Stato dell’Europa centro-occidentale; abbraccia quasi interamente la regione geografica francese, compresa fra i Pirenei a S, la parte più accidentata ed elevata della catena alpina a SE, la valle del Reno a NE e il mare sugli altri lati: l’oceano Atlantico a O, il Canale della Manica a N e il Mediterraneo a S.
I rilievi più alti della F. sono montagne di origine terziaria, su cui agì fortemente la glaciazione quaternaria: le Alpi formano un diaframma verso la pianura padana, con le più alte cime europee (tra Chamonix-Mont-Blanc francese e Courmayeur italiana, il massiccio del Monte Bianco, 4807 m); i Pirenei costituiscono un uguale diaframma verso la Penisola Iberica ma meno elevato (Montes Malditos, 3404 m). Il versante francese dei Pirenei è molto ripido; meno quello delle Alpi occidentali. Poco più recenti del rilievo alpino, ma sempre elevate, sono, a N di esso, le catene del Giura franco-svizzero. I rilievi della F. centrale e settentrionale sono di origine geologicamente più remota: si sono delineati in seguito ai movimenti orogenetici del tardo Paleozoico (corrugamento ercinico) e hanno subito ulteriori moti di assestamento o sprofondamento, per cui si mostrano oggi con lineamenti più dolci e sono in genere di modesta altitudine, divisi e lontani fra loro. Fra essi si distinguono i Vosgi (Ballon de Guebwiller, 1423 m) a E e più a N le Ardenne; a O il Massiccio Armoricano, che forma le penisole di Bretagna e del Cotentin, e si stende a S del solco della Loira, fino in Vandea; infine, maggiore degli altri, il Massiccio Centrale (Puy-de-Sancy, 1886 m), da cui scendono a N la Loira e a O la Garonna. Questo massiccio è il più importante poiché alla fine del Terziario, influenzato dall’emersione alpina, fu rialzato e ringiovanito (il suo orlo più alto, le Cevenne, si trova infatti a E, e presenta un versante molto acclive verso la valle del Rodano, mentre declina a lento pendio verso O), e fu poi interessato da grandiosi fenomeni vulcanici, a causa dei quali l’Alvernia si distingue per il tipico paesaggio dei puys, vulcani spenti con la originale forma conica.
Mancano alla regione francese vaste e uniformi pianure, ma numerosi sono i tratti pianeggianti che colmano le depressioni o le fosse comprese fra i massicci erciniani (pianura renana di Alsazia; pianura rodanese a valle di Lione). Frequenti e più vaste le zone di ondulazione dolci e lievi, formate da strati sedimentari di età secondaria e terziaria deposti in mari interni o depressioni lacustri del rilievo ercinico (bacini di Parigi e di Aquitania).
I lineamenti fondamentali odierni del rilievo francese erano già costituiti, dunque, alla fine del Terziario, e il Quaternario portò solo variazioni superficiali o marginali. Il progredire dell’erosione, alternandosi con periodi di deposizione lungo i fiumi principali, diede luogo alla formazione di terrazzi, specialmente nei bacini della Loira e della Senna. Limi fertili, a volte veri e propri Löss, ricoprirono le pianure inframontane e il bassopiano parigino. Sulle Alpi e i Pirenei, il rincrudimento del clima determinò l’espansione di ghiacciai, che scolpirono di nuove forme (valli sospese, rialzi di sbarramento, bacini semicircolari) il rilievo montano (Savoia, Delfinato, Pirenei). Il Massiccio Centrale, anche, ebbe i suoi ghiacciai, che si estesero sui gruppi vulcanici del Cantal e dei Monts Dore; altri più piccoli ricoprirono il Giura (sui cui margini sono assai vistosi i depositi morenici) e i Vosgi (troncando più volte il libero deflusso alla Mosella). Meno ampia fu la glaciazione nei rilievi calcarei prealpini (Provenza sud-occidentale).
Altre variazioni subì la linea costiera. La formazione del passo di Calais sembra non sia anteriore ai primi periodi glaciali, e così la separazione fra le Isole Normanne e il Cotentin. Le coste meridionali mostrano lineamenti molto diversi a E e a O del delta del Rodano: a E, dove le Alpi si immergono nel Mediterraneo con ripidi versanti, la costa è rocciosa e accidentata da penisole e da baie, con numerose isole; a O invece è uniforme con grandi lagune dietro cordoni litoranei ricoperti di dune.
La situazione geografica della F. determina una larga varietà di tipi climatici. Vi si distingue una zona a clima oceanico, con debole escursione termica (inverno mite, primavera tardiva, estate relativamente fresca e con piovosità media annua tra 800-1000 mm), limitata a una fascia ristretta, a S, lungo le Landes, che poi si allarga a N per includere le penisole bretone e del Cotentin e giungere fino presso Calais. A E, in corrispondenza del bacino parigino, si ha una seconda zona, in cui l’escursione termica è maggiore e la piovosità si riduce notevolemente (500-750 mm annui).
Ancora più a E, fra il Morvan e le Argonne, fino al Reno, si passa gradualmente a tipi climatici a influenza continentale con inverni aspri e nevicate frequenti; le estati sono calde e disturbate da temporali; la piovosità è notevole, specie sui rilievi (Argonne 1200 mm, Morvan 1500 mm, Vosgi 1700 mm), mentre le depressioni segnano di regola minimi pluviometrici (Colmar 500 mm, la Limagne 600 mm).
Si può distinguere anche un clima aquitanico sul bacino omonimo (esclusa la fascia litoranea), peculiare per le estati calde, le primavere precoci e piovose (ma le altre stagioni più asciutte: piovosità annua 600-800 mm), gli inverni relativamente rigidi. Infine il clima mediterraneo prevale con i tipici inverni tiepidi, le primavere piovose, le estati calde e molto asciutte (Linguadoca-Rossiglione, Provenza inferiore, valle del Rodano fin verso Valence); sono le località francesi più calde, e con rarità di piogge (600-800 mm annui).
L’influsso del rilievo determina l’esistenza di una vera regione climatica in corrispondenza del Massiccio Centrale, più piovosa dei distretti vicini (medie da 1200 a 1500 mm e oltre nei Monti del Vivarais e nei Monts Dore) e più fredda durante l’inverno.
Anche il sistema alpino sta a sé: a causa dell’orientamento generale delle Alpi Francesi da N a S e poiché le maggiori altitudini sono a N, vi è notevole diversità fra la regione savoiarda e quella provenzale; la Savoia è molto più fredda con piogge (in media, 1200 mm) e nevi più copiose, mentre la Provenza non supera gli 800 mm di piogge e risente largamente dei vantaggi termici mediterranei. La stessa diversità c’è fra le zone marginali e centrali dei Pirenei.
Nella regione settentrionale le acque si riuniscono in tre grandi bacini fluviali: quello del Reno, che raccoglie quasi tutte le acque discendenti dai Vosgi; quello della Senna (con i suoi confluenti: Marna, Oise, Eure, Aube, Yonne, Loing), dove confluiscono le acque dei rilievi del Morvan e del Plateau de Langres; e quello della Mosa, corrispondente alla Lorena, dove la mancanza quasi di affluenti è causata da catture (alcune in età storica) operate a suo svantaggio dai bacini vicini. Direttrici fluviali secondarie irradiano dai rilievi di Picardia: la Schelda e la Somme. Nel Massiccio Armoricano la rete idrografica è indipendente (Vilaine e Aulne) quasi ovunque, sia pure con bacini poco estesi, fuorché a SE, dove la Loira ha attratto a sé le acque del Maine e del Perche (Mayenne, Sarthe, Loir).
La Loira, il più lungo fiume francese (1020 km), con un bacino di 121.000 km2, ha origine dal Massiccio Centrale. A SO del Massiccio Centrale (Dordogna, Tarn) il bacino aquitanico è in parte drenato dalla Garonna; a E del Massiccio Centrale, nel grande solco depresso tra questo e le Alpi scorre, per 2/3 in territorio francese, il Rodano, con il suo copioso affluente Saona e con i due tributari alpini Isère e Durance. La zona più meridionale del sistema alpino è autonoma per la rete idrografica e ne scendono, lungo valli molto aspre, l’Argens e il Varo; così come nei Pirenei orientali l’Aude, il Têt e il Tech defluiscono separati verso il Golfo del Leone.
Clima, suolo e copertura vegetale rendono diverso il regime fluviale da regione a regione. Senna e Garonna, in particolare, si distinguono per una portata notevole in ogni stagione. La Senna costituisce, da Parigi al mare, una via navigabile naturale. Caratteristica notevole dei fiumi del bacino atlantico sono le foci a estuario, fra cui maggiori quella della Gironda (Bordeaux), della Loira (Nantes) e della Senna (Le Havre). Pure copioso di acque è il Rodano, ma le forti pendenze, in alcuni tratti del corso, ostacolano la navigazione, come accade anche per la Loira. Ingenti lavori sono stati indispensabili per regolare questi fiumi, con la costruzione di argini e canali di collegamento: fra questi, il Canale del Centro (Saona-Loira), di Digione (Saona-Senna), quelli Rodano-Reno, Marna-Reno, dell’Est (Saona-Mosella) e del Mezzogiorno (Garonna-Aude).
La maggior parte del suolo della F. è compreso nel dominio della flora atlantica, con foreste di quercia peduncolata, faggio, carpino, olmo, castagno ecc., e, specialmente nel Massiccio Armoricano, con la formazione della landa.
La F. presenta la fauna marina più ricca e varia d’Europa: nel Mediterraneo si pescano il tonno, la sardina, l’acciuga, il corallo e le spugne; nella Manica e nell’Atlantico il merluzzo, la sardina e l’aringa. Numerose sono le specie di pesci d’acqua dolce: 46 su un centinaio europee; alcune importate dagli Stati Uniti si sono acclimatate ed estese a tutte le regioni, come il persico sole e il pesce gatto. La fauna terrestre è relativamente ricca, possedendo più di un terzo dei Mammiferi d’Europa: mancano soltanto le forme assolutamente meridionali, quelle tipicamente nordiche e le specie steppiche e desertiche proprie dell’Europa orientale.
La F. è al secondo posto per numero di abitanti fra i paesi dell’Unione Europea. La popolazione, che all’inizio del 18° sec. era di circa 20 milioni di ab., al censimento del 1801 risultò, all’interno degli attuali confini, di 28.300.000 ab., pari al 16% dell’intera popolazione europea. Successivamente, dopo un periodo di regolare accrescimento, tale da far registrare nel 1851 la presenza sul suolo francese di 36.500.000 individui, l’incremento risultò molto contenuto, tanto che nel 1954 il numero degli abitanti era pari a 42.800.000. Dunque, nel periodo 1801-1954 la popolazione francese aveva subito un aumento complessivo del 60%, modesto al confronto di quelli registrati nello stesso lasso di tempo nei maggiori paesi europei (Italia 160%, Germania 190%, Gran Bretagna 230%). Le cause dello scarso incremento demografico sono da ricercare, oltre che nei danni, diretti e indiretti, provocati dalle due guerre mondiali, nella progressiva contrazione della natalità, verificatasi con sensibile anticipo rispetto al resto d’Europa; tra il 1801 e il 1901, infatti, il relativo coefficiente era sceso dal 32‰ al 22‰, mentre diminuzioni ben più modeste si erano avute, per es., in Germania (dal 37 al 35), in Gran Bretagna (dal 33 al 29) e in Belgio (dal 35 al 28). A lungo andare, alla diminuzione del numero dei nati si accompagnò l’eccessivo invecchiamento della popolazione, che da una parte causò l’aumento della mortalità mentre dall’altra determinò una grave carenza di manodopera che richiamò un imponente flusso migratorio proveniente soprattutto dal Belgio, dalla Germania, dall’Italia, dalla Polonia e dalla Spagna.
A partire dal secondo dopoguerra si è registrato un risveglio demografico: il coefficiente di natalità è risalito dal 16‰ del 1944 al 21‰ del 1948, attestandosi poi su valori prossimi al 18‰, fino ai primi anni 1970. In seguito si è verificata una nuova contrazione, con un’ulteriore riduzione del tasso di natalità, che si è stabilizzato intorno al 13‰ medio annuo negli anni Duemila, e che rimane tuttavia tra i più elevati d’Europa. Una componente importante della popolazione francese è rappresentata dagli immigrati, ai quali va aggiunta una quota consistente di popolazione di origine straniera ormai naturalizzata francese. Il peso percentuale si è mantenuto pressoché stabile dalla metà degli anni 1970, poiché gli immigrati sono aumentati allo stesso ritmo della popolazione totale. Si è modificata invece la composizione per area di provenienza: è diminuita la quota di immigrati provenienti da paesi dell’Unione Europea, soprattutto da Portogallo, Italia e Spagna, ed è aumentata la percentuale dei Maghrebini (Algerini, Marocchini e Tunisini). Fra le altre aree di provenienza si segnalano i paesi dell’Africa a S del Sahara, quelli del Sud-Est asiatico e la Turchia.
La densità media è tra le più basse dell’Europa occidentale, con una distribuzione che presenta però notevoli divari; le regioni più densamente popolate sono quella parigina dell’Île-de-France (960 ab./km2 nel 2006), seguita a grande distanza da quella del Nord-Pas-de-Calais (323 ab./km2); di gran lunga inferiore è la pressione demografica in Corsica (33 ab./km2), Limousin (43 ab./km2) e Alvernia (51 ab./km2). Consistenti flussi migratori interni, inoltre, hanno prodotto una certa ridistribuzione della popolazione a favore delle regioni occidentali e meridionali. L’effetto ‘magnete’ dell’agglomerazione parigina, invece, si va lentamente attenuando, il che tuttavia non limita, se non in misura marginalissima, il suo ruolo di città primate e la sua assoluta predominanza demografica, economica e funzionale rispetto al resto del paese. La popolazione urbana è pari a circa il 77%. Tra le aree metropolitane, oltre a Parigi, superano il milione di abitanti Marsiglia, Lione e Lilla. La rete urbana è completata da una serie di metropoli regionali di media grandezza (oltre 40 aree urbane contano più di 200.000 ab.) che svolgono un’azione di riequilibrio territoriale e rappresentano i fulcri di uno sviluppo regionale basato, già dagli anni 1960, su una industrializzazione per poli.
Lingua ufficiale è il francese, ma sono presenti minoranze bretoni, corse, altotedesche, basche, catalane e fiamminghe. Il 76% circa della popolazione professa la religione cattolica.
Dopo un lungo periodo di ristagno manifestatosi negli anni precedenti la Prima guerra mondiale e parzialmente connesso con lo scarso incremento demografico, l’economia francese, pur fra alterne vicende, nel corso del 20° sec. ha compiuto un radicale processo di rinnovamento e potenziamento sia nel campo industriale sia in quello agricolo, che l’ha portata a collocarsi tra i paesi economicamente più avanzati d’Europa. A partire dagli anni 1950 lo sviluppo economico si è giovato sia della programmazione sia dell’inserimento della F. nella CEE, che, con l’ampliamento dei mercati, ha reso possibile un rapido incremento delle attività industriali.
La programmazione, non prescrittiva ma solo indicativa, ebbe inizialmente lo scopo di organizzare la ricostruzione dell’apparato produttivo compromesso dagli eventi bellici (Piano Monnet, 1947-53), ma successivamente si prefisse di realizzare uno sviluppo economico che da una parte tenesse conto della nuova realtà europea e dall’altra correggesse gli squilibri regionali e settoriali, cercando soprattutto di ovviare agli inconvenienti legati all’eccessiva concentrazione industriale, specie nell’area parigina. L’intervento statale si è manifestato, oltre che con la concessione di sovvenzioni, vantaggi fiscali e prestiti a tasso agevolato, con il decentramento delle attività produttive e la creazione di poli di sviluppo, in grado di bilanciare la forza di attrazione esercitata dalla capitale. La pianificazione non ha trascurato le regioni tradizionalmente agricole, indirizzandole verso la produzione di generi maggiormente richiesti dal mercato interno ed estero, né le attività turistiche. I profondi mutamenti dell’economia francese hanno ovviamente determinato un forte travaso di manodopera dal settore primario verso il secondario e il terziario.
Anche se la ripartizione percentuale della popolazione attiva e del PIL riserva quote assai ridotte al settore primario, la F. resta il maggior paese agricolo d’Europa. La superficie agricola utilizzata è dominata per quasi i due terzi da seminativi a rotazione (la sola area coltivata a grano supera costantemente i 5 milioni di ettari); il resto è tenuto soprattutto a pascolo, ma è rilevante il 4% coltivato a vigneto (quasi un milione di ettari) e ad altre colture arboree permanenti. Le principali produzioni agricole sono anzitutto i cereali: frumento, avena, mais e orzo, che ha una produzione crescente legata alle esigenze dell’allevamento. Non è stata trascurata la produzione delle patate né quella delle barbabietole da zucchero.
Fra i distretti vinicoli, a quelli destinati a una produzione di massa (Linguadoca) si affiancano quelli dedicati a vini di alta qualità: la Champagne (vini spumanti), la Media e Bassa Loira, il Sud-Ovest (Bordeaux, Médoc), l’Est (Borgogna). Da ricordare anche le acqueviti prodotte nel Cognac e nell’Armagnac. Nei territori meridionali e in Corsica i vigneti forniscono ottima uva da tavola.
Prati e pascoli hanno alimentato, con allevamenti di bestiame bovino (quasi 20 milioni di capi nel 2006 appartenenti per lo più a razze da latte altamente selezionate), ovino (8,9 milioni di capi), suino (14,8) e di volatili (quasi 225), la sesta produzione mondiale di latte e di burro, la quinta di carne e la terza di formaggi (ampia, tradizionale e rinomata, com’è noto, la gamma di questi ultimi).
Le colture ortofrutticole raggiungono le massime concentrazioni nell’Île-de-France, lungo la Loira, nella Bretagna, nella valle del Rodano e nella zona mediterranea; in quest’ultima, grande diffusione ha soprattutto la frutta, per la quale la F. occupa il terzo posto in Europa, esportandone discreti quantitativi soprattutto in Germania. La Costa Azzurra è celebre per la floricoltura specializzata.
Il manto forestale (28,3% della superficie nazionale) ha fornito un quantitativo di legname pari a 65.640.000 mq nel 2006; in Corsica, Provenza, Linguadoca e Guascogna sono diffusi i sughereti.
La pesca riveste un ruolo secondario, pur essendo largamente praticata lungo le coste nord-occidentali, dove hanno sede i maggiori porti pescherecci: Boulogne-sur-Mer, Dunkerque, Concarneau, Lorient, Fécamp, Saint-Malo ecc.; alcuni di tali porti sono attrezzati per la ‘grande pesca’ (soprattutto merluzzi e aringhe), praticata sul banco di Terranova (dove la F. possiede le isole di Saint-Pierre e Miquelon) e presso le coste della Groenlandia e dell’Islanda. In prossimità dei principali centri di pesca sorgono importanti industrie conserviere.
