surrealismo Movimento di avanguardia nato in Francia nei primi anni 1920, che ebbe vasta diffusione internazionale nel periodo tra le due guerre mondiali, estendendo la sua influenza dal campo letterario a quello artistico, al teatro, al cinema.
Negli anni drammatici seguiti alla conclusione del Primo conflitto mondiale, il s. si propose come un vero e proprio progetto di liberazione, sia sul piano creativo sia su quello sociale, destinato a rinnovare il rapporto tra mondo e individuo su una base drasticamente opposta alla prospettiva razionale e positivista borghese. Gli strumenti assunti dal s. per realizzare questo programma sono la teoria freudiana dell’inconscio, su cui si basa l’automatismo (una ‘dettatura’ del pensiero realizzata in assenza di ogni controllo razionale e al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale, che rivoluziona i processi creativi tradizionali), e l’analisi marxista, riconosciuta come la prospettiva più coerente per giungere a una radicale trasformazione della società. L’elaborazione di queste idee era iniziata già durante la guerra all’interno di un gruppo di giovani letterati (tra i quali A. Breton, L. Aragon, P. Soupault, tutti vicini a riviste come Sic o Nord-Sud) che condividevano la predilezione per ‘moderni’ come P. Picasso e G. Apollinaire, riscoprivano D.A. de Sade e C. Baudelaire e indicavano in A. Rimbaud, A. Jarry e soprattutto in Lautréamont gli iniziatori di un genere di poesia basato sull’esplorazione degli strati più profondi della personalità, sul sovvertimento delle regole logiche e sintattiche e sull’accensione dei significati latenti della parola.
All’indomani della guerra, quando a Parigi confluiscono gli animatori del movimento dada zurighese, tra cui T. Tzara, le concezioni del nascente s. giungono a precisarsi; le posizioni ‘antiartistiche’, lo spirito di negazione e le provocazioni dadaiste sono immediatamente accolte con interesse dal gruppo di Breton: l’antiarte di M. Duchamp e l’ironia nichilista dello scrittore J. Vaché possono ben rappresentare il carattere della breve stagione animata da riviste come 391, Cannibale, dirette da F. Picabia, e soprattutto Littérature. Tuttavia, a differenza di Tzara, Breton, influenzato dalla dialettica hegeliana, vede nel dadaismo solo un momento di negazione, cui far seguire un’indispensabile rifondazione culturale: la rottura, annunciata nel 1921 con il famoso ‘processo’ al letterato M. Barrès, si consuma nel 1922, quando Breton, assunta la direzione di Littérature, la trasforma nell’organo del nascente movimento, che comprende a questa data anche gli scrittori A. Artaud, R. Crevel, R. Desnos, P. Éluard, B. Péret, R. Vitrac.
Breton, che nel 1921 aveva pubblicato con Soupault la prima opera surrealista, Les champs magnétiques, ha ormai assunto il ruolo di capofila; nel Manifesto, redatto nel 1924, espone organicamente le tesi del movimento, dalla condanna del realismo e del romanzo, alla necessità di tener conto delle nuove concezioni introdotte da S. Freud, A. Einstein e dagli altri fondatori della modernità novecentesca; per sanare il dissidio tra l’individuo e il mondo Breton propone quindi la rivalutazione di tutto ciò che il paradigma positivista aveva escluso (il ‘meraviglioso’, il sogno, la follia, gli stati allucinatori) e una nuova dimensione totalizzante, la surrealtà. La definizione del s. come «automatismo psichico puro, con cui ci si propone di esprimere il reale funzionamento del pensiero», spiega poi la condanna del ‘talento’ artistico come pura abilità e illumina il senso delle tecniche adottate dai surrealisti per scavalcare il controllo della ragione e mettere allo scoperto la forza creativa dell’inconscio: dalla scrittura automatica, alle comunicazioni medianiche, alle improvvisazioni scritte a più mani (➔ Cadavre exquis). Dal 1924, il Bureau des recherches surréalistes e la rivista La révolution surréaliste (cui succederà, dal 1930 al 1933, Le Surréalisme au service de la révolution) divengono gli organi ufficiali del movimento, che allarga il suo campo d’azione ai settori più diversi, dalla politica all’antropologia, alle arti figurative, rivalutando le forme dell’arte primitiva e infantile, le creazioni degli alienati e riscoprendo da un’angolatura originale quelle forme espressive popolari (il cinema, il feuilleton, gli almanacchi, l’illustrazione) in cui domina il gusto per il macabro, il fantastico, l’inconsueto; i noti elenchi «Lisez-Ne lisez pas» o il planisfero con le proporzioni di continenti e nazioni intenzionalmente alterate, rappresentano embleticamente l’intento del s. di ridisegnare i confini culturali del proprio tempo.
