Particolare forma di commedia basata sulla rappresentazione realistica e buffonesca della vita, sviluppatasi come genere teatrale e letterario, in versi e in prosa, presso gli antichi Greci e Romani. Al genere mimico appartengono le farse popolari spartane dei deikelìktai, quelle dei fallofori a Sicione e dei fliaci nella Magna Grecia. Il m. poi si sviluppa, con intreccio sia pure rudimentale, in m. prosastico o realistico e in m. lirico. Sofrone per primo nella seconda metà del 5° sec. a.C. rielaborò letterariamente in prosa ritmica la forma popolare del m. dei Dori di Sicilia; e fu autore di m. anche il figlio Senarco, Teocrito (l’idillio II, Le incantatrici; il XIV, L’amore di Cinisca; il XV, Le Siracusane), ed Eroda. Nel m. lirico, invece, gli attori cantando imitavano i citaredi o flautisti e i cantori di ditirambi e, secondo il carattere dell’azione scenica, i travestimenti musicali del m. furono distinti in ilarodia, di carattere prevalentemente sentimentale, e magodia, di intonazione comica, grottesca e con oscenità.
Forme mimico-popolaresche si ebbero in Roma con il culto della Magna Mater (Cibele) nelle feste Megalesie. Il m. si sostituì all’atellana in decadenza; gli attori, di cui si ha notizia dai tempi di Silla, si chiamavano planipedes, perché senza calzari. I m. erano piccole scene comiche spesso scurrili; vi potevano prender parte le donne (e famose furono la mima Arbuscula ai tempi di Cicerone, e Citeride, amante di Marco Antonio). Il m. ebbe dignità letteraria al tempo di Cesare per opera di Decimo Laberio e di Publilio Siro; durante l’Impero trionfò sugli altri generi comici. Molti componimenti medievali provano che nel Medioevo sopravvivessero certe forme di comicità realistica e spicciola simili a quelle del m. classico.
In Italia probabilmente un minuscolo m., recitato a due voci, è il Contrasto di Cielo d’Alcamo; e motivi dell’antico m. (per es. il lamento degli amanti abbandonati) tornano frequenti nei più antichi verseggiatori. La persistenza di motivi mimici concorre inoltre a spiegare alcuni caratteri di un filone di poesia popolareggiante-giocosa, che ha il massimo rappresentante in Cecco Angiolieri.
Nel teatro, spettacolo nel quale si rinuncia all’espressione verbale e si affida al gesto e alla mimica la rappresentazione di stati d’animo, sentimenti, azioni.
Nei sec. 15° e 16° si diffuse in tutta Europa il genere della pantomima, vera narrazione senza parole.
Il m. ha assunto grande importanza dagli anni 1930, soprattutto in Francia. Sulla scorta dell’insegnamento di É.-M. Decroux e sotto l’influenza delle idee di J. Copeau e G. Craig, il m. si è basato sull’autonomia espressiva del gesto, non più surrogato della parola. Da queste premesse prese l’avvio l’esperienza di J.-L. Barrault che dal m. passò a una sorta di teatro totale. Con M. Marceau si chiuse la fase sperimentale del m. moderno. Per J. Lecoq il m. è una tecnica espressiva funzionale all’arte teatrale. Nei decenni successivi, accanto a forme più tradizionali, il m. è diventato più coreografico (L. Kemp) o astrattamente oggettivo (gruppo dei Mummenschanz). Di notevole rilevanza l’apporto che il m. ha fornito al cinema, attraverso l’opera di attori quali C. Chaplin, B. Keaton, J. Tati.