Il patrimonio minerario della F. non è particolarmente ricco, ma i giacimenti sono stati ampiamente sfruttati, in particolare per quanto riguarda il carbone, tra le principali risorse del sottosuolo. Oggi la produzione mineraria è ridotta a modeste dimensioni (l’ultima miniera di carbone, in Mosella, è stata chiusa nel 2004); la F. resta comunque un buon produttore di ghisa e di acciaio, nonché di zinco, piombo, stagno di fonderia (attorno al decimo posto nel mondo per ciascuno di questi metalli). Sono presenti giacimenti di gas naturale (soprattutto nella F. sud-occidentale, nei pressi di Lacq) e di petrolio (Alsazia, F. sudoccidentale e regione parigina), inadeguati però a soddisfare la domanda interna. Notevole lo sfruttamento dell’energia nucleare, che soddisfa circa il 77% del fabbisogno nazionale, con 59 reattori in funzione.
Nel settore manifatturiero, è evidente il divario tra la F. del Nord-Est e quella del Sud-Ovest. Va tuttavia ricordato che alcune regioni di antica industrializzazione (Nord-Pas-de-Calais, Lorena) hanno conosciuto gravi crisi produttive e occupazionali, dovute soprattutto al declino dei settori carbonifero e siderurgico. La regione parigina resta la prima regione industriale della F., grazie a un tessuto produttivo altamente diversificato (industrie automobilistiche, elettriche, elettroniche, aeronautiche, chimiche, farmaceutiche, editoriali), alla sua posizione strategica e alla presenza dei principali centri decisionali. L’area di Lione è assimilabile a quella parigina per grado di diversificazione settoriale e centralità nello spazio produttivo francese. Nella F. meridionale, le città disposte lungo l’arco che va da Bordeaux a Grenoble, passando per Tolosa, Montpellier e Nizza, costituiscono i poli di uno sviluppo industriale a elevato contenuto tecnologico che si affianca a settori consolidati, mentre è da segnalare lo sviluppo industriale di quasi tutta la regione litoranea, principalmente delle zone portuali, legato alla trasformazione degli idrocarburi importati.
I comparti di punta dell’industria francese riguardano la produzione automobilistica, di pneumatici e dell’energia elettrica, il comparto elettronico; i rami tessile e dell’abbigliamento, chimico (la F. è il secondo esportatore mondiale dei prodotti di profumeria), agroalimentare, aeronautico, cantieristico.
Nell’ambito del settore, in cui si evidenza la capacità di attrazione della regione parigina (quasi un terzo degli addetti totali, due terzi dei quartieri generali aziendali), si registra la crescita dei servizi avanzati alle imprese e dei comparti legati all’evoluzione tecnologica, con particolare riferimento alle tecnologie dell’informazione.
Grande enfasi si è data in F. alle attività di ricerca e sviluppo, che hanno trovato la loro sede privilegiata nelle numerose tecnopoli, più di una quarantina, fra le quali si segnalano in particolare Sophia Antipolis in Provenza e la ZIRST (Zone pour l’innovation et les réalisations scientifiques et techniques) di Grenoble. Notevole il turismo (79 milioni nel 2006).
La F. possiede una fitta rete stradale che si irradia da Parigi, estendendosi per circa 1.042.996 km (2006); la rete autostradale ha raggiunto la lunghezza complessiva di 10.848 km (2006).
Le comunicazioni ferroviarie formano una rete anch’essa radiale, con centro a Parigi; fanno eccezione all’andamento generale la linea che congiunge Digione con Metz e quella che collega Strasburgo al Nord, attraverso la Lorena. La rete ferroviaria, che si estende per 29.547 km (di cui 14.319 elettrificati, nel 2006), è stata ammodernata con l’eliminazione di tronchi minori e la costruzione di ferrovie rapide (LGV, Lignes à Grande Vitesse).
I trasporti fluviali sono assicurati da 7900 km di vie navigabili, di cui oltre 4500 km di canali prevalentemente concentrati nel settore nord-orientale del paese, dove si congiungono alla rete fluviale belga e tedesca.
I trasporti marittimi si avvalgono di una flotta di circa 5,6 milioni di t di stazza lorda. Il porto più importante è Marsiglia, che per mole di traffico si pone al quinto posto in Europa, dopo Rotterdam, Anversa, Amburgo, Novorossijsk; altri scali di rilievo sono Le Havre, Dunkerque, Rouen, Nantes, Bordeaux, Sète, Calais.
La ricchezza dei giacimenti paleolitici in F. testimonia l’occupazione da parte dell’uomo fin dalle epoche più arcaiche. Le tracce più antiche sembrano essere rappresentate dai rinvenimenti della grotta del Vallonet (Roquebrune-Cap Martin, Provenza), con fauna villafranchiana. L’Acheuleano è molto diffuso: nella F. settentrionale sono i giacimenti della valle della Somme (Cagny, Atelier Commont ecc.); nella F. meridionale i livelli alluvionali delle valli della Charente e della Garonna, ma anche grotte e ripari in Ardèche, Hérault, Provenza e soprattutto in Dordogna. All’inizio del Glaciale di Würm esso dà origine al Micocchiano, che si trova nella F. settentrionale (Houppeville, Le Tillet) e in qualche grotta e riparo del Sud. Parallelamente all’Acheuleano si sviluppa il Charentiano, presente in Dordogna, Charente, Provenza. Nel Musteriano, fiorito durante le prime fasi del Würm, sono riconoscibili diverse culture che si rinvengono variamente interstratificate su molta parte del suolo francese. A circa 35.000 anni fa risalgono i più antichi livelli perigordiani (Allier, Yonne, Dordogna, Vienne), mentre nelle sue fasi superiori questa cultura è più diffusa, specialmente nel Sud-Ovest. Nelle stesse zone sono abbondantissimi i ritrovamenti di materiali aurignaziani. Il Solutreano (19.000-16.000 anni fa) presenta nella regione classica del Périgord-Charente la maggiore fioritura.
Nel corso della ricca civiltà maddaleniana (15.000-11.000 anni fa), soprattutto nelle sue fasi superiori, la densità della popolazione paleolitica raggiunge il massimo, a giudicare dal numero e dall’estensione dei giacimenti che si rinvengono praticamente in tutta la Francia. Dopo questo periodo, il Maddaleniano si trasforma nell’Aziliano (10.000-8000 a.C.), cultura caratterizzata da un’industria litica di tradizione maddaleniana, cui si aggiungono tipi nuovi (grattatoi corti e circolari su scheggia, punte a dorso ricurvo, armature geometriche). A partire dall’Aurignaziano (Grotta Chauvet, Ardèche), e soprattutto nel Perigordiano superiore, fiorisce l’arte parietale e mobiliare (sfera franco-cantabrica), che ha lasciato testimonianze soprattutto in Dordogna e nella regione pirenaica (Lascaux, Les Combarelles, Font-de-Gaume, La Madeleine, Pech-Merle, Rouffignac, Roc-de-Sers ecc.).
Il Mesolitico è rappresentato principalmente dal Sauveterriano e dal Tardenoisiano, le cui tradizioni continuano a lungo, anche dopo l’introduzione dell’economia produttiva.
Le prime testimonianze di culture neolitiche nella F. settentrionale sono costituite dalla corrente danubiana con ceramica a nastro stabilitasi in Alsazia, mentre nelle regioni mediterranee si sviluppa il Neolitico a ceramica impressa. In seguito, mentre nel Nord-Est si affermano i gruppi di Rössen, nella F. meridionale si diffonde il cosiddetto Neolitico occidentale con aspetti chasseani. Fra la fine del 3° e l’inizio del 2° millennio a.C., mentre lo Chasseano ha una rapida espansione geografica fino al bacino di Parigi, il gruppo di Michelsberg si estende in tutto il bacino del Reno. All’inizio del 2° millennio a.C. influssi iberici portano alla penetrazione del bicchiere campaniforme e al fenomeno della diffusione dei megaliti, che assume in F. vaste proporzioni e che trova il suo esempio più grandioso a Carnac.
Nel Bronzo antico, nella F. di Nord-Est gli elementi riferibili alla civiltà di Straubing si rivelano in particolare nei primi tumuli della foresta di Haguenau, mentre nella valle del Rodano e nel Giura si sviluppano gruppi locali imparentati con quelli svizzeri. La cultura dei tumuli armoricani, che si prolunga nel Bronzo medio, è conosciuta da sepolture individuali sotto tumulo, e si riallaccia a quella del Wessex. Nella F. nord-orientale e nell’Alsazia il Bronzo medio è rappresentato dallo sviluppo della civiltà dei tumuli (Haguenau). La cultura dei campi di urne (11°-9° sec. a.C.) ha avuto un’ampia diffusione nella F. orientale e meridionale, e alcune necropoli, come quella di Aulnay-aux-Planches, attestano la continuità del rito funerario della cremazione – con raccolta delle ossa entro un’urna cineraria fittile deposta in una buca nel terreno – fino all’età del Ferro. A partire dal 7° sec. si intensifica l’influsso delle evolute civiltà dell’Europa centrale in relazione con la formazione del popolo celtico. Questo processo si attua in particolare durante il periodo hallstattiano nei paesi renani, e nel Nord-Est l’evoluzione è molto diversa da quella verificatasi nel Sud. La transizione dalla civiltà di Hallstatt – attraverso l’arte della tarda età di Hallstatt delle tombe e residenze principesche (6°-5° sec. a.C.) – a quella di La Tène si attua compiutamente soprattutto dopo la fine del 4° sec. a.C.
Per le vicende storiche della civiltà diffusasi in F. con l’invasione dei Celti e la successiva affermazione del dominio romano ➔ Gallia.
L’inizio della storia della F. medievale coincise con le imprese militari dei Franchi Sali (➔ Franchi): nel 482 il loro governo passò a Clodoveo, alla cui morte (511) seguì la spartizione del Regnum Francorum tra i figli, così come avvenne nel 561 alla morte di Clotario I (fig. 2). Lo strumento dell’aristocrazia per soppiantare il potere monarchico fu la nuova istituzione dei maggiordomi o maestri di palazzo, di fatto veri sovrani. Uno di essi, Carlo Martello, ricostituì l’unità del regno e divenne l’effettivo detentore del potere nella Francia (fig. 3). Con Carlomagno, consacrato imperatore da Leone III (800), all’antico Regnum Francorum si sovrappose l’universalità del Sacro Romano Impero (➔). Nell’843 l’Impero carolingio venne diviso in tre zone destinate ai tre figli di Carlomagno (trattato di Verdun; fig. 4). Per un secolo la F. oscillò fra gli ultimi eredi della dinastia carolingia e quelli della nuova dinastia dei conti di Parigi. Nel 987 (fig. 5), i grandi riconobbero Ugo Capeto, figlio del conte di Parigi Ugo, loro sovrano.
Con Luigi VI (1108-37) si ebbe il primo tentativo organico di affermare la sovranità della Corona. Egli impose la sua autorità ai vassalli diretti ribelli e ristabilì la pace nelle proprie campagne; in seguito, in funzione antinobiliare, cercò un più diretto collegamento con i nuovi ceti emergenti nella città. Con il matrimonio tra il figlio del re, il futuro Luigi VII (1137-1180), ed Eleonora, erede del ducato di Aquitania (1127), la dinastia capetingia portò i suoi confini ai Pirenei. Ma quando Luigi ripudiò la moglie Eleonora, questa strinse nuove nozze con Enrico Plantageneto, dal 1154 re d’Inghilterra. Il conflitto scoppiato tra Enrico II e Luigi VII continuò anche sotto il successore di Luigi VII, Filippo Augusto (1180-1223), che confiscò agli Inglesi la maggior parte dei loro possedimenti sul continente (fig. 6). Riorganizzò inoltre l’amministrazione e la burocrazia del Regno, diede spazio all’elemento borghese e istituì magistrati regi e tribunali d’appello; fissò la capitale del Regno a Parigi. Luigi IX (1206-70) svolse un’intensa politica meridionale e mediterranea e, sul piano interno, domò una rivolta feudale; ottenne inoltre la rinuncia di Enrico III d’Inghilterra alle pretese sui possessi inglesi nel continente (1259). Con i suoi successori Filippo III l’Ardito (1270-85) e Filippo IV il Bello (1285-1314) il programma di espansione e di egemonia della potenza francese venne perseguito con finalità esclusivamente politiche; un aspetto particolare di questo programma fu il contrasto tra Filippo il Bello e il papa Bonifacio VIII, che si chiuse con la cattura del pontefice, l’episodio dello «schiaffo di Anagni» (1303), l’elezione di un papa francese, Clemente V (1305), e il trasferimento della sede pontificia ad Avignone (1309). Il duello anglo-francese si riaccese alla morte di Carlo IV (1328); la guerra dei Cent’anni, nel suo periodo centrale, si trasformò anche in guerra intestina della feudalità francese, divisa tra gli Armagnacchi, fautori dei re di F. e i Borgognoni, fautori degli Inglesi. La pace del 1453 ridusse il dominio inglese in F. alla sola Calais. Luigi XI (1461-83) occupò la Borgogna e la Provenza (1480) e con il matrimonio del figlio Carlo VIII con Anna di Bretagna preparò la riunione alla Corona francese di quest’ultimo dominio feudale (fig. 7).
Nel 1494, con la discesa nella Penisola di Carlo VIII (1483-98), iniziarono le guerre d’Italia; la pace di Cateau-Cambrésis (1559) che, pur sancendo il predominio spagnolo, assicurò al successore di Francesco I, Enrico II (1547-59) Calais, Metz, Toul e Verdun, fermò la lotta tra Asburgo e Valois.
La Riforma protestante, minando l’intima unione tra i principi cristiani e l’organizzazione ecclesiastica, mise in pericolo l’esistenza dello Stato; i calvinisti francesi (➔ ugonotti), reclutati soprattutto nella classe nobile (nel 1558-59 aderirono alla nuova Chiesa due principi del sangue, Antonio di Borbone e Luigi di Condé), si fecero anche i portavoce della reazione dell’alta nobiltà alle tendenze accentratrici della monarchia. Analogo programma ebbe l’altra frazione della nobiltà rimasta fedele al cattolicesimo, guidata dai Guisa. Pertanto, scomparsi i sovrani Francesco I (1515-47) ed Enrico II (1547-59), il problema religioso divenne lo schermo di un’aspra lotta politica, scoppiata apertamente durante la reggenza di Caterina de’ Medici e i regni di Carlo IX (1560-74) ed Enrico III (1575-89). Caterina fu costretta ad attuare una difficile politica di equilibrio, che di volta in volta la rese schiava ora dei Borboni ugonotti ora dei Guisa cattolici. Le guerre di religione, del resto, si susseguirono incessantemente e la F. stessa divenne la posta di un più ampio gioco diplomatico internazionale. L’assassinio di Enrico III (1589), risposta al precedente assassinio del duca di Guisa, ponendo il problema della successione al trono per l’estinzione del ramo regnante dei Valois-Angoulême, segnò anche la risoluzione delle guerre di religione.
Erede al trono era il capo degli ugonotti, Enrico di Borbone Navarra che, con una pronta conversione al cattolicesimo, seppe abilmente far cadere ogni ostacolo e, nel 1593, fu invocato come unico re di F. dagli Stati Generali. Riaffermata la potenza francese all’estero nella guerra nazionale contro la Spagna (1595-98), pacificata all’interno la F. e garantiti i diritti dei suoi ex correligionari con l’editto di Nantes (1598) e con la concessione di alcune piazzeforti, Enrico IV (1594-1610) diede un notevole impulso alla vita economica del Regno grazie all’opera del ministro duca di Sully. I suoi piani furono però troncati dal pugnale del fanatico cattolico F. Ravaillac. Maria de’ Medici, reggente per il piccolo Luigi XIII (1610-43) attenuò la politica antiasburgica e cercò di allineare la F. su posizioni di intransigente cattolicesimo controriformista, e anche la nobiltà si agitò e cercò di riprendere le posizioni di un tempo.
Liberatosi con un colpo di Stato dalla reggenza materna (1617), Luigi XIII chiamò al potere il cardinale Richelieu (1624). All’interno, Richelieu limitò il potere politico della nobiltà e iniziò a trasformare l’ordinamento amministrativo della F. in un sistema centralizzato, la cui spina dorsale non era più data dai governatori nobili, bensì dagli intendenti di provenienza borghese, veri funzionari dello Stato; all’estero, si propose l’espansione territoriale francese e l’indebolimento degli Asburgo (dal 1635 partecipazione diretta alla guerra dei Trent’anni). Ambedue le direttive politiche di Richelieu furono proseguite dal successore G. Mazzarino, che fino alla morte (1661) fu l’assoluto arbitro della F.; con le Paci di Vestfalia (1648) e dei Pirenei (1659) egli ottenne l’allontanamento definitivo del pericolo asburgico; con il matrimonio tra Luigi XIV e l’infanta Maria Teresa pose le premesse per le future rivendicazioni francesi sulla Spagna; all’interno, proseguì la politica antinobiliare e assolutistica di Richelieu. A tale politica assolutistica fecero da contrappunto le rivolte, soprattutto contadine (1624-45), provocate, in particolare, dal malcontento causato dalla pressione fiscale cui lo Stato, impegnato nelle guerre, ricorse per soddisfare i propri fabbisogni finanziari.
Preso in mano il potere effettivo nel 1661, Luigi XIV portò alla sua massima espressione la politica dei grandi ministri e pose l’assolutismo anche a base della politica religiosa: combatté i protestanti (revoca dell’editto di Nantes, 1685) e i giansenisti, entrò in contrasto con il papato per l’emanazione dei quattro articoli della dichiarazione gallicana (➔ gallicanesimo) del 1682. Nella prima parte del suo regno, ascoltò e attuò i consigli di ministri esperti come S. Vauban, M. Le Tellier e soprattutto J.-B. Colbert che, dopo aver risanato le finanze, avviò una nuova politica economica mercantilista, mirabile strumento per realizzare il programma del sovrano, assolutista all’interno e imperialista all’estero. Le guerre furono all’inizio fortunate: Luigi ottenne numerose città fiamminghe e la Franca Contea (1668; 1678); non diedero invece apprezzabili vantaggi né la guerra della Grande Alleanza del 1688-97, né la guerra di successione spagnola del 1702-14, da cui la F. uscì con le finanze esauste e le energie infrante.
La reggenza del duca di Orléans per il piccolo Luigi XV (1715-74), poi il noncurante sistema di governo dello stesso re aggravarono la situazione; sul piano internazionale la F. modificò la propria politica, alleandosi con l’Inghilterra e l’Olanda contro Filippo V di Spagna; all’interno, furono anni di ripresa degli ordini privilegiati e di spericolata politica finanziaria; i gesuiti furono espulsi; nel 1771 furono soppressi i parlamenti; in politica internazionale, la Corona alleandosi con l’Austria operò, nell’imminenza della guerra dei Sette anni (1756-1763), quel «rovesciamento delle alleanze» che fu fondamentale nella storia dell’Europa sette;centesca. Battuta dall’Inghilterra, la F. rafforzò, per compensare, la propria posizione europea e mediterranea e intervenne nella rivolta delle tredici colonie inglesi dell’America Settentrionale, riuscendo a prendersi la rivincita sulla nemica Inghilterra (1783).