In campo artistico, Breton, in polemica con P. Naville, che riteneva impossibile una pittura surrealista, chiarisce nel 1925 la sua posizione con il saggio Le surréalisme et la peinture, che fissa alcuni punti di riferimento (Picasso, G. De Chirico, Picabia, Duchamp) e segna il riconoscimento del lavoro di artisti come M. Ernst, A. Masson e J. Miró. Essi furono infatti tra i primi a impiegare metodi basati sull’automatismo e il montaggio: Ernst, che aveva già utilizzato ampiamente il collage, nel 1925 introdusse il frottage (impiegato ampiamente a partire dalla Histoire naturelle, 1926), il cui valore di «mezzo per forzare l’ispirazione» verrà chiarito nel saggio Au-delà de la peinture (1937); Masson aveva scoperto un metodo di disegno automatico basato su un’improvvisazione lineare fluida e libera che impiegherà nelle illustrazioni del volume Le paysan de Paris di Aragon (1926), dedicato all’evocazione del «meraviglioso quotidiano»; più appartato, Miró svilupperà una maniera elusiva, che mescola segni comici, osceni, allucinatori, infantili, in una sorta di figurazione elementare, archetipica che fa anche uso del collage e dell’assemblage. Nel novero delle tecniche figurative automatiche vanno poi segnalati la «decalcomania senza oggetto preconcetto» di O. Domínguez (riporti di colore ottenuti con pressioni casuali su un foglio), i fumages (tracce di fumo di candela) di W. Paleen e i rayogrammes (stampe fotografiche a contatto) di Man Ray, autore anche di film surrealisti come Emak Bakia (1926) e L’étoile de mer (1928). Proprio una sua mostra inaugura nel 1926 la Galérie Surréaliste, dove esporranno, tra gli altri, anche Y. Tanguy e J. Arp.
Nel frattempo il dibattito interno al gruppo surrealista sulla necessità di dare uno sbocco politico al movimento determina nel 1927 l’adesione di Breton, Aragon, Éluard, Péret e P. Unik al Partito comunista francese; questa decisione sarà foriera, negli anni successivi, di una lunga serie di rotture ed espulsioni che colpiranno, tra gli altri, Artaud, R. Desnos, A. Masson, P. Soupault e Vitrac, accusati di scarso interesse per l’azione politica. Nel Secondo Manifesto (1930) Breton precisa la necessità di maggior rigore e sistematicità nell’azione del s., indicando l’obiettivo della conquista della surrealtà e quindi la necessità di una ‘rivolta assoluta’ contro l’ordine costituito; con L’immaculée conception (in collaborazione con Éluard, 1930) e Les vases communicants (1932) Breton darà poi misura della maturità dei procedimenti letterari surrealisti. Riviste vicine al surrealismo sono Le Grand Jeu (1928-30), diretta da R. Daumal, di orientamento esoterico e in contrasto con il gruppo bretoniano, e Minutes (1930-34), diretta da G.L. Mano. In questo stesso periodo entrano a far parte del gruppo R. Char, G. Sadoul e L. Buñuel, mentre G. Bataille, che condivide con Breton l’esperienza politica di Contre-Attaque pur criticandolo da posizioni nietzschiane, rompe con il s. per fondare, nel 1936 la rivista Acéphale e nel 1937 il Collège de sociologie. S. Dalí, con Buñuel autore dei film di segno surrealista Un chien andalou (1929) e L’âge d’or (1930), presenta la sua originale teoria della ‘paranoia critica’, definita come «metodo spontaneo di conoscenza irrazionale dei fenomeni deliranti» che mira a oggettivare immagini oniriche.
