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danza

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Insieme ritmico di movimenti successivi, di una parte o di tutto il corpo, eseguiti secondo uno schema individuale o un’azione concertata nel complesso; in genere è associata a un testo musicale ma talvolta è priva di accompagnamento musicale e appoggiata a un ritmo che è quello della d. stessa.

La d. come espressione presso i popoli di interesse etnologico

Presso i popoli di interesse etnologico, la d. accompagna le manifestazioni più varie della vita sociale, coinvolgendo nella sua esecuzione singoli individui o interi gruppi e assumendo forme tra loro diversissime. Si va dall’esecuzione di frenetici movimenti che interessano tutte le parti del corpo, come nelle d. guerresche dei Maori, alla ripetizione di piccoli gesti accennati con testa, mani e piedi, fino alle d. sedute dei Polinesiani. La d. è di solito un fatto pubblico, cui partecipano, in veste di attori o di semplici spettatori, tutti i membri del gruppo, l’unità del quale essa contribuisce ad affermare e rinsaldare. Non di rado la d. accompagna lo svolgimento di riti di passaggio (pubertà, iniziazione, matrimonio, morte), nei quali mira a sancire, attraverso la prestazione rituale collettiva, il passaggio di status degli interessati. Nel corso delle cerimonie religiose la d. può di volta in volta rivestire il carattere di rappresentazione di eventi mitici, imitazione di atti sacrificali, espressione di devozione e di preghiera ecc. In tali circostanze è frequente che venga eseguita da gruppi specializzati e si accompagni all’impiego di particolari strumenti, vesti e acconciature, pitture corporali, maschere e travestimenti. Nelle d. a carattere magico, ancor più che in quelle a sfondo religioso, fondamentale importanza assume inoltre l’esatta esecuzione dei gesti e delle figure prescritti dalla tradizione, tanto che un’infrazione alla norma può irrimediabilmente compromettere l’esito prefisso. Tra i popoli cacciatori spesso si eseguono d. in cui vengono mimati i movimenti della selvaggina e le fasi della battuta di caccia. Le d. guerresche infondono nei danzatori uno stato di esaltazione che ne accresce la solidarietà interna e l’aggressività verso i nemici. Famosa a tal proposito è la d. degli spettri (ghost dance), nata alla fine del 19° sec. tra gli Indiani delle Pianure, che si credeva potesse riportare in vita i guerrieri uccisi e rendere invulnerabili quelli che la eseguivano.

Storia della d. in Occidente

Antichità. Tra i Greci e i Romani restano tracce del valore sacrale e magico che la d. ha presso i popoli primitivi. All’età eroica i Greci facevano risalire l’origine delle d. cicliche e delle pirriche. Le prime erano balli a girotondo in cui i danzatori o le danzatrici si tenevano uniti in vario modo: inventore di tale genere di d. sarebbe stato Teseo. L’accompagnamento musicale era citaristico. Le d. pirriche o guerresche, il cui nome si collegava con quello di Pirro figlio di Achille che per primo le avrebbe praticate, si distinguevano dalle cicliche per il loro carattere vivace e aggressivo e per essere in origine una d. individuale: più spesso però prendevano parte al ballo più coppie che eseguivano le stesse figure. La d. ebbe un posto di rilievo nella lirica e nella tragedia. Le d. della composizione lirica erano la pirrica, marcia vivace, la gimnopedica, dignitosa e grave, usata nei cori di fanciulli, l’iporchematica, allegra e sbrigliata. Le d. della composizione drammatica erano invece distinte in tragiche, satiresche, comiche. Oltre a queste vi furono altre particolari d., tra cui quelle che si usa definire bacchiche, proprie dei culti misterici. La musica di queste come delle altre d. di teatro e di ditirambo era quasi sempre auletica, con o senza il concorso di strumenti a percussione o a corda.