La guerra americana tuttavia aggravò il bilancio dello Stato; l’opinione pubblica, sostenuta dagli esponenti dell’Illuminismo, reclamava una riforma radicale dell’assetto amministrativo e politico del paese. Il nuovo sovrano Luigi XVI (1774-92), debole e indeciso, non seppe contrastare la riscossa degli uomini di corte e degli ordini privilegiati, che contraddistinse i suoi primi anni di regno. Ristabiliti i parlamenti, prima appoggiata e poi rinnegata la politica di R.-J. Turgot (1774-76), che aveva abolito le corporazioni, il re finì con lo scontentare tutte le classi. Il debito pubblico apriva la porta alla Rivoluzione, che si prospettava, ai suoi primi inizi, come reazione dei privilegiati all’assolutismo monarchico e come rivoluzione nobiliare (1787-89: duplice assemblea dei notabili; richiesta di convocazione degli Stati Generali).
L’apertura degli Stati Generali (5 maggio 1789) segnò l’inizio della fase propriamente borghese della Rivoluzione: convocati allo scopo di fornire al sovrano i mezzi per colmare il deficit di bilancio, per volontà del terzo stato, cioè della borghesia, si trasformarono in Assemblea nazionale costituente e dotarono la F. di una Costituzione. La spinta rivoluzionaria passò al paese e si avviarono, accanto alla rivoluzione borghese, una rivoluzione popolare, il cui momento più saliente fu l’assalto alla Bastiglia e la sua distruzione (14 luglio), e una rivoluzione contadina. Dalla confluenza di queste tre forze vennero i due atti più solenni dell’inizio rivoluzionario: il voto (4 agosto 1789) con cui l’Assemblea costituente abolì i privilegi feudali e quello (20-26 agosto) della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, l’atto di morte dell’ancien régime. Il 5-6 ottobre il popolo parigino, rovesciatosi a Versailles, costrinse la famiglia reale e l’Assemblea stessa a trasferirsi a Parigi dove, sotto la pressione della piazza, la situazione precipitò.
La monarchia si salvò grazie alla volontà dell’alta borghesia, i cui deputati, timorosi della carica eversiva popolare, nel 1791 fecero giungere in porto una Costituzione basata sul sistema censitario e sulla monarchia costituzionale; sciolta l’Assemblea costituente, fu eletta l’Assemblea legislativa, prevista appunto dalla costituzione.
La fase successiva, che vide il prevalere deciso delle forze propriamente rivoluzionarie e il tracollo della monarchia, fu strettamente connessa alla minaccia straniera (alleanza austro-prussiana in funzione antifrancese; dichiarazione di guerra del 1792 imposta dal partito girondino a Luigi XVI). Dopo i primi rovesci (i Prussiani occuparono Longwy e Verdun, gli Austriaci Thionville), divenuta la monarchia ancora più sospetta, ne derivò, dopo le manifestazioni del 20 giugno 1792, la giornata del 10 agosto, in buona parte opera di G.J. Danton, con l’arresto del re e della sua famiglia e la proclamazione fatta dall’Assemblea della decadenza della monarchia. Seguirono le stragi di centinaia di ‘sospetti’ e la proclamazione (21 settembre) della Repubblica da parte della Convenzione, eletta a suffragio universale in sostituzione della Legislativa.
Si aprì un nuovo periodo, caratterizzato dalla liquidazione del passato (condanna a morte ed esecuzione di Luigi XVI e di Maria Antonietta nel 1793) e dall’aggravarsi del pericolo esterno. All’incubo dell’occupazione militare straniera si aggiunsero il precipitare della situazione finanziaria per le eccessive emissioni di assegnati, il duello mortale tra i girondini e i giacobini e la rivolta antirivoluzionaria scoppiata in vari luoghi.
Sgominato il partito della Gironda (2 giugno 1793), il potere si accentrò nelle mani del vero capo del partito giacobino, M. Robespierre. Fu il periodo del Terrore, dominato dal Comitato di salute pubblica e contraddistinto dallo sforzo continuo e fortunato contro la pressione militare straniera, da un esperimento di economia regolata (legge del Maximum), dall’ascesa politica delle classi meno abbienti. Ma la lotta intrapresa da Robespierre con le ali estreme del suo stesso partito (la destra dantonista e la sinistra hebertista), insieme con gli eccessi della sua dittatura, provocarono il crollo della politica giacobina e la giornata del 9 termidoro (27 luglio 1794).
Cessò così la fase radicale della Rivoluzione; la parte più ricca della borghesia riprese il sopravvento e, nel 1795, iniziò il periodo del Direttorio, oscillante senza posa tra una possibile restaurazione monarchica e una ripresa neogiacobina. Si giunse allora, grazie anche alle incessanti guerre che provocarono la trasformazione del soldato-cittadino del 1793 in soldato professionale, all’instaurazione della dittatura militare di Napoleone.
Dal successo delle imprese militari (conquiste di Belgio e Olanda, seguite dallo sfaldamento della coalizione antifrancese: Prussia, Spagna e Olanda firmarono, nel 1795, la pace; quindi campagna del 1796-97 di Bonaparte in Italia e conseguente trasformazione dell’assetto italiano), che con l’invio di sempre maggiori contributi finanziari dai paesi sottomessi salvarono il bilancio della F. rivoluzionaria, emerse il tentativo del potere militare di sostituirsi al potere civile, mentre le incertezze politiche del Direttorio scontentarono tutti.
Abbandonando l’impresa d’Egitto, Bonaparte attuò, nel 1799, il colpo di Stato che pose fine al Direttorio e iniziò quel governo personale che solo lentamente si andò precisando sotto il profilo costituzionale. Per prima cosa Napoleone riorganizzò il paese attraverso le varie Costituzioni a carattere sempre più autoritario, con il Concordato del 1801, che poneva fine alla crisi religiosa, controbilanciato però dagli articoli organici dell’anno successivo, nonché con l’intensa opera legislativa e l’emanazione di Codici che resero per sempre impossibile il ritorno all’ancien régime; lo sviluppo dell’economia francese e la regolamentazione del credito nazionale. Infine, dopo una nuova fortunata campagna in Italia, Napoleone realizzò la pace (ritiro della Russia dalla coalizione; pace di Lunéville del 1801 con l’Austria; pace di Amiens del 1802 con l’Inghilterra), conservando le conquiste rivoluzionarie del Belgio e dell’Italia (Repubblica Cisalpina, dal 1805 Regno d’Italia).
L’avvento dell’Impero coincise, però, con il ritorno alla politica militare. Fino al 1814, le continue guerre portarono le truppe napoleoniche da un estremo all’altro dell’Europa. L’acme della potenza napoleonica si ebbe nel 1809, quando l’Austria, battuta a Wagram, firmò la pace di Vienna e concesse la mano dell’arciduchessa Maria Luisa a Napoleone. Ma la reazione nazionale della Spagna, il fallimento del blocco continentale per isolare l’Inghilterra, le scissioni nella stessa famiglia Bonaparte e, soprattutto, il continuo tributo di sangue e di ricchezza, cominciarono a minare la potenza napoleonica; la disastrosa campagna di Russia (1812) e le reazioni nazionali dei popoli oppressi fecero il resto: persa la partita militare nella grande battaglia di Lipsia (1813), dopo un’estenuante campagna di F., Napoleone fu costretto a sottoscrivere a Fontainebleau la propria abdicazione, per ritirarsi all’isola d’Elba (1814).
Per volontà soprattutto dello zar Alessandro I e per l’attività del partito realista, furono restaurati i Borbone nella persona di Luigi XVIII (1814-24). Il periodo della Restaurazione, interrotto all’inizio dalla breve parentesi del ritorno di Napoleone dall’Elba e dei Cento giorni, ebbe due momenti diversi: nel primo, durato fino al 1824, il senso politico di Luigi XVIII impedì che la restaurazione monarchica e il ritorno dei nobili emigrati assumessero un carattere di totale negazione dei frutti del periodo rivoluzionario e napoleonico. Il secondo si identificò nella volontà reazionaria di Carlo X (1824-30), che fece suo il programma degli ultras, suscitando notevoli opposizioni nel paese.
Seguirono la rivoluzione del popolo di Parigi (1830) e l’avvento della monarchia di Luigi Filippo d’Orléans (1830-48), che sancì il trionfo della borghesia finanziaria e commerciale. La politica di Luigi Filippo fu essenzialmente pacifica, ma la ristretta base censitaria del suo regime politico creò una pericolosa scissione tra paese legale e paese reale, mentre lo sviluppo industriale della F. favoriva il sorgere di un forte proletariato e il diffondersi di dottrine democratiche e socialiste. Il divieto del governo di tenere il grande banchetto che l’opposizione costituzionale aveva progettato per premere in favore di una riforma elettorale fu la scintilla per lo scoppio rivoluzionario: fu proclamata la Repubblica e costituito un governo provvisorio (1848).
Opera del Partito repubblicano e degli operai di Parigi, la Seconda Repubblica nacque con un volto democratico-socialista; ma l’Assemblea costituente risultò composta in prevalenza da moderati e democratici: l’insurrezione operaia del giugno 1848 fu repressa nel sangue e la Seconda Repubblica iniziò rapidamente quel processo di distacco dalla democrazia che l’avrebbe portata dalla presidenza del principe Luigi Napoleone (1848) allo stretto connubio di questo con i cattolici a spese della Repubblica Romana del 1849, al colpo di Stato del 1851 e infine alla proclamazione del Secondo Impero (1852). Fino al 1859 il Secondo Impero fu rigorosamente autoritario e in politica estera si unì alla Gran Bretagna contro la Russia nella guerra di Crimea; ma, indebolito l’accordo con i cattolici, restii ad accettare la politica dell’imperatore in Italia, con l’intervento francese contro l’Austria nella seconda guerra d’indipendenza, l’Impero acquistò una fisionomia liberale e parlamentare.
In questo secondo periodo la politica estera di Napoleone III andò incontro a insuccessi: l’impresa del Messico si chiuse con un disastro e con la fucilazione di Massimiliano d’Asburgo (1867); l’impossibilità di permettere al Regno d’Italia la distruzione del potere temporale dei papi legò Napoleone III alla funzione di tutore dello Stato pontificio; l’abile gioco diplomatico di Bismarck impedì alla F. di arrestare l’ascesa della Prussia. Nel 1870 Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia, ma l’esercito francese fu pesantemente sconfitto a Sédan (31 agosto-1° settembre) e lo stesso Napoleone III catturato. Due giorni dopo, a Parigi, furono proclamate la Terza Repubblica e la costituzione di un governo provvisorio di difesa nazionale.
La guerra con la Prussia finì, dopo mesi di resistenza di Parigi assediata, con la pace di Francoforte (10 maggio 1871). Le gravi condizioni di pace (cessione dell’Alsazia e della Lorena, indennità di 5 miliardi) spinsero la capitale contro il governo e contro il capo provvisorio dello Stato L.-A. Thiers, che aveva sottoscritto i patti. La reazione nazionale si accompagnò alla rivoluzione sociale, e il 18 marzo 1871 una sollevazione s’impadronì di Parigi e tenne, con il nome di Comune, il potere fino al 28 maggio 1871, quando la rivoluzione fu repressa dal governo, che risiedeva a Versailles. Con ciò la Terza Repubblica assunse un carattere inequivocabilmente conservatore e il governo riuscì a consolidare il potere solo nel 1879, dopo il fallito colpo di Stato di M.-E.-P. MacMahon.
La F. consolidò la propria posizione internazionale con un’abile e fortunata politica coloniale (protettorato sulla Tunisia, 1881, occupazione dell’Indocina e di Gibuti, 1881-85), e in Europa riuscì a spezzare l’isolamento in cui Bismarck l’aveva posta tramite la Duplice Alleanza con la Russia (1893). I rapporti con la Gran Bretagna – già tesi per l’intensa attività coloniale della F. e che sembrarono sfociare in un conflitto a causa dell’incidente di Fāshōda (1898) – conobbero una distensione che portò nel 1904 all’Intesa cordiale, mentre alcuni accordi commerciali sancirono un miglioramento nei rapporti con l’Italia. Si aggravarono invece quelli con la Germania, che tentava di paralizzare l’azione francese in Marocco (sbarco di Gugliemo II a Tangeri, 1905; colpo di Agadir, 1911).
All’interno legittimisti, monarchici costituzionali e bonapartisti minarono la Terza Repubblica nei suoi primi anni di vita; fu necessario superare le crisi del boulangismo (1887-89), dello scandalo della Compagnia per il taglio dell’istmo di Panama (1892) e, soprattutto, la crisi provocata dall’ingiusta condanna del capitano A. Dreyfus, prima che la Terza Repubblica superasse il pericolo di un’involuzione dittatoriale e ponesse le premesse di uno sviluppo democratico borghese. Le forze operaie, riemerse dal lungo esilio cui le aveva condannate il fallimento della Comune, confluirono in un partito socialista legale.
Dopo la Prima guerra mondiale, che vide l’invasione tedesca di una parte del territorio nazionale, all’iniziale intransigenza nel confronti della Germania subentrò un atteggiamento più conciliante con A. Briand, che attuò una politica di riconciliazione con la Germania e di valorizzazione della Società delle Nazioni insieme al cancelliere tedesco G. Stresemann. L’acuirsi della lotta di classe e la vittoria delle sinistre nel 1924 rafforzarono l’estrema destra e i nazionalisti; qualche infiltrazione fascista divenne più forte dopo la vittoria nel 1936 del Fronte popolare, radicalizzando lo scontro nel governo (dimissioni del gabinetto di L. Blum, 1937), da cui l’incerta e debole politica estera della F. alla vigilia del nuovo conflitto.
L’inizio del conflitto colse la F. in un momento di tensione interna per la politica deflazionista del nuovo governo Daladier e per il contrasto tra quanti sostenevano la maniera forte contro l’espansione hitleriana e i pacifisti a oltranza. Dichiarata la guerra alla Germania (3 settembre 1939), con l’inizio della grande offensiva tedesca il primo ministro P. Reynaud corse ai ripari, rafforzando la propria compagine governativa con l’inclusione di uomini di prestigio come P. Pétain. Il 5 giugno 1940 ebbe inizio la battaglia che in breve sgretolò ogni resistenza francese. Reynaud fu costretto alle dimissioni e sostituito da Pétain, che giunse subito a un armistizio con la Germania e quindi con l’Italia.
La F. fu divisa in una zona amministrata e governata direttamente dagli occupanti (l’Alsazia e la Lorena inglobate nel Reich, i dipartimenti del Nord e del Nord-Est riattaccati amministrativamente alla Kommandantur di Bruxelles) e una zona cosiddetta libera sotto Pétain, che assunti tutti i poteri (luglio) aveva posto a Vichy la sede del governo collaborazionista. La Resistenza si organizzò subito all’estero (radiomessaggio lanciato da Londra dal generale C. De Grulle, 18 giugno) e dalla primavera del 1941 anche quella interna assunse consistenza organizzativa e politica. Lo sbarco alleato del novembre 1942 nell’Africa settentrionale portò all’occupazione integrale della F. da parte dei Tedeschi (il governo di Vichy continuò a esistere solo nominalmente). Di converso, la resistenza esterna e quella interna divennero un unico movimento, con il collegamento tra il Comitato francese di Liberazione Nazionale – guidato da De Gaulle ad Algeri – e il Consiglio nazionale della Resistenza presieduto da J. Moulin e poi da G. Bidault. Il 2 giugno 1944 i due organismi della Resistenza crearono ad Algeri il governo provvisorio della Repubblica. Iniziata con lo sbarco alleato in Normandia (6 giugno 1944), la liberazione fu coadiuvata dai maquis (il movimento di resistenza) e dall’insurrezione di Parigi (19-25 ag. 1944). Il ritorno della capitale alla libertà – il 25 agosto arrivò De Gaulle, che il 5 settembre formò il primo governo provvisorio metropolitano – significò la messa a fuoco dei problemi della ricostruzione, accanto alla prosecuzione della guerra contro la Germania, durata fino al 7 maggio 1945.
Ripristinata la legalità repubblicana, un’Assemblea costituente (2 giugno- 13 ottobre 1946) diede vita alla Quarta Repubblica. De Gaulle si dimise da capo del governo provvisorio nel gennaio 1946 e l’anno dopo, in polemica contro il sistema dei partiti, diede vita al movimento di destra Rassemblement du peuple français; le alleanze di governo basate sulla collaborazione dei partiti della Resistenza (socialisti, comunisti e Mouvement républicain populaire) entrarono in crisi con la decadenza dei ministri comunisti (1947). I governi successivi si orientarono verso un liberalismo conservatore; coalizioni instabili provocarono ripetute crisi di governo.
In politica estera, nel 1947 – dopo aver firmato la pace con l’Italia e favorito una soluzione federalista per la Germania – la F. aderì alla NATO. La politica coloniale della Quarta Repubblica, trincerata a difesa dell’impero, fu rovinosa: la quasi decennale guerra d’Indocina si concluse infine con la presa d’atto del premier P. Mendès-France della sconfitta francese nel 1954; in Africa settentrionale francese, nel 1956 il governo di G. Mollet dovette riconoscere infine l’indipendenza di Marocco e Tunisia; pochi mesi dopo venne il fallimento militare e politico dell’intervento armato in Egitto durante la crisi di Suez. Gli eventi connessi alla guerra d’Algeria nel 1958 favorirono il ritorno al governo di De Gaulle, cui il Parlamento affidò i pieni poteri per sei mesi con un mandato per la revisione della Costituzione.
Approvata il 28 settembre 1958 dall’80% degli elettori, la nuova Costituzione contemplava, con il conferimento di maggiori poteri al capo dello Stato, che disponeva anche dell’arma del referendum, un regime semipresidenziale. Nel 1962, De Gaulle ottenne con un referendum il rafforzamento dei poteri del presidente, eletto ora a suffragio universale. Grazie alla legge elettorale maggioritaria egli ebbe una maggioranza parlamentare di gollisti fedeli e di moderati raccolti intorno a V. Giscard d’Estaing. Con una politica di rigore di bilancio, si aprì una fase di sviluppo del paese che passò nella civiltà del benessere.
All’Algeria, dopo esitazioni e violenze, fu accordata l’indipendenza, ciò che determinò l’esodo nella madrepatria di un milione di coloniali (1962). La diplomazia fu segnata dalla grandeur; la bomba atomica nazionale, la force de frappe (1960) compensò la perdita delle colonie; l’ancoraggio alla politica atlantica fu temperato dal riconoscimento della Repubblica Popolare di Cina (1964), dalla condanna della guerra americana in Vietnam (1966) e dal distacco francese dal comando integrato della NATO (1966). In ambito europeo, costante dell’azione politica di De Gaulle fu la creazione di un asse franco-tedesco. Nel 1963 la Francia si oppose all’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea, veto ribadito nel 1966.
