Arte di comporre azioni danzate in armonia con la musica. Al significato odierno di c. si giunse solo nel Settecento, quando si diffuse la figura del coreografo, annotatore e insieme compositore di danza.
Precedentemente con il termine c. s’intendeva soltanto la notazione della danza. Questa, già nel 15° sec., con i trattatisti (Domenico da Piacenza o da Ferrara, Antonio Cornazzano, Guglielmo Ebreo da Pesaro), era una pratica primaria per poter trasmettere la danza attraverso il tempo, evitando la precarietà di una trasmissione solo mnemonica da parte dei ballerini. Spetterà poi, nei secoli successivi, ai nuovi trattatisti (F. Caroso, C. Negri, tra Cinquecento e Seicento) perfezionare, con opere fondamentali per la storia della danza, le possibilità di trascrivere i balletti: fra i risultati del tempo va ricordata la Orchésographie (1588), sistema di scrivere o annotare la danza mediante segni convenzionali ideato da Thoinot Arbeau (Digione 1519 - Langres 1595). Sempre nell’ambito della scrittura di danza, il termine c. è usato, nel 18° e 19° sec., da parte di eminenti studiosi come Raoul-Auger Feuillet (n. 1675 - m. 1710), che scrisse La chorégraphie ou l’art de décrire la danse par caractères, figures et signes démonstratifs (Parigi 1700), e, molto più tardi, A. Saint-Léon, autore della Sténochorégraphie (1852), un metodo che sovrapponeva al rigo musicale una riga con i segni dei passi dei ballerini. Sistemi analoghi si trovano sul finire del 19° sec. (F.A. Zorn, 1887, V. Stepanov, 1891). Nel Novecento R. Laban von Varalja doveva concepire la Labanotation, sistema di scrittura simbolica, adottato anche negli Stati Uniti. In Gran Bretagna è stato usato il metodo Benesh (specie di pentagramma con figure dei movimenti dei ballerini) creato da Rudolf e Joan Benesh. Per un certo periodo di tempo l’Accademia nazionale di danza di Roma ha adottato un metodo di scrittura ideato da J. Ruskaja, l’orchesticografia.
Ciò che oggi si intende per c. è una vera e propria partitura di passi, di movimenti e di figure appoggiati a una più o meno equivalente partitura musicale o ritmica. Talvolta una c. si può anche svolgere nel silenzio, senza supporti sonori, o essere avvolta da fonti sonore indipendenti (musica concreta ed elettronica). Particolarmente nel Novecento, alcuni capolavori della musica sono partiture per balletto, così si hanno drammi coreografici inscindibili dalla loro matrice musicale: L’uccello di fuoco, Petruška, La sagra della primavera, Agon di I. Stravinskij, Daphnis et Chloé di M. Ravel, Jeux di C. Debussy, Il mandarino meraviglioso di B. Bartók, Romeo e Giulietta di S. Prokofev ecc. In altre c. domina l’idea creativa del coreografo e quindi l’autonomia del linguaggio danzato, senza una stretta dipendenza dalla musica: Ballata senza musica di A. Milloss (1950), Moves di J. Robbins (1959) e molti lavori di M. Cunningham per la modern dance e di M. Béjart nel balletto contemporaneo.
Delle molte c. create nel corso dei secoli, la maggior parte non è pervenuta. Non si sono conservati i balletti di J.-G. Noverre (esistono solo i titoli, i libretti e le date di rappresentazione) né le c. di G. Angiolini e F. Hilverding, suoi contemporanei e antagonisti. Non si possiedono neanche i testi delle opere coreografiche (in generale indicate come coreodrammi) di S. Viganò, massimo dei coreografi agli inizi del 19° secolo. Di altre c. non vi sono che i titoli e le notizie delle varie rappresentazioni, oltre, s’intende, i nomi dei coreografi. Tra i testi conservati, nonostante i numerosi rimaneggiamenti, va ricordato invece il balletto di J. Dauberval, divenuto celebre con il titolo (adottato nel 1791) La fille mal gardée (1789), mentre il più antico balletto pervenuto è I capricci di Cupido e del maestro di ballo (1786) di Vincenzo Galeotti (Firenze 1733 - Copenaghen 1816), che gettò le basi della scuola coreografica danese, il cui massimo rappresentante fu A. Bournonville.