Sulla linea della pittura di Dalí, che filtra la lezione di De Chirico puntando all’intensificazione di idee ossessive e di visioni irrazionali, si attesteranno anche R. Magritte e Y. Tanguy, e, più tardi, artisti di diversa provenienza come H. Bellmer, V. Brauner, L. Carrington, P. Delvaux, F. Labisse, D. Tanning. Da questo momento prende anche avvio la produzione di ‘oggetti surrealisti’ che avrà larga fortuna all’interno del movimento; si tratta di oggetti ‘a funzionamento simbolico’, eredi dei ready made di Duchamp, che estraniati dal loro contesto abituale, o appositamente creati, cristallizzano nella vita quotidiana pulsioni, desideri, associazioni inconsce.
Se la vicenda del s. si complica sul piano strettamente politico (è del 1930 la rottura tra Aragon e Breton, del 1933 l’espulsione di quest’ultimo e altri dal Partito comunista), su quello culturale e artistico la sua influenza è sempre più diffusa internazionalmente. Gruppi surrealisti si costituiscono in Cecoslovacchia, Gran Bretagna (E. Agar, P. Nash, R. Penrose), Belgio (E.L.T. Mesens), Giappone, mentre l’opera degli artisti viene diffusa dalle illustrazioni della rivista Minotaure (1933-39), diretta da Tériade. Il successo del s. è testimoniato dalle mostre di Londra e New York (Fantastic Art, Dada, Surrealism, Museum of modern art) del 1936 e soprattutto dalla grande esposizione internazionale alla Galerie des beaux-arts di Parigi del 1938, mentre si uniscono al movimento artisti come il rumeno J. Hérold, il cileno S. Matta e il cubano W. Lam. La guerra civile spagnola e le tensioni in Europa spingono di nuovo Breton all’azione politica; nel 1938 incontra L. Trockij nell’esilio messicano e lancia con D. Rivera il manifesto Pour un art révolutionnaire indépendent.
Allo scoppio della guerra il gruppo surrealista ripara a New York dove continua l’attività attraverso riviste (numeri speciali di View; VVV, 1942-44) e mostre (First papers of Surrealism, 1942); l’influsso dei surrealisti si rivelerà di capitale importanza per gli sviluppi dell’arte americana, in particolare per A. Gorky e J. Pollock. Nel dopoguerra, il movimento riceve consacrazione ufficiale in mostre e retrospettive, tra le quali quella organizzata da Breton e Duchamp alla Galerie Daniel Cordier di Parigi nel 1960.
Particolare menzione merita il s. ceco che, nato nel 1934 a opera di V. Nezval, K. Biebl, J. Štyrský, Toyen e altri, cui si unì il teorico K. Teige, ha visto nel corso della sua tormentata vicenda l’adesione di scrittori e artisti come J. Istler, V. Effenberger, lo psichiatra L. Šváb, in un fiorire di riviste e iniziative che si protrae fino agli anni 1990. Pur instaurando contatti e collaborazioni con il movimento francese, il s. ceco assunse presto caratteri propri, in parte ereditati dal poetismo, tra cui un più spiccato lirismo, il rifiuto della scrittura automatica, il privilegio accordato alla metafora e alla dimensione onirica. ■TAV.