Nel 1965, De Gaulle fu rieletto solo dopo un ballottaggio con F.-M. Mitterrand, candidato delle sinistre. Nel maggio 1968 si intrecciarono crisi giovanile, difficoltà economiche ed esitazioni politiche: 10 milioni di scioperanti seguirono la rivolta studentesca, travolgendo il governo. De Gaulle indisse elezioni anticipate, vinte dai gollisti, e puntò su una politica di riforme, ma la sconfitta nel referendum sul decentramento amministrativo lo indusse alle dimissioni.
Le successive elezioni (1969) furono vinte da G. Pompidou, conservatore, ma deciso a modernizzare e industrializzare la F. (programma elettronucleare). V. Giscard d’Estaing, rappresentante del liberalismo modernizzatore, si aggiudicò le presidenziali del 1974 (dopo la morte di Pompidou). La presidenza giscardiana attuò in breve tempo importanti riforme (maggiore età a 18 anni, legalizzazione dell’aborto, generalizzazione della previdenza sociale ecc.), ma la crisi economica mondiale favorì un ripiegamento conservatore. Rivalità e divergenze tra giscardiani e neogollisti riguardo ai rimedi alla crisi portarono nel 1976 alla sostituzione del premier J. Chirac, che nello stesso anno rifondava il partito gollista con il Rassemblement pour la République (RPR), con R. Barre (1976-81). Il governo Barre difese la moneta e l’apparato produttivo, ma a prezzo di un’inflazione di oltre il 10% e di un milione e mezzo di disoccupati all’inizio del 1981.
A sinistra, il Partito socialista appariva consolidato quale forza politica egemone dello schieramento. La sua crescita elettorale era stata il riflesso del profondo mutamento della società francese, con la comparsa di nuovi ceti medi nei quali la sinistra non comunista aveva trovato un’ampia base elettorale, cui si erano affiancati, di fronte al tramonto storico del partito comunista, ampi settori delle classi popolari. Nel 1981, tensione sociale, rivalità nella destra e crollo comunista facilitarono l’elezione di Mitterrand alla presidenza (1981). Il governo P. Mauroy (1981-84), cui partecipò il PCF, realizzò numerose riforme (abolizione della pena di morte, nazionalizzazioni, imposta sul capitale, settimana di 39 ore, pensionamento a 60 anni, abbozzi di cogestione nelle imprese ecc.), ma la crisi economica obbligò a scegliere il rigore, il blocco dei salari, la conversione all’economia di mercato (1983). Con il governo di L. Fabius (1984-86), senza i comunisti, l’inflazione cadde al 5%, diminuì il carico fiscale, ma non la disoccupazione, e parve essere abbandonata ogni idea di riforma.
Nel 1988, Mitterand fu rieletto contro Chirac. Le legislative diedero solo una maggioranza relativa al partito socialista: le perduranti difficoltà economiche, gli alti tassi di disoccupazione, i problemi di integrazione sociale che la forte presenza di lavoratori extracomunitari portava con sé (fenomeni rimasti irrisolti durante i governi socialisti) avevano provocato una crisi di consenso verso il partito, abbandonato da ampie fasce dell’elettorato giovanile a favore del movimento ecologista, mentre rilevanti settori della tradizionale base popolare erano passati al Front national di J.-M. Le Pen, che combinava insieme motivi diversi della tradizione dell’estrema destra francese (nazionalismo, antisemismo, razzismo, xenofobia e antieuropeismo) e aveva avuto dal 1983 una consistente e crescente presenza elettorale. Le elezioni legislative del 1993 videro l’affermazione dell’alleanza di centrodestra (giscardiani e neogollisti) e il tracollo socialista; Mitterand nominò primo ministro il neogollista E. Balladur, il cui parziale fallimento della politica economica e la messa in opera di una severa legislazione sull’immigrazione incontrarono una forte opposizione sociale.
Alle elezioni presidenziali del 1995 il partito socialista candidò L. Jospin. A destra, Chirac ebbe la meglio su Balladur, ma il dato più rilevante fu il 15% dei voti ottenuto da Le Pen. Nel ballottaggio Chirac ebbe il sopravvento, divenendo il nuovo presidente della Repubblica, con A. Juppé alla guida del governo. Una politica decisamente neoliberista, sollecitata anche dall’esigenza di accordarsi ai dettami del Trattato di Maastricht, si tradusse in tagli alle spese sociali e ai salari del settore pubblico. In contrapposizione alla linea di Mitterrand, caratterizzata da convinto europeismo, avvicinamento agli Stati Uniti e rapporto preferenziale con la Germania, Chirac sembrò voler resuscitare la grandeur gollista, rivendicando per la F. un ruolo primario nel consesso mondiale; di qui anche la ripresa degli esperimenti nucleari (sospesi da Mitterrand nel 1992) nella Polinesia Francese, sospesa solo nel 1996. Nel 2000, un referendum ridusse il mandato presidenziale da 7 a 5 anni.
Nel 2002, alle elezioni presidenziali, Chirac conseguì una vittoria quasi plebiscitaria, votato nel turno di ballottaggio da un elettorato (anche di sinistra) timoroso di un eventuale successo di Le Pen, la cui clamorosa affermazione al primo turno aveva sollevato sconcerto nel paese; il centrodestra vinse anche le legislative, con la netta sconfitta della sinistra. In campo internazionale, sulla questione dell’Iraq (marzo 2003) Chirac ribadì il veto francese a ogni intervento militare, mentre all’interno l’esecutivo guidato da J.-P. Raffarin dovette affrontare la riforma del welfare. La bocciatura in sede referendaria della Costituzione europea del 2005 determinò la crisi del governo e di tutta la politica comunitaria. Raffarin rassegnò le dimissioni e gli succedette D. de Villepin, il cui governo, per primo in Europa, sospese il trattato di Schengen dopo gli attentati di matrice islamica (luglio) a Londra; sul diritto del lavoro esplose la collera delle periferie parigine per le condizioni di esclusione dei giovani maghrebini e africani, che mise anche in luce l’aspra lotta per la successione a Chirac che opponeva il premier al ministro degli Interni N. Sarkozy, dal 2004 presidente dell’Union pour un mouvement populaire, il partito di centrodestra nato due anni prima dall’unione di forze politiche di ispirazione gollista, centrista e liberale. Pochi mesi dopo manifestazioni di piazza obbligavano il governo al ritiro di fatto della legge sul contratto di primo impiego.
Nel 2007, al termine dei due mandati di Chirac, la campagna elettorale per le presidenziali fu caratterizzata da un’offerta programmatica nuova, attenta alle sfide economiche e sociali, alla politica europea e alla modernizzazione delle istituzioni, in evidente discontinuità con la politica passata caratterizzata da sostanziale immobilismo. Tolta l’ipoteca della destra estrema con il mediocre risultato di Le Pen al primo turno e caduta l’alternativa centrista di F. Bayrou, al ballottaggio Sarkozy, candidato della destra, alfiere del rilancio dei valori conservatori e dell’identità nazionale, prevalse sulla socialista S. Royal, che pure aveva promosso un programma centrista e innovativo rispetto alla tradizione del suo partito. Il governo di F. Fillon, riconfermato all’indomani delle elezioni legislative, dove la destra pur mantenendo la maggioranza assoluta perdeva un consistente numero di seggi rispetto alla precedente legislatura (andamento ribadito dalle amministrative del 2008), vedeva anche l’ingresso di alcune personalità chiave dell’opposizione. Alle primarie del partito socialista tenutesi nell'ottobre 2011 per scegliere il candidato alle elezioni presidenziali del 2012 si è imposto F. Hollande, che ha sconfitto al ballottaggio l'ex ministro del Lavoro M. Aubry con oltre il 56% dei voti. La tendenza verso un cambiamento di rotta, stante il calo dei consensi registrato da Sarkozy nel corso dei mesi successivi, è stata evidenziata dai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali tenutesi nell'aprile dello stesso anno, in cui Hollande si è imposto riscuotendo il 28,63% dei consensi contro il 27% ottenuto dal presidente uscente, mentre l'estrema destra di M. Le Pen ha ottenuto un dato record sfiorando il 18% delle preferenze. Al ballottaggio svoltosi nel mese successivo Hollande ha riscosso il 52% dei consensi, divenendo il settimo presidente della Repubblica e riportando la sinistra alla guida del Paese dopo 17 anni. Le elezioni amministrative tenutesi a giugno hanno consolidato il successo del partito socialista, che con i suoi alleati più stretti, Radicaux de gauche e Divers gauche, ha ottenuto la maggioranza assoluta (50,3%) dei voti all'Assemblea nazionale conquistando 314 seggi su 577. Nel settembre 2012, a quattro mesi dalla sua ascesa all'Eliseo, Hollande ha varato per il 2013 una finanziaria da 30 miliardi di euro, volta a ridurre il deficit del Pil dall'atttuale 4,5 al 3% elevando le aliquote per i grandi patrimoni e i redditi medio-alti, stabilendo sgravi per quelli più bassi e apportando drastici tagli alla spesa pubblica.
Nonostante queste misure, l’aggravarsi della crisi economica e l’incapacità di adottare misure pubbliche in grado di promuovere la crescita hanno prodotto nel biennio successivo una forte erosione dell’appoggio popolare alla politica del partito socialista del presidente Hollande, che al secondo turno delle amministrative tenutosi nel marzo 2014 con un astensionismo elevatissimo (38,5%) ha registrato una pesante sconfitta perdendo 151 città, mentre la destra gollista della Union pour un movement populaire di Sarkozy è divenuta il primo partito e il Front national di M. Le Pen ha confermato la sua ascesa raggiungendo il 6,84% dei suffragi e conquistando 14 municipi. A seguito dell'insuccesso elettorale, Hollande ha deciso un rimpasto di governo, nominando premier il ministro dell'Interno M. Valls in sostituzione di J.-M. Ayrault. Nell'agosto dello stesso anno, dopo una crisi di governo dovuta a divergenze interne di opinione sulle politiche economiche, da alcuni ministri giudicate troppo accondiscendenti verso la politica europea di austerità, Hollande ha incaricato Valls di formare un nuovo governo, conferendogli un secondo mandato.
L'incremento dei consensi in favore delle forze di centro-destra è stato ampiamente confermato al ballottaggio delle elezioni amministrative tenutosi nel marzo 2015: la coalizione formata dalla UMP e dal partito centrista Union des démocrates et indépendants (UDI) ha conquistato il 45% dei consensi e 66 dipartimenti, mentre i socialisti di Hollande (32,1%) sono scesi da 61 a 34, e il Front National di M. Le Pen (22,2%), sebbene impostosi in 31 cantoni, non ha ottenuto neanche un dipartimento, mentre al primo turno delle consultazioni regionali tenutesi nel dicembre successivo, a pochi giorni di distanza dai tragici attentati di Parigi, il partito dell'estrema destra francese si è attestato come primo del Paese, ricevendo il 28% dei consensi e superando la coalizione della destra conservatrice di Sarkozy (27%) e il partito socialista di Hollande (23%), ma la "diga repubblicana" stretta da gollisti e socialisti per il ballottaggio ha fatto in modo che il Front National non conquistasse nemmeno una delle sei regioni in cui era in testa dopo il primo turno, mentre sette regioni sono andate ai repubblicani e cinque ai socialisti.
Nei mesi successivi le misure impopolari che Hollande si è trovato costretto ad adottare per far fronte alla crisi economica e alla minaccia del terrorismo, contro cui il presidente ha elaborato strategie incerte e introdotto misure restrittive di alcune libertà, ne hanno eroso ulteriormente i consensi e, in vista delle presidenziali dell’aprile 2017, si sono andati ridisegnando nodali equilibri politici, con la netta sconfitta imposta a Sarzoky da Fillon, eletto candidato di Les Républicains (denominazione assunta dal 2015 dall’UMP) nella corsa all’Eliseo, la scelta di Hollande di non correre per un secondo mandato presidenziale e la decisione di Valls di candidarsi alle consultazioni e di rassegnare le dimissioni dalla carica di premier, subentrandogli B. Cazeneuve. Al primo turno delle consultazioni il candidato indipendente centrista E. Macron si è aggiudicato il 24,01% dei consensi, seguito da M. Le Pen (21,3%), con la quale si è confrontato al ballottaggio del 7 maggio, ricevendo il 65,8% dei consensi contro il 34,2% della donna politica e subentrando a Hollande nella carica presidenziale dal 14 maggio; per la prima volta nella storia della F. sono stati esclusi dal secondo turno i candidati dei partiti che hanno strutturato la vita politica del Paese: il partito socialista, rappresentato da B. Hamon (6,3% dei suffragi), e il centrodestra di Les Républicains, rappresentato da Fillon (20,01%). Il giorno successivo all'insediamento M. ha nominato premier l'esponente di centrodestra E. Philippe; tale nomina ha consentito al neopresidente di attrarre l’elettorato moderato alle elezioni legislative svoltesi nel mese di giugno, ricomponendo il paesaggio politico. Le consultazioni (che hanno registrato oltre il 50% di astensionismo) hanno sancito la netta vittoria al primo turno del partito En marche!, che ha conquistato il 32,3% dei voti, seguito dai gollisti (21,5%), dal Front National (13,2%) e dal Partito socialista (9%), garantendosi la maggioranza assoluta in Parlamento; tali risultati sono stati confermati dal ballottaggio, con En marche! (poi La République En Marche, LaREM), che si è aggiudicato 351 seggi su 577, mentre il Partito socialista è sceso da 258 parlamentari a 29, Les Républicains da 185 a 131 e il Front National ha ottenuto 8 seggi. Il progressivo decremento del consenso popolare al presidente Macron, in un Paese ripetutamente colpito dal terrorismo internazionale e dalle insurrezioni urbane organizzate dall'ottobre 2018 dal movimento dei Gilet gialli, ha trovato preciso riscontro nei risultati delle elezioni europee svoltesi nel maggio del 2019, alle quali la lista LaREM-MoDem dell'uomo politico ha ottenuto il 22,4% dei consensi, superata dal Rassemblement National di M. Le Pen (23,3%) e con una rilevante affermazione dei Verdi (13,4%), e alle elezioni regionali del giugno 2021, che non hanno visto la vittoria del partito En marche! in alcuna regione, a fronte del consolidamento della destra gollista e dei socialisti. Nel luglio 2020 il premier Philippe si è dimesso con l'intero esecutivo, subentrandogli nella carica J. Castex. Le consultazioni presidenziali tenutesi nell'aprile 2022 - in un clima geopolitico mondiale segnato dalle fortissime tensioni generate dal conflitto bellico tra Russia e Ucraina e in un contesto interno turbato dalle potenti spinte antisistema e populiste delle destre - hanno registrato l'affermazione al primo turno del presidente uscente Macron (27,6%) su M. Le Pen (23,4%), che il presidente uscente ha sconfitto al ballottaggio svoltosi nello stesso mese ricevendo il 58,5% dei consensi ed essendo riconfermato per un secondo mandato. Nel maggio 2022 Macron ha nominato premier E. Borne, già ministra del Lavoro nel suo esecutivo, incaricata di subentrare a Castex. Il primo turno delle legislative svoltosi nel giugno successivo ha evidenziato una netta polarizzazione tra la coalizione Nupes della sinistra francese guidata da Melenchon, che ha ottenuto il 25,7% dei consensi, e il blocco presidenziale di Ensemble!, che si è affermato di strettissima misura aggiudicandosi il 25,8% dei consensi; il voto ha segnato anche una certa ripresa della destra di M. Le Pen (18,7%), seguita dai Republicains (10,4%), mentre Reconquete di Zemmour è stato eliminato al primo turno (4,2%). Tali risultati sono stati confermati al ballottaggio, che ha visto Ensemble! aggiudicarsi 245 deputati, perdendo però la maggioranza assoluta, mentre Nupes ha ottenuto 131 seggi, il Rassemblement National di Le Pen 89 seggi e la formazione Republicains 61 seggi. L'erosione dei consensi accordati agli organi di governo ha trovato ampia conferma nelle violente manifestazioni di piazza verificatesi nel marzo 2023 a seguito della riforma del sistema pensionistico decisa dal presidente Macron senza assenso del Parlamento, e approvata dal Consiglio costituzionale nonostante l'ampio dissenso popolare e dei partiti di opposizione.
Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea dal 1° gennaio al 30 giugno 2022.
Il francese è la lingua nazionale della F. e lingua ufficiale del territorio della nazione e dei dipartimenti d’oltremare. Come lingua materna parlata non si estende a tutto il territorio nazionale: ne restano esclusi, oltre alla Linguadoca e alla Provenza con i dialetti provenzali, il Nizzardo e la Corsica, dove si parlano dialetti italiani, i Pirenei Orientali, in cui si parla un dialetto catalano, i Bassi Pirenei, di lingua basca, il circondario di Dunkerque, di parlata fiamminga, e l’Alsazia con dialetti prevalentemente tedeschi; in queste regioni il francese è in genere usato come seconda lingua e come lingua di cultura.
Di contro, il francese è la lingua nazionale di Haiti, del Lussemburgo e delle due repubbliche congolesi e una delle lingue nazionali del Belgio e della Svizzera; dialetti francesi sono parlati nelle isole Normanne, nel Canada e nella Luisiana, e, in Italia, nella Val d’Aosta. I principali gruppi dialettali francesi, a parte il provenzale (➔) e il franco-provenzale (➔ franco-provenzali, dialetti), sono il piccardo, il normanno, il vallone, il lorenese, il dialetto della Champagne, del Berry, dell’Orleanese.
La storia linguistica della F. inizia all’interno della latinità degli ultimi secoli dell’Impero romano; sulla base del latino parlato nella Gallia si formano, dopo gli insediamenti di stirpi germaniche, parlate locali in cui il latino si evolve a dialetto neolatino francese, sotto la spinta del sostrato gallico e quella più notevole del superstrato franco. Nel primo documento di lingua gallo-romanza (Serment de Strasbourg, 842) e nei primi testi letterari del 9°-10° sec. i vari dialetti si presentano profondamente differenziati dalle altre parlate romanze. Nell’11° sec. il dialetto dell’Île-de-France comincia a conquistare una posizione egemone, fino a divenire la sola lingua della letteratura e della cultura, grazie alla posizione centrale della regione, all’importanza economico-culturale di Parigi, e al fatto che la Corona di F. fu assunta dai duchi dell’Île-de-France con Ugo Capeto, la cui dinastia svolse un’energica azione di accentramento. Dal 15° sec. il dialetto di Parigi divenne la sola lingua letteraria e sostituì quasi del tutto il latino negli atti pubblici; diffondendosi si era via via arricchito di forme grammaticali e di vocaboli di quei dialetti che pur aveva ridotto a parlate locali e, con la rinnovata cultura classica post-carolingia, scolastica e soprattutto rinascimentale, si era inoltre irrobustito con parole, filosofiche, scientifiche, politiche, riprese dal latino letterario.
