Rappresentazione grafica dei suoni e del vario comporsi di essi in discorso musicale. Le principali maniere con le quali, nelle diverse epoche della storia, si è provveduto a tale rappresentazione sono state: la n. alfabetica, la n. a segni convenzionali e la n. numerale.
Come indica il nome, si giova delle lettere dell’alfabeto, cui si fanno corrispondere i suoni della scala (tab.). È la più antica e si trova, in diverse sistemazioni, nelle civiltà orientali (Cina, India) e classiche (Grecia, Roma). Presso i Greci si usava l’alfabeto eolico-dorico per la n. strumentale e l’alfabeto ionico per la n. vocale; la ritmica era indicata con segni appositi sopra le varie lettere. La n. ellenica fu usata anche a Roma fino agli inizi del Medioevo. Se ne trovano poi derivazioni varie, qua e là affioranti nonostante la diffusione dei sistemi convenzionali. Così la n. di Oddone di Cluny (10° sec.), che usò l’alfabeto latino, applicandolo, in ordine, alla scala ascendente di la: nell’ottava più bassa le lettere sono maiuscole, in quella superiore sono minuscole, nell’acuta sono minuscole e raddoppiate; inoltre queste due ottave superiori distinguono, per esigenze pratiche, il si bemolle (b) dal si naturale (b quadrato).
Dopo l’affermarsi della n. guidoniana, la n. alfabetica, più o meno perfezionata, rimase in uso nella teoretica (per chiarire alcune oscurità dei neumi o per didascalie) e nella musica strumentale (intavolature, usate ancora nel 17° sec.). È ancora usata nei paesi anglosassoni e di lingua tedesca.
Forme di n. a segni convenzionali si dovettero avere fin dai primi tempi della civiltà cristiana, modificandosi gli accenti greci (acuto, grave, circonflesso) in simboli di altezza di suono. Questi simboli, detti neumi (greco νεῦμα «segno»), ignoti a Isidoro di Siviglia, giungono a forme a noi note soltanto nel 9° secolo. In quel secolo i neumi indicano non proprio l’altezza determinata dei suoni, ma soltanto l’elevarsi o il discendere della voce, servendo quindi come richiamo mnemonico per chi già conosce la melodia. Per l’ascesa troviamo la cosiddetta virga, per la discesa il punctum, per gruppi di ascese e discese neumi collegati in vari disegni (clivis, podatus, scandicus, climacus, torculus, porrectus ecc.). Tutti questi neumi sono scritti o alla stessa altezza o ad altezza diversa. Nel primo caso l’intonazione doveva essere suggerita dalla forma data al neuma e, probabilmente, dalla mimica del maestro del coro (donde il nome di n. chironomica o oratoria); nel secondo caso l’intonazione era suggerita con maggiore approssimazione dal rapporto fra le altezze dei vari neumi successivi (n. diastematica). La chironomica ebbe diffusione soprattutto in Svizzera e in Germania, mentre in Italia si preferì la diastematica. Ambedue fiorirono dal 9° al 12° sec., ma già nel 10° sec. la diastematica si era trasformata, raggiungendo maggiore precisione nell’indicazione dell’altezza delle note mediante il rigo.
Il rigo consta dapprima di una, poi (quasi subito) di due o più linee rette parallele, sulle quali sono situati i neumi di un dato valore di altezza, indicato da lettere poste all’inizio delle linee: se la lettera è F, tutti i neumi collocati sulla linea designeranno dei fa, se è C designeranno dei do ecc. (da queste lettere derivano le nostre chiavi). Le note collocate fuori del rigo saranno calcolate, con approssimazione, dalla distanza che le separa da esso; il loro numero diminuisce, d’altra parte, quante più linee comprende il rigo. Con Guido d’Arezzo (n. guidoniana), il rigo – a 4 linee (tetragramma) rese ancor meglio distinguibili dalla tinta diversa (gialla la linea del fa, rossa quella del do, nere le altre due) – accoglie i neumi sulle linee e negli intervalli tra di esse, determinando così con esattezza 7 note, più le due scritte immediatamente sopra e sotto il rigo. L’ambito melodico del tempo non chiedeva di più. La scrittura dei neumi si adegua però alla nuova posizione: per essere chiaramente distinguibile entro il rigo, ingrandisce (già nell’11° sec.) la parte che deve incidere sulla linea o sull’interlinea, in forme più appariscenti, ma meno diversificate di quanto fossero prima dell’introduzione del rigo, quando cioè i valori di altezza dei suoni erano indicati unicamente dalla diversità delle forme stesse.
Per ulteriore evoluzione in tal senso, si arriva nel 13° sec. alla n. quadrata. Il segno della nota diviene quadrangolare e solo nei gruppi di note si collega con altri quadrangoli mediante segmenti di unione. Per corrispondere alle esigenze della polifonia (che concerta più voci insieme e deve quindi fissare nettamente i valori di durata delle note in ognuna di esse) il quadrangolo a sua volta (12° sec.) ritorna a forme diverse: quadrati caudati per le durate lunghe (longa), non caudati per le brevi (brevis, equivalente alla metà o a un terzo della longa), cui ben presto si aggiungono prima il rombo della semibrevis, poi il rettangolo caudato della duplex longa. Vicino a queste figure tipiche rimangono le figure complesse di gruppi, dette legature. Con l’aggiunta delle figure di minima (13° sec.) e di semiminima (14° sec.), si completa la serie delle principali figurazioni medievali, che non mutano sensibilmente fino agli inizi del 16° sec., benché se ne complichi l’uso e se ne condizionino i valori di durata, mediante segni di ‘proporzione’, diretti a sistemare i ritmi e a regolarne i rapporti (n. proporzionale). Le complicazioni di scrittura scompaiono nel corso del 16° sec. con lo scomparire degli artifici polifonici fiamminghi e con l’avviarsi della musica alla semplicità della monodia. Spariscono allora, poco per volta, le pesanti legature, le note di lungo valore, i segni delle proporzioni. Trionfano le piccole durate della minima, della semiminima, della croma, mentre appare la semicroma. Si profila già talvolta la stanghetta di misura della battuta.
Il sistema della n. moderna sorge in tal modo rapidamente, agli albori del 17° secolo. Esso si perfeziona poi nel 18° sec. con l’adozione delle figure tonde in luogo delle figure quadrate.
Per la n. attuale ➔ pentagramma.
Questa n. è soltanto strumentale e viene usata principalmente per strumenti a corda, nei quali a ogni tasto si fa corrispondere un numero. Si può far risalire al 14° sec. ed è largamente usata nel 15°, 16° e 17° sec. nelle intavolature di liuto, chitarra e affini, mista o no con elementi di notazione alfabetica e convenzionale. Dopo la decadenza delle intavolature, è rimasta soltanto come sussidio mnemonico per dilettanti di mandolino, banjo e altri strumenti a corda.