Arte di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con una certa approssimazione si può dire che il significato di p. è individuabile, nell’uso corrente e tradizionale, nella sua contrapposizione a prosa, in quanto i due termini implicano rispettivamente e principalmente la presenza o l’assenza di una restrizione metrica. All’interno di questa accezione si situano la divisione tradizionale in p. epica, lirica, drammatica, e altre distinzioni quali: p. didascalica, satirica, bucolica (o pastorale), dialettale, colta ecc.
Per p. si intende anche il singolo componimento verbale realizzato alle condizioni dette. Al plurale è frequentemente titolo (da solo o accompagnato da qualche determinazione: Poesie giovanili, Poesie d’amore ecc.) di raccolte poetiche. Ma p. è anche il complesso delle opere poetiche, o il loro carattere stilistico in senso lato, prodotte in generale o in un determinato periodo di tempo, da un popolo o in un’area culturale, da un insieme di autori o da un singolo autore, riferibili a un certo gusto, a una poetica, a una scuola.
Il termine individua inoltre il carattere di opere o parti di opere ritenute particolarmente ispirate e suggestive. In questa accezione, tratto pertinente non è più il metro o un equivalente del metro, ma l’altezza (o l’elevatezza) della p. in opposizione a discorsi bassi (o piani), secondo una specificazione diversa che può escludere addirittura l’opposizione presenza/assenza di metro e individua piuttosto la capacità di certi testi d’innalzarsi sui valori correnti e automatizzati, mediante la propria novità e creatività, e di esprimere alti valori poetici ed eventualmente anche forti sentimenti ed emozioni non banali.
Per estensione, p. è il carattere di qualsiasi composizione od opera anche non verbale, in quanto realizza un valore alto in opposizione a prodotti correnti bassi, ma anche, per ulteriore estensione metaforica e sempre nel quadro dell’opposizione alto/basso, il carattere che può essere attribuito, a qualsiasi oggetto, situazione, comportamento in quanto questi contengano qualcosa che li elevi al di sopra del quotidiano. Ma l’opposizione indicata deve essere intesa in senso formale, non come determinazione materiale di valori fissi, così che essa si realizza di volta in volta in relazione al contesto (norma linguistica, sistema culturale, situazione ecc.), anche invertendo i valori già esemplificati e senza violare tuttavia le condizioni imposte dall’opposizione alto/basso: la p. del quotidiano (dove ci sono i veri valori alti, in contrapposizione ai falsi valori, ritenuti alti e che sono invece bassi; o dove, comunque, è dato ritrovare un livello di valori insospettabilmente alti).
Nel caso della composizione in versi, condizione della p. è il metro, che può essere di tipo quantitativo o cronematico (come, per es., nella p. greca antica e latina), sillabico-accentuativo (come in italiano), e forse anche tonematico (come si è supposto, per es., nel caso della p. cinese, che altri riportano invece a un fondamentale modello quantitativo); nel caso delle altre restrizioni, possiamo avere a che fare con la rima, l’allitterazione, la ripetizione ecc., oppure con restrizioni lessicali (costituzione di un lessico poetico distinto dal lessico del linguaggio ordinario), sintattiche (regole specifiche per la disposizione delle unità linguistiche nella sequenza) e tematiche (delimitazione di repertori tematici specificamente poetici) ecc. La presenza di tali restrizioni (che più spesso si specificano in modo caratteristico proprio nel metro) può essere riportata in generale, in quanto si correla all’assenza di speciali restrizioni del discorso non poetico, all’opposizione (nella terminologia di C.F. Voegelin) tra ‘espressione non-casuale’ (linguaggio poetico, ma anche linguaggio rituale, solenne, pubblico ecc.) ed ‘espressione casuale’ (linguaggio quotidiano di comunicazione). Va tenuto presente però che tale opposizione è appunto più generale, nel senso che la non casualità caratterizza tutte le manifestazioni linguistiche dette speciali (compreso il linguaggio scientifico) di contro alla casualità di quelle in cui le regole di combinazione e composizione siano ridotte al minimo e siano comunque fortemente standardizzate, così da non essere più percepite come regole speciali e ulteriori rispetto alle regole del linguaggio quotidiano; e che, per altro verso, quell’opposizione può sembrare invece meno generale o di altro tipo, nel senso che una certa produzione poetica può valersi proprio del linguaggio comune come suo materiale da elaborare, in opposizione a una tradizione poetica fortemente restrittiva, ma ormai automatizzata e standardizzata a sua volta.