L’unità del dialetto dell’Île-de-France, ormai lingua della nazione, fu rafforzata sotto il regno di Luigi XIV; la grammatica del francese, rigorosamente fissata dall’Académie Française e dal suo Dictionnaire (1694), si accostò a un’ideale forma interna di logicità e di chiarezza. La sua diffusione in tutto il territorio della Francia fu accelerata dall’Illuminismo e dall’Encyclopédie e compiuta dalla Rivoluzione, sia per la parte di primo piano che in essa ebbero Parigi e i parigini sia per lo spirito accentratore da cui fu caratterizzata la politica interna del periodo rivoluzionario e quindi dell’età napoleonica.
Nel quadro delle lingue neolatine il francese si distingue per uno spiccato carattere innovativo, specialmente per quanto riguarda la fonetica. Per es., nello sviluppo fonetico della vocale tonica preromanza é (dal lat. classico ē e ĭ), in sillaba aperta, l’esito del francese moderno oi [u̯à] è molto più lontano dalla fase preromanza che gli esiti di tutte le altre lingue neolatine. Il passaggio da é a u̯à si è compiuto gradatamente: é nel latino preromanzo, éi già all’inizio del francese antico (8°-9° sec.), quindi, per dissimilazione, ói; la grafia oi da allora è rimasta ma ha successivamente rappresentato le pronunce ói, óe, oè sempre nel periodo antico francese, quindi nel medio francese u̯è e infine la pronuncia moderna u̯à che trionfa con la Rivoluzione. Anche nella sintassi il francese presenta, già nella fase antica, caratteri particolari e d’innovazione e così pure nella morfologia, dove però non mancano anche aspetti conservativi: per es., la conservazione della -s finale, perdutasi in italiano, e la distinzione tra caso retto e obliquo, documentata per tutto il periodo dell’antico francese.
L’inizio del Medioevo coincide con la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476), ma è solo sotto i Capetingi (10° sec.) che troviamo le prime espressioni di letteratura francese. La lingua si affranca gradualmente dal latino: la langue d’oïl (francien) si afferma nel Nord della Francia e la langue d’oc (provenzale) sopravvive a lungo nel Sud della Francia. È nel seno della Chiesa che vengono elaborati i primi testi conosciuti del 10° sec. (la Séquence de sainte Eulalie e la Vie de saint Léger) e 11° (la Vie de saint Alexis, 1040). Nell’11°-12° sec. il sistema feudale raggiunge il suo apogeo: la società feudale è rappresentata in letteratura dalle chansons de geste, poemi epici in lingua d’oïl che cantano le grandi azioni e i fatti memorabili degli eroi popolari: la più antica è la Chanson de Roland (1080 circa). Quelle che seguono possono essere raggruppate in tre cicli: carolingio o reale (fine 11° sec. - inizio 12°), cui appartiene la stessa Chanson de Roland, sulle imprese di Carlo e dei suoi paladini; narbonese o di Guglielmo d’Orange (inizio 12° sec. - inizio 13°), sulle lotte del Mezzogiorno contro i Saraceni; feudale (12°-13° sec.), sulle imprese di vassalli ribelli al re o in lotta tra di loro.
La poesia lirica è coltivata dai troubadours nei paesi di lingua d’oc (➔ provenzale) e dai trouvères nei paesi di lingua d’oïl. L’arte trovadorica infatti (➔ trovatore) è il movimento da cui ha origine la tradizione letteraria di tutta l’Europa occidentale e centrale. Con il progressivo trasformarsi della società feudale, la poesia lirica non si ispira più soltanto alla società cortese e ai suoi valori, ma passa a una grande varietà di temi e modi. Tra i trouvères, uno dei più celebri fu Thibaud de Champagne, probabilmente allievo di Gace Brulé (poeta fiorito intorno al 1180), ma vanno ricordati anche almeno Conon de Béthune, Gui de Coucy, C. Muset, Adam de la Halle, Rutebeuf, J. Bodel.
Il romanzo cortese, che in una prima fase aveva scelto a proprio oggetto la donna, l’amore e il meraviglioso, mostra i segni di un progressivo affinamento della società medievale. La «materia di Bretagna», introdotta in F. da R. Wace con il Roman de Brut (1155), diede spunto ai più famosi romanzi cortesi, quelli del ciclo di re Artù e dei suoi cavalieri della Tavola rotonda, oltre a ispirare i romanzi bretoni di Chrétien de Troyes, da Érec et Énide e Cligès a Lancelot, Yvain e Perceval, scritti fra il 1160 e il 1185. Allo stesso ciclo si riallacciano i Lais di Maria di Francia (seconda metà 12° sec.), racconti in versi, e la leggenda di Tristan et Iseut, raccontata dai trouvères Thomas e Béroul. Ancora alla fine del 12° sec. vanno ricordati il ciclo del Saint-Graal di R. de Borron e un grande numero di romanzi d’avventura e d’amore. Il Roman de Renart, composto fra il 1174 e il 1205, occupa un posto importante nella letteratura medievale: la volpe sarà protagonista di numerosi poemi posteriori (Le couronnement de Renart, 13° sec.; Renart le Nouvel, fine del 13° sec.; Renart le Contrefait, 14° sec.). Alla stessa vena appartengono i fabliaux, racconti in versi senza intenti didattici o moralistici, e i dits, a sfondo morale o comico.
Nel 13° sec. la tradizione della poesia cortese si lega all’allegoria nel più celebre poema del Medioevo, Le Roman de la Rose: iniziato da G. de Lorris, che analizza l’amore con sensibilità squisitamente cortese, esso fu terminato da J. de Meung, che diede all’opera un’impronta più didattica.
Anche il teatro si sviluppa progressivamente. I drammi liturgici in latino si trasformano a poco a poco in drammi semi-liturgici in cui il volgare si mescola al latino (Jeu des Vierges sages et des Vierges folles, 12° sec.). La rappresentazione si sposta sul sagrato della chiesa con testi interamente in francese (Jeu de saint Nicolas di J. Bodel, 12° sec.). Nel 13° sec. i ‘miracoli’ (per es., il Miracle de Théophile di Rutebeuf) continuano il teatro religioso, mentre il teatro comico acquista una certa autonomia (Jeu de la Feuillée, 1276, e Jeu de Robin et Marion, 1283, di A. de la Halle).
La vera prosa letteraria nasce nel 13° sec. soprattutto per opera dei chroniqueurs, autori delle cronache delle crociate e dei Regni latini di Oriente (G. de Villehardouin, R. de Clary, H. de Valenciennes, J. de Joinville, che aveva seguito Luigi IX nella sesta crociata). Alle difficoltà della situazione politica della F., travolta nell’estenuante guerra dei Cent’anni e turbata dai disordini delle guerre civili, corrisponde nella letteratura un periodo di profondi rivolgimenti, durante il quale uno spirito nuovo a poco a poco s’impone, sia pure in modo contraddittorio. La letteratura provenzale può dirsi conclusa e comincia a delinearsi in maniera netta quella francese.
La poesia sembra continuare nel 14° sec. la tradizione medievale con G. de Machaut e con il suo discepolo E. Deschamps, cui dobbiamo una delle più antiche poetiche francesi (Art de dictier, 1392), mentre i due maggiori poeti del 15° sec. sono F. Villon, personalità ricca e sconcertante, autore del Petit Testament (1456) e del Grand Testament (1461), e Charles duca d’Orléans, prigioniero degli Inglesi per 25 anni, autore di Ballades et chansons, nonché di 400 Rondeaux e 4 Complaintes. La prosa ha uno sviluppo nuovo e molto più ampio rispetto ai secoli precedenti, soprattutto per opera di storici, cronisti e narratori; storia e cronaca, data la situazione politica, hanno un posto preminente (J. Froissart, P. de Commynes). La produzione narrativa non è altrettanto ricca: accanto a Le roman de Jean de Paris, opera anonima di un certo valore, l’unico autore di un qualche rilievo è A. de La Salle.
Il teatro, soprattutto religioso, è particolarmente ricco nel 14° sec. e anche nel 15°, durante il quale si svolge in forme sempre più ampie il ‘mistero’ della Passione (Le Mystère de la passion, di A. Gréban). Il teatro di argomento profano si risveglia intorno alla seconda metà del 15° sec. (farces, moralités, sotties) a opera di varie compagnie o società festive della gioventù (gli Enfants sans souci, i Clercs de la Basoche). Capolavoro del genere è la farsa di Maître Pathelin (1464 circa), opera anonima di altissimo valore artistico, tra le più importanti del teatro comico francese prima di Molière.
Il Rinascimento fa tesoro della tradizione medievale ma, allo stesso tempo, anima di un nuovo spirito ogni forma d’arte. L’Italia, la sua civiltà e il suo umanesimo sono per la F. il punto di partenza di una rivoluzione culturale. Le guerre d’Italia, cominciate da Carlo VIII nel 1494, sono l’occasione per un incontro che si farà sempre più profondo soprattutto con Francesco I, affascinato dalla fioritura italiana e la cui corte è frequentata da poeti e letterati.
L’approfondimento, e la valorizzazione, del concetto di uomo è comunque il comune denominatore di un secolo attraversato da grandi cambiamenti di cui gli stessi umanisti rispecchiano i momenti di maggiore o minore ottimismo: G. Budé, F. Rabelais, che riflette nei suoi giganti Pantagruel (1532) e Gargantua (1534) una fede incrollabile nelle capacità dell’uomo, M. de Montaigne, creatore dell’essai, che esprime l’assillo del dubbio e delle grandi domande sulla natura umana (Essais, 1580). Altri scrittori in prosa sono B. des Périers, autore del Cymbalum mundi (1537), libello contro la religione cattolica, Margherita di Navarra (Heptaméron, 1558-59) e Calvino con la sua Institution de la religion chrétienne (1541; ed. lat. 1536).
Nella poesia del 16° sec. si possono distinguere varie stagioni e correnti. C. Marot è una figura di cerniera tra i diversi filoni della prima metà del secolo; la cosiddetta école lyonnaise, con i suoi rappresentanti M. Scève, P. du Guillet e L. Labé, manifesta l’esigenza di un’arte difficile e raffinata e subisce l’influenza del neoplatonismo e della tradizione petrarchesca; la scuola della Pléiade pone al centro della sua azione l’interesse per la lingua, veicolo indispensabile per una poesia nuova. Alla Pléiade appartennero J. du Bellay, autore della Deffence et illustration de la langue françoyse (1549), che può essere considerato il manifesto della scuola, J. Dorat, P. Ronsard, J.A. de Baïf, É. Jodelle, R. Belleau e P. de Thiard. La poesia della Pléiade con il suo nuovo lirismo inaugura l’era della poesia moderna, anche se il riferimento all’antichità e una certa erudizione appesantiscono gran parte della produzione.
Con l’inizio delle guerre di religione (massacro di Vassy, 1562), vengono in auge i generi letterari legati all’attualità e spesso mossi da passione di parte: discorsi politici, pamphlet, cronache e memorie. Anche i cosiddetti poeti barocchi sono segnati profondamente dalle guerre di religione: G. du Bartas, l’infiammata poesia di A. d’Aubigné, i pochi sonetti e stanze di J. de Sponde, l’opera composita Satire Ménippée (1593), libello comico-burlesco. Con P. Desportes, poeta cortigiano, inizia una fase di impoverimento della vena poetica.
Il teatro non ha lo stesso sviluppo della poesia: quello popolare del Medioevo scompare perché vengono vietate le rappresentazioni dei ‘misteri’ (1548), ma cinque anni più tardi nasce la tragedia francese con La Cléopâtre captive di Jodelle. J. Grévin e R. Garnier mettono a fuoco a poco a poco questo nuovo genere, di cui J. de La Taille formula le prime regole (1572).
Il 17° sec. si apre all’insegna di un sempre maggiore rigore in letteratura. La poesia è la prima vittima di un secolo che lotta contro un ideale di arte ‘inutile’ e in favore di rigide regole di grammatica e di metrica: F. de Malherbe (1555-1628) rappresenta con la sua Consolation à Du Périer il modello di una poesia che reagisce violentemente non solo contro la Pléiade, ma anche contro l’italianismo, il petrarchismo e la ‘liricità’ di Ronsard e du Bellay. Con lui si schierano F. Maynard e H. de Racan (1589-1670). Fra gli oppositori, poeti come M. Régnier, T. de Viau, H.-S. Cyrano de Bergerac, F. Tristan l’Hermite.
Il romanzo rispecchia la grande varietà di moduli di un genere che nel corso del secolo esce progressivamente dalla complessità barocca per trovare la sua veste moderna. Il preziosismo, il gusto dell’artificio e del travestimento fanno dell’Astrée (1607-1628) di H. d’Urfé il capostipite indiscusso di un filone pastorale, che si ispira all’atmosfera dei salotti e dei romanzi fiume.
Il teatro, che nella seconda metà del secolo conosce una delle sue più belle stagioni, ha grande fortuna anche all’inizio. Nel 1637 P. Corneille rappresenta il Cid che, oltre a riportare un enorme successo, provoca una celebre querelle poiché Corneille non ha impiegato le tre unità del teatro classico (di tempo, di luogo e di azione). Nelle opere che seguono, Corneille si impegna a osservare quelle regole, fino all’ultima, Suréna (1674). Fra i suoi contemporanei merita di essere ricordato solo J. de Rotrou.
In campo spirituale, il giansenismo, nonostante la condanna papale (1642), esercita un’influenza profonda: B. Pascal esalta il rigore morale nelle Provinciales (1656-1657) e abbozza nelle Pensées (1670) una difesa della religione cristiana.
Il cosiddetto grand siècle, l’età di Luigi XIV, va collocato, per quanto riguarda la letteratura, in un ventennio (1660-80) aureo, in cui confluiscono e si saldano tutte le componenti che erano venute delineandosi negli anni precedenti. Le Fables di J. de La Fontaine, le commedie di Molière, le tragedie di J.-B. Racine, le satire e le Epîtres di N. Boileau, i sermoni e le orazioni funebri di J.-B. Bossuet sono opere di grandissimo rilievo. Lo sfarzo e lo splendore di una società che ruota intorno alla reggia di Versailles favoriscono l’osservazione dei costumi e dei sentimenti da parte dei moralisti (Les Maximes, 1665, di F. La Rochefoucauld; i Caractères, 1688-1690, di J. de La Bruyère), dei memorialisti (il cardinale de Retz, il marchese Dangeau, ancora La Rochefoucauld) e di M.me de Sévigné (1626-1696). M.me de La Fayette crea con la Princesse de Clèves (1678) il migliore romanzo del secolo e apre la strada al romanzo di analisi e psicologico; A. Furetière (1620-1688) con il Roman bourgeois (1666) prelude al romanzo di costume e ‘borghese’, insieme con P. Scarron e Cyrano de Bergerac.
L’età dell’oro si spegne progressivamente negli ultimi anni del secolo, anche per il rapido cambiamento della situazione politica dopo la revoca dell’editto di Nantes (1685). Racine scrive le ultime poesie e le due ultime tragedie cristiane, tutte le altre figure scompaiono una dopo l’altra. Il moralismo riprende il sopravvento: i comici italiani, sono espulsi dalla Francia (1697), spiriti liberi e anticonformisti sono obbligati all’esilio (Saint-Évremond, P. Bayle). In questo clima scoppia la querelle des anciens et des modernes (➔ antichi e moderni), che pone fine all’‘età classica’ e prepara il secolo dei lumi.
L’età che va dalla morte di Luigi XIV (1715) alla Rivoluzione (1789) è contrassegnata dal diffondersi del culto della ragione e dalla nascita di una letteratura sociale, interessata ai problemi istituzionali, politici e scientifici. Dall’influenza e dal contatto della cultura inglese nelle sue espressioni letterarie, filosofiche e politiche, oltre che dall’esasperazione del razionalismo, si sprigionano i germi del preromanticismo, che fermentano per tutto il secolo.
Le idee moderne vengono discusse nei salotti di M.me de Lambert, M.me de Tencin, M.me du Deffand, M.lle de Lespinasse, M.me Geoffrin. C.-L-de Montesquieu è il più grande artigiano dello spirito moderno, lucido e attento osservatore del suo tempo (Lettres persanes, 1721; De l’esprit des lois, 1748). Voltaire spazia in ogni campo e si identifica con il suo tempo. Nella seconda metà del secolo, l’Encyclopédie contribuisce a diffondere le idee filosofiche. G.-L.-L. Buffon con la sua Histoire naturelle (1748-79) conferisce dignità letteraria alle scienze naturali. L’opera di J.J. Rousseau è alla base del Romanticismo europeo con la sua esaltazione dell’Io. Il movimento delle idee, le polemiche fra Voltaire e Rousseau e tanti altri antagonisti che si combattono sul piano della dialettica più stringente sono documentati da numerosi libri di memorie ed epistolari e influiscono sull’evoluzione di tutti i generi letterari; da ricordare i Mémoires di L. de Saint-Simon.
La poesia lirica, proprio per i presupposti dell’Illuminismo, è quasi assente. A. Chénier si rivela subito prima della Rivoluzione con una poesia che sarà molto apprezzata dai romantici per il tentativo di conciliare la concezione classica della bellezza e l’entusiasmo per le idee nuove.
Il romanzo conosce invece una delle stagioni più ricche a partire da Gil Blas de Santillane (1715-35) di A.-R. Lesage e Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut (1731) di A.F. Prévost. I romanzi di fine secolo sono influenzati dalla Nouvelle Héloïse (1761) di Rousseau: da Paul et Virginie (1788) di B. de Saint-Pierre ai romanzi di R. de la Bretonne, alle Liaisons dangereuses (1782) di C. de Laclos. J. Cazotte inaugura in F. con Le diable amoureux (1772) il genere del racconto fantastico.
Ricca è la produzione teatrale ma poche sono le opere importanti e durature. Scarso successo hanno le pièces di Voltaire, D. de Belloy e F.-T. Baculard d’Arnaud. P.-A.-C. de Beaumarchais, autore dei celebri Le barbier de Séville (1775) e Le mariage de Figaro (1784), resta fedele alla lezione di Molière; P.-C. de Marivaux scrive soprattutto commedie di analisi (Le jeu de l’amour e du hasard, 1730). Il tentativo di Diderot di creare un dramma borghese (Le fils naturel, 1757; Le père de famille, 1758) pur rinnovando la concezione del teatro, ispira una quantità di drammi lacrimevoli tra cui possiamo salvare solo Le philosophe sans le savoir (1765) di M.-J. Sedaine; più spessore hanno gli interventi di Diderot di critica e teoria teatrale (Le paradoxe sur le comédien, postumo, 1830). P.-C. Nivelle de La Chaussée tenta l’incontro di sentimentalismo e umorismo nelle sue comédies larmoyantes.
