Stato dell’Europa meridionale, comprendente la parte inferiore della Penisola Balcanica, gli arcipelaghi delle Ionie e dell’Egeo e l’isola di Creta. Confina a NO con l’Albania, a N con Repubblica della Macedonia del Nord e Bulgaria e a E con la Turchia; è bagnata a O dal Mar Ionio, a E dall’Egeo. L’insieme delle isole occupa 1/5 dell’intera superficie.
Il nome lat. Graecia fu usato soltanto dai Romani; i Greci usavano (e usano tuttora) il termine ῾Ελλάς «Ellade» e, come etnico, ῞Ελληνες «Elleni». Ciò dipende, secondo alcuni, dal fatto che i Romani vennero a contatto con il mondo greco dapprima attraverso le popolazioni epirotiche che si chiamavano con il nome locale Γραικοί; secondo altri, invece, il nome sarebbe da mettere in rapporto con quello degli abitanti di una città dell’Eubea o della Beozia, di nome Grea, che avrebbero preso parte alla colonizzazione in Italia. I Romani chiamarono Graeci tutti gli Elleni e tale nome si affermò nella cultura occidentale.
La G., come gli altri Stati della regione balcanica, non rappresenta un’unità geografica omogenea, ma un insieme di unità regionali minori, sia pure non molto differenziate. Per la presenza di numerose di isole e per la spiccata peninsularità della parte continentale, si tratta di un paese eminentemente marittimo. Le coste sono assai frastagliate e acquistano perciò uno sviluppo lineare notevolissimo. La costa ionica è irregolare, con profonde insenature (Golfo di Corinto), pianure costiere (intorno al Golfo di Árta) e lagune (Missolungi). Le coste orientali, prospicienti il Mar Egeo, rocciose e dirupate, presentano, escludendo la Penisola Calcidica, un andamento piuttosto regolare. Dal Golfo di Volo, attraverso il canale di Tríkeri, si sviluppa tra l’Eubea e la terraferma un vero e proprio mare interno, che costituisce un’ottima via di comunicazione fra la G. settentrionale e la meridionale; via che continua verso occidente attraverso il Golfo Saronico e l’istmo di Corinto, tagliato dal canale omonimo che mette in più diretta comunicazione i mari Egeo e Ionio.
La morfologia trova una sorta di ‘nodo’ nel massiccio del Pindo (2637 m), da cui si dipartono a E due contrafforti che delimitano il bacino della Tessaglia; quello settentrionale culmina nel Monte Olimpo, il più alto (2917 m) di tutto il paese. Una terza propaggine, verso SE, culmina nel Monte Eta (2152 m) e digrada verso il Golfo di Lamia; dal massiccio dell’Eta si protendono verso S altri rilievi, quali il Parnaso e l’Elicona affaccianti sul Golfo di Corinto. Questi rilievi e quelli più meridionali del Citerone e del Parnete racchiudono un’altra tipica unità regionale divisa in più bacini, la Beozia, e delimitano a N l’Attica. Nel Peloponneso il Pindo prosegue nei monti dell’Acaia e dell’Arcadia; dai massicci centrali si protendono infine i contrafforti che formano le quattro grandi penisole in cui si articola il Peloponneso a mezzogiorno. In prossimità dello Ionio si estende una fascia calcarea dalla morfologia tipicamente carsica, che forma i rilievi costieri dell’Acarnania e dell’Etolia, e si continua, a NO, nei nudi altipiani calcarei dell’Epiro.
Nella sezione insulare notevoli i monti di Creta (prosecuzione del ripiegamento alpino; Monte Ida, 2456 m), dell’Eubea (1743 m), di Cefalonia (1620 m). Si distinguono i gruppi delle isole Ionie a O; nell’Egeo le Sporadi e le Cicladi, rispettivamente a N e a S dell’Eubea; le Sporadi Meridionali e il Dodecaneso presso la costa dell’Anatolia.
Nella Macedonia si trovano estese pianure alluvionali percorse dai fiumi Mesta, Struma, Vardar, Mariza. Nel Golfo di Salonicco sfociano l’Aliakmon (312 km), il principale per lunghezza di corso, e il Peneo (216 km). Frequenti, lungo la costa ionica, i depositi alluvionali, gli apparati deltizi e le formazioni lagunari, assenti lungo la costa egea. L’estensione dei terreni calcarei e dei fenomeni carsici, soprattutto nell’Attica e nella regione intorno ad Atene, favorisce lo sviluppo di una rete idrografica sotterranea, e la presenza di alcuni laghi temporanei.
Le differenze regionali sono evidenti anche nelle condizioni climatiche. La G. è un paese a clima tipicamente mediterraneo, con inverni miti e piovosi ed estati calde e asciutte, ma la grande catena del Pindo determina una netta differenziazione climatica fra il versante O della penisola e quello orientale (inverni freddi e scarsi di precipitazioni, caratterizzati da un’atmosfera secca e serena). Le precipitazioni si aggirano sui 400 mm annui. A occidente le medie termiche annue sono leggermente più elevate e abbondanti le precipitazioni, distribuite essenzialmente durante l’inverno. La presenza del rilievo crea nell’interno (specie lungo la catena del Pindo) una terza zona a clima nettamente alpino.
La vegetazione è molto varia in rapporto alla natura del suolo e alle differenze climatiche. Si possono distinguere tre regioni, una inferiore, una montano-subalpina e una alpina: la prima, comprendente il litorale, le grandi pianure e la maggior parte delle isole, presenta la formazione dei frutici bassi o frigana e la macchia, che si spinge anche fino a 1000 m d’altezza. La seconda regione, da 1000 a 1800 m, è occupata da boschi di latifoglie, associati spesso ad alberi sempreverdi, come il leccio e la quercia spinosa. La regione alpina va da 1500-1800 m fino alle più alte vette: nel livello inferiore crescono ginepri e abeti e al disopra vi sono prati e pascoli, nei quali abbondano specie erbacee endemiche, miste a piante delle Alpi e dell’Europa centrale.
La fauna ha carattere mediterraneo e appartiene zoogeograficamente alla sotto-regione mediterranea della regione paleartica. Tra i Mammiferi, i Carnivori sono rappresentati dallo sciacallo, dal lupo, dalla volpe, dall’orso bruno, dal gatto selvatico, da varie martore; gli Insettivori dal riccio, dalla talpa cieca, da varie specie di toporagni; i Roditori da scoiattoli, da topi, dalla lepre e dall’istrice. Fra gli Uccelli figurano il pellicano, l’aquila del Bonelli, il gufo nano, e molti uccelli nordici migranti, che d’inverno stabiliscono in G. i loro quartieri.
La popolazione del paese è, sotto il profilo etnico, notevolmente omogenea, pur avendo subito, al proprio interno, una lunga e complessa serie di modificazioni. L’ultima di queste risale al periodo della guerra greco-turca (1921-23), che fu seguito da uno scambio di popolazioni per cui oltre 1.200.000 Greci dell’Asia Minore furono accolti entro le frontiere greche, mentre 600.000 fra Turchi e Bulgari musulmani lasciarono il paese. Questa vicenda diede l’avvio in Macedonia e in Tracia, dove furono prevalentemente sistemati i profughi, ad alcuni provvedimenti di riforma che riguardarono l’assetto tradizionale della proprietà fondiaria e interventi di valorizzazione in senso produttivo del suolo agricolo. La popolazione vive in genere accentrata, sia pure in nuclei di piccola entità; il villaggio è il centro caratteristico delle campagne e delle zone montuose. Una concentrazione di abitanti e mezzi di produzione si è verificata lungo l’asse mediano che unisce fra loro le due principali città del paese, Atene e Salonicco, anche se, nel paese, l’urbanesimo si è manifestato come fenomeno piuttosto recente, strettamente legato alle vicende che seguirono la conquista dell’indipendenza. Il rallentamento della dinamica naturale (la natalità al 9,6‰ è scesa a valori di poco inferiori a quelli della mortalità) ha reso modesto il flusso migratorio verso l’estero, che peraltro da tempo è pareggiato o sopravanzato dai rientri e dall’immigrazione. Vivaci invece i movimenti interni, per effetto dei quali le regioni meno favorite, come la Macedonia occidentale, il Peloponneso e alcune delle isole minori, perdono popolazione a vantaggio delle zone più dinamiche e più urbanizzate; tuttavia, la popolazione urbana è attestata sul 61% (2008), valore modesto per un paese europeo. La vasta agglomerazione della Grande Atene mantiene saldamente la sua quota di popolazione complessiva intorno al 30% del totale nazionale, mentre Salonicco (secondo agglomerato e massimo porto del paese), Patrasso, Volo e Lárissa, le sole altre città che superino i 100.000 ab., hanno visto crescere le rispettive aree urbane.
La religione praticata dalla grande maggioranza è la greco-ortodossa (91,8%).
L’economia greca, tradizionalmente povera e dotata, in generale, di strutture scarse e di livello antiquato, ha manifestato solo a partire dal 1950 circa una consistente tendenza allo sviluppo e a una progressiva modernizzazione: questo è stato possibile grazie all’aiuto di altri paesi, fra i quali soprattutto gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania. Tra il 1962 e il 1967 si ebbero notevoli miglioramenti nell’agricoltura e nell’industria; ma specialmente a partire dal 1974, dopo il periodo della dittatura, si incrementarono gli sforzi per una trasformazione radicale che investisse ogni settore dell’apparato economico. In G. esistono, ancora oggi, gravi squilibri sociali e regionali. Negli anni 1990 il governo greco ha promosso una politica di austerità, con l’obiettivo di soddisfare entro il 1997 i parametri stabiliti dal Trattato di Maastricht e consentire al paese di entrare a far parte dell’Unione Economica e Monetaria europea (UEM). I risultati di tale politica, che ha provocato forti tensioni sociali, si misurano con la riduzione del disavanzo del settore pubblico dal 9,9% del PIL (1994) all’1,8% (2000), del debito pubblico dal 160% del PIL (1990) al 90,1% (2008), dell’inflazione dall’11% (1990) al 4,4% (2008). Sulla base di tali risultati la G. è riuscita a entrare, sia pure in ritardo, nella UEM il 1° gennaio 2001. Ha dato prova di buona amministrazione nell’utilizzare i finanziamenti ottenuti dall’Unione Europea per la costruzione di infrastrutture di trasporto, in parte progettate per le Olimpiadi del 2004, ma comunque indispensabili alla modernizzazione del paese (nuovo aeroporto e ferrovie metropolitane di Atene, autostrade, oleodotti). Infine gli investimenti all’estero (soprattutto nel Vicino e Medio Oriente) hanno conosciuto una fase di crescita. Tuttavia, la struttura economica è ancora lontana dagli assetti tipici dell’Europa comunitaria, al cui interno il paese resta uno dei due membri più arretrati (l’altro è il Portogallo), e ha pesantemente risentito della crisi globale del 2008-09 con un considerevole aumento di debito pubblico, inflazione e disoccupazione.
Il numero di addetti al settore primario (12,4% della popolazione attiva nel 2005) risulta piuttosto elevato sia in assoluto sia in rapporto al suo contributo al PIL (3,5% nel 2008), tanto più che l’agricoltura non si è adeguata a modelli produttivi pienamente concorrenziali; la riconversione industriale procede faticosamente (è da segnalare, però, l’ammodernamento dei comparti chimico, petrolchimico ed elettromeccanico) e la produzione dei beni di consumo è pericolosamente esposta alla concorrenza degli altri paesi dell’Unione; il settore terziario è dominato dal turismo (11% sia dell’occupazione sia del PIL, oltre 16.039.000 visitatori nel 2005), da cui l’economia del paese è in gran parte dipendente e che subisce i contraccolpi delle oscillazioni nei flussi annuali, mentre l’eccessiva pressione turistica ha prodotto danni ambientali in molte aree di particolare attrazione. A ciò si aggiungono i problemi derivanti dai gravi squilibri territoriali del paese dovuti alla persistente arretratezza delle regioni meridionali (il Peloponneso e molte delle isole minori, specialmente quelle più orientali), che non possono contare su altre forme di sviluppo oltre a quelle legate al turismo e che hanno risentito del prolungato stato di tensione con la Turchia.
La G. poi ha pesantemente risentito della crisi globale del 2008-09. Il primo ministro Papandreou già nel 2009 aveva paventato la possibilità della bancarotta per il paese: il governo non è stato in grado di far fronte a disoccupazione, corruzione e debito pubblico, in continua crescita. Nel 2010 l’Europa ha stanziato un pacchetto di aiuti da 110 miliardi di euro in tre anni; tuttavia, nel 2011 la situazione non è migliorata e il governo ha elaborato un programma di austerità che prevede ingenti tagli alla spesa pubblica e massicce privatizzazioni. Tali misure hanno scatenato proteste da parte della popolazione civile; sono stati organizzati scioperi generali e manifestazioni di dissenso che spesso sono sfociati in scontri con le forze dell’ordine. La crisi economica e sociale greca ha preoccupato la comunità internazionale; per garantire la stabilità della zona euro, Unione europea e Fondo monetario internazionale hanno previsto un nuovo piano di aiuti, che è però vincolato all’attuazione delle misure di austerità e alle privatizzazioni.
Dopo le scarse attestazioni disponibili per il Paleolitico e il Mesolitico, noti da rinvenimenti sporadici effettuati nella G. settentrionale, in Beozia e nel Peloponneso, un notevole incremento della documentazione archeologica consente di distinguere nel Neolitico, più tardo di quello medio-orientale ma più antico di quello balcanico, due aspetti: quello di Creta e quello, più recente, della G. continentale.
Già nella fase più antica, il cosiddetto Neolitico preceramico o aceramico (7° millennio a.C.), le genti insediate sul territorio greco sembrano avere raggiunto condizioni di sedentarietà e aver praticato l’agricoltura e l’allevamento. Tali conquiste si consolidano nel corso del Neolitico antico (6° millennio a.C.), quando fanno la loro prima apparizione la ceramica fine e d’impasto, monocroma, e le caratteristiche figurine fittili, per lo più femminili e steatopigie, e si registrano significativi progressi nell’industria litica. Anche gli abitati, specie quelli della Tessaglia, appaiono più strutturati e documentano il passaggio dalla semplice capanna a pianta rettangolare o ellittica alla casa a più vani, in pietra e mattoni crudi. Il Neolitico medio (5° millennio a.C.) segna una fase di ulteriore sviluppo, in cui la differenziazione culturale delle varie aree appare più evidente. In Tessaglia, Sèsklo raggiunge la massima espansione e diffonde la propria ceramica, specie quella dipinta a decorazione geometrica, in tutta la regione; nella G. centro-orientale si distingue il centro di Cheronea, con ceramica fine dipinta in scuro su bianco, mentre nella G. centrale e nel Peloponneso si afferma la cosiddetta Urfirnis neolitica, ceramica dalla caratteristica superficie lucida. L’inizio del Neolitico tardo coincide con la distruzione di Sèsklo (4400 a.C. circa). In Tessaglia, il centro principale è ora quello di Dimini, dove l’acropoli è circondata da tre cinte di mura e l’edilizia domestica attesta il tipo del mègaron; la locale produzione di ceramica dipinta è contraddistinta da motivi spiraliformi e a meandro. Nella stessa regione importanti sono pure gli abitati di Lárissa e di Rachmani. Nel resto della G. si diffondono ceramiche a vernice scura od opaca ed è attestato l’uso di grotte come abitazione.
La diffusione di nuove tecnologie (metallurgia) e l’introduzione di nuove colture agricole (vite, olivo), con una conseguente maggiore complessità e articolazione dell’organizzazione socioeconomica, segnano il passaggio all’età del Bronzo, per la quale si adotta la denominazione di Elladico, riservando quelle di Cicladico e Minoico alla G. insulare. Durante l’Elladico antico (3000/2800-1900 a.C.) i contatti con aree orientali ed egeo-insulari sono documentati dal rinvenimento di idoletti marmorei cicladici, dall’uso di sigilli, da certi tipi di sepolture. Nella produzione vascolare, ceramiche a vernice scura lucida subentrano a quelle monocrome levigate. Tra gli abitati il più importante è quello di Lerna, in Argolide. Nella fase finale del periodo si registrano fenomeni di immigrazione dalle vicine coste dell’Asia Minore e poi (inizi del 2° millennio) l’arrivo da nord di genti di stirpe indoeuropea che ebbero un ruolo decisivo nel processo di etnogenesi locale. Secondo la tradizione, le prime genti che penetrarono nella penisola furono gli Ioni, che occuparono l’Attica; seguirono gli Eoli, che conquistarono gran parte della G. centrale e del Peloponneso. Questa fase di assestamento, che determina una stasi nei rapporti con Creta e le Cicladi, si prolunga per tutto l’Elladico medio (1900-1600 a.C.) e solo verso la fine di questo periodo si avvertono segni di ripresa.
