Commediografo greco (445 a. C. circa - 385 a. C. circa), il massimo rappresentante della commedia attica "antica", il solo di cui siano sopravvissute commedie intere. La satira di A. ebbe spesso contenuto politico, a dimostrazione della missione educatrice del teatro rivendicata dal poeta; ma egli non disdegnò la satira letteraria, in cui gli elementi buffoneschi e triviali si fondono con quelli poetici e lirici con una levità in cui è forse il segno maggiore del genio aristofanesco.
Poco sappiamo della sua vita; nacque ad Atene nel demo Cidatenèo della tribù Pandionide. Rappresentò le sue prime commedie (Banchettanti, Δαιταλῆς, del 427 a. C., secondo premio; Babilonesi, Βαβυλώνιοι, del 426 a. C.; Acarnesi, ᾿Αχαρνῆς, del 425 a. C., primo premio) sotto il nome del corodidascalo Callistrato, non essendogli ancora concesso il coro per la sua giovane età: e per i Babilonesi il demagogo Cleone, che vi era stato attaccato, intentò processo a Callistrato. Agli Acarnesi, la prima delle 11 commedie rimasteci, seguirono: i Cavalieri (῾Ιππῆς, 424, primo premio), le Nuvole (Νεϕέλαι, composte per le Dionisie del 423, ebbero il terzo premio; a noi è giunta la rielaborazione fattane da A., che però non pare fosse mai rappresentata), le Vespe (Σϕῆκες, 422, rappresentata per mezzo di Filonide; secondo premio), la Pace (Εἰρήνη, 421, secondo premio), gli Uccelli (῎Ορνιϑες, rappresentata nelle Grandi Dionisie del 414 per mezzo di Callistrato, secondo premio), la Lisistrata (Λυσιστράτη, rappresentata nelle Lenee del 411, per mezzo di Callistrato), le Tesmoforiazuse (o Le donne alla festa di Demetra Tesmoforos, Θεσμοϕοριάζουσαι, rappresentata nelle Grandi Dionisie del 411), le Rane (Βάτραχοι, rappresentata nelle Lenee del 405 per mezzo di Filonide; ebbero il primo premio), le Ecclesiazuse o Le donne a parlamento (᾿Εκκλησιάζουσαι, rappresentata nel 392), Pluto (Πλοῦτος, del 388; rifacimento di un primo Pluto rappresentato nel 408). Dopo il Pluto, l'ultima sua commedia a noi giunta, sappiamo che A. compose ancora l'Eolosìcone (Αἰολοσίκων) e il Còcalo (Κώκαλος), perdute, che fece rappresentare sotto il nome del figlio Ararote. Morì poco dopo, verso il 385 a. C. Ebbe tre figli: Ararote, Filippo e Nicostrato, commediografi anch'essi. Riportò quattro volte il primo premio nelle gare poetiche, tre volte il secondo, una volta il terzo, superando così ogni altro commediografo. La Biblioteca di Alessandria aveva di A. 44 commedie (di cui 4 dubbie, forse opera di Archippo). A noi sono giunti, oltre le 11 commedie intere, i frammenti di altre 30.
Satira personale, come è nel carattere della commedia antica, quella di A. ha spesso contenuto politico, inserendosi con chiara intenzione nella vita della città; il che giustifica la coscienza che il poeta mostra di avere qua e là d'una propria missione educatrice. Carattere più chiaramente politico hanno le commedie del primo gruppo, quelle che vanno dal 425 al 421; in esse il poeta, sempre rimpiangendo l'antica virtù dei maratonomachi e insieme indulgendo alle esigenze della democrazia rurale largamente rappresentata allora in Atene, si scaglia soprattutto contro Cleone e Iperbolo, in genere contro il partito dei guerrafondai. Dal punto di vista storico, l'opera di A. è documento significativo del profondo disaccordo che divideva allora gli animi degli Ateniesi e spiega in qualche modo le oscillazioni della loro condotta in questo periodo della guerra peloponnesiaca che si concluse con la cosiddetta pace di Nicia (421). In seguito la satira politica di A. si fa meno precisa: nel 414, durante la spedizione di Sicilia, cade la composizione degli Uccelli, la più svagata e forse più bella delle commedie di A., che vuole essere un'evasione gioconda dalla realtà, ma alla realtà continuamente e amaramente riconduce: ché la fondazione della nuova città tra gli uccelli ha bisogno anch'essa d'una preparazione demagogica e di un'impresa guerresca (la guerra che gli uccelli dichiarano ai numi), e nella città appena costituita si presentano subito, sia pure per essere scacciati a bastonate, gl'impostori e i profittatori che imperversano ad Atene. Ma le allusioni più strettamente politiche vi sono scarse; e così nella Lisistrata (del 411, di due anni cioè dopo il disastro di Sicilia), in cui è ripreso con altro spirito il problema della pace: anche qui sembra chiara l'intenzione di A. di non impostare la sua commedia su un preciso riferimento politico; il che può essere naturale evoluzione della sua arte, ma anche indizio di una nuova temperie storica.