Negli ultimi anni del secolo la prosa si arricchisce degli scritti di spiriti rivoluzionari (G.-H. Mirabeau, G.-J. Danton, P.-V. Vergniaud, L.-H.-L. Saint-Just, M. Robespierre) e, tra gli avversari della Rivoluzione, degli scritti polemici di A. Rivarol e delle Maximes di S.-R.-N. Chamfort. Episodio singolare quello del marchese D.A.F. de Sade, che pubblica nel clima della Rivoluzione le sue opere destinate alla persecuzione e alla tarda comprensione dei posteri.
La letteratura del Consolato e dell’Impero non presenta esiti di particolare valore. Un sensibile allargamento degli orizzonti, che avrà il suo pieno sviluppo nel Romanticismo, è annunciato da scrittori come J. de Maistre, E.-P. de Sénancour, B. Constant, M.me de Staël, continuatrice dell’opera di Montesquieu e di Rousseau, anche se proiettata con le sue opere di critica e con i romanzi verso il Romanticismo, e F.-A.-R. Chateaubriand, che esalta la bellezza della fede cristiana e nel racconto René (1802) fornisce la prima rappresentazione del mal du siècle, sorta di malinconia esistenziale diffusa tra i giovani soprattutto per l’incertezza che domina gli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione. Il Romanticismo, come scuola, si impone in F. più tardi che altrove e il suo destino si gioca a teatro, avendo in V. Hugo il suo punto di riferimento (Préface de Cromwell, 1827); la messa in scena della Hernani (1830) data l’avvenuta rivoluzione romantica.
La poesia rinasce dalle sue ceneri poiché l’immaginazione è stata finalmente liberata. Tra i poeti si distinguono soprattutto A. de Lamartine, V. Hugo, A. De Vigny, poeta finissimo che si avvale del ‘simbolo’ ante litteram, e A. de Musset, sostenitore a oltranza di una poesia eccessivamente effusiva e sentimentale. Vanno ricordati anche T. Gautier, iniziatore della scuola dell’art pour l’art, e G. de Nerval, per il suo ricorrere al sogno nell’accezione che poi sarà di C. Baudelaire e di S. Mallarmé.
La produzione di teatro è ricca, ma mediocre; molti poeti scrivono anche per la scena. Importante è il dibattito sulle ‘regole’; Stendhal (Racine et Shakespeare, 1823-25) sostiene l’uso della prosa per la «tragédie nationale», l’abbandono delle tre unità e l’adozione di argomenti e temi di storia nazionale (cosa che farà P. Mérimée nel suo Théâtre de Clara Gazul, 1835); Hugo, nella Préface ricordata, ribadisce il rifiuto delle tre unità in favore di una «unité d’ensemble», ma conserva il verso ed esige realismo nel nuovo dramma, contrasto di sublime e grottesco. Sarà quest’ultimo l’indirizzo prevalente nel teatro del periodo (A. Dumas).
Dopo alcuni esempi di romanzo storico, si afferma il romanzo di costume moderno di H. de Balzac, che con la Comédie humaine orienta tutta la letteratura del secolo. I romanzi di Stendhal avranno il meritato successo solo dopo molti anni dalla morte dell’autore, mentre declina la fama di G. Sand. Presso il pubblico godetterro grande favore Dumas ed E. Sue. C.-E. Nodier, G. de Nerval, P. Mérimée e T. Gautier eccellono nell’arte della novella e del racconto fantastico, sulla scia delle traduzioni di E.T.A. Hoffmann. I grandi poeti hanno dato anche numerosi romanzi, tra cui Les misérables (1862) di V. Hugo e Le Capitaine Fracasse (1863) di Gautier.
Il Romanticismo comporta un fervido rinnovamento di tutte le idee, presupposto del cambiamento degli studi storici, sociali e religiosi: numerosi gli scrittori di politica e di religione (F.-R. de La Mennais, F.-P.-G. Guizot, C.-A.-H. de Tocqueville), i riformatori socialisti (C.-H. de Saint-Simon, F.-M.-C. Fourier), gli storici (M.-J.-L. Thiers, J.-N.-A. Thierry, J. Michelet, E. Quinet). La critica si rinnova completamente: diviene critica storica con A.-F. Villemain ed essenzialmente psicologica con C.-A. Sainte-Beuve.
La sconfitta politica della rivoluzione del 1848 provoca una dura reazione anche contro gli aspetti più sentimentalistici del Romanticismo. Gautier nella prefazione a Mademoiselle de Maupin (1835) aveva già rifiutato il principio di un’arte impegnata e utile: la poesia impersonale e parnassiana trionfa dopo il 1848 non solo negli Émaux et camées (1852) dello stesso Gautier, ma soprattutto nella poesia di C. Leconte de Lisle e di T. de Banville, Sully-Prudhomme, F. Coppée e J.-M. de Hérédia. J.-E. Renan e H.-A. Taine sono i maestri della nuova generazione.
C. Baudelaire con le sue Fleurs du mal (1857), in una perfetta equidistanza dal parnassianesimo e dal Romanticismo, apre la strada alla vera poesia moderna e, dopo di lui, P. Verlaine e A. Rimbaud continuano la sua opera nella ricerca di una poesia universale.
Al positivismo materialista e razionalistico reagiscono in senso spiritualista le nuove correnti filosofiche (H. Bergson) e il risveglio cattolico; in campo letterario sopraggiungono il simbolismo e il decadentismo. Tra i decadenti vanno ricordati S. Mallarmé, P.-A.-M. Villiers de l’Isle-Adam e J. Laforgue, il più originale nel tentativo di esorcizzare, attraverso il gioco e l’ironia, la lucida coscienza della miseria umana. Il simbolismo ha caratteristiche più definite, come testimonia il manifesto pubblicato da J. Moréas sul Figaro (1886). Fra i simbolisti vanno ricordati almeno A. Samain, H. de Régnier, F. Jammes, P. Fort.
Il romanzo realista si afferma significativamente nello stesso anno delle Fleurs du mal con Madame Bovary di G. Flaubert. I fratelli E. e J. de Goncourt preparano la strada al naturalismo di É. Zola, che con il ciclo Les Rougon-Macquart (1871-93) racconta in modo crudo la società del Secondo Impero. Les soirées de Medan (1880), raccolta di novelle, diviene una sorta di manifesto della scuola, con il contributo di G. de Maupassant, P. Alexis, L. Hennique, H. Céard e J.-K. Huysmans; nel 1887 alcuni di loro firmano il ‘manifesto dei cinque’, che codifica la crisi del romanzo naturalista. Il romanzo tradizionale tiene comunque aperta una sua strada con A. Daudet, E. Fromentin, P. Bourget, P. Loti, A. France. J. Renard rimane un naturalista intimista e attento agli aspetti semplici della realtà.
Il teatro registra una chiara reazione contro i grandi drammi romantici. Le commedie di É. Augier e A. Dumas figlio dominano sulla scena per tutto il Secondo Impero, con la loro semplicità e naturalezza; meno impegnati i drammi, il vaudeville e le commedie di E.-M. Labiche, H. Meilhac, L. Halévy, V. Sardou. Negli ultimi anni del secolo varie altre tendenze si mettono in evidenza: i drammi di H. Becque, il Théâtre libre di A. Antoine, il Théâtre d’art di P. Fort, il Théâtre d’idées di F. de Curel, fino a Ubu Roi (1896) di A. Jarry, opera surrealista ante litteram e al Cyrano de Bergerac (1897) di E. Rostand, che riporta a un certo successo il dramma in versi.
Nel primo Novecento, se la poesia non rinnega l’esperienza di Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé, le strade cominciano comunque a diversificarsi, dall’école romane di Moréas, alla poesia ingenua e ritmica di P. Fort, alla semplicità cristiana di F. Jammes, al gruppo di poeti dell’Abbaye (C. Vildrac e G. Duhamel), all’unanimismo di J. Romains, al naturismo, all’umanismo di F. Gregh, all’école fantaisiste di P.-J. Toulet. P. Valéry, dopo la rinuncia giovanile, torna alla poesia approfondendo l’esperienza mallarmeana; G. Apollinaire assume in sé le esperienze poetiche di Baudelaire e dei simbolisti con totale anticonformismo: a lui si guarda come all’iniziatore delle nuove tendenze poetiche, dal movimento dada di rivolta totale, fondato nel 1916 da T. Tzara, a quello più duraturo del surrealismo, che ha in A. Breton il suo capo e l’autore del suo manifesto (1924). Al surrealismo si riallacciano, anche se in posizione critica, i poeti che riscoprono nella superiorità dello spirito e del sogno la radice della liricità, che è libertà, una rivolta spesso associata a una scelta politica di rottura: da P. Éluard, L. Aragon, P. Soupault, al gruppo di A. Artaud, B. Péret, R. Desnos, a R. Char, fino ai ‘dissidenti’ J. Prévert e R. Queneau. La poesia della prima metà del secolo non può essere comunque catalogata tutta come un proseguimento del surrealismo: a parte vanno ricordati almeno P. Claudel, ammiratore di Rimbaud, P. Reverdy, J. Supervielle, L.-P. Fargue, bizzarro e divertito evocatore della Parigi notturna, O.V. de L. Milosz, J. Cocteau, M. Noël, F. Ponge, J. Audiberti, H. Michaux.
Alla crisi del romanzo nella sua forma tradizionale, apertasi nel seno dell’esperienza naturalista, danno innovativa risposta l’opera di A. Gide (a niziare dai Faux monnayeurs, 1925) e soprattutto quella di M. Proust attraverso i 7 volumi di À la recherche du temps perdu (1913-27). Il romanzo fiume (affreschi della società e dei costumi del tempo filtrati attraverso la vita di grandi famiglie) rivive nell’opera di R. Rolland, R. Martin du Gard, Duhamel, Romains. L’indagine psicologica unita a una forma ‘classica’ caratterizza i brevi romanzi di R. Radiguet e P. Morand. L’inquietudine religiosa segna profondamente l’opera di cattolici come F. Mauriac e G. Bernanos; A. Malraux, A. de Saint-Exupéry sono i cantori della grandezza dell’uomo, esistenzialisti ante litteram. Il romanzo della critica sociale e del costume si afferma con H. Barbusse, L. Aragon e L.-F. Céline, che con Mort a crédit (1936) dà inizio a un’innovativa ricerca di soluzioni linguistiche.
Una svolta si ha intorno agli anni della Seconda guerra mondiale con il romanzo dell’‘impegno’, teorizzato da J.-P. Sartre, che è, con S. de Beauvoir e A. Camus, anche se con colorazioni diverse, uno dei protagonisti dell’esistenzialismo. In questi anni la produzione è ricca anche se non eccellente, in alcuni casi inclina verso una visione poetica e quasi surrealista della vita quotidiana (Queneau, R. Vailland, J. Gracq) o si fa interprete della rivolta giovanile contro il conformismo (F. Sagan) o rifugge dai moduli sartriani dell’impegno con il ricorso alla fantasia (A. Pieyre de Mandiargues, R. Minier) o al realismo (Vailland).
Il nouveau roman segna una svolta nelle tecniche romanzesche: le funzioni del romanzo sono rivoluzionate per fare posto all’immaginazione del lettore che non può, come nel romanzo tradizionale, rimanere passivo (ne sono pionieri N. Sarraute, A. Robbe-Grillet, M. Butor, M. Duras, C. Simon).
La Prima guerra mondiale non rompe la grande tradizione del teatro boulevardier: nel vaudeville eccelle G. Feydeau. La tradizione continua, con alcune innovazioni (psicologia e satira), nell’opera di M. Pagnol, M. Achard, E. Bourdet, A. Savoir, S. Guitry, fino a M. Aymé e F. Marceau. J. Coupeau, fondatore del Théâtre du Vieux Colombier (1913), è, insieme a C. Dullin, il maestro di una generazione di registi, scenografi e attori, da L. Jouvet a J.-L. Barrault, J. Vilar. Il teatro si fa specchio di una generale inquietudine, legata anche alle vicende politiche e di costume che chiedono il rinnovamento di una società portatrice di valori superati: da H.-R. Lenormand, C. Vildrac a A. Salacrou, Cocteau, J. Giraudoux, Mauriac, al teatro della crudeltà di Artaud, all’opera di H. de Montherlant, fino al teatro engagé di Sartre, Camus, J. Anouilh, S. Beckett, E. Ionesco, J. Genet, infaticabile difensore dei ‘paria’ della società.
La letteratura dei primi decenni risente dei grandi avvenimenti politici (dai problemi della ricostruzione alla nascita della Quinta Repubblica, dalla rivoluzione studentesca del 1968 alla fine degli equilibri internazionali usciti dalla Seconda guerra mondiale) e soprattutto di un enorme bagaglio di nozioni, conoscenze ed esperienze diverse. A partire dagli ultimi decenni del Novecento, contraddistinti dalla dissoluzione della nozione di avanguardia e dalla fine delle utopie e delle speranze rivoluzionarie, sullo sfondo della modernità negativa di M. Blanchot (L’écriture du désastre, 1980; Les intellectuels en question, 1996) e, più in generale, del postmodernismo, la letteratura si riappropria di una sua forma di autonomia che non esclude il ritorno alla tradizione.
La poesia non vede nascere vere e proprie scuole, i modi e i mezzi del discorso poetico sono i più vari e i più fecondi, il dibattito teorico è intenso sulle numerose riviste dedicate al genere (Cahiers du Sud, Confluences et positions, Poésie ecc.). Una posizione di spicco spetta a Y. Bonnefoy, cantore del ‘deserto’ della condizione umana, e anche autore di importanti saggi sulla poesia. In un panorama tanto variegato dobbiamo almeno citare A. Bousquet, J. Grosjean, P. de la Tour du Pin, P. Emmanuel, J.-C. Renard, M. Alyn, C.-M. Cluny, J. Réda, J.-M. Franck, che rivelano tutti una continuità con la poesia precedente, con una prevalenza assoluta del lirismo. La crisi del linguaggio, che con il nouveau roman ha trovato un’espressione acuta e drammatica, opera in una parte della poesia una sorta di rottura, sulla scia dell’esperienza di F. Ponge: si collocano in questo ambito soprattutto J. Roubaud, poeta matematico, discepolo dell’OULIPO (Ouvroir de littérature potentielle), che applica alla poesia il principio combinatorio, e il gruppo di Tel quel. Anche la canzone popolare acquista dignità di linguaggio letterario con celebri chansonniers come C. Trenet e G. Brassens. Negli anni 1970, in reazione al rischio di derealizzazione del linguaggio poetico, i poeti si orientano verso una problematizzazione del senso e del linguaggio: in questo contesto sono da segnalare i filosofi-poeti, che restituiscono alla poesia la sua funzione eminentemente metafisica (M. Déguy, J. Garelli). Dagli anni 1980 la poesia è caratterizzata dalla riscoperta del concreto e del figurativo e da un rinnovato lirismo: si segnala l’opera di E. Jabès, la cui meditazione sull’atto poetico è inseparabile da quella sulla condizione ebraica, mentre continua a occupare un posto centrale Y. Bonnefoy. Nel panorama assai ricco spiccano i nomi di A. Du Bouchet e J. Dupin, discepoli di R. Char; A. Chedid; J.-C. Renard e P. Oster, d’ispirazione cristiana; C. Dobzynski, autore di un’antologia di poesia yiddish; M. Deguy, traduttore di F. Hölderlin, M. Heidegger, P. Celan e dei poeti americani, oltre che autore di un’opera poetica intessuta di interessi filosofici, ricca di neologismi; C. Esteban; J. Sacré, influenzato dalle scoperte dello strutturalismo; C. Prigent, animatore della rivista T.X.T. (1969-93), che persegue il polilinguismo rabelaisiano e la violenza contro il linguaggio. Emerge M. Houellebecq, divenuto poi noto soprattutto come romanziere. La tendenza verso un’apertura ‘europea’, che si manifesta in un’intensa attività di traduzione, accomuna poeti appartenenti alla generazione degli anni 1950: Y. Bichet, F. Boddaert, M. Orcel, traduttore dei classici italiani.
Il romanzo è comunque il genere letterario più prolifico. Oltre al gruppo dei collaboratori dell’OULIPO, vero e proprio laboratorio letterario in cui si tenta la sintesi di varie esperienze, surrealista, ludica e iperrealista (G. Perec, che a fine secolo conoscerà uno straordinario successo postumo) e al gruppo di Tel quel, il filone più importante è senza dubbio l’autobiografia, che nella produzione di M. Leiris, maestro incontestato del genere, assume le caratteristiche di un’interminabile autoanalisi, e conta numerosi cultori (tra cui R. Aron, Q.C. Roy, R. Sabatier, F.J. Green, H. Bazin; J. Cayrol, H. Thomas, H. Lucot). Soprattutto, M. Yourcenar, nella cui opera il ricordo e la memoria sono soggetto di romanzi, saggi, racconti e vera e propria autobiografia. La letteratura si riappropria di una sua forma di autonomia che non esclude il ritorno alla tradizione.
Tra i sintomi di un mutamento nella direzione di un ritorno alla tradizione, il passaggio di P. Sollers dallo sperimentalismo al romanzo lineare, al romanzo-saggio; lo straordinario successo di M. Duras a partire da L’amant (1984); ma anche il prolungarsi del meraviglioso surrealista (A. Pieyre de Mandiargues), il neoclassicismo dei cosiddetti hussards (J. Laurent, M. Déon, A. Blondin, F. Nourissier), caratterizzati dal rifiuto dell’engagement, dall’ammirazione per Stendhal e dalla riabilitazione di L.-F. Céline, P. Morand, P. Drieu La Rochelle; e infine il tradizionalismo di J. d’Ormesson. L’assegnazione del premio Nobel per la letteratura (1985) a C. Simon attesta, peraltro, la permanente vitalità del nouveau roman, rinnovato, malgrado la presa di distanza di N. Sarraute e di A. Robbe-Grillet, da R. Pinget, C. Ollier, P. Michon e J.-R. Camus. Un posto di primo piano riveste la produzione di J.-M.-G. Le Clézio, volta alla ricerca di condizioni culturali ‘incondizionate’, primitive, e di M. Tournier, instancabile rifacitore di miti, nonché la complessa opera di P. Modiano, concentrata sul tema della ricerca di un’identità sospesa tra oblio e memoria.
La specificità della scrittura femminile è riaffermata, oltre che da J. Kristeva e M. Cardinal, da un folto numero di scrittrici: L. Irigaray, che si muove sul piano di una critica radicale della ricezione del femminile nella cultura occidentale; H. Cixous, impegnata nelle lotte femministe; D. Sallenave e A. Ernaux, che estremizzano il tema della diversità dalla parte delle donne. Tematiche di una diversità spinta fino all’estremo, dall’omosessualità alla malattia mortale, si trovano in T. Duvert, nel già citato Camus e soprattutto in H. Guibert. In aggiunta a scrittori variamente caratterizzati come il proustiano F.-O. Rousseau e il baroccheggiante P. Cixous, è da menzionare, per il successo commerciale, soprattutto D. Pennac.
Il romanzo poliziesco ha risentito dell’imponente opera di G. Simenon; di grande popolarità godono F. Dard e J. Vautrin (pseudonimo di Jean Herman); maestro del noir è J. Echenoz, che sperimenta linguaggi e strutture narrative con effetti sottilmente parodistici; la fantascienza ha trovato interpreti di qualità in S. Brussolo e in A. Volodine.