L’Elladico tardo o Miceneo (1600/1580-1100 a.C.) è un periodo di profonda trasformazione nel quale si raggiungono nuovi assetti territoriali e nuove forme di organizzazione sociale, economica e politica, che corrispondono alla fioritura dei palazzi di Micene, Tirinto, Pilo ecc. Attorno al 1450 a.C. i Micenei occupano i principali centri di Creta; contemporaneamente prende avvio un fenomeno d’espansione commerciale (‘pre-colonizzazione’ micenea), mentre presenze greche (achee) sono segnalate nei documenti egizi e ittiti dell’epoca.
A partire dalla fine del 13° sec. a.C. si colgono nella società micenea segni di un declino culminato poi nella distruzione dei grandi palazzi. In questo scenario fanno la loro irruzione i Dori. La migrazione dorica, che nel mito si configura come ‘il ritorno degli Eraclidi’ (➔ Dori), si colloca, secondo la tradizione cronografica ellenistica, nel 1104 a.C. e costituisce l’ultima delle grandi invasioni di epoca protostorica. A essa segue una nuova fase di espansione: colonie greche vengono dedotte alla fine del 2° millennio a Creta, nelle isole minori dell’Egeo, lungo le coste dell’Asia Minore colonizzate a nord dagli Eoli, al centro dagli Ioni, a sud dai Dori.
La decadenza dell’antica civiltà micenea (12°-11° sec.) fu graduale. L’evoluzione artistica può essere seguita, a grandi linee, nel passaggio attraverso alcune fasi intermedie (submiceneo, protogeometrico) fino allo stile cosiddetto geometrico, caratteristico della ceramica del 9°-8° sec. a.C. La storia politica è invece di difficile ricostruzione: sembra che il paese fosse diviso in numerosi piccoli Stati retti da monarchie, sul tipo di quelle rappresentate nei poemi omerici. Assisteva il sovrano un consiglio (➔ gerusia) di nobili, mentre il popolo non aveva alcuna importanza; la popolazione libera era suddivisa in genti, file, fratrie. Gli organismi cittadini (pòleis) cominciarono a svilupparsi nell’8°-7° sec. a.C.: i Greci, che prima abitavano in borgate disperse, si riunirono in aggruppamenti di tipo urbano protetti da mura.
Ebbe inizio anche un secondo movimento colonizzatore (colonie sulle coste del Mar Nero, della Cirenaica, dell’Italia meridionale, della Sicilia, della Gallia e Spagna; fig. 2), mentre profondi rivolgimenti politici avevano luogo nella madrepatria: le monarchie decadevano o scomparivano del tutto (eccetto che in zone periferiche: Macedonia, Epiro e, per ragioni diverse, Sparta) e ne prendeva il posto l’aristocrazia. Si formavano anche le prime organizzazioni unitarie, sacrali ma con carattere politico (le anfizionie; ➔ Anfizione), poi gli Stati territoriali derivanti o da unione federale di vari cantoni (Tessaglia), o dal predominio di una città su un territorio (Atene nell’Attica, Sparta nella Laconia, Argo nell’Argolide ecc.). Il processo fu lungo e solo alla fine del 6° sec. a.C. la G. trovò una certa stabilità politico-territoriale, compromessa, tuttavia, all’interno delle varie città-Stato, da lotte sociali tra le aristocrazie ascese al potere e le forze cittadine che, acquisendo importanza con l’esercizio della navigazione, del commercio e dell’artigianato, rivendicarono la partecipazione alla vita politica e la codificazione delle leggi sino allora amministrate dai nobili secondo il diritto consuetudinario. Ciò condusse, dopo lunghi contrasti, alla redazione scritta delle leggi, ma anche a lotte continue tra nobili e non nobili, che si risolvevano per lo più con la violenta affermazione di un tiranno.
Nel corso del 6° sec. le tirannidi, vittime di quelle stesse forze popolari che avevano favorito, erano scomparse quasi ovunque e nelle varie città-Stato greche prevalevano in genere o regimi oligarchici più o meno ristretti (fondati sui proprietari terrieri), oppure, ma ancora rari, democratici. Alla fine del secolo nelle arti, nelle lettere, nel progresso civile e politico, nelle conquiste del pensiero, i Greci erano all’avanguardia tra tutti i popoli mediterranei. Le lotte contro i Persiani (499-478 a.C.), che parvero minacciare questa fioritura, si conclusero con il trionfo dei Greci.
Dopo la vittoria sui Persiani a Salamina (480 a.C.) intervennero discordie tra i maggiori Stati greci del tempo, Atene e Sparta, già antesignane nella lotta di libertà. Atene, alla testa di un’imponente lega marittima, fondata per la prosecuzione della guerra contro i Persiani, trasformò gradatamente questo organismo in impero: Sparta, egemone della maggiore lega terrestre del tempo, quella peloponnesiaca, temeva di perdere la posizione di primato che aveva avuto durante la guerra. Le divisioni tra Atene e Sparta erano fondate anche su motivi politici: Atene era democratica e fautrice di ordinamenti democratici nelle città federate; Sparta era uno Stato conservatore, modello per gli oligarchici di tutta la Grecia. Dopo un lungo periodo di tensione, durato circa cinquant’anni (pentecontetia) dalla fine delle guerre persiane nel 478, si giunse alla disastrosa guerra del Peloponneso (431-404). Protagoniste ne furono Sparta e Atene con le rispettive leghe, ma vi presero parte, negli opposti campi, quasi tutti gli Stati greci; il conflitto comportò distruzioni e perdite umane incalcolabili. Anche grazie al favore della Persia, Sparta riuscì a prevalere sulla rivale; ma la lotta per il predominio si riaccese subito. L’egemonia spartana fu lungamente osteggiata da una coalizione stretta tra Argo, Corinto, Tebe e la ben presto risorta Atene: la conclusione fu data dalla pace di Antalcida (386), dettata dal re di Persia ai Greci, nella quale si sanciva l’autonomia di tutte le città greche della madrepatria e si sanzionava il ritorno delle città greche d’Asia sotto il dominio persiano.
Sparta esercitò ancora per qualche tempo la supremazia; distrusse la lega calcidica di Olinto (382), impose a Tebe una propria guarnigione, e tentò di occupare il Pireo, porto di Atene. Presto Tebe si liberò della guarnigione spartana, mentre Atene ricostituiva la propria lega navale (377). Durante un nuovo congresso di pace (371) tenuto a Sparta si ebbe la rottura definitiva tra Sparta e Tebe: nella battaglia di Leuttra, i Tebani ebbero il sopravvento e stabilirono sulla G. un decennio di egemonia fondata sulla superiorità militare affermata dai generali Epaminonda e Pelopida. Dopo la battaglia di Mantinea (362) tra Tebani da un lato e Ateniesi e Spartani dall’altro, ebbe inizio la dissoluzione dell’egemonia di Tebe, mentre Atene vedeva la defezione dei membri della sua seconda lega navale e Sparta tendeva a estraniarsi dalla lotta per l’egemonia. Il divampare nel 356 della cosiddetta terza guerra sacra, cui parteciparono quasi tutti i Greci, indebolì ulteriormente la capacità di resistenza della Grecia.
Giovandosi della debolezza e delle discordie tra Stati e all’interno di ciascuno di essi, Filippo II di Macedonia riuscì a estendere la sua influenza nella G. centrale: la battaglia di Cheronea (338), con la decisiva vittoria di Filippo, sembrò segnare la fine della libertà greca. Gli Stati greci (eccetto Sparta) furono costretti a riconoscere la supremazia della Macedonia e a partecipare a una federazione (lega di Corinto), della quale fu dichiarato egemone Filippo e il cui scopo era la guerra contro la Persia. Nel 336 Filippo II fu ucciso (336) e il successore, Alessandro Magno, dopo aver riaffermato il predominio macedone con la distruzione dell’insorta Tebe (335), passò in Asia dove s’impadronì dell’Impero persiano. I Greci tuttavia non erano ancora sottomessi: nel 331 era insorta Sparta, nel 323, all’annuncio della morte di Alessandro, divampò nella G. un’insurrezione generale, la cosiddetta guerra lamiaca (➔ Lamia). L’una e l’altra volta Antipatro, reggente della Macedonia, ebbe ragione dei rivoltosi.
Ovunque nell’Ellade soggetta alla Macedonia furono istituiti ordinamenti oligarchici. Nella nuova realtà politica i Greci persero l’importanza di un tempo: l’epicentro era ormai nell’Asia dove dalle lotte e intese tra i generali di Alessandro Magno sorgeva un nuovo assetto geopolitico. Ma l’appoggio dei Greci era ancora ricercato: i proclami (318 e 315) di Poliperconte, successore di Antipatro, e di Antigono Monoftalmo, che restituivano ai Greci la libertà, erano espedienti con cui i sovrani ellenistici cercavano di indurli a schierarsi dalla propria parte o a tollerare il loro dominio. La G. fu per circa cinquant’anni sottomessa coloro che dominavano la Macedonia. Le confuse vicende di questa età sono poco note nei particolari, eccetto che per Atene, dove alla dominazione oligarchica di Demetrio Falereo (317-307) succedette quella di Demetrio Poliorcete e poi di suo figlio Antigono Gonata, chiusa da una nuova insurrezione antimacedonica che si trascinò per alcuni anni (267-262 circa) senza successo.
La G. subiva nel frattempo l’invasione dei Celti (280), frenata dai Beoti e dalla lega etolica, che da modesti inizi nel 4° sec. era salita a grande potenza. Fenomeno caratteristico di questo periodo fu infatti il sorgere a rilevante autorità di leghe di popoli sino ad allora estranei alle vicende nazionali, gli Etoli e gli Achei. I primi, con la difesa di Delfi dai Celti, ottennero il primato sull’anfizionia delfica, i secondi divennero la più potente lega del Peloponneso. Nel Peloponneso anche Sparta tendeva a riprendere il suo posto nella lotta per l’egemonia sulla penisola; gli Achei si appellarono contro Cleomene III di Sparta ad Antigono Dosone, reggente di Macedonia, che intervenne e sconfisse a Sellasia (222) l’esercito spartano. Parve allora riuscire ad Antigono l’unione nazionale dei Greci, in quanto nella lega ellenica da lui fondata erano compresi tutti i Greci, a eccezione di Ateniesi ed Etoli. Questa esclusione fu determinante per i destini della lega: gli Etoli assalirono gli Achei e Filippo V, succeduto ad Antigono, pur desideroso di sostenere gli alleati Achei, si trovò costretto a concludere la pace di Naupatto (217), cui lo spingevano la gravità degli avvenimenti nell’Occidente, impegnato nella seconda guerra punica, e il pericolo romano.
I Romani, intervenuti due volte (239 e 219) in Illiria, erano un avversario pericoloso per la Macedonia ai confini nord-occidentali: Filippo, approfittando della guerra in atto tra Roma e Cartagine, si impadronì dei possessi romani nell’Adriatico orientale e strinse alleanza con Annibale. Roma reagì chiamando a raccolta i vari nemici che Filippo aveva in G., prima fra tutti la lega etolica, e in Asia Minore, come il regno di Pergamo. Il conflitto (prima guerra macedonica: 215-205) si concluse con un nulla di fatto e fu solo un evento marginale nel quadro della seconda guerra punica. La guerra riesplose quando Filippo, avviando una politica di espansione in Asia aggredì il regno di Pergamo e penetrò in G. tentando la conquista di Atene. Battuto a Cinoscefale (197), Filippo dovette accettare dure condizioni di pace (seconda guerra macedonica: 200-196). Il generale romano vittorioso, Tito Quinzio Flaminino, proclamò alle feste Istmie del 196 la libertà di tutti i Greci.
Ma la guerra antiromana continuava, anche se da parte dei Greci non si riuscì mai a raggiungere una simultaneità di sforzi; gli Etoli e Antioco III di Siria si fecero promotori della resistenza: i primi dovettero rassegnarsi alla pace dopo aver perduto la piazzaforte più importante, Ambracia (189); Antioco, sconfitto alle Termopile (191) e poi nella battaglia di Magnesia (190), fu costretto ad accettare la dura pace di Apamea. Frattanto la Macedonia, negli ultimi anni di vita di Filippo V, si era nuovamente data un formidabile esercito: i Romani provocarono una nuova guerra (terza guerra macedonica: 171-168) contro il figlio di lui, Perseo, che dopo qualche successo fu definitivamente battuto a Pidna (168).
Nel 148 la lega achea non volle sottostare alle ingiunzioni di Roma e scatenò un altro conflitto (➔ acaica, guerra) terminato con la sconfitta achea di Leucopetra e la distruzione di Corinto (146). La G. soggetta fu messa allora alle dipendenze del governatore della provincia di Macedonia, istituita nel 148: tuttavia, ancora nell’88 la sommossa antiromana della quale fu massimo esponente Mitridate VI Eupatore trovò larga risonanza in G. e particolarmente ad Atene, che resisté a lungo all’assedio di Silla fino a che (1° marzo 86) la città fu presa. Successivamente la G. fu coinvolta nelle guerre civili che travagliarono il mondo romano (dalla battaglia di Farsalo, 48 a.C., a quella di Azio, 31 a.C.).
Costituita nel 27 a.C. come provincia di Acaia, la G. conobbe nei primi secoli dell’Impero la decadenza, appena interrotta da periodi più favorevoli, in concomitanza con i regni di imperatori filelleni (Nerone, Adriano, Gallieno). Il declino fu accelerato dalle epidemie, come quella del 165 d.C., e dalle incursioni barbariche: dei Costoboci nel 170 e dei popoli germanici a cominciare dalla seconda metà del 3° sec. d.C.
In G. esistono tanti diritti quante sono le pòleis. La documentazione è scarsa, relativamente abbondante solo per Atene. Il diritto fu considerato in G. dapprima emanazione divina (ϑεσμός) e i primi legislatori sono spesso figure mitiche (Licurgo, Zaleuco); solo nel 7° sec. comincia ad affermarsi la legge umana (νόμος) che sottrae il singolo alla interpretazione delle norme consuetudinarie affidata a membri delle oligarchie dominanti. Il diritto greco esercita il suo imperio su tutti i cittadini maschi, sia per nascita, sia per acquisto della cittadinanza, su particolari categorie di non cittadini residenti (➔ meteco), e, con ampie limitazioni, sugli schiavi.
Nel diritto greco il diritto di proprietà è meno marcato che nel diritto romano: la proprietà è in sostanza la prevalenza del titolare su qualsiasi altro accampi diritto alla cosa. Le obbligazioni pecuniarie traggono origine o dalla composizione per denaro di delitti, o da debiti contratti dal piccolo proprietario quando la sua azienda necessiti di sovvenzione: nell’età arcaica il debitore, se non poteva versare il dovuto, restava legato al creditore anche con la persona fisica. Il diritto penale si sviluppa dalla vendetta: l’omicidio è vendicato dall’intera famiglia, i delitti minori dal singolo; tarda (fine 6° sec.) la distinzione tra omicidio volontario e involontario. Il furto flagrante era punito con la morte sino al 6° sec.; quello non flagrante con una pena pecuniaria multipla del danno. Quanto al processo, in G. non si distingue tra diritto civile e penale, ma tra reati di azione privata e di azione pubblica, che possono essere introdotti da qualsiasi cittadino nell’interesse dello Stato.
L’economia greca verso la fine del 2° millennio a.C. e nei primi secoli del successivo era ancora primitiva ed essenzialmente agricola; con l’insediarsi dei Greci sulle coste dell’Asia Minore, della G., dell’Italia meridionale e della Sicilia, Gallia e Spagna, l’economia della madrepatria si sviluppò soprattutto nelle città che per la loro attività marinara erano in rapporto con le colonie (Calcide, Corinto, Egina, Megara). Presto le colonie acquistarono autosufficienza divenendo centri di esportazione verso la madrepatria: così Mileto per i manufatti tessili, Chio e Samo per la metallurgia. Fino al 6° sec. le industrie furono modeste e il numero degli schiavi che vi lavoravano relativamente basso; l’agricoltura era preminente tra le attività economiche. La moneta, sebbene già in uso nelle città più evolute, era scarsa e lo stesso censo dei cittadini nell’ordinamento soloniano (594 a.C.) era espresso non in misura monetaria, ma in medimni di frumento: di qui l’alto potere d’acquisto della moneta. Anche l’organizzazione finanziaria statale era in età arcaica modesta e solo con lo sviluppo del commercio e l’introduzione della moneta si definì e complicò. Rare le imposizioni dirette e indirette, introdotte dai tiranni (Pisistrato in Atene) sotto forma di tasse e dazi o di prelievo forzato di una quota dei prodotti del suolo.
