell’Artico che, per certi versi, è tuttora in corso.
Dopo il 1713 la Francia aveva progettato di congiungere con una linea di forti Québec con New Orleans. La minaccia per le colonie inglesi fu sventata con la conclusione della guerra dei Sette anni che sancì il passaggio della Nuova Francia all’Inghilterra (Trattato di Parigi, 1763). Il Quebec Act del 1774 garantì i diritti dei Franco-Canadesi definendo lo status giuridico-amministrativo della colonia. Aumentato il numero degli Inglesi in seguito alla guerra di Indipendenza americana, nel 1791 il Constitutional Act divise il Canada nelle due province dell’ Alto Canada (inglese) e del Basso Canada (francese). Nel 1840 il Reunion Act stabilì l’unione delle due province in un’unica entità politica autonoma dotata di un’Assemblea nella quale erano rappresentate pariteticamente. Dopo la scelta di Ottawa come capitale (1858), nel 1867 il British North America Act segnò la nascita del Dominion of Canada: constatata l’inadeguatezza della soluzione unitaria per la convivenza tra Canadesi di origine inglese e francese, il paese divenne una federazione formata dalle province di Québec (ex Basso Canada), Ontario (ex Alto Canada), Nuova Scozia e New Brunswick, ciascuna dotata di un’ampia autonomia locale, mentre il governo federale manteneva la cura delle questioni generali.
Nel 1869 la Compagnia della Baia di Hudson cedette i suoi diritti sui Territori del Nord-Ovest; lo stabilimento del Red River diventò la provincia di Manitoba nel 1870, la British Columbia divenne provincia del Canada nel 1871 e l’Isola Principe Edoardo nel 1873. Gli ultimi decenni del secolo furono caratterizzati da un ampliamento anche verso territori di lingua francese e da un notevole sviluppo economico che trasformò il Canada e portò, all’inizio del 1900, a nuovi contrasti fra i due gruppi linguistici.
Anche grazie alla partecipazione alla Prima guerra mondiale (avversata dal Québec) il Canada nel 1919 fu ammesso alla Conferenza della pace e alla Società delle Nazioni come membro originario. Nel 1931 lo Statuto di Westminster sancì l’indipendenza dei dominions nell’ambito del Commonwealth. La grande depressione degli anni 1930 provocò la crescita delle tensioni sociali e la nascita di nuove formazioni politiche di ispirazione socialista, moderatamente progressista o conservatrice che si affiancarono ai due partiti dominanti: il Conservative party of Canada (dal 1942 Progressive conservative party of Canada) e il Liberal party of Canada, alternatisi alla guida del paese fin dal 1867. La Seconda guerra mondiale diede un impulso allo sviluppo industriale del Canada (che nel 1949 acquistava Terranova) che da allora stabilì stretti legami militari e di dipendenza economica con gli USA (adesione alla NATO nel 1949).
Nel Québec, intanto, si andava sviluppando un nuovo nazionalismo radicale, incline al separatismo, che portò alla nascita (1963) di un Front de libération du Québec, autore di attentati e rapimenti (1970), e la crescita del Parti québécois (fondato nel 1968 con un programma indipendentista e progressista), che giunse al governo provinciale in seguito alla vittoria elettorale del 1976. Dopo l’avvento del nuovo leader liberale P. Trudeau alla guida del governo federale (1968), il Canada adottò una politica estera ed economica più autonoma dagli USA (riconoscimento della Cina popolare nel 1970, crescita dei rapporti con i paesi socialisti e con quelli del Terzo Mondo, diminuzione della presenza militare in Europa). Sul piano interno, Trudeau attuò una politica di tutela della lingua e della cultura francese e di promozione del bilinguismo. Le tendenze separatiste del Québec furono sconfitte in un referendum indetto nella provincia nel 1980. Dopo lunghe trattative, Trudeau riuscì a far approvare dal Parlamento britannico una riforma costituzionale (Constitution Act, 1982) che conteneva una carta dei diritti e delle libertà, con disposizioni in materia di tutela del pluralismo culturale del paese e dei diritti delle popolazioni indigene, di controllo delle province sulle proprie risorse naturali ecc.