Tra gli scrittori più innovativi e di raffinata erudizione, M. Chaillou, F. Delay, autrice con J. Roubaud di una trasposizione della leggenda del Graal e di sofisticati romanzi, P. Quignard, teso a superare le frontiere dei generi in opere dense di riflessione filosofica.
Il genere si frammenta in una moltitudine di esperienze che, nella ricerca assoluta del nuovo, possono definirsi ‘sperimentali’: dopo Genet, F. Arrabal mette in scena un teatro della violenza pura con una drammaturgia dello scandalo. Sopravvive comunque una vena più poetica nell’opera di J. Tardieu, G. Schehadé, J. Vauthier, R. de Obaldia, R. Dubillard, H. Pichette, R. Weingarten, F. Billetdoux. Al rinnovamento del teatro contribuiscono le esperienze di registi come A. Vitez, R. Planchon (discepolo di J. Vilar e B. Brecht), P. Chéreau (segnato dall’antropologia) e A. Mnouchkine (Théâtre du soleil). Alla produzione di autori come Duras, Sarraute, Dubillard, A. Gatti, Billetdoux, si affianca l’opera di M. Vinaver, teso alla ricerca di nuovi mezzi espressivi attraverso la moltiplicazione dei personaggi e la simultaneità dei dialoghi, e di E. Arrabal, il cui teatro panico rivela l’influsso di Artaud. Tra gli altri drammaturghi più affermati: L. Bellon, di tendenze intimiste; L. Calaferte; J.-C. Grumberg e la già citata Cixous, nei quali prevale l’attenzione alla realtà sociale; J.-C. Bristille; l’argentino Copi; B.-M. Koltès, molto rappresentato anche in Italia; V. Novarina, passato da una drammaturgia classica a un ardito sperimentalismo linguistico.
In Europa, la letteratura di espressione francese ha avuto un importante sviluppo in Belgio (➔) e in Svizzera (➔). Di carattere minore e alquanto convenzionale è invece la produzione francofona della Val d’Aosta che si è espressa nell’Ottocento in una poesia di stampo lamartiniano o parnassiano e nei Romans nationaux, d’ispirazione repubblicana e antimilitarista; nel 20° sec., pur nel crescente predominio della cultura italiana, si sono imposti il poeta L. M. Manzetti, epigono del simbolismo, e P. Lexert, scrittore alieno dalle tendenze regionalistiche e clericali della cultura valdostana.
Un’affermazione tardiva ha avuto anche la letteratura di lingua francese del Lussemburgo, i cui autori più significativi, dopo il romanziere F. Thyes (19° sec.), furono i poeti M. Noppeney e P. Palgen, i romanzieri N. Ries, fondatore dei Cahiers luxembourgeois, e W.E. Gilson; successivamente, il poeta E. Dune e i romanzieri J. Leydenbach e A. Borschette. In America, oltre a un movimento letterario in Luisiana, oggi estinto, scrittori di lingua francese sono presenti in Canada (➔), e nei Caribi dove, prima di essere contrastata dalla riabilitazione del creolo, la letteratura francofona si è fatta portavoce dell’identità culturale caribica (➔ Haiti). Nelle Piccole Antille e nella Guiana, il legame con i modelli culturali francesi è sopravvissuto più a lungo: ne sono prova il romanzo Batouala (1920) di R. Maran; la rivista Lucioles di G. Gratiant; il manifesto d’ispirazione surrealista e marxista Légitime défense, diffuso a Parigi (1932) da É. Léro, R. Ménil, J. Monnerot; e, soprattutto, il movimento della negritudine (➔) promosso intorno alla rivista L’Étudiant noir (1934-40) dal guianese L. Damas, dal martinicano A. Césaire e dal senegalese L.S. Senghor, che lo diffusero nella rivista Présence Africaine (1947).
Strettamente ancorate ai modelli culturali della Francia restano invece, nell’Oceano Indiano, l’Isola della Riunione, che diede i natali ai poeti A. Bertin (18° sec.), E. de Parny (18°-19° sec.), C.-M.-R. Leconte de Lisle (19° sec.), L. Dierx (19°-20° sec.) e dove si è poi affermata anche una ricca produzione narrativa, tra i cui esponenti vanno ricordati almeno J.-F. Sam-Long e le scrittrici D. Roméis e J. Brézé. Nell’isola Maurizio, la ricerca di una letteratura nazionale, contrastata da L. Masson con la scelta dell’esilio, si affermò con i romanzieri R.E. Hart e M. Cabon, e con i poeti M. de Chazal, cantore delle origini mitiche dell’isola, e É. Maunick, che rivendica, coniugandoli con la negritudine, i valori del meticciato.
In Asia, esiste una produzione letteraria in lingua francese nell’area dell’ex Indocina francese e in Medio Oriente, in Libano (➔ ). Da rilevare anche l’incidenza della letteratura francese in Egitto: nel Novecento, prima dell’avvento di G. Nasser, il panorama letterario era dominato dal romanzo sociale e dal surrealismo che, introdotto da G. Hénein nella rivista La part du sable, influenzò E. Jabès e J. Mansour (per altri scrittori nordafricani di lingua francese ➔ al-Maghrib).
Al volgere del 5° sec. (per le manifestazioni artistiche precedenti ➔ Gallia) si riscontra una continuità dei metodi costruttivi del Basso Impero e tipologie comuni al mondo paleocristiano mediterraneo (Fréjus, battistero; Marsiglia, mausoleo di s. Vitto;re; Vienne, Saint-Pierre). Grazie al diffondersi degli ordini monastici e al consolidarsi della dinastia merovingia, rivive dal 7° sec. l’interesse per la scultura e l’epigrafia funeraria (Jouarre, cripte dell’abbazia; Poitiers, Ipogeo delle Dune) oltre che per l’architettura (Poitiers, battistero, 7° sec.; Grenoble, cripta-oratorio di Saint-Lauren, fine 8° sec.). La rinascenza carolingia (➔ carolingi) trova piena espressione nel monastero di Centula (Saint-Riquier), a Germigny-des-Prés, Auxerre e nei fiorenti scriptoria di Reims, Corbie, Tours ecc.
L’arte e l’architettura del 10°-11° sec. traggono vitalità dall’affermarsi dell’ordine cluniacense. Cluny (➔) è centro di elaborazione dell’arte romanica che si diffonde soprattutto nella valle del Rodano; le chiese della Borgogna e delle province meridionali vengono coperte da volte a botte, ogivali (Autun) o a crociera (Vézelay). Sulle vie del pellegrinaggio verso Santiago de Compostela sorgono grandiosi santuari con absidi a raggiera intorno al coro (Conques, Tolosa). Sotto gli abati cluniacensi anche la scultura fiorisce nella Linguadoca (Saint-Sernin, 1080; Moissac, Cahors ecc.) e in Borgogna (Autun, Vézelay, Cluny); a Saint-Denis, prima del 1114, nasce il portale, noto solo da disegni, con figure addossate alle colonne, tipologia che prevale poi nell’architettura gotica.
Lo stile gotico sorge a metà del 12° sec., con centro d’irradiazione nell’Île-de-France: le cattedrali a Saint-Denis, Noyon, intorno al 1150, e poi a Senlis, Châlons, Laon; e ancora Notre-Dame di Parigi, iniziata nel 1163, e Saint-Rémi a Reims ecc. Con il 13° sec. compare un altro gruppo di monumenti gotici, sull’esempio della cattedrale di Chartres, ricostruita dopo l’incendio del 1194. L’adozione del contrafforte seconda lo sviluppo ascensionale dell’edificio e consente l’ampiezza dei rosoni e delle finestre; dopo quelle di Reims (iniziata nel 1210) e di Amiens (1220), la costruzione di grandi cattedrali si estende a tutto il paese: Rouen, Lisieux, in Normandia; Le Mans, a occidente; Clermont-Ferrand, Limoges, Narbona (opere di Jean Deschamps); Quimper, in Bretagna; Tours e Baiona, al Sud; Strasburgo, Metz e Toul nelle regioni nord-orientali. Successivamente sorgono la Sainte-Chapelle (1243-48), le facciate laterali di Notre-Dame di Parigi, la collegiata di Saint-Quintin (forse di Villard de Honnecourt, 1257), le cattedrali di Bourges, di Troyes, e infine il coro di Notre-Dame di Beauvais (1247-72). Massimo esempio tra i portali gotici è quello «dei Re» di Chartres (1150-60) che influenza, tra i molti altri, il portale di S. Anna di Notre-Dame di Parigi, quelli di Saint-Trophime ad Arles e di Saint-Gilles. Un importante periodo di attività della scultura coincide con la ricostruzione della cattedrale di Chartres dopo l’incendio del 1194. Nel 13° sec. sono creati i complessi delle sculture di Amiens e di Reims. Oltre alla scultura inserita nell’elemento architettonico rinasce la statuaria: statua di S. Fede (Conques), busti di S. Nettario (Saint-Nectaire, Puy-de-Dôme), di S. Cesario (Saint-Étienne-de-Maurs) del 13° secolo.
La pittura offre un panorama caratterizzato da varie scuole: Saint-Bertin, sotto l’abate Odberto, esperimenta nei suoi codici audaci innovazioni nel disegno e nelle iniziali con la ripresa di motivi fantastici e barbarici precarolingi; Cluny, invece, presenta anche miniature toccate dal classicismo bizantineggiante; le scuole meridionali risentono dell’influenza catalana. I cistercensi richiedono la massima austerità nei loro codici; ma le miniature dei manoscritti eseguiti per lo stesso Stefano di Cîteaux sono audaci nella loro viva percezione della natura e nella loro esaltata stilizzazione. Tra gli affreschi, quasi tutti distrutti, sono notevoli quelli di Berzé-la-Ville, d’influenza italo-bizantina, di Saint-Savin-sur-Gartempe (Poitou) con il grandioso ciclo biblico, di Auxerre, di Montoire-sur-le-Loire, di Tavant (Indreet-Loire). Di vetrate figurate e impiombate si ha notizia dal 10° sec.; le più antiche conservate (coro di Saint-Denis, Chartres ecc.) risalgono alla metà del 12° sec.; altre importantissime sono nella Sainte-Chapelle di Parigi, a Bourges, a Sens, a Rouen ecc. Il risorgere degli studi e il mecenatismo di Luigi XI portano a un fiorire della pittura a Parigi con grandi maestri come Honoré.
L’architettura civile ha lasciato le gigantesche rovine dei castelli feudali: Château-Gaillard, costruito in Normandia da Riccardo Cuor di Leone, il primo esempio in Francia di questo genere di fortezze; il maschio di Coucy (13° sec.), distrutto durante la prima guerra mondiale; il maschio di Vincennes, dell’epoca di Luigi XI. Cinte murarie superstiti sono a Provins, Falaise, Dinant, Semur nel Nord; Aiguesmortes, Carcassonne e Avignone nel Mezzogiorno.
Dal 14° sec. il realismo comincia a manifestarsi con i primi ritratti (Giovanni il Buono, Louvre; statue e ritratti di Carlo V e della moglie, ritratti delle tombe di Saint-Denis ecc.). Sotto l’influsso dell’eleganza raffinata di Honoré, l’arte di J. Pucelle accoglie dalla pittura italiana motivi realistici e senso dello spazio. Parigi diviene una capitale delle arti. Si stringono i legami con la Fiandra e con l’Italia, e ne nasce un’arte nuova di complesse tendenze naturalistiche e decorative. I papi, trasferendo in Avignone la sede del papato, vi conducono artisti italiani, tra i quali S. Martini. Opera significativa di quest’epoca è l’insieme di sculture della certosa di Champmol a Digione (J. de Marville e C. Sluter). Tendenze analoghe si manifestano nella miniatura (libro d’ore del duca di Berry, 1416, dei fratelli de Limbourg) e nella vetrata. Traversie politiche ridimensionano il ruolo di Parigi e si formano importanti correnti artistiche nella valle del Rodano, in Borgogna, ad Avignone, nella regione della Loira e in Turenna con Renato d’Angiò.
La pittura è sempre sotto l’influenza fiamminga; sono insigni capolavori l’Annunciazione di Aix, la Natività di Autun, le opere di E. Charonton e di N. Froment. Ben presto si fa sentire la conoscenza del rinnovamento dell’arte italiana nella prima metà del Quattrocento. Nel 1454 J. Fouquet è a Roma mentre artisti e opere italiane passano in Francia (F. Laurana, G. Mazzoni ecc.). Artisti bolognesi affrescano le volte della cattedrale di Albi. Sotto Francesco I, con la presenza di Leonardo e dei suoi seguaci, poi con il Rosso, il Primaticcio, Niccolò dell’Abate e B. Cellini si ha un’ulteriore penetrazione dell’arte italiana (modello esemplare è il palazzo di Fontainebleau).
L’arte gotica, seguita a esistere, specie nell’architettura sacra, nel cosiddetto stile flamboyant, nel quale si sovrappongono via via motivi rinascimentali italiani. Sviluppano un proprio linguaggio, lasciando una sensibile impronta anche con i loro trattati: P. Lescot (ricostruzione del Louvre), P. Delorme (castello di Anet), J. Bullant (castello di Écouen), J. Androuet du Cerceau. Eccellenti manieristi in pittura sono J. Clouet, J. Cousin, A. Caron, mentre la scultura annovera le squisite opere di J. Goujon e di G. Pilon.
Fino al 1660 la Francia è ancora per molti aspetti strettamente legata all’arte italiana: per le maggiori imprese artistiche si chiamano artisti italiani; S. Vouet, C. Le Brun, P. Mignard, N. Poussin, C. Lorrain, vivono a lungo in Italia.
L’architettura in particolare è fortemente italianeggiante; la cupola s’impone per tutto il secolo e frequente è l’uso della sovrapposizione degli ordini; si afferma, tuttavia, una esigenza di chiarezza e di dignità che trasforma il fantasioso barocco italiano in ben disciplinate simmetrie monumentali, quali gusto e politica francesi in quel momento desideravano. Fatto capitale è la fondazione dell’Accademia (1648), concepita per fissare regole e metodi, definire lo scopo e le formule dell’arte; esempio di un’arte classica sono le opere di N. Poussin che, pur vivendo a Roma, esercita immensa autorità e influenza su tutta la Francia. Si fonda (1660) l’Accademia francese di Roma, quale seminario dei giovani artisti. Vanno in particolare ricordati i ritrattisti P. de Champaigne e H. Rigaud, G. de La Tour, E. Le Seuer, pittore di soggetti sacri e mitologici, i fratelli Le Nain, gli incisori J. Callot e A. Bosse. All’inizio del regno di Luigi XIV rimane al governo delle arti C. Le Brun, che assume la direzione della grande impresa del tempo: Versailles.
Verso la fine del secolo nascono capolavori a scala urbana, quali a Parigi place Vendôme e place des Victoires, il colonnato di Versailles, ultima opera di J.-H. Mansart. Con gli allievi di questo, G.-G. Boffrand e J.-A. Gabriel, l’architettura si emancipa del tutto dall’Italia.
La pittura è strettamente legata all’Accademia con A. Coypel, F. Lemoine, J.-F. de Troy, F. Jouvenet, P. Mignard. Il linguaggio accademico è oltrepassato da A. Watteau, il maggior pittore francese del Settecento. La grande decorazione rimane riservata agli arazzi con J.-F. de Troy, C.-J. Natoire, F. Boucher. L’istituzione regolare dei Salons nel 1737 diffonde la pittura tra gli amatori, dando fama a pittori quali J.-B. Greuze, J.-B. Chardin, F. Boucher, J.-H. Fragonard, M.-Q. de La Tour, e molti altri.
In architettura il neoclassicismo ha un apporto teorico con M.-A. Laugier e J.-F. Blondel, mentre coesistono personalità diverse, da J.-A. Gabriel (Petit Trianon, place Louis XV, ora de la Concorde ecc.), J.-G. Soufflot (Panthéon), P. Constant d’Ivry e P. Vignon (chiesa de La Madeleine), agli illuministi e rivoluzionari E.-L. Boullée e N. Ledoux.
L’ispirazione classicista, che si mantiene costante nell’ambito della scultura, trova caratterizzazioni più personali nella ritrattistica di J.-B. Pigalle e soprattutto di J.-A. Houdon. Nella pittura, istanze etiche e politiche caratterizzano l’opera di J.-L. David, figura dominante nell’ultimo quarto del secolo. Con le opere dei suoi allievi P.-N. Guérin, A.-L. Girodet, F. Gérard, A.-G. Gros, l’ideale neoclassico si colora di sfumature vicine al movimento romantico.
Al culto per l’antico, svolto in maniera sempre più archeologica durante l’Impero, innalzando archi di trionfo e colonne, e al perpetuarsi dell’ideale classicista (A.-C. Quatremère de Quincy) si affiancano in architettura istanze funzionaliste, portate avanti da J.-N.-L. Durand nella nuova École polytechnique, e romantiche, con la rivalutazione dei monumenti medievali (E. Viollet-le-Duc, F.-C. Gau).
Ma il 19° sec. è segnato soprattutto dall’attuazione dei grandiosi progetti urbanistici a Parigi di G.-E. Haussmann e dall’intuizione delle potenzialità tecniche ed espressive di nuovi materiali, in particolare il ferro, con le opere di V. Baltard, H. Labrouste, G. Eiffel.
Il movimento romantico in pittura trova l’espressione più tormentata e inquieta in J.-L.-A. Géricault e di E. Delacroix, ma si dispiega anche nelle ricerche degli orientalisti (➔ orientalismo) o nella bellezza ideale di J.-A.-D. Ingres. T. Rousseau, N. Diaz, L. Cabat e altri formano la cosiddetta scuola di paesaggio di Barbizon. J.-B.-C. Corot è il maggior paesaggista di questo periodo. Tra le manifestazioni del Romanticismo rientrano i pamphlet illustrati, la «commedia umana» trattata in chiave umoristico-caricaturale da P. Gavarni e con una forza satirica e drammatica da H. Daumier. Mentre i soggetti campestri di J.-E. Millet hanno immensa risonanza, G. Courbet lancia il manifesto del realismo. La pittura storica ha successo nell’ambiente borghese per gli entusiasmi patriottici che suscita (J.-L.-E. Meissonnier, J.-L. Gérôme, E. Detaille); non trascurabile una corrente accademica rappresentata da A. Cabanal, da P. Baudry e da altri.
Verso il 1860 inizia uno dei periodi più felici della storia pittorica francese. Cominciano allora a formare un gruppo celebre cinque o sei maestri «indipendenti», quasi coetanei, e tutti sui vent’anni: É. Manet, H.-G.-E. Degas, C. Monet, P.-A. Renoir, T. Fantin-Latour. Nel 1874 si ha presso il fotografo Nadar la mostra degli Indipendenti con opere di Monet, A. Sisley, C.-J. Pissarro, Renoir, B. Morisot, P. Cézanne, A. Guillaumin, Degas, dalle quali nasce l’impressionismo. Tuttavia Manet, Renoir, Degas, Cézanne sono personalità fortissime e molto diverse tra loro, che mal si accomunano sotto l’etichetta dell’impressionismo al quale, come principio teorico, vengono presto meno, o, come Cézanne, addirittura contrastarono. G. Seurat e P. Signac dalla decomposizione del «tono» giungono alla scomposizione in elementi di colore puro (neoimpressionismo).
