Tipo di scrittura musicale che prevede l’insieme simultaneo di più voci (umane e/o strumentali) su diverse altezze sonore, che procedono in direzioni parallele o opposte per intonare inni, preghiere, canzoni, ma anche per suonare concerti e sinfonie. In senso lato la p. può indicare qualsiasi aggregazione verticale di suoni, come per es., nel linguaggio dell’armonia, un accordo. Al concetto di p. si oppone quello di monodia.
Le origini della p. risalgono al 10° sec.: il più antico testo polifonico pervenuto è l’organum Rex coeli, Domine maris nel trattato Musica enchiriadis, attribuito a Ubaldo di Saint-Amand. Le prime forme di p. (organa) furono caratterizzate da due voci parallele (vox principalis e vox organalis) procedenti nota contro nota a un intervallo di quarta o di quinta. Successivamente le due parti furono caratterizzate dal moto contrario (discanto, dapprima nota contro nota poi contrapponendo più note a ciascuna vox principalis). Si passò poi a un tipo di organum in cui la vox principalis procedeva per valori ampi mentre la vox organalis aveva un andamento melismatico a note rapide. Tale tipo di organum, sviluppatosi alla scuola di Notre-Dame con Magister Leoninus, raggiunse le sue vette più alte con Magister Perotinus, che per primo fece uso d’una scrittura a 3 (triplum) e a 4 voci (quadruplum). Accanto a queste forme già in epoche precedenti si era sviluppato un procedimento a terze parallele come il ghimel (o gymel). Fu tuttavia con il mottetto, manifestazione tipica dell’Ars antiqua, che la p. conobbe uno dei suoi momenti di maggiore interesse. Sviluppatosi soprattutto tra il 12° e il 14° sec., era costituito per lo più da 3 voci, di cui quella grave, detta tenor in quanto ‘teneva’ la melodia (ovvero eseguiva note lunghe), era di norma tratta dal repertorio liturgico del gregoriano, mentre le altre superiori, denominate rispettivamente mottetto e triplum, erano generalmente su diversi testi profani, ognuna con il proprio ritmo. Successivamente, a partire dal 13° sec., anche il tenor avrà una melodia profana e più spesso di libera invenzione o sarà intonato da strumenti. Accanto al mottetto si svilupparono altre forme polifoniche come il rondellus, in cui le voci entrando successivamente preannunciavano sotto certi aspetti il futuro canone, e il conductus a 2 e 3 voci, che, nato anch’esso dalla scuola di Notre-Dame, si distinse per il tenor di libera invenzione. È nello stile del conductus che fu strutturata la Messa di Tournai a 3 voci, il primo tentativo – anonimo e probabilmente di più autori – di comporre in stile polifonico l’intero ciclo dell’Ordinarium. Successivamente, con la Messe de Notre-Dame (1364) a 4 voci, composta da G. de Machaut, primo esempio di messa polifonica dovuta a un solo autore, fu adottato il principio dell’imitazione con cui si posero le basi per un genere di composizione autonoma e organica, che raggiungerà il suo culmine con G. Dufay, autore della prima messa ‘ciclica’, costruita su un tenor unico per tutte le parti, e J. Desprès. Questo procedimento sarà poi assimilato dalla scuola fiamminga e raggiungerà il suo più alto vertice espressivo in Italia nel 16° sec. con l’affermazione dell’arte contrappuntistica e il perfezionamento della scrittura a più voci rappresentate da P. da Palestrina e da G. Gabrieli; è soprattutto con questi compositori che l’arte della p. riuscì a sottrarsi alla macchinosa elaborazione degli artifici formali che impedivano la comprensione delle parole, restituendo alla musica la possibilità di riflettere lo spirito del testo sacro.
Parallelamente alla messa e al mottetto fiorirono altri generi, come la chanson francese e il madrigale, che trovò la sua realizzazione più alta nel genio di L. Marenzio, G. da Venosa e C. Monteverdi, artisti con i quali la p. vocale profana toccò il suo apice. Il vertice della complessità polifonica è comunque rappresentato da O. di Lasso, che nella straordinaria versatilità del suo genio trattò tutti i generi allora conosciuti portandoli alla perfezione; con lui si conclude idealmente la più luminosa stagione della p. vocale europea, da cui trarranno poi ispirazione le forme della futura arte strumentale, in particolare la produzione di H. Schutz e soprattutto di J.S. Bach.