Le difficoltà economiche manifestatesi dalla metà degli anni 1970 e la recessione dei primi anni 1980 favorirono la netta vittoria dei conservatori nelle elezioni del 1984 (confermata nel 1988). Il nuovo governo, presieduto da B. Mulroney, rilanciò la politica di stretta alleanza e collaborazione con gli USA. In seguito al fallimento (1992) della proposta di modifica della Costituzione che avrebbe favorito l’autonomia del Québec, vi fu la ripresa delle tendenze separatiste nella provincia che, insieme alla crescita delle rivendicazioni di Indiani e Inuit, rimise in discussione l’assetto della federazione. Le elezioni del 1993 registrarono il ritorno al governo del Liberal party con J. Chrétien, che aveva sostenuto la riduzione della disoccupazione attraverso una politica di opere pubbliche e tagli alle spese militari. Il dato più significativo delle consultazioni fu, tuttavia, la netta affermazione del Bloc québécois che diventò il partito ufficiale d’opposizione. Entrato in vigore nel 1994 il NAFTA (➔), la scena politica canadese continuò a essere dominata dalla questione del Québec, dove si tenne un referendum (1995) che sancì la sconfitta dei secessionisti.
L’azione del governo federale si concentrò sui notevoli problemi economici del paese, mentre in gran parte dell’opinione pubblica si accentuava la diffidenza verso l’influenza degli USA in nome della difesa dell’identità nazionale. Il governo liberale, dopo l’inviò di truppe in Afghanistan nella campagna contro il regime talebano (2001), si dissociò dalla politica statunitense rispetto a ulteriori interventi militari in Medio Oriente. Le elezioni del 2006 hanno visto la sconfitta dei liberali, coinvolti in diversi scandali finanziari; si è formato il governo conservatore di minoranza, con alla guida il premier S. Harper, che ha rafforzato la sua rappresentanza parlamentare nelle elezioni anticipate del 2008 ma senza raggiungere una maggioranza autosufficiente. Le elezioni anticipate nel maggio 2011 hanno invece assegnato ai conservatori la maggioranza assoluta dei seggi (165 su 308 nella Camera dei comuni), mentre le consultazioni tenutesi nell'ottobre 2015 hanno riportato la sinistra al governo dopo nove anni, registrando la netta vittoria del partito liberale, che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi (184 su 338 contro i 102 dei conservatori), e il cui leader J. Trudeau è subentrato ad Harper nella carica di premier, riconfermato a seguito delle elezioni politiche dell'ottobre 2019, alle quali i liberali hanno ottenuto 156 seggi (14 in meno della maggioranza assoluta e 28 in meno rispetto al 2015), contro i 122 aggiudicatisi dai conservatori. Nell'agosto 2021, al fine di rafforzare la sua maggioranza, il premier Trudeau ha chiesto lo scioglimento del Parlamento e convocato consultazioni anticipate; svoltesi nel mese successivo, le elezioni hanno assegnato al Partito liberale 158 seggi su 338 della Camera, costringendo l'uomo politico a cercare una maggioranza per formare il nuovo esecutivo.
La diversità di lingua e religione dei due gruppi inglese e francese e la vicinanza della civiltà statunitense, molto influente, contribuiscono al permanere di due letterature, diverse non solo di lingua, ma di spirito e tendenze. A esse si affianca una nuova letteratura: quella indiana, che dalla tradizione orale è andata recuperando il proprio patrimonio culturale e letterario.