Accanto alla critica politica è la satira letteraria, diretta soprattutto contro Euripide, spesso episodicamente nelle varie commedie, di proposito nelle Tesmoforiazuse e nelle Rane, quest'ultima scritta poco dopo la morte del poeta. Euripide è criticato in quanto innovatore, accusato di avere avvilito la tragedia in confronto alla dignità artistica e alla solennità religiosa di Eschilo (a una "misoginia" di Euripide alludono in particolare le Tesmoforiazuse); e non è facile dire quanto in ciò A. intendesse indulgere ai gusti del suo pubblico e attingere a quella facile fonte di riso che è sempre stata la parodia della poesia tragica; ché invece A. subì l'influsso di Euripide almeno nelle ultime delle sue commedie. Assai prossima come intenzione alla critica euripidea è quella rivolta contro Socrate, che nelle Nuvole è accomunato ai sofisti. Le Nuvole sono spesso oggetto di studio anche da parte di chi ambirebbe poter dare contorni più precisi alla figura storica di Socrate, ma in realtà la satira di A. è piuttosto generica: è, in fondo, la critica che il non filosofo farà sempre del filosofo, anche se nel caso particolare essa si concreta proprio in quelle accuse che, parecchi anni dopo, saranno il fondamento dell'azione giuridica intentata contro Socrate da Meleto. Le ultime opere di A., le Ecclesiazuse e il Pluto, rivelano un'ispirazione stanca, denunciando soprattutto la scomparsa della parresia attica, quella libertà di critica e di parola di cui la commedia s'era nutrita, e di conseguenza il volgersi di essa verso temi sempre più generici: nelle Ecclesiazuse, le donne che si impossessano del potere e instaurano una specie di comunismo; nel Pluto, il dio stesso della ricchezza che, di cieco divenuto veggente, provvede a una distribuzione più equa dei suoi favori. Anche nella struttura (scomparsa quasi totale del coro), queste due ultime commedie preludono alla commedia nuova, e il Pluto fu considerato già dagli antichi come appartenente alla cosiddetta commedia di mezzo.
Al giudizio dei moderni le commedie di A. appaiono nella loro struttura alquanto slegate: meno la prima parte, fino alla parabasi, in cui l'azione si svolge con qualche coerenza; più la seconda, che tende a frangersi in una serie di agoni, scontri di personaggi secondo il gusto della farsa popolaresca. Anche nuoce talvolta alla nostra comprensione la difficoltà di cogliere immediatamente i singoli riferimenti, nella quale ci soccorrono spesso soltanto le notizie conservateci dagli scoliasti. Le commedie di A. si presentano spesso come l'espressione di una società in sé angusta anche se impegnata in azioni storiche di primo piano; al paragone, la commedia "nuova" può considerarsi come un progresso, una conquista. Eppure l'opera di A. è tanto più viva e affascinante; per la genialità della fantasia comica che in sé assume e fonde e trasfigura gli elementi più disparati: le battute incalzanti, inaspettate, alcune delle quali, diremmo oggi, surrealistiche (così Filocleone nelle Vespe, chiuso in casa dal figlio perché non ceda alla sua mania dei tribunali, evade per la cappa del camino, annunciandosi come "fumo"); la raffigurazione concreta di situazioni e di concetti astratti (Discorso giusto e Discorso ingiusto nelle Nuvole; bilancia in cui nelle Rane Eschilo ed Euripide gettano a turno i loro versi, e così via); la grossolanità delle allusioni scurrili; la levità lirica di alcuni cori che ad essa fanno contrasto: così negli Uccelli il canto leggiadrissimo dell'usignoletta serve a convocare una strana concione di alati; così nelle Rane Dioniso, carico delle armi di Eracle, ma vilmente e grossolanamente pauroso, attraversa la palude stigia sopra un navicello incantato, che si muove senza bisogno di remi quando le rane intonano il coro.