Dopo le guerre persiane lo sviluppo economico della G. fu intenso: aumentarono la popolazione libera e quella servile; i prodotti del suolo non bastavano più alla popolazione metropolitana e l’importazione delle granaglie, specie dalle regioni pontiche, si incrementò. La circolazione della moneta provocò un aumento del costo della vita. La ricchezza in molte regioni tese a concentrarsi nelle mani di pochi e acquistò rilievo il problema sociale, scarsamente avvertito in età arcaica. Nel corso del 4° sec. il costo della vita aumentò ancora; non compensato dall’aumento dei salari, fu causa di malessere economico. Più complessa appariva anche nel 5°-4° sec. la finanza statale, che disponeva di maggiori introiti, non tanto per imposte dirette, del tutto eccezionali, quanto per imposizioni indirette: dazi portuali, imposte di consumo, tasse sulle vendite. Le spese dello Stato erano imponenti, per necessità belliche e ad Atene per lavori pubblici, per diarie ai buleuti e ai giudici popolari; nel corso del 4° sec. le distribuzioni di denaro pubblico al popolo aumentarono portando al collasso l’economia statale. Si rimediò con accrescimenti dei dazi, con la secolarizzazione dei tesori dei templi, con prestiti forzosi e confische di beni privati.
La conquista dell’Oriente a opera di Alessandro Magno aggravò anziché alleviare la situazione delle città; la G. era ora periferica rispetto al centro del nuovo impero: le maggiori città nel 3°-2° sec. erano nei territori di recente conquista: Alessandria, Antiochia, Seleucia, Pergamo, Efeso. Le condizioni del commercio erano migliorate per la maggiore sicurezza dei traffici, ma non se ne avvantaggiarono le città della G. continentale, superate nella loro potenzialità industriale dai nuovi centri. Il processo di concentrazione della ricchezza determinò in G. una massa di nullatenenti e di coloro che, già appartenenti ai ceti medi, erano andati proletarizzandosi con il progressivo diminuire delle attività piccolo-industriali e artigiane. Il 3° sec. fu dominato dall’imminenza della rivoluzione sociale: di qui la reazione delle classi possidenti e degli Stati a struttura conservatrice (lega achea e Macedonia), la slegata e non unanime resistenza opposta alla conquista romana, presentandosi i Romani come sostenitori ovunque dell’ordine sociale esistente.
La moneta coniata, introdotta nel regno di Lidia nel 7° sec. a.C. e subito imitata dalle colonie greche del bacino orientale dell’Egeo (Cizico, Efeso, Focea ecc.), si diffuse rapidamente nelle isole e nella madrepatria dove, alla metà del 6° sec., le città più importanti avevano proprie serie monetali: allo scorcio del secolo si sviluppò una vera economia monetaria. La fissazione di unità monetarie ufficiali da parte delle pòleis e l’adozione della moneta coniata risposero a bisogni ed esigenze comunitari. Al primo metallo adoperato, l’elettro, i Greci sostituirono l’argento; il bimetallismo orientale (oro-argento) non ebbe seguito in G. per la penuria dell’oro, per cui il suo uso fu sporadico, limitato a particolari contingenze. La monetazione in bronzo fu introdotta relativamente tardi per facilitare un’economia di mercato.
Ogni città aveva una propria monetazione e deteneva il monopolio della coniazione. La circolazione era in genere limitata all’ambito locale; una notevole diffusione ebbero le monete emesse da grandi potenze commerciali e politiche (Egina, Corinto, Atene, la Macedonia), caratterizzate da particolari emblemi impressi sulle monete: la civetta ad Atene, la tartaruga a Egina, il pegaso a Corinto ecc. La moneta era coniata sotto la direzione e il controllo dello Stato, che ne garantiva l’autenticità, il peso e la qualità del metallo. I tipi, tratti dal repertorio mitologico, dal mondo animale, vegetale ecc., sono svariati; la figura umana è prevalente nelle serie monetali di età ellenistica quando la moneta assunse importanza per l’iconografia dei vari dinasti. Nella moneta greca si riflette l’oscura opera di modesti artigiani, ma spesso si avvertono echi della grande arte figurativa di Fidia, Policleto, Lisippo.
Negli studi scientifici sulla religione greca, che al principio del 19° sec. sono subentrati al posto dell’erudizione umanistica, si possono distinguere sommariamente due grandi filoni: da una parte la religione greca rientra nel campo delle discipline antichistiche e il lavoro degli studiosi dell’antichità classica da K.O. Müller, da F.G. Welcker, L. Preller ecc. fino a E. Rohde, a U. Wilamowitz e ai contemporanei ha condotto a una elaborazione analitica di tutto il materiale; dall’altra parte essa interessa la storia comparata delle religioni che cerca di inquadrarla in prospettive più ampie; la scuola di F.M. Müller rappresentò un primo passo con la comparazione delle religioni dei popoli di lingua indoeuropea, mentre il successivo orientamento etnologico ed evoluzionistico, con W. Manhardt, A. Dieterich, J.G. Frazer e altri, attirò la religione greca nell’orbita della comparazione universale. Se l’indirizzo filologico minaccia di chiudere la religione dell’antica G. in un isolamento antistorico, il comparatismo, a sua volta, tende spesso, in modo non meno antistorico, a ridurla a elementi generici e comuni a molte altre religioni, cancellandone il carattere specifico. Contro entrambi i pericoli, gli studi moderni cercano di cogliere il senso della religione greca nel suo particolare svolgimento storico usando il metodo di una comparazione condotta con criteri storici.
La religione greca è un politeismo sorto attraverso un lungo processo di formazione in cui elementi preellenici, di origine mediterranea e orientale, si fondono con elementi propri delle popolazioni di stirpe indoeuropea stanziate nella penisola, specie di quelle micenee. Data l’assenza di testi sacri, le fonti letterarie sulla religione sono, in origine, rappresentate dai poeti, da Omero in primo luogo. Malgrado però la ricchezza del contenuto mitologico e rituale, la poesia omerica non può considerarsi come uno specchio fedele della religione greca dell’epoca, soprattutto perché essa opera una cosciente selezione del materiale religioso, passandone sotto silenzio gli aspetti popolari o troppo cupi. Ma è proprio con questa sua tendenza alla sublimazione che l’epopea omerica incarna, per la prima volta, un aspetto costante e decisivo della storia religiosa ellenica: nella sua forma ufficiale e civica, la religione delle varie città-Stato greche si concentra sempre intorno alle figure perfettamente antropomorfe e ben delineate delle divinità omeriche. L’epopea non conosce ancora templi costruiti; i luoghi di culto sono particolari luoghi della natura o le abitazioni dei re. Ma la divinità antropomorfa richiede una dimora conforme alle sue proporzioni e al suo carattere, e nasce, profondamente differente dalle immense costruzioni sacre orientali, il tempio greco che ospita quasi sempre una sola divinità. Più tardi richiede anche l’immagine statuaria, in cui forma umana ed essenza divina coincidono.
In Esiodo la supremazia assoluta di Zeus, già ripetutamente accennata nei poemi omerici, diventa, come più tardi in Eschilo e Pindaro, base di tutto il sistema olimpico: che ciò sia frutto di un processo storico, risulta dalla relativa scarsità di antiche feste di Zeus e dalla sovranità in origine autonoma di altre divinità in determinati luoghi (Era ad Argo, Atena ad Atene, Apollo a Delo e a Delfi ecc.). L’autonomia delle città-Stato della G. arcaica porta a una molteplicità di forme particolari del culto, che tuttavia nelle loro grandi linee non si scostano dallo spirito comune della religione greca.
Con lo sviluppo dell’industria e del commercio e l’entrata delle masse popolari nella vita pubblica tra 7° e 6° sec., mediante la tirannide, e dal 5° sec. nella classica forma della democrazia, anche in campo religioso avvengono cambiamenti: tipi di culto ‘nuovi’ (in realtà antichissimi, ma rimasti fuori dello Stato), misterici e orgiastici, e divinità ‘nuove’ come Demetra e Dioniso vengono a occupare posizioni preminenti nella religione pubblica. Eleusi, dove probabilmente da epoca micenea si praticava un culto iniziatico accentrato intorno a Demetra e Persefone, incorporata ora nello Stato ateniese, acquista a poco a poco risonanza universale nel mondo greco. Sebbene non eserciti un influsso immediato né sulle forme pubbliche della religione, né sulle pratiche religiose delle masse, non va sottovalutata una tendenza alla riflessività e all’interiorizzarsi che sin dal 6° sec. a.C. si manifesta nella coscienza greca.
La filosofia, ponendosi da un punto di vista razionalistico e moralistico di fronte al mito e al culto, vi trova naturalmente molto da criticare; d’altra parte le esigenze di una coscienza più individualistica non si rassegnano più all’inalterabile equilibrio del mondo divino. Perciò da due parti si inizia quel processo di corrosione della religione classica greca che nell’ellenismo si manifesterà con la diffusione del razionalismo filosofico da una parte e del misticismo dall’altra. L’orfismo, che prende consistenza storica nel 6°-5° sec. a.C., rappresenta un’espressione della tendenza mistica. Durante e dopo la guerra del Peloponneso il popolo greco apre le porte, sempre più largamente, ai culti orientali (frigi, egiziani ecc.) che corrispondono a tendenze popolari non sufficientemente incanalate nella religione civica. Dall’Oriente, prima ancora dell’ascesa di Alessandro Magno, trae alimento anche il bisogno di proiettare su una persona viva – il sovrano – le aspirazioni soteriologiche ormai largamente diffuse nelle masse, adattando le forme del culto eroico alla venerazione delle persone eccezionali. La religione greca, anche in queste forme ormai compromesse, si impone all’ecumene ellenistica, entrando in formazioni sincretistiche con le altre religioni dell’ambiente. Essa sopravvive fino all’avvento del cristianesimo e, successivamente, in forme disgregate, nel folclore.
Dopo la morte di Teodosio (395) la G. fece parte dell’Impero d’Oriente. Anche se mantenne a lungo un certo predominio culturale, rimase una provincia di scarso rilievo economico e strategico, anche per effetto delle incursioni di pirati e delle epidemie che la colpirono nel 3°-4° secolo. Fu perciò facile preda delle invasioni dei barbari, che tra 5° e 8° sec. vi fondarono stabili colonie, cui seguì l’immigrazione di Valacchi (Tessaglia), Albanesi ed Ebrei. La polemica iconoclastica aperta da Leone III (726; ➔ iconoclastia) approfondì il contrasto tra Roma e Bisanzio, che nel 1054 aderì allo Scisma staccandosi dalla Chiesa di Roma. A più breve termine, l’editto contro le immagini provocò la sollevazione della G. e delle Cicladi che proclamarono un antimperatore che tentò la conquista di Costantinopoli, ma la rivolta fu soffocata.
Sin dall’alto Medioevo si ebbe un sensibile progresso, non solo agricolo ma anche artigianale e urbano, con una fisionomia sociale caratterizzata da un’assoluta prevalenza economica e politica della grande proprietà terriera, e dal concentrarsi del monopolio della cultura nelle mani di una ristretta aristocrazia ecclesiastica, portatrice del sentimento nazionale greco contro il cattolicesimo romano e in funzione antibizantina. La crisi politico-militare dell’Impero fu all’origine dell’occupazione araba di Creta (826-961); della temporanea occupazione della G. continentale per opera dei Bulgari sollevatisi contro l’imperatore Basilio II (976), fino al 981; delle incursioni dei Normanni nel 10°-11° secolo. In occasione della 4ª crociata, espugnata Costantinopoli, i crociati invasero la G. tra il 1204 e il 1205, mentre i Veneziani ne occupavano le isole; con l’introduzione nei domini franchi e veneziani degli istituti particolaristici del feudalesimo occidentale, la storia della G. perdette ogni significato unitario; sorsero il principato di Acaia nel Peloponneso (che cambiò il nome in Morea), il Regno di Tessalonica, il ducato di Atene e altri feudi minori; i Veneziani sottoposero al loro dominio diretto le isole Ionie, Metone e Corone nel Peloponneso (nel 1388 fonderanno colonie anche a Nauplia e Argo), Creta e Cerigo, affidando invece a membri della loro aristocrazia il possesso dell’Eubea (Negroponte), delle Cicladi, Stampalia, Scarpanto. In posizione antilatina il bizantino Michele Angelo Comneno costituì il despotato di Epiro, che assorbì nel 1223 il Regno di Tessalonica.
Durante la seconda metà del 13° sec. gran parte del Peloponneso era nuovamente in possesso dei sovrani del ricostituito Impero bizantino d’Oriente, che nel 14° sec. ne affidarono il governo a un principe della dinastia regnante con il rango di despota. Il dominio ottomano (affermatosi su tutta la G. continentale dal 1460) ristabilì l’unità territoriale, ma segnò l’inizio di un’epoca di oppressione e miseria, conseguenza di un ordinamento amministrativo ispirato a esigenze esclusivamente difensive e fiscali. La progressiva conquista delle isole, eccetto Tínos, fu completata dai Turchi con l’occupazione di Cipro nel 1571; rimasero veneziane Creta, sino al 1669, e Corfù, Cefalonia e Zante fino alla caduta della Repubblica (quando passarono alla Francia, 1797). Venezia approfittò nel 1684 delle difficoltà turche nel bacino danubiano per attaccare la Morea, riconosciutale dal trattato di Carlowitz (1699), ma la restituì agli Ottomani nel 1718.
Durante il 18° sec. il miglioramento delle condizioni generali non eliminò le ragioni di insofferenza per la dominazione ottomana, sicché l’influenza della cultura europea e l’azione della Chiesa ortodossa portarono i Greci all’aperta rivolta. Questa trovò nei clefti i suoi eroici guerriglieri, e nella ricca borghesia greca di Costantinopoli e dei principali empori del Mediterraneo i suoi quadri dirigenti. Già nel 1770, durante la guerra russo-turca, tutta la G. si sollevò, appoggiata dalla flotta zarista, ma la rivolta fallì per mancanza di un’efficiente organizzazione e per l’incertezza degli obiettivi politici.
Agli inizi del 19° sec., con la ricostituzione della società segreta patriottica Eteria il moto antiturco acquistò nuovo vigore. Nel 1821 la G. insorse: Alessandro Ipsilanti il 7 marzo entrò in Moldavia, dove tentò invano di sollevare la popolazione romena e occupò poi con pochi greci Bucarest, ma fu costretto a rifugiarsi in Ungheria; riuscì invece la rivolta nel sud, guidata da suo fratello Demetrio. Ai massacri turchi di notabili e dignitari ecclesiastici nel Fanari (il quartiere greco di Costantinopoli da cui traeva origine l’Eteria) e altrove, i patrioti risposero proclamando, il 1° gennaio 1822, l’indipendenza della G. e costituendo un governo nazionale (con a capo A. Maurocordato). A favore della G., mentre i governi delle grandi potenze al Congresso di Verona negavano la parola ai delegati greci, si mosse l’opinione pubblica liberale dell’Europa (➔ filellenismo) e il presidente statunitense J. Monroe inviò un messaggio di solidarietà agli insorti. L’intervento della flotta e dell’esercito egiziano segnò la crisi della rivoluzione: attaccata nel 1825, nonostante l’eroica resistenza (assedi di Missolungi, dell’acropoli di Atene), nell’estate 1827 tutta la G. continentale era nuovamente soggetta ai Turchi.
L’indipendenza ellenica divenne allora problema politico europeo: la conferenza di Londra per la G. convocata nel 1827 stabilì il principio della mediazione russo-franco-britannica per imporre al sultano un armistizio e il riconoscimento dell’autonomia greca. Ma solo dopo la distruzione della flotta turco-egiziana a opera delle tre potenze europee nella rada di Navarino (1827) e una campagna di guerra che vide i Francesi combattere in Morea e la Russia impegnata contro la Turchia, con la pace di Adrianopoli (1829) il sultano sconfitto s’impegnò ad accettare l’erezione della G. in Stato indipendente.
La costituzione del regno. - Il protocollo di Londra (1830) diede origine al regno di G., limitato territorialmente tra il Golfo di Árta e quello di Volos, mentre la Gran Bretagna conservava il possesso delle Isole Ionie (cedute ai Greci solo nel 1863) e la successiva convenzione del 1832 attribuì la corona a Ottone di Wittelsbach. Il nuovo Stato, privato delle regioni più produttive (Tessaglia, Macedonia, Creta), dovette anche addossarsi i debiti della guerra di liberazione, diventando economicamente dipendente da Londra, mentre nella politica interna prevalsero, sul libero funzionamento del regime parlamentare (posto in essere dalla Costituzione accordata dal re nel 1844), la volontà autocratica del sovrano e gli intrighi delle grandi potenze, finché Ottone fu deposto e una costituente diede un nuovo re al paese, Giorgio I (1863). La nuova Costituzione (1864) stabilì un regime di democrazia liberale.