La letteratura anglocanadese diede le prime manifestazioni vitali in libri di viaggio (Account of a journey from ... the Hudson Bay to the Northwest, 1795, di S. Hearne; Travels through Canada, 1807, di G. Heriot) e studi storici (Account of Nova Scotia, 1829, di T.C. Haliburton; History of Canada, 1887-98, di W. Kingsford). La poesia ebbe in origine carattere lirico con I.V. Crawford, A. Lampman, W.H. Drummond. La prosa narrativa, poco diffusa, è rappresentata soprattutto da Wacousta (1823), romanzo storico picaresco di J. Richardson. Si ricorda poi T.C. Haliburton (The clockmaker, or the sayings and doings of Sam Slick of Slickville, 1837), il cui Sam Slick, un personaggio comico di genere dickensiano, varcò i confini nazionali. J. de Mille fu il più letto tra gli scrittori romantici del suo tempo.
La fine della Prima guerra mondiale segnò una reazione al vittorianesimo, una nuova consapevolezza sociale con l’applicazione di moderne tecniche poetiche. Un’importante antologia, New Provinces (1936), raccolse le poesie della nuova generazione (F.R. Scott, L. Kennedy, A.M. Klein, A.J.M. Smith, R. Finch ed E.J. Pratt, il decano del gruppo). Per la narrativa va ricordato soprattutto l’umorista S. Leacock; tra gli altri, F.P. Grove, M. Callaghan e M. de la Roche.
La generazione del secondo dopoguerra, aperta a un’esperienza cosmopolita della poesia e della narrativa, ha mostrato minor interesse alla creazione di una letteratura nazionale. Nella lirica una corrente simbolista (A. Wilkinson, W. Watson, M. Avison, D. Le Pan, D. Hine) si è svolta seguendo l’indirizzo critico di N. Frye, il più autorevole critico canadese, accanto a una corrente antiaccademica indirizzata a una resa più immediata della realtà (R. Souster, L. Dudek, I. Layton). Tra i romanzieri si segnalano A. Klein (The second scroll, 1951), A. Wiseman (The sacrifice, 1956), S. Watson (The double hook, 1959), H. MacLennan (The watch that ends the night, 1959). Negli anni 1960, nuovo impulso a una coscienza letteraria nazionale nasce dalla rivista Canadian Literature, fondata dal critico e narratore G. Woodcock e, attorno a essa, cresce il numero dei narratori. S. Ross, M. Richler, E. Buckler, W.O. Mitchell, R. Wiebe, M. Engel, R. Kroetsch e F. Mowat analizzano aspetti diversi, talvolta regionali, della realtà canadese. L. Cohen, narratore e poeta, affronta il tema del passato indiano e dei rapporti fra le razze, questioni ancora presenti nella narrativa e nella poesia delle ultime generazioni.
A partire dal 1970 il dibattito sull’identità culturale e letteraria del Canada si è sviluppato seguendo, o viceversa combattendo, le linee interpretative tracciate da Frye, per il quale è centrale il rapporto con la natura, spazio incontaminato e luogo mitico dell’Arcadia. Già nel 1972, in Survival: a thematic guide to Canadian literature, la scrittrice M. Atwood ribaltava la prospettiva pastorale di Frye recuperando la nozione di «mentalità da fortino» (garrison mentality) per interpretare la reazione di chi, dovendo misurarsi con un ambiente alieno, trova come unica condizione possibile quella del sopravvissuto (il colonizzatore) o della vittima (la donna o l’indiano).
In campo poetico, la stessa tensione verso il raggiungimento di una coscienza letteraria nazionale si manifesta nella ricerca delle proprie radici (A. Purdy, C.J. Newlove) con la riscoperta, anche, del patrimonio orale degli Indiani promossa da S. Virgo, A. Suknaski, C. Lillard. Alla poesia delle praterie di R. Kroetsch, G. Bowering, D. Zieroth fa riscontro la rivisitazione mitica del paesaggio di D. Marlatt e di S. Musgrave, mentre visioni mitologico-simboliche illuminano l’opera di E. Mandel, che, insieme al più celebre narratore M. Richler, è tra i massimi esponenti della minoranza ebraico-canadese. Altre tendenze sono lo sperimentalismo ‘arcaico’ di E. Birney, la poesia femminista di D. Livesay, quella visiva di B. Bissett, la scomposizione delle strutture linguistiche di bp Nichol (pseud. di Barrie Phillip Nichol), la poesia filosofico-meditativa di R. Bringhurst, con le divinità della mitologia locale e le voci degli sciamani che si affiancano a quelle della cultura occidentale (la Bibbia, le scuole di pensiero dell’antica Grecia) e orientale (l’Islam, l’India). La dimensione del multiculturalismo si esplica grazie alle voci degli indiani B. Abel, G. Kenny e D. Redbird, del già citato Mandel, degli italo-canadesi P.G. Di Cicco e M. Di Michele, della viet-canadese T. Vuong-Riddick.
