Spettacolo, detto anche melodramma, in cui l’azione teatrale si sviluppa attraverso la musica e il canto. Pur assumendo denominazioni diverse a seconda di argomento (o. buffa, o. seria), epoca e paese (opéra-ballet, opéra-comique, tragédie-lyrique, grand-opéra, Singspiel ecc.), questo genere è accomunato da alcuni elementi: testo poetico appositamente predisposto (il libretto), musica, scenografie, costumi ed eventuali azioni coreografiche.
Sebbene esistessero precedenti forme di azione musicale, l’o. nacque intorno al 1600 grazie a un cenacolo di musicisti e letterati che si riuniva a Firenze in casa del conte G. Bardi e che propugnava il ritorno alla tragedia classica, basata su una stretta adesione della musica al testo. Il primo esempio fu Dafne (1598 ca., O. Rinuccini-I. Peri), della quale sono pervenuti solo alcuni brani. Nel 1600 seguì Euridice, composta dagli stessi autori (con brani di G. Caccini) ed eseguita a Firenze a Palazzo Pitti. Nello stesso anno a Roma E. de’ Cavalieri mise in scena la Rappresentazione di Anima et di Corpo. A questo tipo di spettacoli diede un grande impulso C. Monteverdi con il suo Orfeo (1607), ma soprattutto con L’incoronazione di Poppea (1643). Nel frattempo a Venezia nel 1637 era stato inaugurato il primo teatro impresariale, il S. Cassiano. Il nuovo genere di spettacolo si diffuse in tutta Italia (soprattutto a Napoli, Venezia e Roma) e in Europa. In Francia G.B. Lulli concepì un tipo diverso di o., la tragédie-lyrique, sorta di trasposizione in musica della tipica declamazione del teatro di P. Corneille e J. Racine. In Inghilterra H. Purcell tentò di introdurre un melodramma nazionale con Didone ed Enea (1689).
All’inizio del 18° sec., con A. Scarlatti e poi G.F. Haendel, si affermò uno schema detto ‘a numeri chiusi’, a causa della netta separazione tra i vari momenti musicali (arie e recitativi). Grande importanza avevano i cantanti, soprattutto i castrati, che univano potenza vocale e virtuosismo tecnico (epoca del ‘belcanto’). Per dare nuova vitalità all’o. seria, minata dal predominio dei cantanti e fiacca dal punto di vista drammatico, C.W. Gluck tentò una riforma, abolendo parzialmente i virtuosismi canori e affidandosi a libretti più coerenti scritti da R. de’ Calzabigi. Parallelamente all’o. seria nacque, a Napoli, e si sviluppò l’o. buffa, specie di melodramma basato su soggetti di matrice popolare che traeva origine dalla forma dell’intermezzo; l’esempio più famoso fu La serva padrona (1733) di G.B. Pergolesi. Da allora, l’o. buffa dominò in tutta Europa, grazie a compositori come N. Piccinni, G. Paisiello, D. Cimarosa, B. Galuppi.
Con W.A. Mozart il teatro d’o. ebbe uno dei suoi momenti più alti, anche se con schemi che erano ancora quelli dell’o. seria (Idomeneo, Re di Creta e La Clemenza di Tito) o dell’o. buffa italiana (Le nozze di Figaro, Così fan tutte, Don Giovanni, su libretto di L. Da Ponte), oppure del Singspiel tedesco (Il ratto dal serraglio e Il flauto magico). In Francia si andava sviluppando l’opéra-ballet, un teatro musicale autoctono ricco di recitativi liberi, cori e danze che fu praticato da numerosi compositori tra cui A. Campra e, soprattutto, J.-P. Rameau, le cui Les indes galantes (1735) rappresentano una delle massime espressioni del genere. L’arrivo a Parigi intorno al 1750 di alcune compagnie italiane scatenò la querelle des bouffons, la polemica cioè tra i sostenitori dell’o. francese e quelli che (con in testa J.-J. Rousseau) preferivano i ‘buffonisti’ italiani.
Dopo l’esperienza di L. Cherubini, G. Spontini e S. Mayr, nei primi anni del 19° secolo l’Italia vide il predominio di G. Rossini che, pur rifacendosi alla tradizione settecentesca del belcanto, la ampliò e la modificò con particolare inventiva (Il barbiere di Siviglia, Guglielmo Tell). Più giovani di lui, V. Bellini e G. Donizetti composero opere già orientate verso il gusto romantico per le storie tragiche incentrate su contrasti amorosi e politici. Nel panorama italiano irruppe quindi G. Verdi, che sviluppò un’o. vigorosa, ricca di tensioni drammatiche (Rigoletto, Trovatore, Traviata, Aida, Otello).
In Germania i compositori si avvicinarono a temi fantastici e fiabeschi, tratti da leggende o storie popolari: nacque così l’o. romantica (C. Maria von Weber, Il franco cacciatore, 1821). Da qui partì R. Wagner per creare il Wort-Ton Drama basato sull’unione profonda di parole e musica, che aboliva del tutto le forme chiuse, in modo che musica e canto potessero fluire senza interruzioni (melodia infinita) e tramite temi ricorrenti (Leitmotive).