Il primo impulso allo sviluppo economico e civile fu dato al paese dall’azione di governo di C. Trikùpis (1882-90), ma le modeste risorse della G. non ressero allo sforzo volto a realizzare le aspirazioni dell’irredentismo: fallì l’intervento nel conflitto balcanico del 1885-86 e si concluse con una sconfitta la guerra contro i Turchi per la liberazione di Creta (1897). Il governo di E. Venizèlos, salito al potere nel 1910, segnò per la G. un periodo di avvenimenti rilevanti: promosse un’efficace riforma costituzionale (1911), la ricostruzione delle forze armate e, all’indomani delle guerre balcaniche, assicurò al paese, con i trattati di Bucarest e Londra (1913), importanti acquisti territoriali (Giannina, Salonicco, Kavàla, Creta e le isole dell’Egeo tranne il Dodecaneso, divenuto possedimento italiano; tornerà alla G. nel 1947). La Prima guerra mondiale vide lo scontro tra la corona, favorevole agli Imperi centrali, e il partito liberale di Venizèlos, favorevole all’Intesa. Gli sviluppi del conflitto consentirono ai Franco-britannici di imporre l’allontanamento di Costantino I (gli succedette Alessandro I), salito al trono nel 1913 dopo l’assassinio di Giorgio I, e il ritorno al potere di Venizèlos, che dichiarò guerra a Germania, Turchia e Bulgaria.
Il trattato di Sèvres (1920) assegnò alla G. la Tracia orientale fino al Mar Nero, la penisola di Gallipoli e il territorio di Smirne. Battuto Venizèlos nelle elezioni del 1920, un plebiscito restaurò sul trono, morto Alessandro I, il deposto re Costantino I. Le potenze occidentali non riconobbero il nuovo regime e la Turchia kemalista costrinse la G. a sgomberare Smirne (1921); seguì la caduta di Costantino (sostituito sul trono da Giorgio II) e del suo governo, mentre la pace di Losanna (1923) chiuse il conflitto con la Turchia imponendo alla G. sacrifici territoriali. L’accordo greco-turco (1923) che stabilì il principio dello scambio delle popolazioni alloglotte, se pose il problema di dar sistemazione a più di 1.200.000 greci immigrati, consolidò tuttavia l’unità nazionale.
Nel 1924, una rivoluzione promossa dalle sfere militari abbatté la monarchia e instaurò, con voto dell’assemblea nazionale costituente, la repubblica; nel nuovo regime riuscì a prevalere nel 1928 la corrente liberale-nazionale di Venizèlos, che attuò il reinserimento della G. nella politica europea e mediterranea attraverso una serie di accordi con l’Italia (1928), la Iugoslavia (1929), la Turchia (1930). Non ebbe però successo nel consolidamento della democrazia repubblicana; nel 1933, la vittoria elettorale dell’opposizione filo-monarchica provocò la caduta del suo ministero. Fallito il tentativo di riconquista rivoluzionaria del potere effettuato nel 1935 dai venizelisti, il colpo di Stato del generale G. Kondỳlis restaurò la monarchia.
I. Metaxàs, al governo dal 1936, instaurò un regime dittatoriale sul modello fascista, ma nell’ottobre 1940 respinse l’ultimatum di B. Mussolini che imponeva alla G. l’occupazione militare di basi strategiche in territorio greco. Nel conflitto, il popolo greco resistette con efficacia alle forze italiane, nonostante l’inferiorità tecnica e numerica, fino all’invasione tedesca. Dopo l’armistizio (23 aprile 1941), i Tedeschi entrarono in Atene, istituendo un governo collaborazionista, mentre Giorgio II e il governo erano riparati a Creta e poi al Cairo.
Iniziata l’offensiva alleata, prese vigore nella seconda metà del 1943 la resistenza: l’EAM, il Fronte di liberazione nazionale espressione di organizzazioni politiche e sindacali progressiste, e il suo braccio armato ELAS (Esercito popolare di liberazione nazionale) avevano già il controllo di vaste zone del paese quando, nell’autunno 1944, vi ebbero inizio gli sbarchi alleati. Dopo la liberazione, la situazione politica interna entrò rapidamente in crisi: fallito un tentativo di compromesso con la mediazione inglese (accordo di Vàrkiza, febbraio 1945), scoppiò la guerra civile tra le organizzazioni partigiane dell’ELAS e dell’EAM, sostenute dal partito comunista, e le forze governative a sostegno del restaurato regime monarchico (con il referendum del 1° settembre 1946). La guerriglia continuò durante tutto il 1947 e portò alla costituzione di un governo repubblicano popolare provvisorio guidato da M. Vafiàdis, finché l’offensiva iniziata il 15 aprile 1948 dalle forze monarchiche con il concorso anglo-americano, abbatté (1949) la resistenza comunista.
Gabinetti di coalizione per lo più effimeri si alternarono fino al 1956, quando K. Karamanlìs, alla testa di un nuovo partito (Unione radicale) conquistò la maggioranza alle elezioni. In politica estera la G. appoggiò le aspirazioni di unione dei Ciprioti, ponendo in crisi sia i rapporti con la Gran Bretagna, sia quelli con la Turchia, a motivo della minoranza turca cipriota. Nel 1963, dimessosi Karamanlìs, le elezioni videro la vittoria dell’Unione di centro e la conseguente formazione del governo di G. Papandreou, la cui politica progressista e di distensione verso le sinistre sollevò una forte opposizione tra i conservatori. L’ascesa al trono di Costantino II (alla morte di Paolo I, 1964) accentuò la virulenza dello scontro, che si risolse nel 1965 in contrasto tale fra il re e Papandrèu da condurre il primo ministro alle dimissioni.
Ne derivò una lunga crisi politica sfociata nel 1967 in un golpe che diede inizio a un regime dittatoriale, guidato dalla giunta militare formata da G. Papadòpulos, S. Patakòs, N. Makerèzos. Un tentativo del re di riprendere il controllo della situazione con l’aiuto dell’esercito fallì e Costantino fuggì in esilio. Stroncata ogni opposizione con l’arresto degli uomini politici più in vista, il sovrano fu sostituito nei suoi poteri da un reggente, membro della giunta militare (1967).
Nel maggio 1973, l’ammutinamento di un’unità della marina militare fornì occasione al governo per la proclamazione della Repubblica, alla cui presidenza fu nominato Papadòpulos; nel novembre dello stesso anno all’occupazione studentesca del Politecnico di Atene si associò la protesta operaia. La brutale reazione del regime alle manifestazioni studentesche e operaie che seguirono aprì una crisi nello schieramento governativo, ma solo l’anno successivo, in seguito allo scacco subito a Cipro (il regime militare greco tentò di rovesciare il presidente cipriota Makàrios, subendo una dura reazione militare turca), la giunta militare fu costretta a dimettersi e fu richiamato dall’esilio l’ex premier conservatore Karamanlìs, che formò un governo di salvezza nazionale e ripristinò le libertà e gli istituti democratici.
Nel 1979 fu decisa l’adesione alla CEE, operativa dal 1981. Il 5 maggio 1980, Karamanlìs fu eletto presidente della Repubblica, e la carica di primo ministro passò a G. Ràllis, esponente anch’egli del partito Nuova Democrazia (ND). Le elezioni del 1981 assegnarono la maggioranza al maggior partito d’opposizione, il PASOK (Movimento socialista panellenico); il governo socialista di A. Papandrèu varò una serie di provvedimenti riformatori e ottenne un’interpretazione più favorevole agli interessi ellenici nel trattato di adesione alla CEE; ma, confermato alle elezioni anticipate del 1985, adottò un programma di austerità che radicalizzò il movimento sindacale e fece lievitare l’opposizione comunista, con l’effetto di rafforzare ND. Alle difficoltà del governo si aggiunsero le accuse di malversazione e corruzione mosse da ND, finché lo scandalo della Banca di Creta (1988) coinvolse lo stesso Papandrèu.
Dopo che dalle due successive tornate elettorali politiche del 1989 non emerse la possibilità di costituire maggioranze stabili, le elezioni del 1990 assicurarono la maggioranza a ND, che formò un governo presieduto da K. Mitsotàkis e riportò alla presidenza della Repubblica Karamanlìs. Nel 1992 Papandrèu tornò alla guida del governo, impegnandosi, con esito positivo, per la ripresa delle relazioni diplomatiche (1995) con la Repubblica ex Iugoslava di Macedonia, critiche sin dal 1991, quando la G. si era opposta al riconoscimento dello Stato macedone nato in seguito alla dissoluzione della Iugoslavia, nel timore di possibili rivendicazioni territoriali nei confronti della Macedonia greca.
Nel 1996 K. Simìtis, sostenitore di un profondo rinnovamento del partito, sostituì alla guida del governo il dimissionario Papandrèu. Il suo governo, riconfermato nel 2000, portò la G. ad aderire nel gennaio 2001 alla moneta unica europea mentre, sul piano internazionale, il riavvicinamento alla Turchia fu sancito nel 1999 dalla caduta del veto di Atene all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea e nel 2002 da uno storico accordo fra i due paesi per la costruzione di un gasdotto destinato a rifornire la Grecia. Il governo si trovò a fronteggiare un crescente malcontento poiché la politica rigorosa per entrare nell’area dell’euro ebbe come rovescio della medaglia il rallentamento della crescita economica. Nel dicembre 2003 Simìtis abbandonò la presidenza del PASOK e venne sostituito da G. Papandrèu, figlio di Andrèas. Le elezioni anticipate del marzo 2004 videro la sconfitta socialista e l’affermazione di ND, guidata da K. Karamanlìs, nipote di Konstantìnos. Il nuovo governo varò un piano ambizioso di modernizzazione e di vendita dei settori produttivi rimasti di proprietà pubblica, ma dovette fronteggiare una situazione sociale ed economica caratterizzata da una disoccupazione diffusa e dagli alti tassi di inflazione. Tra il 2005 e il 2006, in un clima di scontro con i sindacati, il Parlamento approvò nuove leggi sul lavoro che introducevano una maggiore flessibilità e la possibilità di licenziare anche nel settore pubblico. Nel febbraio 2005 venne eletto presidente K. Papoùlias, esponente socialista ed ex ministro degli Esteri. Nel febbraio 2007 il governo, dopo aver rischiato la sfiducia parlamentare, ha rilanciato il proprio impegno verso un corso riformatore a tappe accelerate. Tuttavia il deteriorarsi della situazione economica ha sollevato un diffuso malcontento, sfociato a partire dal 2008 in un susseguirsi di scioperi e manifestazioni di protesta e infine nelle dimissioni del governo. Dopo le elezioni vinte dal PASOK, nell'ottobre 2009 è stato nominato premier G. Papandrèu, ma l'insediamento di un nuovo esecutivo non è stato sufficiente a sanare la crisi, che anzi è andata aggravandosi nel corso del 2010 nonostante lo stanziamento da parte dell'Unione Europea di un pacchetto di aiuti di 110 miliardi di euro da corrispondere nell'arco di tre anni. Il programma di austerità varato dal governo nel 2011 ha suscitato nuove ondate di scioperi generali, mentre sul piano internazionale l'Unione Europea e il Fondo monetario internazionale hanno previsto un ulteriore piano di aiuti, vincolato all’attuazione delle misure di austerità e alle privatizzazioni. Dopo aver annunciato nell'ottobre dello stesso anno l'indizione di un referendum, poi annullato, volto a verificare l'esistenza di un largo consenso in merito al piano di salvataggio, ciò provocando pesanti ripercussioni sui mercati mondiali e una dura reazione da parte dell'Unione Europea, nel novembre successivo il premier Papandrèu ha rassegnato le dimissioni in favore di un governo di coalizione di cui è stato nominato premier l'economista ed ex presidente della Banca centrale europea L. Papademos. Nel febbraio 2012 l'approvazione a opera dell'esecutivo delle nuove misure di austerità (tra cui una radicale riforma del mercato del lavoro, con una diminuzione di oltre il 20% dei salari minimi garantiti, consistenti tagli alla spesa pubblica soprattutto nel settore sanitario e della difesa e una nuova politica di privatizzazioni) ha scatenato nella capitale violenti scontri di piazza. Alle elezioni politiche tenutesi nel maggio 2012 ND si è imposto come primo partito del Paese ottenendo il 18,8 delle preferenze, corrispondenti a 108 seggi in Parlamento, ma non raggiungendo la maggioranza assoluta; seconda forza politica è risultata la formazione della sinistra radicale Syriza, che ha registrato il 16,7% dei consensi imponendosi sui socialisti del PASOK (13,2%), mentre è entrato per la prima volta in Parlamento il partito di ispirazione neofascista Chrysi Avyi (7%). Questo quadro di precari equilibri e di forti tensioni ha costretto il presidente della Repubblica Papoúlias a tentare di formare un governo di coalizione allo scopo di evitare nuove elezioni, a seguito della rinuncia formale del leader del PASOK E. Venizelos che ha rimesso il mandato dopo i precedenti fallimenti di A. Samaras, leader di ND, e di A. Tsipras, leader di Syriza. Falliti tali tentativi, Papoúlias ha designato premier ad interim il presidente del Consiglio di Stato P. Pikrammenos. Le nuove elezioni tenutesi nel mese di giugno hanno registrato la vittoria del partito pro-euro ND, che si è aggiudicato il 29,7% dei consensi contro il 26,9% ottenuto da Syriza e il 12,3% del PASOK; non avendo conquistato la maggioranza assoluta, il partito di Samaras ha formato un governo di coalizione con PASOK e Sinistra democratica (DIMAR); nel luglio successivo il governo guidato da Samaras ha ottenuto la fiducia dal Parlamento con 179 voti su 300. Il nuovo governo di unità nazionale ha chiesto lo spostamento dal 2014 al 2016 della data entro cui raggiungere gli obiettivi di bilancio imposti dall'Unione Europea. Nel giugno 2013, a un anno dalla formazione della coalizione tripartita e dopo l’uscita del DIMAR dal governo in ragione della chiusura dell’emittente radiotelevisiva Ert, Samaras ha risolto la crisi politica decidendo un rimpasto di governo: i socialisti del PASOK hanno ottenuto 11 ministeri su 31 e al loro leader Venizelos sono state assegnate le cariche di vice primo ministro e ministro degli Esteri.
Le elezioni anticipate per il rinnovo del Parlamento tenutesi nel gennaio 2015 - dopo lo scioglimento nel mese precedente del Parlamento in ragione del fallimento dei tentativi di eleggere il nuovo presidente della Repubblica - hanno registrato la netta vittoria del partito Syriza, nel cui programma politico sono risultate centrali la richiesta di rinegoziare il debito pubblico e l’elaborazione di una nuova gestione della gravissima crisi economica che ha investito il Paese a seguito delle misure di austerity che hanno ridotto del 40% il potere d’acquisto dei greci, comportando tra le altre cose onerosi tagli al settore pubblico, una serie di privatizzazioni e una pesante riforma delle pensioni. Il partito di Tsipras, ottenendo il 36,3% dei consensi, ha conquistato 149 seggi, ma non avendo raggiunto la maggioranza assoluta per soli due seggi è stato costretto a stringere un'alleanza con la formazione di centrodestra ANEL (Greci Indipendenti); al secondo posto si è attestato il partito Nea Dimokratia (ND, 27,81%) del premier uscente Samaras, cui Tsipras è subentrato nella carica, seguito dalla formazione di estrema destra Chrysi Avghì (Alba Dorata), che ha registrato il 6,28% di preferenze ottenendo 17 seggi. Nel mese di febbraio è stato eletto nuovo presidente della Repubblica, con 233 voti favorevoli su 300, P. Pavlopoulos, candidato del partito Syriza, che è subentrato a K. Papoulias.