È tuttavia la narrativa a esprimere al meglio il nuovo senso dell’identità collettiva, e spesso molti scrittori, dopo aver esordito come poeti, si sono dedicati alla prosa. Numerosi gli scrittori che si muovono intorno a piccole riviste d’avanguardia: Bowering, che impiega tutti i procedimenti della narrativa postmoderna, T. Findley, Kroetsch, che si serve delle potenzialità simboliche del mito, R. Wiebe, che salva dall’anonimato storie della minoranza mennonita e degli Indiani o dei meticci; J. Hodgins, che opta invece per un registro comico; M. Ondaatje, che nei suoi personaggi racconta una condizione di irriducibile diversità. Di notevole interesse e portata è l’impulso dato alla narrativa dalle scrittrici: la tradizione ottocentesca iniziata da S. Moodie continua e si afferma con le opere di M. Laurence, che poi sceglie la narrativa per l’infanzia, M. Gallant, autrice soprattutto di racconti, A. Munro, J. Kulick Keefer e molte altre. Negli anni 1990 il clima letterario registra un notevole cambiamento: il rapporto fra narrativa e rappresentazione della realtà rispecchia sempre più apertamente l’esistenza di un immaginario collettivo in cui confluiscono memorie di etnie, culture e religioni diverse. Tra gli esponenti di questa letteratura multietnica: l’indiano B. Johnston, l’inuit P. Markoosie, la nippo-canadese J. Kogawa, B. Mukherjee, originaria del Bengala, e R. Mistry, emigrato in Canada dalla nativa Mumbai. E ancora: N. Ricci, oriundo italiano; N. Bissoondath, proveniente da Trinidad.
La scena teatrale, dominata nell’arco del Novecento dalla personalità di R. Davies, offre per tutti gli anni 1970 le radicali sperimentazioni collettive del ‘teatro alternativo’, ma si dedica anche al recupero di un realismo scenico che nel teatro canadese non si era mai imposto con la forza del teatro borghese europeo. È il caso della produzione comico-grottesca di E. Nicol, della drammaturgia femminista di S. Pollock, M. Hollingsworth, C. Bolt ed E. Ritter, del teatro impegnato di D. French, D. Freeman e D. Fennario. Audaci le sperimentazioni di R. Salutin e quelle del teatro programmaticamente omosessuale, con M. Tremblay come suo miglior esponente, che si estremizzano ulteriormente nel corso degli anni 1980 e 1990 con il ‘teatro alternativo’ (fringe «margine»). Spicca su tutti la figura di R. Lepage, prometeico autore, attore e regista di spettacoli che lo hanno reso celebre in tutto il mondo (The Andersen Project, 2005; The blue dragon, 2008).
Le prime manifestazioni della letteratura franco-canadese furono raccolte da E. Gagnon (Les chansons populaires du Canada, 1865). Il dominio inglese rafforzò i sentimenti nazionalistici. Nella poesia è da ricordare la commedia in versi Anglomanie di J. Quesnel (18°-19° sec.) e una corrente patriottica che ispirandosi a O. Crémazie, durò per tutto il 19° sec. ed ebbe uno dei suoi più illustri rappresentanti, specie per l’amore della libertà, in L. Fréchette autore della Légende d’un peuple (1887). La prosa narrativa attinge alla storia e ai costumi del popolo, da P.J.O. Chaveau (Charles de Guérin, 1852) in poi. Da ricordare Jean Rivard (1874) di A. Gérin Lajoie.