Quest’ultima osservazione riguarda però soprattutto le restrizioni lessicali, sintattiche e tematiche (si pensi, per es., al lessico volutamente quotidiano di G. Gozzano in opposizione al lessico classicheggiante di G. Carducci o al lessico raro, alto, arcaizzante di G. D’Annunzio) e molto meno le restrizioni metriche, che possono tuttavia essere ridotte al rango di condizioni minime (come, per es., nel verso libero, o nel verso svincolato da ogni schema metrico e segnalato soltanto dall’accapo, come in molta p. contemporanea) o, al limite, abolite del tutto in favore di restrizioni d’altro tipo (per es., figurative o grafiche, come nella p. visiva). Ciò pone il problema se il metro sia propriamente un tratto distintivo pertinente della p. o se invece sia pertinente a tal fine qualcosa di più generale, per es., il principio di equivalenza (R. Jakobson), come principio costruttivo e dominante, la cui specificazione può essere di volta in volta diversa, metrica e non. Il principio di equivalenza rappresenta una condizione restrittiva della sequenza, che deve essere così costruita da presentare equivalenze tra le unità che la compongono: a esso vanno riportate, oltre al metro, anche la rima, l’allitterazione, la ripetizione, la partizione puramente grafica e non metrica dei versi, e forse perfino le sistematiche corrispondenze metaforiche in testi che pure si presentano come scritti in prosa (un esempio interessante è rintracciabile in alcune parti dei Canti orfici di D. Campana); ed è chiaro che quel principio è non un criterio per distinguere e classificare materialmente p. e prosa, ma piuttosto un aspetto o ‘funzione’ del linguaggio che può essere ritrovata nei testi più diversi, poetici e non, in posizione dominante o non.
Sembra così che la più profonda opposizione casuale/non-casuale sia in ogni caso più generale e formale; che da essa possano essere derivate per specificazione più opposizioni parimenti formali (per es., nel senso della p. o nel senso del linguaggio scientifico); che l’utilizzazione da parte della p. (non-casuale) del linguaggio quotidiano (casuale) avvenga a livello di opportuna specificazione, per es., nei riguardi del lessico e non di altri procedimenti costruttivi, senza mettere in dubbio l’opposizione generale e formale casuale/non-casuale; che l’opposizione propria della p. sia non tanto presenza/assenza di metro, quanto quella di presenza/assenza di un principio di equivalenza come principio costruttivo e dominante della sequenza.
Anche l’opposizione alto/basso si rifà all’opposizione non-casuale/casuale. Essa può essere ulteriormente specificata in più modi, per es., valore/disvalore poetico, novità/ovvietà, creatività/ripetitività, e così via, o semplicemente p./non-p., dove si contrappone ciò che sarebbe specificamente poetico a ciò che non lo sarebbe. La varietà di tali possibili specificazioni è dimostrata dal diverso modo in cui si è negato, da Aristotele a B. Croce, che la p. possa essere definita semplicemente in rapporto alla presenza di restrizioni metriche o di certi procedimenti tecnici specifici: così, per Aristotele non è il metro a fare la p., ma la sua specifica organizzazione logica e gnoseologica sotto il segno del ‘verosimile’; mentre per Croce metro e procedimenti tecnici in quanto tali sono estranei alla p. come pura intuizione-espressione, volta alla conoscenza dell’individuale e non sottomessa a fini intellettuali, pratici o morali, per cui tutto ciò che è genuina espressione è anche p., e semmai si tratterà di tener conto di differenze puramente quantitative nel considerare le grandi opere di poesia. Va ricordato in particolare che un preciso tentativo d’interrelazione e d’integrazione tra una definizione linguistica di p. e una sua definizione in termini di valore, di creatività ecc., è stato compiuto da S. Freud e dalla psicanalisi, per la quale, per es., l’aspetto metrico della p. è soltanto un livello ‘superficiale’ (in senso tecnico) e nondimeno indispensabile e caratterizzante quel complesso fenomeno psichico e culturale che è la p. e in generale l’arte, in quanto questa comporta meccanismi, elaborazioni e interazioni di livelli ‘profondi’ e ‘superficiali’, attraverso i quali si convogliano, si modificano e divengono comunicabili pulsioni, sentimenti, emozioni e contenuti non consci.