In un Paese duramente provato dalle eccezionali misure di austerity e riduzione della spesa pubblica secondo il piano di salvataggio concesso dall’Europa a condizioni molto stringenti - ciò comportando ulteriori, pesanti tagli al settore pubblico e l’aumento della pressione fiscale - nel mese di febbraio il nuovo premier Tsipras ha ottenuto dall’Eurogruppo l’estensione di quattro mesi del sostegno europeo in cambio della rimodulazione del programma di riforme strutturali e di nuove politiche fiscali. Nel giugno successivo, a pochi giorni dalla scadenza delle rate di debito con il Fondo monetario internazionale e dopo il fallimento di numerosi tavoli di trattative, il premier ha deciso di indire per il 5 luglio un referendum popolare sulle nuove proposte di ristrutturazione del debito avanzate dai creditori, che avrebbero salvato il Paese dalla bancarotta ma sottoposto i cittadini a ulteriori, gravosissime misure di austerity. Il risultato del referendum ha registrato il 61,3% dei voti contrari alla politica di austerity proposta dall'Europa; subito dopo il ministro dell'economia Y. Varoufakis si è dimesso per favorire la trattativa con l'Eurogruppo. All'Eurosummit tenutosi il 13 luglio è stato deciso di avviare un negoziato con il Paese per il varo di un terzo programma di salvataggio: il sostegno continuato del programma Esm, erogato in un’azione triennale per un totale di 82-86 miliardi, è stato vincolato all’approvazione da parte del Parlamento greco di un pesante piano di riforme in materia di fisco e pensioni e alla creazione di un fondo di garanzia di circa 50 miliardi di euro in cui trasferire gli asset greci, poi monetizzati attraverso privatizzazioni. L'accordo con i creditori è stato raggiunto, ma la maggioranza di governo costituita dal partito Syriza si è spaccata, e il terzo piano di salvataggio è stato approvato con i voti dell'opposizione; la frattura creatasi all’interno del partito ha spinto Tsipras a rassegnare nell'agosto 2015 le proprie dimissioni e ad annunciare elezioni anticipate per il mese successivo. Alle consultazioni, che hanno registrato un forte astensionismo (45,2%, contro il 36,4% delle precedenti elezioni), Syriza si è nuovamente affermato come primo partito del Paese con il 35,5% dei voti (145 seggi), mentre ND ha ottenuto il 28,1% dei voti (75 seggi) e la formazione neofascista Alba Dorata ha confermato la crescita dei consensi ricevendo il 7% dei suffragi (18 seggi); nello stesso mese Tsipras è stato riconfermato nella carica di premier. Nel maggio 2016, avendo il governo di Atene accettato e parzialmente attuato le riforme richieste, una nuova quota di aiuti è stata sbloccata dall'Eurogruppo, erogata in due tranche nei successivi mesi di giugno e settembre, mentre nel maggio dell'anno successivo, per ottenere un alleggerimento del debito e nuove erogazioni di prestiti, il Parlamento ha approvato una nuova serie di misure di austerità, con tagli alla spesa pubblica per complessivi 4,9 miliardi di euro. Nel giugno 2018, accertato che la G. ha sostanzialmente rispettato gli impegni assunti nei tre piani di salvataggio precedentemente approvati, l'Eurogruppo ha raggiunto un accordo di principio sull'uscita del Paese dal programma di aiuti, concordando una serie di misure atte a sostenerlo nel corso del processo di ripresa; nell'agosto successivo la G. è uscita dal bailout, e si è registrata una lenta ripresa, evidenziata dall'aumento dell'occupazione e da una lieve crescita economica. Ciò nonostante, le elezioni europee svoltesi nel maggio 2019 hanno registrato la netta affermazione dell’opposizione conservatrice, con ND che si è attestata come prima forza politica del Paese ottenendo il 34% dei consensi contro il 27% andato a Syriza, mentre per la destra Alba Dorata (6%) si è verificato un netto calo delle preferenze; in ragione della sconfitta elettorale, il premier Tsipras ha annunciato elezioni anticipate. Le consultazioni, svoltesi nel mese di luglio, hanno confermato la svolta a destra del Paese: ND si è attestata al 39,6% dei suffragi (158 seggi), Syriza al 31,5% (86 seggi), mentre la coalizione di centrosinistra Kinal ha ottenuto l'8,3% dei consensi e la formazione neofascista Alba Dorata non ha raggiunto il quorum del 3% necessario a confermare la sua presenza in Parlamento. Nello stesso mese il leader di ND K. Mītsotakīs è subentrato nella carica al premier uscente Tsipras, mentre nel marzo 2020 ha assunto la presidenza del Paese A. Sakellaropoulou. Nel periodo successivo il governo conservatore di Mītsotakīs ha registrato una progressiva erosione dei consensi, culminata nel marzo 2023 nelle violente manifestazioni di piazza a seguito del grave incidente ferroviario a Tempe, che hanno mobilitato l'opposizione e costretto il premier a fissare elezioni generali al maggio successivo. Ciò nonostante, alle elezioni politiche svoltesi nel maggio 2023 ND ha riportato un'ampia vittoria, aggiudicandosi il 41,1% dei voti (145 seggi), non sufficienti però a consentirgli di governare da solo (la maggioranza assoluta è di 151 seggi), mentre il partito Syriza di Tsipras ha ottenuto il 20% dei consensi (71 seggi) e i socialisti del Pasok l’11,6% (41 seggi). L'impossibilità di formare un governo di coalizione ha costretto alla convocazione di nuove consultazioni, fissate al mese di giugno, a pochi giorni dal tragico affondamento al largo della costa del Peloponneso di un peschereccio carico di migranti, che per numero di vittime potrebbe rappresentare uno dei più gravi episodi di naufragio nel Mediterraneo mai avvenuti. Alle elezioni il partito ND del premier uscente si è imposto con largo margine (40,5% dei voti,158 seggi su 300), ciò che consente la formazione di un governo monocolore, mentre il centrosinistra ha ottenuto il 17,8% dei suffragi e 48 seggi, seguito dal Pasok (11,8%, 32 seggi) e dal Partito comunista greco (7,6%, 20 seggi); rilevante il successo delle forze di estrema destra, con Spartiates che ha ricevuto il 4,6% dei suffragi e 12 seggi, Soluzione greca (4,4%, 12 seggi), Niki (3,6%, 10 seggi), e Rotta di libertà (3,17%, 8 seggi).
Nel gennaio 2019 la G. ha approvato, con 153 voti favorevoli e 146 contrari, l'Accordo di Prespa, grazie al quale la repubblica ex jugoslava di Macedonia ha assunto la denominazione di Repubblica della Macedonia del Nord, ottenendo il riconoscimento di Atene e consentendo al Paese di avere accesso alla Nato e all'Unione europea.
L’insieme delle varie parlate indicato con il nome di lingua greca (fig. 3) appartiene alla famiglia linguistica indoeuropea. La prima documentazione diretta è epigrafica (lineare B; ➔ lineare) e risale al 16° e 15° sec. a.C. La prima documentazione letteraria si ha nelle parti più antiche (forse 8° sec.) dell’Iliade e dell’Odissea; ma non è una documentazione diretta, giacché noi conosciamo i due poemi in una forma che è il risultato di varie e spesso contrastanti tradizioni e redazioni. La lingua greca è stata introdotta in G. da invasioni provenienti dal N della penisola balcanica, strada di passaggio di popoli parlanti lingue indoeuropee, tra i quali si possono ricordare, come predecessori dei Greci, gli Ittiti e i Frigi-Armeni. Le tribù greche, stabilendosi nelle sedi storiche, vennero a contatto con uno strato di popolazione alloglotta, non indoeuropea, che aveva già raggiunto un notevole livello di civiltà (civiltà cretese o egea) ma che adottò la lingua degli invasori greci. Le iscrizioni più antiche del mondo cretese (lineare A) non sono state ancora decifrate; non se ne conosce dunque la lingua. Tuttavia nella toponomastica in lingua greca della G. e delle isole dell’Egeo e nel lessico greco da tempo è stato individuato un gran numero di forme che dovevano una volta appartenere a questo strato preellenico (sostrato egeo), il quale è risultato essere in relazione con un sostrato più vasto che si suole qualificare come indomediterraneo. Una teoria, assai discussa, vorrebbe riportare una notevole parte di questi elementi lessicali a uno strato preellenico ma indoeuropeo e di tipo satem, intermedio tra lo strato preindoeuropeo e lo strato greco, detto pelasgico, dal nome del mitico popolo dei Pelasgi.
Agli inizi della storia l’area di lingua greca risulta assai differenziata, in quanto ogni regione, ogni città aveva un parlare proprio; questo differenziamento rimase nell’uso scritto, tanto più che i diversi generi letterari ebbero ciascuno una forma linguistica propria che, sebbene consacrata nelle linee generali dalla tradizione, ogni autore trattava diversamente. Tale estremo individualismo venne attenuandosi nella vita religiosa, che creò le basi per il sorgere di una coscienza nazionale, sia pure non politica; il lento ma costante processo di osmosi e il prestigio acquistato da alcune varietà dialettali portarono a una sempre maggiore omogeneità che culminò nell’affermarsi della koinè. A parte tali innovazioni propriamente storiche, la comunità linguistica greca si affermò nella sua fisionomia attraverso un complesso processo di differenziamento, compiutosi per la maggior parte già nella preistoria.
Trasformazioni particolari contraddistinguono tutte le parlate greche rispetto alle altre lingue indoeuropee (per es. in principio di parola la semivocale j si ridusse a un’aspirazione (´); preceduta da un’occlusiva la semivocale j fu trattata in greco altrimenti che in tutte le altre lingue; in fine di parola il greco non tollera, oltre alle vocali, altri fonemi che n, r, s; nella morfologia sono peculiari fra l’altro la riduzione dei casi da otto a cinque, la formazione dell’aoristo passivo con il suffisso -ϑη-). Innovativo da una parte, il greco è invece conservativo per es. nel vocalismo, nell’apofonia, nelle labiovelari, nella qualità musicale dell’accento e nelle categorie verbali congiuntamente all’aspetto. Benché esso presenti una struttura notevolmente diversa da quella che siamo in diritto di attribuire all’indoeuropeo preistorico, per l’antichità, la precisione e l’ampiezza della sua documentazione esso si trova collocato, assieme all’indoario, tra le lingue che più hanno facilitato la ricostruzione dell’indoeuropeo.
Come altrove, così anche in G. non è possibile stabilire una divisione netta fra dialetto e dialetto. Oltre agli spostamenti preistorici, si verificarono più volte in epoca storica sovrapposizioni di popolazioni e le condizioni di fatto sono dunque assai complesse; a renderle oscure si aggiunge che, mentre di alcuni dialetti siamo informati con discreta larghezza, di altri scarseggiano o mancano i documenti. Le fonti d’informazione sono i testi epigrafici, i testi letterari e le notizie tramandate dagli antichi grammatici e lessicografi (➔ Esichio di Alessandria).
Una distribuzione che cerca di conciliare i fatti linguistici con i dati storici e geografici distingue: 1°) dorico; 2°) dialetto dell’Acaia e delle sue colonie in Italia (Crotone, Metaponto, Sibari, Posidonia), simile al dorico; 3°) dialetto dell’Elide, intermedio tra il gruppo 1° e il 4°; 4°) dialetti del Nord-Ovest (Locride, Focide ecc.), affini al dorico; 5°) eolico (lesbico, tessalico e beotico); 6°) arcadico-cipriota; 7°) panfilico, affine al gruppo precedente; 8°) ionico-attico. Queste otto varietà potrebbero nella classificazione ridursi a quattro: ionico, eolico, arcadico-cipriota e dorico; ma le opinioni in proposito sono divergenti.
Fuorché in Attica, a Lesbo e a Siracusa e sporadicamente altrove, la letteratura non si valse della parlata locale. La più antica forma di lingua letteraria, la lingua omerica, è il prodotto di una lunga tradizione stilistica e presenta perciò una coesistenza di elementi linguistici vari per cronologia (ionico dell’8° sec. con tracce abbondanti di uno stadio più arcaico) e per provenienza geografica (ionico con tracce di eolico, la lingua dell’epica più antica). Questa lingua fu usata successivamente per tutta la poesia esametrica (ἔπος) da Esiodo fino ai tempi più tardi ed esercitò un influsso sulla poesia greca in generale. Nemmeno la lirica lesbica, considerata come la più aderente, tra le forme poetiche, all’idioma materno dei suoi cultori, è immune del tutto da infiltrazioni del dialetto epico. La mescolanza risalta nella lingua adoperata dalla lirica corale, che è un dorico generico con elementi epici ed eolici nello stesso tempo.
Nella Ionia, che precedette le altre regioni nello sviluppo della civiltà e che fu anche la prima a darsi una lingua letteraria distinta dal parlare locale, nasce la prosa greca narrativa e scientifica; e per lungo tempo anche scrittori nativi di altre regioni si valgono della lingua ionica. Sotto l’influenza di questa si svolge la più antica forma, a noi giunta, di lingua letteraria attica: il dialetto della tragedia.
Solo verso la fine del 5° sec. la lingua degli scrittori attici si fa più aderente al dialetto locale e ben presto diviene la lingua letteraria di tutta la G., favorita, in questo diffondersi, dal prestigio spirituale di Atene e dalla sua situazione politica. Con l’espansione l’attico si modifica: la popolazione ionica che l’adotta ritiene alcune particolarità grammaticali, specie fonetiche e lessicali, dei propri dialetti; così modificato l’attico si propaga ad altre terre greche e seguendo il cammino vittorioso di Alessandro diviene la lingua dell’Oriente classico. Questa lingua comune dell’ellenismo convisse negli ultimi secoli a.C. con una koinè occidentale acheodorica e una più propriamente dorica nelle isole doriche dell’Egeo ma, alla fine, gli antichi dialetti scomparvero. Dal frazionamento della koinè sono derivati gli attuali dialetti.
La lingua neogreca si sviluppa dalla koinè alessandrina attraverso una serie di mutamenti fonetici, i principali dei quali si compiono tutti tra il 300 a.C. e il 500 d.C. (perdita del senso della quantità e dell’accento musicale; monottongazione; itacismo; mutamento delle occlusive sonore e delle sorde aspirate in spiranti sonore e rispettivamente sorde). Contemporaneamente all’evoluzione fonetica, e da essa in parte determinato, si svolge un processo di semplificazione e conguagliamento delle forme, simile a quello che conduce dal latino alle lingue romanze, ma nelle conclusioni meno radicale di esso.
Il lessico del greco moderno è costituito nell’assoluta maggioranza da parole di origine greca, con numerosi spostamenti semantici. L’influsso delle lingue occidentali (italiano, francese) si fece assai sentire soprattutto dopo la presa di Costantinopoli da parte dei crociati e lo smembramento dell’Impero. La conquista turca esercitò in complesso un’azione protettrice di isolamento, anche se il lessico neogreco si arricchì di non poche parole di origine turca. Con la fine del dominio ottomano, queste ultime furono espunte progressivamente, anche in forza di provvedimenti presi dall’alto, mentre aumentò l’influsso delle lingue occidentali, soprattutto del francese e dell’inglese.
Pur non esistendo una marcata difformità tra le varie parlate regionali della G., è possibile fare una distinzione tra i dialetti del nord e i dialetti del sud; un posto a parte hanno lo zaconico (parlato in una zona montuosa del Peloponneso, ha elementi che risalgono direttamente al laconico) e il greco dell’Italia meridionale. La reazione atticistica determinatasi già in età romana contro l’evolversi della koinè e protrattasi in età bizantina, creò una situazione di fatto che si è perpetuata per secoli nella cosiddetta diglossia: accanto al greco volgare (o demotico), è stata usata, come lingua ufficiale dello Stato, dell’erudizione e della scienza, ma anche come strumento di espressione letteraria, una lingua pura, che pretendeva di conservare, non senza vistose incoerenze, le forme e i costrutti del greco antico.
La letteratura greca antica si suole dividere in tre periodi: il periodo ionico o più propriamente ellenico o arcaico (dalle origini al 500 a.C. circa); il periodo attico (dal 500 circa al 323 a.C.), in corrispondenza con il massimo fiorire della città di Atene; il periodo ellenistico (dal 323 a.C., data della morte di Alessandro Magno, al 529 d.C., data della chiusura dell’università di Atene), suddiviso a sua volta in due periodi: l’alessandrino (fino alla conquista romana) e il romano. Assai incerto è il confine con la successiva letteratura bizantina, nella quale la letteratura greca si tramuta senza soluzione di continuità.
La letteratura greca, allo stato delle nostre conoscenze, ci si presenta con un susseguirsi di opere complesse o perfette di cui ignoriamo i precedenti immediati; ciò ha dato vita al mito romantico di un’assoluta e quasi miracolosa originalità della letteratura greca.
Senza esaminare lo svolgersi della questione omerica, basti ricordare che essa poté nascere per la mancanza assoluta di notizie storiche intorno alla figura di Omero, per la diversità di contenuto politico, sociale, morale tra i due grandi poemi che la tradizione gli attribuisce, per le contraddizioni che si riscontrano all’interno di ciascuno dei due poemi. Si è d’accordo nel ritenere che l’Iliade e l’Odissea si siano costituite nella forma a noi nota all’inizio del cosiddetto medioevo ellenico (fine dell’8° sec.-inizio del 7°; l’Iliade prima dell’Odissea); e che ciò sia avvenuto per opera di due poeti geniali, che attinsero a canti formatisi precedentemente in una lunga tradizione di aedi e rapsodi. Questa tradizione avrebbe avuto una sua prima fase in territorio eolico con forme più liriche, e si sarebbe sviluppata poi in forme più ampie e narrative presso gli Ioni. Nei due poemi attribuiti a Omero si trovano già alcuni caratteri fondamentali della letteratura greca, tra cui l’arte di trasferire il racconto in un clima lirico e drammatico d’alto valore emotivo. Comune ai due poemi è anche l’arte di tagliare il racconto introducendo il lettore in medias res e scegliendo tra il vasto materiale mitico.
Altri episodi, trattati dagli aedi anteriori a Omero, confluirono invece nella larga fioritura del ‘ciclo epico’ – mirante a una narrazione ordinata e completa – di cui nulla ci rimane, ma sappiamo che esso costituì una specie di vasto repertorio di leggende a cui ricorsero i poeti posteriori, soprattutto i tragici.
Nella Teogonia, Esiodo (fine dell’8° sec.) dà una sistemazione dottrinaria al vasto materiale teologico e mitico costituitosi in tanti anni di ‘mitopea’. L’epos si trasferisce dalle colonie dell’Asia Minore nella madrepatria, abbandona l’eroico e il fantastico per ubbidire a istanze pratiche e assumere atteggiamenti meditativi. Ciò è evidente soprattutto nelle Opere, in cui il poeta descrive ed esalta il duro lavoro dell’uomo, in una campagna rude, ostile.