Sostanzialmente seguace delle correnti letterarie nate in Francia dall’epoca romantica in poi, soltanto negli ultimi decenni del 20° sec. la letteratura di lingua francese del Canada ha acquistato coscienza di sé, come littérature québécoise, definizione che rivela sia la necessità di distinguersi in un contesto a prevalenza anglofona sia l’esigenza di affrancarsi dall’egemonia della cultura francese metropolitana. L’anelito a una propria autonomia si poteva cogliere già nei versi di Les îles de la nuit (1944) di A. Grandbois, e di Le vierge incendié (1948) di P.-M. Lapointe e, ancor più, nel manifesto del movimento surrealista Refus global (1948), che ebbe nel pittore P.-L. Borduas e nei poeti G. Gauvreau e Lapointe i massimi esponenti. Nella nuova prospettiva socio-realista, che evidenzia il dramma dell’integrazione urbana dei canadesi-francesi in un contesto anglofono, inaugurata da G. Roy nel 1945 con Bonheur d’occasion, vanno citati R. Lemelin, A. Langevin, J.-J. Richard. Di pari passo le pièces teatrali s’ispirano a tematiche popolari e mettono in scena personaggi tipici del Québec.
La rottura con ogni forma di conservatorismo inizia negli anni 1950, quando in poesia s’inaugura l’âge de la parole, in risposta all’antico silenzio. Sulla scena letteraria s’impone il movimento dell’Hexagone, dall’omonima casa editrice fondata nel 1953, che ebbe in G. Miron il suo animatore e tra i membri più attivi poeti quali G. Hénault, R. Giguère, Lapointe, J.-G. Pilon, F. Ouellette, Y. Préfontaine, tutti impegnati nella presa di coscienza politica dell’identità nazionale che si afferma a partire dagli anni 1960 con la cosiddetta rivoluzione tranquilla. La rivista di poesia Parti pris (1963-68), fondata da P. Chamberland, rivela l’impegno letterario nella lotta per l’indipendenza del Québec, con il tentativo anche di recupero del joual, il gergo dell’oppresso e del ribelle, parlato nei quartieri popolari di Montréal. Dalla seconda metà degli anni 1960 la questione letteraria tornò a essere preminente: riviste d’avanguardia diedero spazio a nuove voci di poeti come J. Brault, G. Godin ed emblematici furono i Poèmes des quatre côtés (1975) di Brault, dove sembra possibile la riconciliazione tra le due lingue antagoniste. Dal fermento innovativo nasce, con la corrente nouvelle écriture, una nuova generazione di poeti alle prese con sperimentazioni sul linguaggio, tra i quali M. Beaulieu, N. Brossard, autrice anche di romanzi e testi teatrali, e molti altri. Nel quadro assai diversificato della produzione narrativa, s’impongono le voci di L. Caron e di V.-L. Beaulieu, mentre il movimento femminista si fa sentire con M. Gagnon, narratrice e poetessa, e con Y. Villemaire, che fa uso sapiente del joual.
Il romanzo contemporaneo coniuga tutte le esperienze possibili, tra rottura e continuità. Tra le varie tendenze sembra anche emergere quella di volere attrarre il pubblico ricorrendo a tematiche realiste. Non solo è messa a nudo la realtà più intima, attraverso le opere autobiografiche, ma anche la realtà collettiva, con i suoi temi più scottanti e attuali: emarginazione, disagio sociale, omosessualità. Tra le voci più significative emergono quelle femminili di M. Larue, F. D’Amour e M. Proulx.
