Poeta tragico ateniese (Salamina 480 a. C. - Pella 406), nato secondo la tradizione il giorno stesso della battaglia di Salamina (5 sett.), figlio di Mnesarco, o Mnesarchide, e di Clito, che secondo le tendenziose notizie tramandateci dai comici greci sarebbero stati un oste e una venditrice di erbaggi; ma da altre notizie si può indurre che fosse di famiglia agiata. Ebbe buona educazione e diede buoni saggi di pittura. Conobbe Anassagora, Archelao, Protagora, Prodico e fu amico di Socrate; la sua tendenza a discutere e a investigare ricorda quella dei sofisti. Alla sua concezione pessimistica della vita e alla sua misoginia contribuirono anche le sventure coniugali (certo esagerate dalla leggenda e dai comici). Ebbe in moglie prima Melito e poi Cherine o Cherile, figlia di Mnesiloco, o viceversa; e Cherile, se pur questa non è anche nel nome oscenamente allusivo (χοῖρος "porcellino") un'invenzione, l'avrebbe tradito. Dei suoi figli, il primo, Mnesarchide, fu mercante; il secondo, Mnesiloco, attore; il terzo, Euripide, poeta tragico come il padre. Non prese parte alla vita politica. Dei suoi viaggi sappiamo solo che, partito da Atene (408), fu a Magnesia, poi a Pella in Macedonia, dove morì, secondo una nota leggenda, dilaniato dai cani. Sepolto in Macedonia, ebbe un cenotafio ad Atene. Fu vincitore nei concorsi drammatici solo 4 volte; una quinta volta vinse quando il figlio minore, Euripide, rappresentò l'Ifigenia in Aulide, l'Alcmeone in Corinto, le Baccanti nella primavera del 406, quand'egli era già morto. La sua fortuna, che in vita era stata scarsa, cominciò dopo la morte; da lui presero soggetti anche pittori di vasi, scultori e incisori; i poeti lo imitarono, specialmente i tragici latini; gli oratori e i filosofi trassero da lui sentenze; gli scrittori cristiani lo citarono e lo lodarono (si ricordi il Christus patiens del sec. 11° e 12°, centone di passi euripidei). Dei 92 drammi che E. avrebbe scritto, già gli Alessandrini ne avevano solo 78, cioè 70 tragedie (ma ne giudicavano autentiche 67) e 8 drammi satireschi (uno spurio). A noi sono giunte 17 tragedie, non tutte databili con sicurezza: Alcesti (438); Medea (431); Eraclidi; Ippolito (428); Andromaca; Ecuba (forse 424); Le Supplici; Eracle; Ione; Le Troiane (415); Ifigenia in Tauride; Elettra (forse 413); Elena (412); Le Fenicie; Oreste (408); Ifigenia in Aulide; Le Baccanti; il Reso, giudicato non autentico, e un dramma satiresco, il Ciclope; inoltre più di un migliaio di frammenti di un'altra sessantina di drammi. Formatosi nella spregiudicatezza e libertà spirituale della società ateniese del tempo successivo alle guerre persiane, in E. è palese l'esigenza di tutto riesaminare, con una critica morale, politica, filosofica, letteraria e sociale che giunge spesso alla polemica o all'ironia. Aspetti di questa tendenza critica sono le ἅμιλλαι, contese di parole di gusto sofistico, assai frequenti nelle tragedie di E., spesso in contrasto col tono drammatico dell'insieme; anche il desiderio di rinnovare i temi delle tragedie è più evidente in E. che negli altri tragici: caratteristica la ricerca di episodî mitici non comuni (come nell'Alcesti o nella Medea), o il rinnovamento dei vecchi miti (Ifigenia in Tauride, Elena, Elettra), attraverso l'introduzione d'intrecci romanzeschi, quasi avventurosi, di quadri teatralmente spettacolari, di scene di genere, di motivi sentimentali, anticipazioni spesso di atteggiamenti caratteristici della poesia alessandrina. Il "prologo" è spesso un monologo che serve a chiarire i precedenti del mito; analogamente le conseguenze e il significato dell'azione drammatica sono chiariti spesso con l'intervento del deus ex machina. Talvolta la novità è ricercata per mezzo di una specie di contaminatio tra due o più azioni tragiche, come nell'Ecuba o, più ancora, nelle Troiane, in cui diversi casi tragici trovano la loro unità in un comune accento di dolorosa drammaticità. Del resto l'arte di E., pur nella varietà dei tentativi, è più unitaria di quanto possa sembrare a prima vista; e trova il suo centro nel doloroso pessimismo di un animo religioso ma non pago della religione tradizionale, aperto a una adesione per tutti i dolori e le debolezze. È così che nel mito E. ricerca sempre il lato più umano e meno eroico; basta ricordare la predilezione ch'egli mostra per le figure femminili, forti talvolta, ma di una forza che nasce dalla loro stessa fragilità, da uno spirito di abnegazione, di rinuncia o di rassegnazione (Alcesti, Ifigenia, Ecuba, Polissena, ecc.). Alla pateticità di certe scene doveva essere adatto commento la musica, nella quale E. fu anche innovatore, e di cui fece largo uso, al di fuori delle parti corali, in monodie e dialoghi lirici inframmezzati spesso alla recitazione. ▭ Di un'erma iscritta col nome di E. (Museo Nazionale di Napoli), derivante da un originale della fine del sec. 4° a. C. di stile realistico, si hanno altre copie, mentre un tipo più antico di ritratto di E. è noto da alcune copie, una delle quali, proveniente da Rieti e ora a Copenaghen, reca iscritti alcuni versi della tragedia Alessandro; in tutte, E. è rappresentato barbato, in atteggiamento severo e triste. L'opera e la persona di E. furono satireggiate da Aristofane, che introdusse E. come personaggio nelle Tesmoforiazuse e nelle Rane, e in una scena degli Acarnesi.