L’età successiva a Esiodo (7°-6° sec.), in corrispondenza della crisi politica e sociale che in molte città greche condusse dal governo monarchico a quello aristocratico, alle tirannidi e poi alla democrazia, vide l’affermarsi di forti personalità poetiche nelle varie forme della poesia lirica: l’elegia, per il metro e la lingua vicinissima all’epos; la poesia giambica, ionica anch’essa ma di origine popolaresca; la lirica in senso stretto (o melica) associata al suono della lira, e suddivisa a sua volta in poesia eolica (o monodica) e dorica (o corale). Di tanta produzione artistica, non ci restano che frammenti. L’elegia, alla quale Archiloco diede impeto lirico e rapidità epigrammatica, fu largamente trattata nel 7° e 6° sec., ma in forme più discorsive, con prevalenza di toni gnomici, parenetici, moraleggianti. La voce poeticamente più viva è quella di Mimnermo, contemporaneo di Solone. La poesia giambica, di cui Archiloco fu considerato inventore, fu continuata da Semonide di Amorgo, che generalizzò la satira inserendola su motivi favolistici, e dal personalissimo Ipponatte di Efeso (metà circa del 6° sec.). La lirica eolica appare alla fine del 7° sec. e al principio del 6° con lingua e metrica proprie (➔ Eoli). Le lontane radici vanno cercate in quel sostrato che precedette e diede alimento all’epica ionica; ma di questa lirica ci sono giunte solo due voci, quelle di Alceo e di Saffo, i cui frammenti costituiscono anche l’unica fonte per la conoscenza dell’eolico letterario. La poesia eolica ebbe un continuatore nello ionico Anacreonte, di qualche decennio posteriore ad Alceo. La lirica dorica, scritta spesso per essere cantata da un coro, si svolge con strutture metriche determinate, più che nell’eolica, da esigenze musicali, e appare più strettamente legata a occasioni esteriori; fu utilizzata da Alcmane e Ibico di Reggio. Stesicoro di Imera (in Sicilia) diede maggiore sviluppo alla narrazione epica, pur presente in Alcmane, avviando la composizione corale a quel carattere epico-lirico che prevale nell’età successiva e che ci è noto soprattutto da Bacchilide e Pindaro. Gli antichi attribuivano a Stesicoro anche l’invenzione della triade strofica (strofe, antistrofe, epodo) che resta forma caratteristica di questa poesia.
La prosa si svolse tardi, nel 6° sec. e in terra ionica, dove appare come una derivazione dell’epica, trattando in gara con essa narrazioni genealogiche, geografiche, storiche. Tra i prosatori ebbe particolare importanza Ecateo di Mileto. Alla poesia didascalica e cosmogonica si riconnette invece la prima speculazione filosofica, dei milesi Talete, Anassimandro, Anassimene, e di Eraclito di Efeso che trattarono tutti il problema dell’origine e della costituzione dell’Universo. Dalla Ionia la filosofia si portò in Sicilia e in Magna G., dove fiorirono la scuola pitagorica e la eleatica (Senofane, Parmenide, Empedocle). La novellistica popolareggiante, soprattutto la favola animalesca, fiorì in Asia Minore, nel 6° sec., e si raccolse intorno al nome di Esopo.
- Caratteristico di questo periodo è l’incentrarsi della cultura quasi esclusivamente ad Atene. Massimo poeta della lirica dorica (o corale) fu Pindaro, esaltato dagli antichi per l’incisività della gnome e per l’arte di rievocare le grandi scene del mito in vigorosissimi scorci; è anche l’unico lirico greco di cui ci resti parte dell’opera (gli epinici) in tradizione diretta. Ionici (di Ceo) furono invece gli altri due rappresentanti della poesia corale: Simonide e Bacchilide. Tra le poesie di quest’ultimo, un ditirambo (il Teseo) ha forma di dialogo lirico tra il coro (il popolo ateniese) e il corifeo (il re Egeo): se, come probabile, questa non è un’invenzione di Bacchilide ma s’ispira a forme più antiche, esso può darci ragione del modo in cui dal ditirambo avrebbe potuto – secondo la teoria di Aristotele – prendere origine la tragedia.
La tragedia è forse la più alta creazione dello spirito greco, compiutasi ad Atene dove ebbe consacrazione dallo Stato come funzione religiosa connessa con il culto di Dioniso. Che essa derivi per evoluzione da una forma di poesia corale sembra attestato dalla parte che in essa ha il coro. Tema della tragedia sono prevalentemente i grandi avvenimenti del mito che ponevano di fronte ai grandi problemi della responsabilità umana e della giustizia divina. Eschilo (525-456 a.C.) individua nella hỳbris (alterigia, tracotanza) una colpa umana che si ripercuote in altra hỳbris, finché per la giustizia divina non sia ristabilito il rotto equilibrio; la tensione tragica, altissima in tutta l’opera di Eschilo, nasce da un contrasto continuo tra l’agire dell’uomo e questa superiore giustizia che deve compiersi a dispetto o per mezzo di quell’agire. In Sofocle (497-406) il conflitto si interiorizza, si sprigiona violento da fratture interne all’animo dei personaggi, spesso solitari e magnanimi, caratterizzati con finezza psicologica. Euripide (480-406), sensibile all’inquietudine di un’età prossima al suo declino, spezza l’unità tragica, inseguendo effetti teatrali con un senso squisito del patetico e con atteggiamenti antieroici che anticipano l’età successiva. Del dramma satiresco ci resta esempio nel Ciclope di Euripide e nei frammentari Ichneutài di Sofocle: simile alla tragedia nella sua struttura, esso si ispirava ai motivi fiabeschi della mitologia popolare con accentuazione dei toni buffi e grotteschi.
La commedia ebbe consacrazione ufficiale piuttosto tardi (la prima data storica è la vittoria conseguita da Chionide nel 486 a.C.). Di essa conosciamo soltanto i frutti maturi, nell’opera di Aristofane (solo frammenti di Cratino ed Eupoli). Partendo dalla satira personale, letteraria o politica, la commedia si presenta come una creazione legata alle condizioni di vita della pòlis ateniese: materiale strettezza dell’ambiente e larga apertura culturale, libertà assoluta di critica e di parola, partecipazione totale dell’individuo alla vita della comunità. Col mutarsi di tali condizioni, per la sconfitta ateniese nella guerra peloponnesiaca, si diede inizio alla commedia di mezzo, della quale non una sola opera ci è giunta intera. Tutt’altra cosa è la cosiddetta commedia nuova sorta alla fine di questo periodo: Filemone, Difilo, Menandro (342-292), la cui opera cade tutta cronologicamente nel periodo alessandrino. La commedia nuova, esercitando la satira genericamente per tipi, si svincola dai legami del contingente dando inizio a quella che sarà d’ora in poi la commedia per tutto il classicismo europeo.
Anche nella prosa Atene elabora con genialità elementi di varia provenienza. Innanzitutto la tradizione logografica della Ionia a cui si riconnette Erodoto di Alicarnasso (484-425 a.C.). Ionico è il dialetto, ionico l’interesse per la ricerca geografico-antiquaria e la curiosità attentamente rivolta alle manifestazioni del soprannaturale.
Ad Atene decisiva è soprattutto l’azione dei sofisti (Protagora, Prodico, Ippia, Gorgia). Di varia provenienza e formazione, essi concordano in un atteggiamento di reazione alla filosofia ionica, negando la possibilità di una conoscenza obiettiva del mondo ed esaltando per contro la capacità individuale di imporre la propria verità e di agire nel campo pratico. Essi crearono la ‘prosa d’arte’, gettarono le basi dell’insegnamento retorico, avviarono la critica in tutti i campi dell’attività umana. Il loro influsso è sensibile in Tucidide (460-396 circa), con cui la storia diviene narrazione di fatti umani, indagati nei rapporti di causa ed effetto.
L’eloquenza, grazie all’indirizzo sofistico fu considerata non soltanto come una pratica necessità ma come un’arte. Tra gli oratori che i grammatici dell’età posteriore scelsero a rappresentare l’eloquenza nel cosiddetto ‘canone alessandrino’, Demostene (384-322) rappresenta la forte passione politica, nella difesa della libertà di Atene contro la Macedonia.
Nel campo della filosofia spetta alla sofistica il merito di aver richiamato l’attenzione verso i problemi che più da vicino interessano l’uomo, determinando lo sviluppo della speculazione successiva, volta prevalentemente alla morale e alla metafisica. Ai sofisti si riconnette e si oppone Socrate; al suo nome si riallacciano infatti le varie scuole filosofiche: la megarica, la cinica, la cirenaica, l’accademica, la peripatetica. Fondatore della scuola accademica e massimo tra gli scolari di Socrate fu Platone (427-347), la cui opera rappresenta la drammatica ricerca della verità filosofica, come esigenza che nasce dalla vita stessa. Con la concezione delle idee, modelli eterni e immutabili della realtà, Platone diede consapevolezza filosofica alla tendenza idealizzatrice già viva nella letteratura e nell’arte greca. Dalla scuola accademica si distaccò poi Aristotele (384-322) che, tra i pensatori greci, fu quello che più durevolmente e profondamente influì sullo sviluppo filosofico e scientifico delle età future. Dopo Aristotele, con la filosofia di Epicuro si afferma un individualismo che denuncia ormai la fine degli ideali sociali e politici della pòlis.
Nell’età alessandrina, la diffusione della cultura greca presso popoli non greci impone alla lingua una normalizzazione (la koinè alessandrina), mentre lo studio letterario viene inteso ormai come la conquista di un mondo passato. Sorge così la filologia, ch’ebbe il suo centro principale in Alessandria d’Egitto (presso la famosa Biblioteca) e in altre città ellenistiche (Pergamo, Rodi); con maturità di metodo essa provvede edizioni delle opere antiche, commenti grammaticali ed eruditi; è responsabile in gran parte della conservazione di quelle opere nelle età successive. Questo ripiegamento sul passato, e insieme lo scadimento dei valori religiosi già connessi con il mito, agiscono anche sulla poesia che è volta al preziosismo formale, all’arguzia concettuale, ispirata alla vita di ogni giorno, al quadretto di genere: è l’età della commedia nuova di cui già si è parlato, dell’epillio, del mimo.
La produzione poetica, soprattutto al principio di questa età, è ancora florida. L’elegia è trattata con spiriti nuovi: Filita di Coo, Ermesianatte di Colofone, Alessandro Etolo, Fanocle e soprattutto Callimaco (310-240), la figura più caratteristica di questo periodo. L’epigramma è coltivato largamente come espressione lirica, sganciata ormai da ogni occasione esterna: Nosside, Asclepiade di Samo, Posidippo, Niceneto e altri la cui opera ci è nota attraverso la vasta silloge dell’Antologia. Apollonio Rodio (300-230 circa) è l’unico a tentare il poema di vasto respiro (le Argonautiche, in quattro libri). Teocrito di Siracusa (310-250) è autore di poemetti epico-mitologici, di mimi urbani e pastorali (la poesia bucolica, di cui si considera inventore). La migliore fioritura poetica è del 3° sec., nei secoli successivi la poesia decade sensibilmente. Numerosi sono ancora gli scrittori di epigrammi, tra cui Meleagro di Gadara (2°-1° sec. a.C.), figura assai originale di poeta d’amore.
Fiorente è in tutto il periodo il progresso scientifico: la matematica (Euclide, Archimede); l’astronomia (Aristarco di Samo, Ipparco di Nicea); le scienze naturali e la medicina (Erofilo di Calcedonia ed Erasistrato di Ceo).
Nella retorica è possibile distinguere due opposte correnti: lo stile asiano (Egesia, 3° sec. a.C.) e il rodiese (Posidonio, Molone di Rodi, 1° sec. a.C.) da un lato, e la scuola atticista dall’altro, corrente di purismo che predica il ritorno ai modelli attici.
Unico grande storico è nel 2° sec. a.C. Polibio di Megalopoli la cui storia universale si volge a indagare le ragioni dell’ingrandirsi di Roma e del suo sostituirsi alla G. nella guida della civiltà.
Sotto il dominio di Roma, la letteratura greca decade nell’imitazione scarsamente originale del passato; prevale infatti la corrente puristica dell’atticismo con Dionisio di Alicarnasso e Cecilio di Calatte. Soltanto verso la metà del 1° sec. si leva la voce viva dell’anonimo autore del Sublime, che nello studio della passata letteratura esalta i valori dell’originalità.
Accanto alla retorica fiorisce l’erudizione storico-filosofica e antiquaria con Strabone (63 a.C. - 19 d.C.), Diodoro Siculo (70-20 a.C.), Dionisio di Alicarnasso (60 - m. dopo il 7 a.C.).
Interessi più vivi e più concreti si trovano nella cultura giudeo-ellenizzante che, iniziatasi in età alessandrina con la prima traduzione greca dell’Antico Testamento e con opere apologetiche, si affermò in Roma con il filosofo Filone di Alessandria e con lo storico Flavio Giuseppe. Una rinascita dell’ellenismo si ha tra il 1° e il 2° sec. d.C. con Plutarco di Cheronea (46-120 d.C.), le cui Vite parallele, celebrando l’ellenismo e la romanità come espressioni di virtù, hanno in sé un contenuto umanistico che spiega l’enorme influsso da esse esercitato su tutte le letterature europee. E alla elevazione dell’ellenismo contribuì la dottrina stoica, con l’opera di Epitteto e di Marco Aurelio.
Carattere più esteriore ebbe, sotto Adriano, la ‘seconda sofistica’, che mosse dall’atticismo e si propose una diffusione più larga della cultura. A questa corrente appartiene, pur distinguendosene per l’originalità del suo spirito dissolvitore, Luciano di Samosata (120-185). Nel 2° e 3° sec., sempre sotto l’influsso della seconda sofistica, ebbe largo sviluppo il romanzo, in cui si distingue Longo Sofista con Dafni e Cloe.
Le voci più vive di questo periodo sono nel cristianesimo: gli scritti del Nuovo Testamento nel 1° sec.; nel 2° e nel 3° sec. i Padri Apostolici e gli apologisti (Aristide, Giustino, Atenagora, Taziano, Ireneo ecc); poi i grandi dottori e teologi con a capo Clemente Alessandrino (150-215) e Origene (185-254), che tentano la conciliazione della fede cristiana con il sapere ellenico; Eusebio (265-340), Atanasio (295-373), e ancora nel 4° sec. Basilio, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo, Giovanni Crisostomo, il più grande oratore cristiano e, infine, Sinesio, autore anche di inni. In complesso, se si eccettuano gli scrittori e i pensatori del primo secolo (sopra tutti s. Paolo), la letteratura cristiana in lingua greca non si svincola dalla tradizione classica con quella indipendenza che è propria invece della letteratura in lingua latina. Un ultimo tentativo di riscossa pagana contro il cristianesimo è il neoplatonismo, rappresentato dal fondatore Ammonio Sacca e poi da Plotino di Licopoli (204-270), Porfirio (232-304), Giamblico ecc.; alla scuola neoplatonica si collega un’ultima fioritura di retori: Imerio, Temistio, Libanio di Antiochia (324-393), maestro dell’imperatore Giuliano l’Apostata (321-363), che tentò di tradurre in atto con la forza la restaurazione pagana. Il paganesimo, tuttavia, è finito con l’ultimo capo del neoplatonismo, Proclo di Atene (410-485); nel 529 l’imperatore Giustiniano proibiva l’insegnamento ai professori pagani e confiscava i beni della scuola di Atene, ordinandone la chiusura.
La nascita della letteratura neogreca può collocarsi in un arco di tempo che si estende dall’11° sec. fino ai primissimi anni del 16°. Tali estremi cronologici si riferiscono, rispettivamente, alla probabile epoca di composizione, da parte di un solo poeta, forse lontano da Bisanzio, del poema Dighenìs Akrìtis e alla pubblicazione dell’Apòkopos del non meglio conosciuto poeta cretese Bergadìs, avvenuta a Venezia nel 1509. Le due opere sono eterogenee per contenuti e caratteristiche formali: l’eroe della prima, dalla duplice origine greca e saracena, che difende i confini orientali dell’Impero, non somiglia a nessuno dei morti trepidanti e patetici che si affollano intorno al poeta-narratore dell’Apòkopos, trasportato in sogno nell’Ade; analogamente, se la lingua e il verso decapentasillabo del Dighenìs rispecchiano ibridismi e rigidezze compatibili con l’epoca di composizione, gli idiomatismi di Bergadìs, la fluidità del suo decapentasillabo rimato sono altrettante testimonianze di un’evoluzione che a Creta darà frutti anche maggiori. Eppure l’una e l’altra opera hanno goduto di notevole fortuna, imponendosi tuttavia la più antica per mezzo della trasmissione orale e manoscritta, la più recente per mezzo della stampa. Di fatto, il presupposto teorico che esista tra l’oralità e la scrittura uno scambio reciproco e continuo, riconoscibile in alcuni esiti specifici, sembra oggi garantire l’approccio più idoneo alla comprensione di gran parte della letteratura neogreca.