Presso i Romani, popolo guerriero, le d. sono di armati: caratteristica è la d. dei Salii i quali danzando percuotevano i sacri ancili con delle aste, uso analogo a quello cretese dei coribanti. In tempi storici, le altre d. risentono dell’influenza greca e anche nel teatro comico l’abbandono dei tipi italici per le ricostruzioni di ambiente greco portò all’imitazione delle d. greche. Anche il mimo negli ultimi tempi repubblicani e in età imperiale si allontanò dalla tradizione italica e fu eseguito da un solo attore che rappresentava con la d. i momenti salienti della vicenda. Dal mimo si giunse al pantomimo, in cui accanto all’attore principale vi erano altri esecutori che eseguivano d. variate, individuali e collettive. Questo genere teatrale ebbe gran voga nei primi tre secoli dell’Impero finché per influenza del cristianesimo rapidamente decadde.

Medioevo ed età moderna. Le d. popolari del Medioevo non sono disgiunte da quelle dell’antichità, anche se le incertezze circa la loro esecuzione (che indubbiamente era fondata sulla mimica e i cui movimenti erano regolati dalle parole delle canzoni) non permettono di risalire per tutte al ritmo dei canti popolari romani. Tuttavia è certo che a partire dal 13°-14° sec. la d. iniziò a perdere le sue caratteristiche rituali per assumere a nuovo canone l’estetica e in base a essa regolò il proprio sviluppo: diede origine insomma al balletto (➔). La storia della d. infatti fu da quel momento intrecciata spesso con quella del balletto. Le cinque posizioni del balletto classico (fig. 1), le sue figure, i suoi passi, tutto quel patrimonio plastico fatto di attitudes, arabesques (fig. 2), petits e grands jetés, entrechats, pas de bourrée e de basques, trasmessi attraverso i minuetti e tutte le altre d. di corte, non sono che le estetizzazioni delle d. medievali sia cittadine sia campagnole. Tanto che già nel 18° sec., J.-G. Noverre, il primo grande teorico della d., reagiva contro l’astratto virtuosismo della scuola dell’Opéra di Parigi e affermava la validità della pantomima, tornando quindi al valore mimico ed espressivo della d., in opposizione al diffuso e vano decorativismo delle figure e delle composizioni, che era tipico della sua epoca. Il decennio aureo del balletto romantico (1830-40), dal canto suo, portava in tutta la d. il gusto per l’estetismo angelicato, per la tecnica classica come sintesi di forme astratte, per il decorativismo dei romantici ballets blancs.

Nuovi valori si prepararono alla fine del 19° sec. con la rivolta di I. Duncan contro ogni forma di costrizione classica. La Duncan annullava nel movimento melodico del corpo la staticità dei ‘passi’ e degli atteggiamenti, tipica del balletto classico. Alla ricerca di una liberazione totale dalla costrizione e dagli artifici, la Duncan danzava a piedi nudi, eliminava gli ingombri del costume e creava i presupposti per un’innovazione globale. In Russia nacque la nuova ribellione: a M. Petipa si oppose M. Fokin; al tecnicismo perfetto e astratto della scuola imperiale, la rivoluzione teorica che portò in Europa la leggenda dei Ballets Russes di S. Djagilev, sulla scia dei quali nacquero nuove correnti, come quella del balletto concertante di G. Balanchine, basato sulla d. pura, svincolata da ogni presupposto pantomimico.

Nella più grande varietà di modi e forme, la d. moderna si è venuta sviluppando in America dove il grande insegnamento della scuola russa si è diffuso per merito soprattutto di Balanchine. Peraltro la fecondità della American modern dance sta nelle sue stesse origini, le quali vanno ravvisate nell’incontro felice di tre elementi eterogenei: la grande lezione di I. Duncan, l’influenza teorica della scuola espressionistica della Mitteleuropa e infine, e soprattutto, il sottosuolo etnico e spirituale della civiltà americana (l’eredità del folclore indiano, nero, quacchero, con le sue manifestazioni religiose e magiche, che la d. americana accoglie e approfondisce, anziché travisarle e soffocarle in un’estetica sterile).

