Musicista e compositore (Roma 1561 - Firenze 1633). Attivo presso la corte medicea, P. fece parte della Camerata fiorentina de' Bardi e ne condivise l'estetica del «recitar cantando» (stile al quale è fatta risalire l'origine del melodramma), che applicò dapprima nelle musiche per Dafne (1597), di cui ci sono pervenuti solo pochi frammenti, e poi nell'Euridice, eseguita nel 1600 con musiche composte da lui e da G. Caccini. La maggior ragione della rinomanza che circonda la figura di P. è determinata dalle musiche composte in stile monodico-accompagnato, e specialmente dalle monodie «rappresentative» di cui fu tra i primissimi cultori.
Studiò canto e composizione con M. Malvezzi, che facilitò il suo ingresso alla corte medicea, ove nel 1591 fu nominato «direttore della musica e dei musicisti»; entrato al servizio di Francesco I e poi di Ferdinando I, partecipò attivamente alla vita musicale di corte facendosi apprezzare sia come interprete sia come compositore. Buon polifonista, come attestano le sue composizioni a più voci, legò tuttavia la sua fama al nuovo stile monodico accompagnato e in particolare alle monodie «rappresentative», di cui P., con O. Rinuccini, I. Corsi e G. Caccini, fu tra i più tenaci e convinti assertori. Musicista tra i più attivi della Camerata de' Bardi fiorentina, nelle sue opere volle P. portare a compimento la realizzazione del nuovo stile recitativo non ornato (al quale è comunemente fatta risalire l'origine del melodramma), secondo una concezione scaturita dalla teorie e dai tentativi degli umanisti fiorentini del tempo, postisi in aperta polemica con la polifonia in favore del canto monodico. Tale concezione, fondata su un presupposto riaggancio al dramma greco, ricreato sulla base di una visione puramente idealizzata, sosteneva la necessità di realizzare un'intonazione musicale della parola. Il contrappunto era pertanto bandito e si affidava alla musica il compito di rafforzare l'espressione poetica mediante una stretta adesione all'efficacia propria dello stile recitativo espressa dal canto monodico. Si assiste pertanto, nelle composizioni di P., al progressivo emergere della monodia come arte dotta e allargata all'espressione drammatica e rappresentativa. Il primo esempio del nuovo stile è offerto dalla Dafne (1597), una favola pastorale su testo di O. Rinuccini, in gran parte andata perduta; ma è nell'Euridice, composta, ancora su testo di Rinuccini, per le nozze di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia ed eseguita a Firenze il 6 ott. 1600, che si ritrova la più compiuta realizzazione della nuova poetica. Sulle finalità di questo lavoro (il più antico melodramma giunto fino a noi) P. stesso lasciò precise indicazioni nella prefazione, affermando di aver tentato d'imitare col canto chi parla, «secondo un'armonia, che avanzando quella del parlare ordinario, scendesse tanto dalla melodia del cantare che pigliasse forma di cosa mezzana». Tra le numerose composizioni di P. si ricordano inoltre: Le varie musiche del Sig. J. P. a una, due e tre voci (1609), varie pagine polifoniche, altre opere in collaborazione, tra cui Arianna (1608, con C. Monteverdi), Guerra d'amore e di bellezza (1615), La precedenza delle dame e Barriera nell'Arena di Sparta (1625), Adone (1628), vari spettacoli scenici destinati alle corti di Mantova e Firenze, oltre a balli, tornei, intermezzi, madrigali e musiche sacre concertate a più cori, in gran parte non pervenuteci.