L’architettura canadese si ispirò dapprima soprattutto alla tradizione francese, modificandola talvolta per ragioni ambientali (case di pietra con tetti molto spioventi, a campana). Gli edifici più importanti furono costruiti nei vari stili classici: prima francese, poi ‘giorgiano’ (begli esempi di questo a Halifax, Toronto, Montreal) e gotico vittoriano (cattedrale di Montreal, parlamento di Ottawa, università di Toronto). Per il periodo coloniale sono caratteristiche le sculture in legno delle chiese dei missionari francesi (17°-18° sec.).
Dalla fine del 19° sec. lo sviluppo dell’architettura è stato largamente segnato dall’intervento pubblico, soprattutto per le aree metropolitane: dalla National capital commission (1899) per la realizzazione dei piani urbanistici della capitale, alla costituzione dell’area metropolitana di Toronto (1953), cui seguì il concorso internazionale per la City Hall di Toronto stessa (1957) vinto da V. Revell. Interessante la ristrutturazione dal 1962 del centro di Montreal che ha visto gli interventi, oltre che di architetti internazionali (I.M. Pei, L. Moretti, P.L. Nervi), anche dello studio canadese Affleck, Desbarats, Dimakopoulos, Lebensold & Size). Se notevoli sono le realizzazioni dell’edilizia commerciale (torre della IBM a Montreal, 1966, I. M. Pei; grattacielo della Toronto Dominion Bank, 1970, L. Mies van der Rohe), le migliori opportunità si sono presentate agli architetti canadesi con lo sviluppo delle strutture pubbliche: l’università Simon Fraser a Vancouver (1963, A. Erickson e G. Massey), lo Scarborough College, Toronto (1966, J. Andrews), l’uni;versità di Lethbridge, Alberta (1969-1971, Erickson). Tra le istituzioni culturali realizzate si ricordano il Centro nazionale delle arti di Ottawa (1969, Affleck e altri), il Museo d’arte di Winnipeg (1971, G. da Roza), il Centro delle scienze dell’Ontario (1969, R. Moriyama), la biblioteca metropolitana (1977, Moriyama) e la Roy Thomson Hall (Erickson) a Toronto, il centro civico di Scarborough, Toronto (1973, Moriyama) e il nuovo complesso governativο di Vancouver (1974, Erickson). Altre realizzazioni significative sono: residenze per studenti dell’Università di Toronto (2000, Morphosis), Gérald-Godin College a Montréal (2000, Saucier + Perrotte).
La pittura incominciò ad avere importanza solo nella seconda metà del 19° sec. (1872, Ontario Society of Artists). Nel 1907 a Toronto si formò il Canadian Art Club: E. Morris (1871-1913), C. Williamson (1867-1944) e alcuni pittori di Montreal, tra i quali il più significativo fu J.W. Morrice (1865-1924), si riallacciavano variamente alle esperienze degli impressionisti francesi e di J. Whistler. Dal 1912 figure centrali del gruppo furono J.E.H. Macdonald (1873-1932) e L.S. Harris (1885-1970), animatori anche, dal 1920, del Group of Seven che, con le sue immagini romantiche della natura incontaminata, dominò il panorama della pittura canadese fino agli inizi degli anni 1930. Nel 1928 nacque la Sculptor Society of Canada: la personalità più originale è quella di E.W. Wood (1903-1966). Nel 1933 si formò il Canadian Group of Painters che mirava a una maggiore rappresentatività nazionale: ne furono esponenti L. Le Moine Fitzgerald (1890-1956), che tendeva a una semplificazione geometrica delle forme, E. Carr (1871-1945), particolarmente sensibile ai temi della vita degli Indiani e ai paesaggi boschivi, e C. Comfort (1900-1994). Con la fondazione a Montreal della Contemporary Art Society (1939) da parte di J.G. Lyman (1886-1967) e il ritorno in Canada da Parigi di A. Pellan (1906-1988), si fece più consistente l’apertura verso le correnti artistiche internazionali, dall’astrattismo al surrealismo. Il gruppo degli Automatistes (J.P. Riopelle, L. Bellefleur, P.E. Borduas) fu la punta più avanzata dell’avanguardia.