In Francia, oltre alla presenza di musicisti italiani (Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi), si registrò la nascita di un teatro musicale nazionale, comprendente il grand-opéra (il cui principale esponente fu G. Meyerbeer; ➔ grand-opéra), l’opéra-comique (spettacolo misto con parti recitate e cantate che prende il nome dal teatro parigino deputato a ospitare commedie inframezzate da brani musicali), coltivato in particolare da D. Auber e A. Adam, e il nuovo genere dell’opéra-lyrique, inaugurato dal Faust (1859) di C. Gounod. Tra i grandi operisti francesi: H. Berlioz, C. Saint-Saëns, G. Bizet e J. Massenet.
Anche in altri paesi europei venne elaborata un’o. nazionale nella lingua locale: molto attive furono le scuole russa (M.I. Glinka, M.P. Musorgskij, A.P. Borodin, N.A. Rimskij Korsakov, P.I. Čajkovskij) e slava (B. Smetana, A. Dvořák, L. Janáček).
Oltre che dal filone verista (P. Mascagni, R. Leoncavallo e U. Giordano), il periodo tra 19° e 20° sec. fu caratterizzato dalla personalità di G. Puccini che creò un tipo d’o. di grande impatto con melodie attraenti, ma allo stesso tempo raffinata nella concezione drammatico-musicale. Tra le diverse tendenze estere: l’o. impressionista Pelléas et Melisande (1902) di C. Debussy, le prime sperimentazioni della musica atonale di Erwartung (1909) di A. Schönberg. Sulla scia di Wagner si pose il più rappresentativo compositore tedesco della prima metà del Novecento, R. Strauss.
Dopo gli anni 1920 la crisi del linguaggio musicale si è proiettata anche in ambito operistico. Alcuni compositori hanno raccolto la tradizione ottocentesca rielaborandola, altri l’hanno rifiutata cercando nuovi tipi di teatro musicale, altri ancora hanno recuperato, ma in senso polemico, la struttura a numeri chiusi, e così via. Terminato il periodo delle cosiddette avanguardie (tra gli anni 1950-70) che rifiutavano l’idea stessa di o., si è profilato un nuovo interesse per il teatro musicale, anche tradizionalmente inteso.
L’avvento della televisione, del computer, dell’elettronica e di nuovi modi di rapportarsi alla storia e alla vita culturale ha permesso a molti compositori di intrecciare il teatro musicale con altri tipi di spettacolo, creando così eventi musicali multimediali (che si avvalgono cioè di mezzi diversi), multilinguistici (uso di differenti linguaggi) e multiculturali (uso di diverse tradizioni culturali). Tra i maggiori operisti del Novecento: A. Berg, I. Stravinskij, A. Honegger, R. Strauss e P. Hindemith, I. Pizzetti, L. Berio, G. Manzoni, H. Pousseur, G. Menotti, S. Bussotti, L. Nono.
La teologia cattolica definisce o. buone le attività, sia di carattere spirituale (azione morale) sia pratiche, che, fatte in determinate condizioni di libertà e di grazia, sono degne di premio soprannaturale. Prima di arrivare a questo significato, l’espressione ne ebbe altri. Nel Vecchio Testamento indicò in un primo momento in genere la non violazione dei comandi di Dio; poi andò determinandosi verso un significato più positivo di osservanza delle leggi nei sacrifici, nella preghiera, nelle relazioni con il prossimo ecc. Contro un’accezione prevalentemente culturale e meccanica insorsero i Profeti a proclamare che davanti a Dio era o. buona non tanto il sacrificare animali o compiere altre pratiche di purificazione, quanto «soccorrere l’orfano, aiutare la vedova» (o. di carità). Contro ogni formalismo Gesù proclamò che l’o. da fare è «compiere la volontà del Padre», con un concetto nuovo di o. buona, non limitato agli atti del culto, ma esteso a tutti i momenti della vita. Questa concezione è dominante in tutta la letteratura neotestamentaria pur con sfumature diverse, accentuandosi ora l’importanza delle o., ora l’assoluta necessità della fede.
L’equilibrio tra fede e o. fu mantenuto dalla teologia cattolica, mentre la riforma luterana, insistendo sull’assoluta incapacità per l’uomo peccatore di compiere o. buone, negò al libero arbitrio ogni possibilità di compiere materialmente il bene.
O. fortificata Ogni apprestamento militare atto ad assicurare per lungo tempo, con poche forze, il possesso di un determinato punto del terreno. La denominazione ha assunto tuttavia un più preciso significato con l’evolversi (16° sec.) dell’arte fortificatoria, dalle antiche cinte murate con torri e cortine alle fortezze isolate a recinto continuo e tracciato poligonale bastionato, e specialmente con l’avvento (19° sec.) dei grandi campi trincerati, nei quali alle potenti o. fortificate (capisaldi) abbondantemente provviste di artiglieria era affidata la protezione degli intervalli. Tali o. furono dapprima in muratura e terra; all’inizio del 20° sec. subentrarono le o. in calcestruzzo e cupole corazzate in acciaio, soli materiali atti a resistere alla potenza distruttiva dei proiettili ad alto esplosivo. La loro evoluzione culminò, come frutto dell’esperienza della Prima guerra mondiale, negli enormi blocchi di calcestruzzo, affondati nel terreno per decine di metri e affioranti con potenti torri corazzate, capaci di assicurare vita autonoma per lungo tempo a un considerevole presidio, che costituirono la linea Maginot apprestata dalla Francia, poco prima della Seconda guerra mondiale, a difesa della sua frontiera orientale.