In Europa, in particolar modo in Germania, la lezione di libertà della Duncan si innestò sulle tendenze intellettualistiche della scuola di R. von Laban e agì quindi decisamente sulla sua grande allieva, M. Wigman, la quale filtrò i temi dell’espressionismo tedesco secondo una linea formale e sostanziale di grande vigore espressivo. Da questo filone, che include anche K. Jooss, discesero, variando tematiche e poetiche, molti artisti che dominarono la scena della d. libera nella prima metà del 20° secolo. Tra questi si ricordano H. Kreutzberg, G. Wiesenthal e le sue sorelle, A. e C. Sacharoff, R. Saint Denis e T. Shawn, fondatori della Denishawn School. La scuola fondata a Essen da K. Jooss ha dato importanti sviluppi, a partire da J. Cébron, fino a P. Bausch, fondatrice del Tanztheater Wuppertal e creatrice del teatrodanza, un tipo di espressione teatrale che raccoglie vari generi come il canto, la recitazione, la d., senza separarli in prevedibili esibizionismi ma fondendoli. In questo teatro non si può più parlare di d., secondo il concetto comune tradizionale, bensì di una gestualità e di un movimento di attori-danzatori, con un prosciugamento quasi totale di ogni elemento che possa suggerire la predisposizione di una vera e propria tessitura coreografica secondo i noti canoni. Se la Bausch è considerata la principale esponente tedesca del teatrodanza, c’è anche un movimento che, partendo dalla Bausch, si configura come un neoespressionismo che scarta le regole del teatrodanza per liberarsi in assoli di disperata drammaticità legata a situazioni contingenti dell’uomo moderno (S. Linke).

Non meno ricca di esiti artistici è stata l’evoluzione della modern dance americana a partire dalla già nominata Denishawn School, dalle teorie di M. Graham, realizzatrice di un teatro di d. rituale-religioso, alle altre tendenze rappresentate da C. Weidman, D. Humphrey e J. Limón. Da questi pionieri sono discesi i grandi maestri e coreografi della d. contemporanea statunitense: A. Nikolais, M. Cunningham, M. Louis, P. Taylor, T. Tharp, A. Ailey, fondatore (1958) dell’Alvin Ailey American Dance Theatre (una delle maggiori compagnie americane) e autore di creazioni entrate nel repertorio come Revelations (1960) o Cry (1971). S. Paxton, sperimentatore di una tecnica detta contact-improvisation nella quale si fa avanti una più stretta interazione con un contatto fisico tra i partners, L. Childs e M. Monk, antesignana dell’avanguardia americana, sono i rappresentanti più significativi della post-modern dance. Per gli ultimi sviluppi del teatro di d. ➔ balletto.

Per la d. macabra in arte ➔ morte.

Medicina

D. delle arterie Segno clinico d’insufficienza delle valvole aortiche rappresentato da un’abnorme vivacità delle arterie visibili: temporali, carotidi, pedidie ecc.

D. ilare Segno radioscopico caratteristico dell’arteriosclerosi dell’arteria polmonare, costituito da una esagerata pulsatilità dell’arco medio del profilo sinistro del cuore; tale arco è formato dal cono arterioso e dal tronco dell’arteria polmonare.

Vedi anche
balletto Rappresentazione di un’azione scenica mista di danza e di pantomima, accompagnata dalla musica, in taluni casi anche dal canto e dalla recitazione, e condotta su uno schema precostituito di movimenti, figurazioni e gesti ( coreografia). 1. Dalle origini al Settecento Fin dai tempi più remoti, danza ... George Balanchine Balanchine ‹balãšìn› (russo Balanšin), George. - Nome d'arte del ballerino e coreografo Georgij Melitonovič Balančivadze (Pietroburgo 1904 - New York 1983), naturalizzato statunitense nel 1939. Creatore di genio, Balanchine, George è stato una delle massime personalità del balletto contemporaneo. Dotato ... Petipa ‹pëtipà›. - Famiglia di ballerini e coreografi del sec. 19º. Lucien (Marsiglia 1815 - Versailles 1898) studiò con il padre Jean Antoine (Parigi 1796 - Pietroburgo 1855) ed esordì all'Opéra di Parigi nel 1839, divenendo uno dei più grandi ballerini del suo tempo. Creò il ruolo di Albrecht in Giselle (1841) ... Martha Graham Danzatrice e coreografa statunitense (Pittsburgh, Pennsylvania, 1893 - New York 1991); fondatrice (1930) del Dance Repertory Theatre di New York. Fra gli iniziatori della modern dance, parte da una scala minima di movimenti da lei individuati come le prime elementari reazioni emotive per creare una tecnica ...
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Vocabolario
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