A Toronto il gruppo Painters Eleven impose, dopo il 1953, un espressionismo astratto vicino a quello statunitense: J. Bush (1909-1977), A. Luke (1901-1967), O. Cahen (1916-1956), K. Nakamura (1926-2002), T. Hodgson (1924-2006). I Regina Five, si affermarono negli anni 1960, seguiti da K. Lochhead (1926-2006), R. Bloore (n. 1925), D. Morton (1926-2004), A. Mckay (1926-2000), T. Godwin (n. 1933). A un astrattismo geometrico tendeva il gruppo dei Plasticiens (1955) con R. de Repentigny (1926-1959), L. Belzile (n. 1929), J.P. Jérome (n. 1928); più originale il nuovo astrattismo di G. Molinari (1933-2004) e C. Tousignant (n. 1932). Per una ricerca sperimentale vanno ricordati G. Curnol (n. 1936) e I. Baxter (n. 1936). Impegno e inventiva in nuove tecniche e nell’uso di nuovi materiali hanno caratterizzato la scultura della seconda metà del 20° sec.: L. Archambault (1915-2003), A. Kahane (n. 1924), J. Harman (1927-2001), G. Gladstone (1929-2005), A. Vaillancourt (n. 1932), R. Murray (n. 1936), G. Smith (n. 1938). Negli ultimi decenni del 20° sec. i programmi di finanziamento e sostegno da parte dello Stato e delle istituzioni culturali hanno contribuito allo sviluppo della ricerca artistica, caratterizzata da una pluralità di tendenze. Un ruolo importante è svolto anche dalle riviste specializzate (Parachute, Canadian Art, C-Magazine, Vanguard), dai musei, da centri e istituzioni dedicati all’arte contemporanea (Centre international d’art contemporain di Montréal, dal 1983; Centre for contemporary Canadian art, dal 1995), da rassegne periodiche come Cent jours d’art contemporain de Montréal (1985-96), dal 1998 divenuta Biennale di Montréal. Nel corso degli anni 1990 si riscontra, inoltre, un rinnovato interesse per l’arte indigena, nell’organizzazione di esposizioni e nella crescente presenza di artisti indigeni in collezioni pubbliche e private.
Molte artiste hanno concentrato le proprie ricerche su tematiche quali il corpo e l’identità sessuale e fisica: oltre a V. Frenkel (n. 1938), una delle maggiori esponenti della videoarte attiva anche nel campo della scultura, dell’incisione e della poesia, si sono affermate C. Whiten (n. 1945), che utilizza criticamente tecniche tradizionali di lavori femminili; G. Cadieux (n. 1955), che esamina in installazioni fotografiche le alterazioni dell’identità; S. Keely (n. 1955), con dipinti, performances, video, installazioni affronta temi di conoscenza corporea; J. Sterbak (n. 1955) con sculture e installazioni riflette sull’alienazione femminile. L’integrazione tra scultura, performance, installazione, video e fotografia emerge dalle esperienze di K. Wodiczko (n. 1943), M. Lewis (n. 1948), S. Cruise (n. 1949), J. Cardiff (n. 1957), G. Bures Miller (n. 1960).
Lo sviluppo della musica canadese è stato influenzato dalle condizioni storiche e geografiche, principalmente dalla vicinanza con gli Stati Uniti. Eccetto che per gli ‘chansonniers’ del Québec, tutta la musica folclorica canadese è di origine straniera (canti degli Indiani, degli immigrati francesi e inglesi). La musica europea del 17° e 18° sec. raggiunse una notevole diffusione grazie al lavoro svolto nei conservatori di Toronto e della provincia del Québec e alle associazioni sinfoniche sorte successivamente nelle varie città. Nel 1952 J. Weinzweig, J. Papin-Couture, J. Beckwith, M. Adaskin, V. Archer, B. Pentland, P. Mercure, H. Freedman, formarono la lega canadese dei compositori.