Musicista (Erasbach, Palatinato, 1714 - Vienna 1787). Figlio di un guardiacaccia di principi, visse in Boemia durante la prima infanzia. Fu poi, ragazzo, violinista e cantore in chiesa, finché il maestro di cappella a S. Giacomo di Praga, p. Bohuslav Černohorský, allora reduce dall'Italia, non lo iniziò a più serî studî. Fu poi mandato dal principe A. M. Melzi a Milano per perfezionarsi sotto la guida di G. B. Sammartini. Nel 1741 il G. esordì a Milano con un'opera, Artaserse, e nel 1742 fu applaudito a Venezia con la Cleonice e a Milano con il Demofoonte. La sua attività, abbastanza feconda, si sviluppò poi con altre opere da lui presentate tra il 1743 e il 1746 in Italia e in Inghilterra, dove studiò il recitativo e l'economia scenica di J.-Ph. Rameau e la possente, larga architettura di G. F. Händel. Egli rivelava di già, in quel tempo, la sufficiente sua preparazione tecnica, il fortissimo senso drammatico e la purezza dell'invenzione melodica. L'Ezio (1750) e La clemenza di Tito (1752) e forse un Telemacco (sic), risalente secondo A. Marx al 1750, secondo altri al 1765, ne sono le manifestazioni salienti per l'importante funzione che nella condotta dell'opera assumono i piani struttivi: l'uso che G. pratica del raggruppamento di più quadri in grandi blocchi cementati da vincoli tonali e formali, le rilevanti risorse dell'armonia e dello strumentale (elementi già visibili presso Händel e i migliori metastasiani), servono qui a una consapevole organicità di dramma musicale. Verso la fine di un periodo d'intensa produzione (opere italiane, francesi, balletti, ecc.), svolta a Vienna dal 1754 al 1764 circa, l'evoluzione dell'arte gluckiana giunse a una coerente affermazione, non soltanto estetica ma anche teorica, con Orfeo ed Euridice, rappresentata alla Hofburg di Vienna nell'ottobre 1762 con la coreografia di G. Angiolini. Il librettista, Ranieri de' Calzabigi, aveva collaborato con G. con piena coscienza di riformatore, sostituendo al tipo metastasiano, alternante valori poetici a valori musicali, un tipo più continuamente drammatico, totalmente alieno da di spersioni decorative ed extra-liriche. Nasceva così il primo esempio di quella che fu detta "riforma" gluckiana dell'opera. Il ritmo del dramma si risolve in un ritmo di architettura musicale, le cui membrature constano di quegli elementi (recitato, arioso, aria, cori, sinfonia) che i metastasiani usavano a scopi separati e momentanei. Architettura che, per essere organica e cioè vivente artisticamente, esigeva la vitalità e la fecondità lirica di ogni zona poetica. È qui il senso positivo della cosiddetta "soggezione della musica alla poesia" gluckiana, la quale finisce per risolversi proprio in totale riespressione della poesia nella musica. Seguirono a Orfeo ed Euridice varie altre opere, tra le quali primeggiano Alceste, Ifigenia in Aulide, Armida, Ifigenia in Tauride. L'Alceste, su testo del Calzabigi, applaudita a Vienna nel 1767 e alquanto discussa a Parigi in altra versione del 1776, mostra gli stessi procedimenti dell'Orfeo, ma sollevati a valori drammatici ben più interiorizzati e quindi a un'ispirazione musicale di gran lunga più severa e complessa. Nella prefazione si trova un vero "manifesto" della nuova poetica, che tra l'altro esigeva la rispondenza della sinfonia all'argomento e al tono del dramma, l'adesione più intima della musica alla poesia, il concorso dell'orchestra all'espressione, la semplicità anti-virtuosistica della scrittura e dell'interpretazione. L'Ifigenia in Aulide, rappresentata nel 1774 a Parigi (dove G. s'era trasferito dal 1769), seguiva gli stessi criterî, ma nell'ambito forse anche troppo vario di un libretto che F. Le Blanc du Roullet aveva tratto da Racine. Il dramma, con pagine di severa e grandiosa bellezza e altre un poco faticose, era nel suo insieme un'affermazione di tale potenza da sollevare l'entusiasmo. Ma dopo la nuova Alceste del 1776, le ostilità dei tradizionalisti (italianizzanti o fedeli a G. B. Lulli e a J.-Ph. Rameau) si levarono focose, generando una contesa, rimasta celebre, fra tradizionalisti (D'Alembert, F. M. Grimm, P.-L. Ginguené, J.-F. La Harpe, ecc.) e gluckisti (J.-J. Rousseau, F. Arnaud, ecc.). Ma G., sdegnoso, preferì rispondere con una Armida (su libretto di Ph. Quinault già musicato da Lulli), che egli dichiarò aver composto "in modo tale ch'essa non potesse invecchiare tanto presto", e che non concesse all'Académie nationale de musique (Opéra) se non a rigide condizioni, tra le quali il diritto a due mesi di prove. Questo capolavoro è infatti un dramma tutto interiore, svolto interamente nel complesso animo di Armida, cui intorno si stende come un velo magico trapunto di immaginose finzioni. La musica gluckiana, doviziosa di armonie e di timbri sottili di dolcissime volute melodiche, tutta pervasa da un senso arcano d'incantesimo, si condensa e si innerva nell'espressione di questa eroica (e romantica) figura, come doveva poi avvenire alla musica wagneriana al comparire di Isotta. Poco compresa nel 1777 a Parigi, l'interiorità di Armida è la virtù che impedisce a questa opera di invecchiare. Fu chiamato in Francia, per contrapporlo a G., il musicista italiano Niccolò Piccinni. Ne scaturì una nuova "querelle" ravvivata dal fatto che entrambi si cimentarono, a distanza di tempo ravvicinata, nella composizione di una Ifigenia in Tauride (1779). Rappresentata a Parigi nel 1779, l'Ifigenia in Tauride (su libretto di N. F. Guillard) fu accolta con entusiasmo, tanto da sconfiggere ogni critica avversa. Nella sublime purezza delle sue forme melodiche e architettoniche, era raggiunta la sintesi dello spirito musicale del tempo, ove le singole tradizioni nazionali si fondevano interamente. E quando G., nell'ottobre 1779, ritornò definitivamente a Vienna, nulla poteva più nuocere al suo nome. In tutto, egli aveva composto circa un centinaio di lavori teatrali, oltre sinfonie e ouvertures per opere italiane, 7 sonate per due violini e basso (1770), Odi e Lieder di F. G. Klopstock per canto e cembalo (1787) e un De profundis.