Ancora alla piena epoca bizantina risalgono i versi di T. Pròdromos (12° sec.) e di M. Glikàs (seconda metà del 13° sec.), che offrono squarci della vita e dei costumi della capitale bizantina, nonché lo Spanéas («Glabro»), nel quale l’autore (forse A. Komninòs, m. 1142) impartisce al nipote alcune direttive morali. La distruzione di Costantinopoli, nel 1204, e lo smembramento dell’Impero in vari staterelli, governati da signori latini (conseguenze della IV Crociata), sovvertirono, oltre che gli assetti politici, anche le tradizioni culturali del mondo bizantino, rimasto indifferente, se non addirittura ostile, alle sollecitazioni che potevano venire dall’Occidente. Della progressiva penetrazione d’influssi romanzi in terra greca sono di fatto testimoni, a vario titolo, i componimenti nei quali è rielaborata la materia antica, i bestiari, le narrazioni in versi di avvenimenti storici e soprattutto i romanzi cavallereschi, arrivati fino a noi in numero di cinque, composti in luoghi e tempi diversi (almeno due, Libistro e Rodamne, e Iberio e Margarona si pensa che siano stati scritti a Creta, rispettivamente alla fine del 14° sec., e all’inizio del 16°).
Dopo la caduta di Costantinopoli, la tradizione greca colta (ma solo quella relativa all’antichità) viene preservata dalla diaspora nell’Occidente europeo dei dotti bizantini, che concorsero allo sviluppo dell’Umanesimo. Una sensibilità e un gusto di schietto stampo demotico si manifestano invece con pienezza nelle isole maggiori dell’Egeo, provvisoriamente sfuggite alla conquista ottomana. A Creta, dominio veneziano fin dal 1211, ebbe modo di svilupparsi una letteratura tra le più significative nell’ambito del greco moderno, annoverando dapprima (fine 14° sec. - inizi 15°) poeti di componimenti satirici, oppure amorosi, o didascalico-allegorici (S. Sachlikìs, L. Dellapòrtas, M. Falièros, Bergadìs, l’Anonimo della Storia dell’asino) nei quali una lingua ancora in bilico fra koinè letteraria e dialettismi si unisce a motivi ispiratori di provenienza autoctona o bizantina, ma anche, talvolta, occidentale. Sono questi, insieme ad altri più tardi anonimi autori di opere d’ispirazione lirica o pastorale, i veri precursori di quella generazione di poeti che diede vita, dal 1570 circa, alla Rinascenza cretese, e cioè a quella straordinaria fioritura di testi, prevalentemente drammatici, che, pur ispirandosi a modelli occidentali, raggiungono un alto grado di autonomia e adottano come veicolo linguistico una demotica cretese ormai ben definita. Poco o niente si sa di questi poeti, neppure dei più grandi, come G. Chortàtsis (attivo alla fine del 16° sec.), autore del dramma pastorale Panòria, della tragedia Erofìli e della commedia Katzùrbos, o come V. Kornàros, autore, forse intorno al 1600, del romanzo in versi Erotòkritos. Si è spesso sottolineata l’origine veneto-cretese di molti poeti della Rinascenza (M.A. Fòskolos, I.A. Tròilos, oltre che Kornàros); i maggiori di essi, Kornàros soprattutto, apprezzavano la coeva produzione greca, mediata da quella stessa editoria veneziana che, assieme ai testi liturgici, produceva libri d’intrattenimento, o di edificazione.
Frutto di altre esperienze, e soprattutto del confronto o addirittura dell’incontro con la Chiesa cattolica della Controriforma e della Propaganda fide, sono gli scritti, in prosa demotica, di molti ecclesiastici (K. Lùkaris, F. Skùfos, I. Miniàtis), o di qualche filosofo educato in Italia.
Una nuova laicizzazione della cultura venne promossa nei centri dove i Greci, aggregati in comunità più prospere e numerose, poterono entrare in diretto contatto con le idee illuministiche. Al paragone con il nuovo che urgeva nei vari campi del sapere, la tradizione greca risultò limitata e bisognosa di aggiornamenti: di qui il proliferare delle traduzioni, l’impulso dato a una sia pur embrionale attività drammaturgica, l’elaborazione di proposte pedagogiche, la fondazione di riviste (fra tutte, si segnala Ermìs o Lòghios, pubblicata a Vienna dal 1811 al 1821), la ricerca di una forma linguistica idonea. Ben determinato nel proporre un compromesso tra forme antiche e recenti fu il filologo A. Koraìs (18°-19° sec.), editore di testi antichi, ma anche autore di un testo di finzione in demotico. Nello stesso periodo, più problematico e tuttavia più sensibile a un principio di realtà che gli suggeriva di adottare la lingua demotica, fu D. Katartzìs, vissuto a Bucarest: la sua fu una lezione di lingua e di stile, oltre che di progressismo culturale. Il protomartire della libertà greca, K. Rìgas Ferèos (18° sec.), fu autore di varie opere mirate all’emancipazione del popolo greco.
D. Solomòs, di Zante, per primo avvertì la necessità di radicarsi in una tradizione che comprendesse i testi cretesi, così come certa parte della letteratura di consumo e i canti popolari che, elaborando i temi cari alla sensibilità greca, oltre che le imprese dei clefti, i banditi-patrioti in lotta con i Turchi, erano stati resi noti in Europa grazie alle raccolte pubblicate da C. Fauriel (1824-25). Essendo stato in contatto, in Italia, con le poetiche del neoclassicismo e del romanticismo, Solomòs avvertiva la necessità di rinnovare il patrimonio del suo paese, innanzi tutto per esprimere in modo congruo gli ideali a cui s’ispirava la lotta di popolo, intrapresa, a partire dal 1821, contro la dominazione ottomana. Qualche difficoltà nel possesso del greco ebbe anche A. Kàlvos (contemporaneo e compatriota di Solomòs), a sua volta educato in Italia, il quale, in una lingua epurata non priva di suggestione, cantò le glorie e le speranze future di una patria sempre vagheggiata da lontano. La lezione di Solomòs trovò numerosi emuli nei poeti e prosatori che costituirono la cosiddetta Scuola dell’Eptaneso, che comprendeva i coevi (fine 18°-19° sec.) A. Màtesis (autore di una delle più belle commedie del teatro greco, Il basilico) e I. Tipàldos (traduttore, tra l’altro, della Gerusalemme liberata); i poeti A. Valaorìtis (19° sec.) e L. Mirivìlis, il prosatore e drammaturgo G. Xenòpulos, K. Theotòkis, esponente tra i più significativi della corrente letteraria detta ithografia, sostanzialmente ispirata al naturalismo francese.
La fondazione dello Stato greco (1830) favorì la crescita di un ceto intellettuale incline a creare il mito della rinata Ellade antica, e l’affermazione di un gruppo di poeti puristi, seguaci di un romanticismo di maniera. Essi scelsero di esprimersi nella katharèvusa e cioè in una lingua epurata, che altre codificazioni non ebbe se non quelle di volta in volta proposte dai vari scrittori, fra i quali emersero i romanzieri S. Xènos, P. Kaligàs, E. Roìdis e, in particolar modo, A. Papadiamàndis, che affidò tuttavia alla demotica ampie parti dei suoi racconti. Nella lingua corrente si espressero più volentieri i poeti: alcuni, come N. Kambàs, G. Drosìnis, I. Polèmis, traendo anche ispirazione dalle ricerche folcloristiche avviate dopo il 1870 da N. Polìtis. Una posizione di più spiccato rilievo ebbe K. Palamàs, che divenne il vate ellenico con i suoi componimenti ispirati alla G. eterna, e che usò la demotica anche nei numerosi e acuti scritti saggistici. Il dibattito sulla lingua si riaccese quando I. Psychàris dimostrò, con il singolare romanzo-manifesto Tò taxìdi mou («Il mio viaggio», 1888), che le possibilità della demotica erano tali da non poter essere legittimamente contrastate né da considerazioni di ordine stilistico, né da obiezioni di natura grammaticale o filologica.
Sostanzialmente estraneo alle esperienze letterarie e alle controversie che si producevano in patria fu, ad Alessandria d’Egitto, K. Kavàfis, che rinnovò il singolare destino di Solomòs e di Kàlvos di una grandezza poetica ottenuta a dispetto, o in forza, di uno strumento linguistico acquisito a fatica. Risonanza europea raggiunse, ancora in vita, A. Sikelianòs, più che per i suoi magniloquenti componimenti poetici, per il progetto di creare a Delfi un centro di spiritualità, così come N. Kazantzàkis, drammaturgo, traduttore, romanziere, incline a conciliare misticismi religiosi con superomismo nietzschiano; mentre il loro coetaneo K. Vàrnalis, autore di poesie crudamente satiriche, fu il primo a dare in G. l’esempio di una critica letteraria e di costume ispirata all’ideologia marxista.
Il rapporto, sostanzialmente organico, che l’intellighenzia e i letterati intrattenevano con il potere s’interruppe quando (1922) una pesante sconfitta segnò la fine delle mire espansionistiche dei Greci sull’Anatolia, e una profonda crisi economica e sociale investì il paese, sconvolto dall’immissione di un milione di profughi. Che fosse questa, in primis, la causa della vena decadentista e crepuscolare di poeti come K. Urànis, R. Filìras, T. Àgras, è ipotesi plausibile, tanto più se si pensa che anche i romanzieri loro contemporanei, S. Mirivìlis, I. Venèzis, S. Dùkas, avevano denunciato con toni di acceso sarcasmo, tra il 1924 e il 1926, l’ottuso militarismo che aveva portato la G. alla rovina. Il ripiegamento narcisistico sull’io e l’abolizione di ogni spinta ideale (evidente nella poesia di K. Karyotàkis e, soprattutto, di quanti a lui s’ispirarono) furono visti come limiti degni di rimozione da parte di alcuni critici e poeti che avevano dato vita alla rivista Tà néa grámmata (1935-45); tuttavia non furono pochi quelli che, gravitando attorno a quella stessa rivista, rivendicarono alla poesia di Karyotàkis il merito di aver messo in luce le contraddizioni che avevano pervaso non soltanto la pratica letteraria, ma anche la moralità delle generazioni precedenti.
È significativo che G. Rìtsos, a lungo perseguitato per il suo credo marxista, abbia coltivato sempre una vena crepuscolare, a partire dai più impegnati componimenti, fino ai poemetti in cui rielabora i miti dell’antichità; così come è notevole che A. Embirìkos e il premio Nobel (1979) O. Elỳtis abbiano attraversato la poesia di Karyotàkis facendosi portavoce dell’esperienza surrealista. Ma l’esempio forse più significativo è dato dal premio Nobel (1963) G. Sefèris, che, muovendo dalla rielaborazione di modelli kariotakiani e simbolisti, approdò alle misure essenziali e scabre di una poesia che addita, attraverso le vicende collettive ed esemplari della grecità, i valori positivi dell’uomo.
La Seconda guerra mondiale, e la guerra civile (1944-49) hanno trovato un’eco cospicua in G. Theotokàs, romanziere e drammaturgo già affermato negli anni precedenti il conflitto, oltre che in L. Akrìtas e in S. Tsìrkas; mentre non sono mancati scrittori che hanno preferito ripiegare sulla rievocazione degli anni giovanili, come i già citati S. Mirivìlis e I. Venèzis, o sul romanzo storico: A. Terzàkis, P. Prevelàkis, T. Petsàlis. Del tutto singolare il caso di K. Polìtis, che nel descrivere la sparizione di vecchi mondi ha evocato anche la sofferenza delle classi più deboli. Tra i poeti che avevano denunciato il crollo degli ideali animatori della guerra partigiana e l’acquiescenza ai miti borghesi si segnala M. Anagnostàkis, anche se un diffuso senso di angoscia circola nell’opera di altri poeti, non dichiaratamente impegnati, di quella stessa generazione: M. Sachtùris, T. Sinòpulos, E. Vakalò, A. Diktèos; e l’estraniazione è un destino quasi obbligato per chi, come N. Karùzos, si accorge che anche la speranza cristiana è inibita dai nuovi pseudovalori.
La memoria del conflitto fratricida, resa più acuta dall’instaurarsi in Europa del clima della guerra fredda e dalle difficoltà, per la G., di maturare scelte politiche autonome e democratiche, ritorna nei romanzi o nei racconti di R. Rùfos Kanakàris, A. Kotziàs, N. Kàsdaglis, D. Chatsìs; così come il dissolvimento dei tradizionali legami familiari è oggetto dei romanzi delle scrittrici M. Liberàki e G. Saràndi. V. Vasilikòs inizia (1953) la sua attività di scrittore denunciando la vita senza luce di chi è costretto a misurarsi con una realtà assurdamente costrittiva; a sua volta S. Plaskovìtis affronta i temi della difficoltà dell’uomo a orientarsi nella società tecnologica. K. Tachtsìs e M. Kumantarèas ritraggono, con diverso stile, i caratteri della piccola borghesia greca, mentre M. Chàkkas colpisce con sarcasmo i vizi collettivi.
La dittatura dei colonnelli (1967-74), con le forme di censura, le persecuzioni e l’ennesimo tentativo d’imporre la lingua epurata non impedì che la generazione di poeti nati negli anni 1940 prendesse parola per marcare il proprio distacco dalle generazioni precedenti ed esprimere, anche con il ricorso alla satira e all’ironia, la condanna della società consumistica (G. Kontòs, L. Pùlios, V. Steriàdis, D. Kalokìris, T. Mastoràki). Con il ritorno della democrazia, la produzione letteraria in G. aumentò in misura vertiginosa, e con tendenze così difformi che è impossibile ridurle a sintesi.
A partire dai primi anni 1980 il mondo culturale greco è stato animato da una nuova vitalità, alimentata dal desiderio di superare i ritardi e le angustie prodotti dal regime dei colonnelli. Determinanti sono stati la riforma del sistema scolastico, con la definitiva riabilitazione della lingua demotica, e l’introduzione (1982) del sistema semplificato della grafia (abolizione dell’accento sui monosillabi, eliminazione degli spiriti e mantenimento del solo accento acuto), nonché l’incremento degli studi universitari, ottenuto anche attraverso la fondazione di nuovi atenei nelle sedi periferiche. Sono nate numerose riviste, luoghi di dibattito e di sperimentazione letteraria. La ricettività del pubblico nei confronti della nuova letteratura è stata immediata, anche grazie alla promozione e al sostegno esercitato dai media. Molti libri, soprattutto di narrativa, sono diventati altrettanti best sellers. Un posto di rilievo è occupato dalle scrittrici, anche se manca una letteratura che affronti lo specifico femminile in modo coerente e problematico, come dimostrano le protagoniste di E. Sotiropùlu e la sensibilità di gusto minimalista che affiora dai racconti di A. Kastrinàki, di A. Drakopùlu e della più giovane D. Kolliàku. Diverso il contributo offerto da scrittrici che hanno privilegiato la riflessione sugli avvenimenti recenti o partendo dal proprio vissuto di perseguitate politiche, come D. Sotirìu, L. Zogràfu e A. Zèi, o ambientando i loro romanzi nella realtà urbana divisa fra contestazione e perdita d’ideali, come M. Mìtsora. N. Frangiàs, A. Kotziàs, N. Kàsdaglis, T. Valtinòs, T. Kazantzìs, N. Chuliaràs continuano a proporre i temi dell’impegno civile, della solidarietà o dello sdegno per i valori negati, mentre il trauma dell’occupazione nazifascista segna in modo indelebile la tredicenne protagonista di Madre di cane (1998) dello scrittore P. Màtesis. L’attenzione per la storia è comunque presente nell’opera di molti autori: M. Dùka, S. Triandafìllu, K. Akrìvo, T. Skàssis, N. Thèmelis. Su un versante parallelo si colloca la grande saga familiare di N. Bakòlas, iniziata nel 1966 e conclusa nel 1990, densa di amare riflessioni sul presente; mentre è diventato un caso letterario la più rassicurante cronistoria d’ambiente contadino E alla luce del lupo ritornano (1993) di Z. Zatèli. Nel complesso la forma parodistica risulta quella prediletta dagli scrittori nati fra gli anni 1940-1960 che intendono raccontare il disagio dell’individuo contemporaneo e la crisi che investe la famiglia (D. Nòllas, A. Sfakianàkis, P. Tatsòpulos, F. Tamvakàkis, V. Raftòpulos); C. Chomenìdis (Il bambino saggio, 1993), afferma che il solo elemento unificante della sua generazione (quella della metà degli anni 1960) è la televisione, il talk show. Notevoli esempi della letteratura d’intrattenimento sono forniti da A. Pansèlinos, V. Gurogiànnis, A. Doxiàdis. Emarginazione e sfruttamento, desideri repressi, pulsioni di morte sono narrati con stile effervescente e punte ironiche da A. Surùnis; D. Giòtis, s’interroga sulle nuove generazioni che navigano in Internet (e-mail, 2000). Da segnalare, inoltre, il fenomeno editoriale rappresentato dai romanzi polizieschi di P. Markàris.