Gli aspetti della vita moderna danno luogo da un lato alla sottilissima satira di H. de Toulouse-Lautrec, dall’altro al rifiuto di ogni eredità figurativa da parte di P. Gauguin e al suo rifugiarsi nell’esotismo. La pittura di quest’ultimo e quella dell’olandese V. van Gogh si oppongono a ricerche sulla visione per l’esigenza di una diretta espressività del colore; nella loro opera e, in maniera differenziata, in quella di G. Moreau e di P. Puvis de Chavannes si possono individuare anche elementi consoni alla corrente simbolista, che ha in O. Redon il suo più autentico esponente e trova espressa nel gruppo dei nabis (M. Denis, P. Sérusier, A. Maillol, P. Ranson ecc.) la tendenza a un coinvolgimento totale.
La scultura segue con qualche ritardo il cammino della pittura; grandi scultori della prima metà del secolo sono P.-J. David d’Angers, A.-L. Barye, modellatore di animali, e F. Rude. La forza drammatica e plastica di quest’ultimo declina nel naturalismo di J.-B. Carpeaux. Ma A. Rodin s’impone sulla scena artistica dal 1880. Permangono, tuttavia, anche tendenze più accademiche (J. Dalou e E. Frémiet).
Sullo sfondo di un’arte ufficiale che vede apprezzata la pittura storica di É. Detaille e l’eclettismo di A. Besnard, Parigi continua ad avere un ruolo rilevante nell’elaborazione dei nuovi linguaggi espressivi, è richiamo per molti artisti stranieri ed è anche centro di una lungimirante attività di mercanti e collezionisti (A. Vollard, G. Stein ecc.). Al Salon d’Automne, fondato nel 1903, sono presentate le opere di Gauguin (1903) e di Cézanne (1904) e, nel 1905, quelle di H. Matisse, G. Rouault e A. Derain, scandalose agli occhi della critica ufficiale e, per la loro violenza espressiva, definite fauves. La riflessione sulla lezione di Cézanne, sull’arte africana e sui primitivi moderni (H. Rousseau il Doganiere) mette in moto a opera di Picasso e Braque la rivoluzionaria ricerca del cubismo. Al Salon des Indépendants del 1911 nel gruppo eterogeneo di artisti che presentano le loro opere sotto il vessillo cubista, si distinguono F. Léger per una ricerca marcatamente plastica, R. Delaunay per il gusto del colore puro, J. Villon, che dà vita alla Section d’or (1912), M. Duchamp, il cui nome sarà legato al movimento dada, e R. Duchamp-Villon, che con H. Laurent, J. Lipchitz, A. Archipenko è tra i più significativi scultori cubisti. Tra i molti artisti stranieri a Parigi emergono A. Modigliani, M. Chagall, C. Soutine.
Nel campo della scultura E.-A. Bourdelle segue una via personale alla riscoperta della civiltà classica; A. Maillol sviluppa con moderno senso di classicità le ricerche formali degli impressionisti. Giunto a Parigi per studiare con Rodin, il rumeno C. Brancusi si volge presto verso una essenzialità plastica di forme assolute.
L’art nouveau, che dall’ultimo quarto del 19° sec. aveva trovato la più felice espressione nelle arti applicate (E. Gallé e la scuola di Nancy, E. Grasset ecc.), nell’architettura ha un esponente di rilievo in H. Guimard. Ma all’inizio del 20° sec. risalgono anche i primi innovativi progetti di A. Perret (case in rue Franklin a Parigi, 1903, con struttura in cemento armato) e di T. Garnier (progetto di città industriale, 1904).
Nel primo dopoguerra abbandonata l’irruenza delle prime avanguardie, percorrendo strade diverse, rimangono al centro della scena artistica Picasso, Braque, Léger, Matisse. A. Ozenfant e C.-E. Jeanneret (Le Corbusier) con il manifesto Après le cubisme (1918) e con la rivista L’Esprit nouveau (1920-25) ricercano un’arte di rigore e di precisione. L’astrattismo dopo il 1929 trova valido sostenimento in Cercle et Carré e in Abstraction-Création, con l’adesione di numerosi artisti stranieri (A. Pevsner, V. Kandinskij). L’assenza di ogni significato razionale, affermata dal dadaismo, prepara il surrealismo che vede a Parigi sviluppare accanto alle ricerche di M. Ernst e J. Miró, quelle di Y. Tanguy e di A. Masson. L’espressionismo tra le due guerre ha in F. il più significativo esponente in M. Gromaire.
In architettura il movimento moderno vede accanto alla vitale figura di Le Corbusier (padiglione dell’Esprit nouveau dell’esposizione di Parigi del 1925; villa Savoye a Poissy, 1928-30; progetti della Ville radieuse, 1930; ecc.) realizzazioni di grande interesse a opera di P. Chareau, R. Mallet-Stevens, A. Lurçat, H. Sauvage, M. Lods, E. Beaudouin. Ma si deve anche ricordare l’accademico gusto ufficiale esemplificato dal museo del Trocadéro a Parigi (1937) di J.-C. Dondel, A. Aubert, P. Viard e M. Dastugue.
Nel secondo dopoguerra alla crisi dei valori nel vecchio continente e al prepotente imporsi dell’arte e della cultura americana fa riscontro in F. la ricerca di una continuità di tradizione ma anche di un linguaggio nuovo le cui profonde matrici rivelano il riesame critico delle avanguardie storiche, in particolare del cubismo e del surrealismo. Le grandi personalità dell’anteguerra (Braque, Picasso, Léger, Matisse) continuano il loro percorso mostrando una rinnovata vitalità. E. Pignon, J. Bazaine, M. Estève, A. Manessier, che con H. Hartung, J. Fautrier, J. Dubuffet, R. Bissière, C. Bryen, S. Poliakoff, N. de Staël, P. Soulages, Tal Coat, G. Mathieu e altri, che nel 1941 avevano esposto alla galleria Braun di Parigi definendosi «Jeunes peintres de tradition française», divengono i protagonisti della ricerca informale nelle variegate espressioni, dall’astrattismo lirico all’impulso gestuale e materico.
I Salons des Réalites nouvelles (dal 1946) e le riviste Art d’aujourd’hui (1949) di A. Bloc e Cimaise (1953) di J.-R. Arnaud sono sede di dibattito e diffusione delle tendenze più attuali; nel 1959 è istituita la biennale di Parigi.
Nell’ambito della scultura G. Richier, da un’esperienza surrealista giunge all’informale, mentre il cubismo è una tappa di passaggio per la ricerca dei più rilevanti esponenti dell’astrattismo (H.-G. Adam, A. Bloc, F. Stahly, E. Gilioli, M. Lipsi, Etienne-Martin, E. Hajdu, M. Pan ecc.). Conseguentemente, l’arte è gradualmente tentata di riaccostarsi a un conscio ritorno alla realtà e alla figurazione.
Nel 1960 nasce il Nouveau Réalisme, appoggiato dal critico P. Restany, che ha tra i suoi principali rappresentanti Arman, César, Y. Klein, D. Spoerri, J.-P. Raynaud, J. Villeglé, F. Dufrêne, M. Raysse. L’influenza dell’arte americana è nella nuova corrente della figurazione narrativa, di cui fanno parte artisti come D. Rancillac, F. Arnal, Y. Gaitis, J. Voss, che elaborano un’estetica del documento, procedimenti narrativi tipici del fumetto, o simboli, ricondotti a scala gigante, del linguaggio pubblicitario (H. Télémaque, P. Stömpfli , J. Kermarrec).
Parallelamente si sviluppa una ricerca soggettiva di narrazione con J. Monory e G. Gasiorowski e una pittura politica. Il realismo fotografico e l’iperrealismo aprono il dibattito culturale degli anni 1970 con J.-O. Hucleux, A. Raffrey, P. Klasen e con esponenti della generazione più giovane (S. Buri, J. P. Le Boul’ch).
Anche nell’ambito dell’arte non figurativa, con le ricerche di arte cinetica, tecnologica e di strutture primarie, si ha una presa di posizione nei confronti dell’astrattismo classico, sia geometrico sia lirico, che continua a suscitare vivi interessi. Nel 1955 si apre la mostra Mouvement con opere di Vasarely, Agam, Soto, Tinguely. La corrente cinetica dopo il 1960 s’impone, tuttavia, con la ricerca di una creazione collettiva, della quale l’espressione più significativa è il GRAV. Una ricerca autonoma, ma in qualche modo parallela alle tendenze minimaliste americane, è quella del gruppo Support-Surface (C. Viallat, L. Cane , A. Valensi) e del gruppo B.M.P.T. (D. Buren, O. Mosset, M. Parmentier e N. Toroni). L’arte concettuale ha in Ben (B. Vauthier) un significativo esponente, collegato al gruppo Fluxus; notevoli sono anche le performances di M. Journiac e di G. Pane.
Dagli anni 1970 particolare rilievo ha la ricerca di un’arte della memoria che trova spesso nella fotografia il mezzo espressivo più efficace (C. Boltanski, J. Le Gac, A. Messager; A. e P. Poirier). Analogamente a quanto avviene sulla scena internazionale, anche in F. negli anni 1980 si assiste a un ritorno verso valori pittorici, spesso di matrice espressionista: a una Figuration libre si rifanno, con sfumature diverse, G. Garouste, J.-M. Alberola, R. Combas. Orlan porta alle estreme conseguenze la body-art; al corpo, non presente, fanno riferimento P. Ramette con i suoi oggetti-pròtesi, e J. Pérez con i suoi eleganti abiti realizzati con budella di vacca.
La fotografia, mezzo espressivo commisto spesso ad altre tecniche, trova soluzioni minimali in J.-M. Bustamante, svela intimità, proprie e altrui, in S. Calle, mentre i ritratti fotografici di S. Lafont, al di là del realismo illusorio, colgono una variegata gamma di sentimenti. J.-P. Bertrand, con strumenti diversi (dal disegno alla scultura, al video) osserva il trascorrere del tempo nelle reazioni di materiali diversi.
J.-L. Boissier lega la sua ricerca ai nuovi media e all’interattività e fonda (1990) la biennale Artifices di Saint-Denis. P. Sorin è autore di videoinstallazioni e immagini virtuali, R. Bournigault usa la telecamera per rivelare a video ritratti ed emozioni. F. Hybert sperimenta dalla pittura alla scultura, all’installazione, al video, ambiti in cui lavorano anche M.-A. Guillemot, P. Huyghe, D. Gonzalez-Foester e B. Lamarche con opere che, pur nei diversi soggetti (un’immagine, un oggetto, una voce, un luogo), rivelano le varie configurazioni dell’esplorazione del reale.
In campo architettonico e urbanistico, nel secondo dopoguerra, l’impegno più impellente è volto alla ricostruzione (G.-H. Pingusson nella regione della Sarre; Perret a Le Havre; Lurçat a Maubeuge). Esemplare è l’unità d’abitazione di Marsiglia (1947-52) di Le Corbusier, così come i suoi edifici religiosi (Notre-Dame-du-Haut a Ronchamp, convento della Tourette). Interessanti soluzioni per i quartieri residenziali dei vecchi centri e delle villes nouvelles sono ricercate da G. Candilis (Toulouse-le-Mirail, 1961), E. Aillaud (La Grande-Borne a Grigny, 1967-71), l’AUA (Atelier d’urbanisme et d’architecture: quartiere dell’Arlequin a Grenoble, 1973), H.E. Ciriani (Noisy-le-Grand, Marne-la-Vallée, 1975-80; Lognes, Marne-la-Vallée, 1983-86 ecc.), H. Gaudin (Elancourt-Maurepas, Saint-Quentin-en-Yvelines, 1975-81), R. Bofill (quartiere Antigone a Montpellier, 1990).
Tra le costruzioni isolate (edifici amministrativi, industriali, culturali ecc.), che si inseriscono nel dibattito architettonico internazionale, per l’attenzione volta alla eredità del movimento moderno e al suo superamento, si ricordano, a parte le realizzazioni parigine (per l’architettura e l’urbanistica della capitale ➔ Parigi) sono da ricordare: la basilica Saint-Pie X a Lourdes (1958) di E. Freyssinet, P. Vago, P. Pinsard, A. Le Donne; la Fondation Maeght a Saint-Paul de Vence (1964) di J.-L. Sert; la prefettura di Nanterre (1972) di A. Wogenscky; il Musée de la civilisation gallo-romaine a Lione (1975) di B. Zehrfuss; la nuova Scuola di architettura a Lione (1981-87) di F.H. Jourda e G. Perraudin.
Anche in seguito al rilancio dell’architettura innescato dalle politiche presidenziali di Mitterrand dei grands projets a partire dalla regione parigina, ma anche su scala nazionale, si hanno realizzazioni architettoniche di grandi dimensioni e di considerevole valore simbolico, in particolare a Parigi. Numerosi architetti, anche della generazione più giovane, raggiungono la notorietà cogliendo le numerose occasioni di lavoro. Oltre a D. Perrault e Chemetov & Huidobro, vanno ricordati: C. De Portzamparc (Cité de la musique, Parigi, 1994; torre del Crédit Lyonnais, Lilla, 1995), J. Nouvel (Opéra, Lione, 1993; centro congressi di Tours, 1993; palazzo di giustizia, Nantes, 2000), H. Gaudin (facoltà di scienze dell’Università di Amiens, 1992; centro archivi della V Repubblica, Reims, 1999), H. Ciriani (Historial de la grande guerre, Péronne, 1992), C. Vasconi (municipio, Strasburgo, 1989; centro congressi, Reims, 1994; Palazzo di giustizia, Grenoble, 2002), Architecture Studio (Palazzo di giustizia, Caen, 1997; Parlamento Europeo, Strasburgo, 1999), M. Kagan (Cité d’artistes, Parigi, 1992), O. Decq e B. Cornette (Banque populaire de l’Ouest et d’Armorique, Montgermont, 1990; centro gestionale autostradale, Nanterre, 1998), P. Berger (École d’architecture, Rennes, 1991; serre nel Parc André Citroën, Parigi, 1992), F. Soler (abitazioni in rue Émile-Durkheim, Parigi, 1998), O. Brenac e X. Gonzalez (Palazzo di giustizia, Montereau, 1997), F. Jourda e G. Perraudin (Cité scolaire internationale, Lione, 1994; corte di giustizia di Melun-Sénart, 1998), Art’m Architecture (M. Poitevin, P. Reynaud, residenze universitarie, Grenoble, 2004), R. Ricciotti (Centre coéreographique national, Aix-en-Provence, 2006). Nel 2006 un acceso dibattito suscita la realizzazione postuma della chiesa di Saint-Pierre a Firminy dal progetto di Le Corbusier.
Di un movimento musicale restano in Francia tracce fin dai primi passi del canto cristiano (canto gallicano), al cui sviluppo contribuì l’attività delle chiese francesi a partire dall’8° e 9° sec. La polifonia raggiunse una prima affermazione nelle cappelle parigine a opera dei maestri della scuola di Notre-Dame (12° e 13° sec.), e poi specialmente con G. de Machaut, autore della prima messa completamente polifonica. A partire dal 14° sec., a opera dei trovatori e dei trovieri, subentrò un’arte più vicina al gusto mondano designata come Ars nova, contrapposta all’indirizzo duecentesco denominato Ars antiqua. Sotto l’influsso della vicina scuola fiamminga proseguì lo sviluppo del contrappunto, portato al massimo splendore tra il 15° e il 16° sec. da J. Després e O. di Lasso. Accanto alla polifonia cattolica (mottetto, messa) e alla salmodia calvinista fiorì, soprattutto nel 16° sec., la più agile e trasparente polifonia profana, rappresentata dalla cosiddetta Chanson grazie ad autori quali C. Janequin.
Nel 17° sec. si affermò soprattutto la musica strumentale: dapprima quella clavicembalistica, che trovò espressione nella forma della suite, di cui fu maestro J.-P. Rameau; poi quella per archi, di cui fu cultore F. Couperin, che elaborò le proprie composizioni in forme di concerto grosso, sonata e, più tardi, concerto solistico.
Il teatro musicale francese, che si inaugurò nel tardo Seicento con le opere dell’italiano G.B. Lulli, procedette a una maggior caratterizzazione nazionale con J.-P. Rameau, cui vennero a contrapporsi i cosiddetti ‘buffonisti’ italiani, sostenuti in particolare da J.-J. Rousseau. Ma ancora più importante fu per la Francia la riforma apportata nel tardo Settecento da C.W. von Gluck, seguito da alcuni italiani attivi in Francia, quali L. Cherubini e G. Spontini (18° e 19° sec.).
Il teatro francese del 19° sec., dominato dalla presenza di G. Rossini, trovò espressioni fedeli alle caratteristiche autoctone di sobrietà e di linearità con D. Auber. Il vero grande romantico francese fu H. Berlioz, il cui avvio nel genere sinfonico fu seguito prima fuori che in patria. Trionfò piuttosto sulle scene francesi J. Meyerbeer, artista di forte temperamento drammatico. Fortuna maggiore ebbe l’opera francese nella seconda metà del secolo con C. Gounod, G. Bizet, C. Saint-Saëns, seguiti poi da J. Massenet. La musica sinfonica pervenne a notevoli risultati con il belga C. Franck, e con C. Saint-Saëns.
All’inizio del 20° sec., si arrivò a valori universali tanto nel teatro quanto nella sinfonia con C. Debussy e M. Ravel. Alla loro arte sottile e aggraziata si contrappose, nel primo dopoguerra, il Gruppo dei Sei, tra i quali A. Honegger, D. Milhaud, F. Poulenc. Nella vita musicale francese dopo la Seconda guerra mondiale, la figura di O. Messiaen costituì il primo importante elemento di raccordo tra la musica tradizionale e il rigoglioso fervore delle giovani avanguardie legate ad A. Schönberg e alla seconda «scuola di Vienna». Alla scuola di Messiaen si formarono alcuni dei più significativi esponenti delle avanguardie francesi del dopoguerra e in particolare P. Boulez, che ha assunto, in modo del tutto autonomo, un posto di assoluto rilievo nella storia della musica del Novecento.
Nel campo delle avanguardie sono da ricordare le esperienze di P. Schaeffer, che pose le basi della cosiddetta ‘musica concreta’, e quelle, di esito più singolare, di I. Xenakis. In questo panorama, un posto particolare hanno avuto anche le molteplici esperienze creative e le indagini sulla natura del suono realizzate all’Institut de recherche et de coordination acoustique-musique (IRCAM) di Parigi, di cui è stato primo direttore lo stesso Boulez.