Espressione di una società fortemente strutturata, ma geograficamente frazionata (fig. 4), l’arte greca nei suoi inizi appare strettamente connessa alla sfera religiosa ed è documentata in semplici recinti sacri (temène di Thermos, Delfi, Olimpia) da statuette votive in terracotta o metalli. Il fenomeno della cultura figurativa protogeometrica (1050-900 a.C.) e geometrica (900-700 a.C.) può però essere compreso soprattutto attraverso la ceramica. Questa presenta vasi dapprima interamente ricoperti di vernice nera e poi astrattamente decorati (cerchi, meandri), con motivi naturalistici fortemente irrigiditi; solo nel geometrico tardo la rappresentazione figurata assunse un rilievo particolare. Tra i centri più importanti Atene, Argo, Sicione, Rodi, Mileto, Efeso e soprattutto Corinto (stile miniaturistico, 725-650 a.C.).
La scultura ebbe nell’8° e 7° sec. le sue prime manifestazioni in statue rigide, improntate a principi di frontalità Quando la civiltà geometrica giunse a formule manieriste (seconda metà 8° sec. a.C.), gli spunti dello stile orientale iniziarono a essere rielaborati in tutta la loro complessità. Il sopravvento dei motivi orientalizzanti su quelli geometrici avvenne in modo diverso nelle varie regioni della G. e coincise con il momento di massima espansione coloniale (750-650 a.C.).
La maggiore diffusione del benessere durante il periodo arcaico (600-480 a.C.), testimoniata anche dalla coniazione di monete, si basò su una più intensa produttività. Attraverso materiali poco costosi (legno, pietra, marmo, terracotta, osso, bronzo, ferro) si produssero grandi capolavori. Agli inizi del 6° sec. a.C. nacque ad Atene la classica ceramica a figure nere, con le grandi produzioni di Sofilo, Clizia, Ergotimo, Lido, Exechia e Amasi. Nella ceramica attica si passò poi alla tecnica più espressiva delle figure rosse. Nel Ceramico di Atene dovevano essere attivi, in questo periodo, circa 200 pittori e 50 ceramisti: una vera e propria industria. A Corinto, invece, la consistenza delle fabbriche ceramiche è calcolata su un numero di 4-5 botteghe e di 20-25 pittori.
Nell’architettura greca soggetto centrale fu il tempio, che definiva anche i compiti della decorazione plastica. Alle grandiose creazioni doriche del 6° sec. a.C. (Olimpia, Corinto, Termo, Delfi, Egina) seguirono quelle ioniche (Efeso, Mileto, Samo). La scultura approdò a una concezione naturalisticamente organica, che trovò espressione dapprima in alcuni dei koùroi, poi nella statuaria attica e nella grande scultura decorativa. Dall’astratta monumentalità arcaica si passò allo studio del ritmo, del nudo, delle proporzioni, del panneggio; è il cosiddetto stile severo. La scuola attica trionfò con Crizio e Nesiote, Calamide, Egia, Mirone.
Il periodo compreso tra la battaglia di Salamina (480 a.C.) e la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) rappresenta il momento più alto della civiltà antica. Il merito maggiore fu di Atene, dove l’attività edilizia appare sorprendente, per quantità e qualità. L’impulso dato da Pericle trasformò l’acropoli di Atene in un santuario marmoreo. Importanti inoltre i santuari di Zeus a Olimpia e di Apollo a Delfi. Fidia, scelto da Pericle, fu il geniale interprete degli ideali estetici di Atene; Policleto fu invece interprete della cultura peloponnesiaca, più individualistica di quella attica. L’urbanistica aveva trovato in Ippodamo di Mileto un teorico: le città si trasformarono, assumendo una pianta sempre più regolare, con spaziose agorà porticate, e si abbellirono di monumenti sontuosi; le case si accentrarono intorno al peristilio, si adornarono di mosaici. Più semplici le tombe, sormontate da stele allungate scolpite e poi del tipo a edicola. La pittura era passata, ai primi del 5° sec. a.C., dal disegno lineare, dalla unitonalità cromatica propria dell’arcaismo a una più ricca gamma di mezzi espressivi (Cimone di Cleone, Polignoto di Taso, Micone, Paneno, Agatarco di Samo, Apollodoro di Atene, Zeusi).
Nell’architettura del 4° sec. divenne sempre più diffuso l’ordine corinzio; i teatri assunsero forme complesse nella decorazione della scena, come anche i ninfei monumentali. Sorsero spaziosi ginnasi, si crearono il tipo della biblioteca con sala a nicchie e i portici con più ordini sovrapposti. Il fenomeno urbanistico e architettonico delle città dell’Asia Minore fu piuttosto notevole in questo periodo: opere di Pytheos furono il progetto urbanistico e la realizzazione del Mausoleo ad Alicarnasso; il tempio di Atena a Priene. Nella scultura del 4° sec. a.C., Prassitele fece della grazia l’ideale della sua arte, mentre una profonda drammaticità caratterizza le opere di Scopa. In questo periodo la ceramica registrò una crisi figurativa, con un mutamento nel repertorio iconografico, e nella pittura vi furono celebri maestri (Sicione, Apelle di Colofone, Protogene di Cauno, Aristide, Nicomaco, Antifilo, Filosseno di Eretria, Nicia, Cidia di Citno, Aezione, Antifilo, Ctesiloco).
È difficile stabilire la data di inizio dell’Ellenismo, perché la crisi che determinò questo fenomeno ebbe le sue radici già al principio del 4° sec. a.C. Dalla metà di questo secolo, inoltre, si osserva una precisa autonomia della nuova cultura macedone, che si stava organizzando nella G. settentrionale, soprattutto riguardo alla pittura, alla toreutica e all’oreficeria. Creatore di nuove formule iconografiche e stilistiche fu Lisippo, massimo rappresentante della scultura. Per convenzione, tuttavia, si considera ellenistica la cultura greca del periodo tra la morte di Alessandro Magno e la battaglia di Azio (31 a.C.). Dalla dissoluzione dell’impero sorsero i vari regni ellenistici, che divennero vivi centri di cultura, con importanti città, quali Pergamo, Priene, Mileto, Delo, Samotracia, Coo. L’arte figurativa fece proprie nuove forme: l’edilizia si caratterizzò per diversità di modelli e funzioni; aumentò la produzione di oggetti in pietre o metalli preziosi. Ma accanto all’originalità delle forme, si registrò una minore inventiva nella decorazione, che traeva spunto piuttosto dal repertorio della grande scultura o pittura contemporanea. Le case patrizie erano ornate di dipinti, stucchi, bronzi, mosaici, stoffe. Si formarono artisti specializzati. L’arte ellenistica umanizzò le divinità, dette vita a figure allegoriche, produsse il rilievo paesistico, il soggetto di genere, i gruppi scenografici e decorativi. Accanto ai temi mitici elaborò quelli bucolici, idillici; contrappose alla bellezza e alla grazia la bruttezza e la deformità; creò il ritratto fisionomico. Fra i pittori, i più noti sono Teone di Samo, Euante d’Egitto, Artemone, Timomaco, Pireico, Nealce, Apaturio di Alabanda.
Nel quadro complessivo dell’arte bizantina, centro di fondamentale importanza fu Salonicco, con continuità di opere e costante livello qualitativo sino al 15° secolo. Nel 4°-6° sec. fu usato il tipo della basilica ellenistica (Eski Gium‘a e S. Demetrio a Salonicco; basiliche ad Atene, Nicopoli, Lesbo ecc.). La chiesa della Dormizione della Vergine a Skripù in Beozia (874) è esempio di passaggio dalla pianta basilicale a quella cruciforme con cupola; questo tipo, con croce inscritta in un rettangolo, si diffuse nell’11°-12° sec.; frequenti le costruzioni ottagonali, d’influsso orientale (Sotèra Lykodìmu in Atene, metà 11° sec.; S. Luca in Focide, 10° sec.; S. Teodoro a Mistrà, 15° sec.). Al Monte Àthos compare il tipo tricoro, frequente nelle chiese conventuali del 15°-17° secolo. All’epoca dei Paleologi si rielaborano i vecchi schemi. Nel 14° sec. compare a Mistrà un nuovo tipo di edificio a due piani, il terreno a pianta basilicale, il piano superiore con gallerie ad andamento cruciforme.
La conquista franca portò alla creazione di nuovi centri artistici (Mistrà e Mùcli nel Peloponneso, Arta nell’Epiro), con una relativa indipendenza da Bisanzio. Mentre la pittura rimane prevalentemente bizantina, in architettura si ebbero notevoli manifestazioni dell’arte gotica, specie nelle isole, soprattutto in chiese e castelli. Scarsi gli esempi di architettura civile (palazzi dei despoti a Mistrà, 13°-14° sec.). Notevole la cinta di mura veneziane ad Acrocorinto, Nauplia, Candia, Zante ecc.
La scultura, fin dall’epoca paleocristiana, fu strettamente connessa all’architettura; fra 10° e 12° sec. si arricchì di motivi islamici (rilievi di S. Luca in Focide, di Dafni ecc.). Per la pittura, i mosaici del 4°-5° sec. (S. Giorgio ed Eski Gium‘a a Salonicco) conservano la tradizione ellenistica; accenti locali si colgono nei mosaici bizantini di S. Demetrio a Salonicco (dal 5° sec.); a una corrente diversa appartengono i mosaici più antichi di Cipro. Nell’11° sec. i mosaici di Dafni rappresentano una scuola aristocratica; quelli di Hòsios Lukàs un’arte monastica influenzata dall’Oriente. Altro importante documento della pittura bizantina sono le miniature, molte (dal 9° sec. in poi) nelle biblioteche di Atene e del Monte Àthos. Nel 14° sec. la scuola cretese si riallaccia alla tradizione costantinopolitana, mentre si differenzia la scuola macedone, diffusa nelle chiese serbe. Dopo la caduta di Bisanzio, la scuola cretese fiorisce nei monasteri di Àthos, delle Meteore e di Kesariàni, fino al 18° sec. (monastero della Faneromèni a Salamina). Al 17° e al 18° sec. risale la maggioranza delle icone conservate in G., ma ve ne sono di assai più antiche. Artisti greci operarono anche fuori della patria e le loro icone furono diffuse nei Balcani e nella stessa Venezia: si ricordano M. Damaskinòs, G. Klòntzas, E. Lambàrdos, G. Zanès detto Bunialìs, E. Tzanfurnàros.
L’influsso musulmano è sensibile nel 17° e 18° sec., mentre nelle Isole Ionie si nota quello veneziano. Assumono carattere turco molte abitazioni, mentre la tradizione bizantina si conserva, se pure in tono minore, fino al 19° secolo. Puramente musulmane sono le moschee di Atene, Calcide, Creta ecc. Nella G. settentrionale si ebbe un notevole sviluppo dell’architettura borghese nel 18° sec., con facciate monumentali e ricchi interni. Nelle isole, alle case di tipo veneziano subentrarono nell’architettura popolare le case cubiche con tetto a terrazza.
Dopo la conquista dell’indipendenza, nel 1837 fu fondata ad Atene l’Accademia Nazionale di Belle Arti. Gli artisti si ispirano all’arte italiana, ma anche alla Germania (vengono dalla Baviera gli Hansen). Accanto a tendenze accademiche, ispirate alla mitologia, dal 1930 circa un movimento neoromantico si rifà alla tradizione bizantina (P. Kondòglus). Accanto a pittori della ‘grecità’, come N. Gìkas, I. Tsaràchis, vari artisti partecipano ai movimenti internazionali: C. Malèas, C. Parthènis, S. Papalukàs, postimpressionisti; l’espressionista G. Buziànis; il surrealista N. Engonòpulos. Rilevante il ruolo dei gruppi Harmòs (1949) e Stathmi (1950). Notevoli nell’ambito non figurativo i pittori A. Kondòpulos, G. Spyròpulos e gli scultori G. Zongolòpulos, A. Apèrghis.
Fra gli innovatori degli anni 1960 il pittore M. Kòntos con ‘micrografie’ e opere portatili e lo scultore V. Skylàkos con i primi assemblages. Esponenti dell’arte concettuale sono gli scultori Theòdoros (T. Papadimìtriu) e D. Alithinòs; del minimalismo, G. Butèas; dell’arte cinetica G.P. Xagoràris. Utilizzano la performance M. Tzobanàkis, L. Papakonstantìnu e la coppia Zubùlis-Grècu; la video art A. Skùrtis, L. Lykoùdi e M. Strapatsàki; s’inseriscono nel linguaggio postmoderno le ricerche di K. Varòtsos e N. Baìkas; elaborano installazioni N. Charalàmbidis, P. Hàndris, L. Maràvas e N. Tranòs. Attivi all’estero, in particolare Chrỳssa, Tàkis, M. Prassìno, J. Kounèllis.
Dagli anni 1970 la vita artistica in G. è aperta a un’atmosfera di scambio internazionale; dagli anni 1980 rientrano in patria artisti dell’avanguardia emigrati all’estero, come V. Caniàris, Nìkos e altri; le installazioni di Kounèllis esposte nel 1994 a bordo della nave Ionion, ancorata al Pireo, costituiscono un evento artistico di grande risonanza. Importante l’uso delle nuove tecnologie (A. Psychùlis, C. Tsòclis, C. Varòtsos, N. Navrìdis, E. Tsantìla). Il rinnovato interesse figurativo, già rappresentato da artisti come P. Tètsis, D. Mytaràs, A. Fassianòs, si propone in una ricomposizione fra tradizione concettuale e attenzione per i materiali e la manualità, come anche nella scultura e nell’installazione (J. Butèas, I. Làppas, N. Tziòtis, A. Michailìdis), dove pure hanno mantenuto un ruolo di riferimento artisti come G. Zongolòpulos e Tàkis.
Nell’architettura, dopo il forte tradizionalismo di D. Pikiònis si inseriscono nel movimento razionalista A. Kostantinìdis e T. Valèntis; dagli anni 1970 N. Valsamàkis s’impegna nel recupero del classicismo, I. Rìzos è attento al post moderno, I. Vikèlas è interprete di tendenze internazionali; oltre a G. Candìlis che opera all’estero, emergono A. Doxiàdis, D. e S. Antonakàkis, T. e D. Bìris, M. Souvatzìdis. Dalla fine del 20° sec. è importante il rinnovamento prodotto dagli scambi internazionali; rilevante l’influenza esercitata da E. Zèngelis, fondatore con R. Koolhaas dello studio olandese OMA. Tra i giovani architetti figurano: C. Diaconìdis, N. Charìtos, T. Papaioànnu, A. Kùrkulas, M. Kokkìnu, D. Isaìas, A. Spanomarìdis, D. Tsakalàkis, I. Zacharidìs, N. Ktenàs, A. Zamfìkos, K. Tsigarìda, P. Nicolakòpulos.
Nell’antica G. la musica ebbe grande rilievo. Lo stesso termine musica, con cui si indicava l’unione tra musica, poesia e danza, deriva dal vocabolo greco musikè, cioè ‘arte delle Muse’, le mitiche protettrici delle arti. La fusione tra musica, gesto e parola diede vita ai generi teatrali-musicali della tragedia e della commedia. La trasmissione orale ha causato la perdita del patrimonio musicale greco e solo pochi frammenti con notazione musicale sono pervenuti fino a noi: un frammento dell’Oreste di Euripide (pagine del 1° sec. a.C.), due inni delfici (2° sec. a.C.), uno scolio da un epitaffio di Tralle (1° sec. d.C.), tre inni di Mesomede (1° sec. d.C.), più alcuni brevi frammenti di epoche varie. Oltre alla musica lirica con accompagnamento di aulòs, sorta di flauto ad ancia, semplice o doppio, di kìthara e lira, esisteva anche la musica strumentale: l’auletica (per aulòi e fiati in genere) e la citaristica (per kìthara, lira e consimili).
La teoria e l’acustica musicale, separate dalla pratica, furono oggetto di riflessione da parte di matematici e filosofi, come Pitagora, vissuto tra il 6° e il 5° secolo a. C., e la scuola di questi. Essi ritenevano che lo studio fisico e acustico della musica – che rispecchiava l’ordine e l’armonia del cosmo – avvicinasse alla comprensione dell’Universo. Alla musica, di origine divina, fu riconosciuta una fondamentale funzione educativa: Platone e Aristotele sostenevano che differenti tipi di musica potessero modificare il carattere dei giovani.
Dopo la caduta di Costantinopoli e il suo passaggio sotto il dominio turco, la musica colta greca visse un periodo di declino, mitigato da una fervida attività nell’ambito della musica popolare. Una scuola nazionale prese corpo agli inizi del 20° sec., con le prime opere teatrali di M. Kalomìris, che fu anche tra i fondatori di una società di concerti ad Atene. Nel 1931 si costituì ad Atene l’Unione dei compositori greci, con il fine di diffonderne le musiche in patria e all’estero e nel 1939 fu inaugurato il Teatro lirico nazionale.