Disciplina, fondata da S. Freud, che ha per oggetto lo studio e il trattamento terapeutico di disturbi di tipo psicologico nel quadro di una teoria dinamica della psiche il cui concetto centrale è quello di inconscio.
La teoria psicologica elaborata da S. Freud tra la fine del 19° sec. e gli inizi del 20° è comunemente detta p. classica. Volta originariamente alla diagnosi e alla cura dei sintomi isterici e nevrotici, intesi come manifestazioni di conflitti psichici inconsci, si è sviluppata in seguito in una teoria generale fondata sull’ipotesi di un’attività psichica inconscia indipendente dai processi volitivi coscienti e tendente alla soddisfazione di esigenze istintuali dette pulsioni. Secondo la definizione datane da Freud, la p. è: a) un procedimento per l’indagine di processi psichici altrimenti inaccessibili; b) un metodo terapeutico per il trattamento dei disturbi nevrotici; c) una serie di conoscenze psicologiche ottenute nel modo indicato e convergenti in una nuova disciplina scientifica.
L’ipnosi e le libere associazioni. La p. prende l’avvio dall’interesse di Freud per gli studi e gli esperimenti di J.-M. Charcot sui fenomeni ipnotici; in seguito, in collaborazione con J. Breuer, Freud stesso si dedicò agli esperimenti ipnotici come metodo terapeutico per l’isteria, avanzando l’ipotesi che i sintomi isterici (convulsioni, paralisi, difetti percettivi) avessero un significato; notò inoltre che tali sintomi cessavano non appena il paziente in stato ipnotico rievocava fatti psichici traumatici dimenticati che apparivano avere un nesso causale con i sintomi stessi.
Questo procedimento (metodo catartico) fu successivamente abbandonato da Freud, che, conclusa la collaborazione con Breuer, sostituì all’ipnosi (che dava guarigioni poco sicure e non era applicabile a tutti i pazienti per via delle resistenze inconsapevoli che molti di essi opponevano a ricordare i fatti traumatici) il metodo da lui denominato delle libere associazioni: tale metodo consiste nell’indurre il paziente a dire tutto ciò che gli emerge alla coscienza, indipendentemente da connessioni logiche e causali e rinunciando, per quanto possibile, a ogni tipo di censura. Questa tecnica presupponeva già i due più importanti concetti su cui si fonderà la p.: quello di inconscio, inteso come la sfera psichica in cui risiedono sia le esperienze non più disponibili per l’attività mnemonica sia gli istinti primordiali, e quello di rimozione, operazione psichica per cui il soggetto dimentica, e respinge nell’inconscio, esperienze, per lo più legate alla sfera della sessualità e dell’aggressione, di carattere penoso, doloroso o vergognoso. Il processo di rimozione scaturisce da un conflitto inconscio e viene mantenuto mediante un continuo dispendio di energia psichica. Il sintomo isterico, forma di compromesso tra l’urgenza delle rappresentazioni rimosse e le difese con cui l’Io si oppone al loro ricordo, è pertanto un sostituto di ciò che è stato rimosso dalla coscienza.
L’interpretazione dei sogni. La p. raggiunse il suo stadio maturo affiancando alla eziologia del sintomo isterico l’interpretazione dei sogni. Contrariamente alle concezioni scientifiche prefreudiane, che vedevano nei sogni soltanto l’effetto di eccitamenti fortuiti e disordinati del sistema nervoso centrale, la p. li considera dei fenomeni psichici dotati di significato, i quali presentano caratteristiche tali da illuminare il complesso dei fattori conflittuali che presiedono all’insorgere delle nevrosi. La comprensione del significato del sogno, ‘via regia’ di accesso all’inconscio, esige un delicato lavoro d’interpretazione, poiché gli impulsi, i ricordi e i conflitti che in esso si manifestano sono in qualche modo mascherati da una censura onirica. Il sogno è regolato da un suo peculiare linguaggio, fatto di deformazioni, condensazioni (mediante cui elementi disparati vengono fusi in un’unica immagine) e spostamenti (mediante cui caratteristiche tipiche di cose e persone appaiono trasferite su altre), che tendono a celare quello che esso effettivamente è: l’appagamento di un desiderio rimosso. Analogamente al sintomo isterico, il sogno rinvia a un processo conflittuale inconscio e rappresenta una formazione di compromesso tra i desideri e gli impulsi rimossi nell’inconscio e le difese censorie e repressive dell’Io.
Altri elementi che completano la descrizione dei conflitti psichici tra il rimosso e ciò che tende al suo ritorno sono gli atti mancati (lapsus, dimenticanze, sbadataggini) e i motti di spirito, che rivelano anch’essi quel carattere di compromesso e di appagamento del desiderio tipico del sintomo e del sogno.
La metapsicologia. In quanto teoria generale della psiche, la p. poggia su alcune nozioni fondamentali (inconscio, rimozione, conflitto, pulsione) articolate, nella sistemazione a cui Freud ha dato il nome di metapsicologia, secondo i tre punti di vista dinamico, topico (poi denominato strutturale) ed economico.
Il punto di vista dinamico è quello secondo cui i fenomeni psichici sono considerati il risultato di un conflitto di forze contrastanti, conflitto che presuppone la rimozione come principale meccanismo di difesa.
Il punto di vista topico studia le entità della psiche dove si collocano i fenomeni: l’inconscio, il luogo in cui risiedono le forze istintuali e i desideri più arcaici; il preconscio, il luogo dei contenuti psichici, come i ricordi, non attualmente presenti ma in grado di essere portati alla coscienza o, anche, di essere rimossi nell’inconscio; e la coscienza, il luogo della percezione esterna come dell’interna. Questa tripartizione dell’apparato psichico sarebbe stata poi integrata, se non proprio soppiantata, nella elaborazione freudiana, dal punto di vista strutturale (noto anche come seconda topica), con cui si distingue tra Es, Io e Super-Io. Il termine tedesco Es, pronome della terza persona singolare neutra, introdotto originariamente da G. Groddeck, rappresenta la parte più antica dell’apparato psichico, sede delle pulsioni, collocate a metà strada tra il biologico e lo psicologico. L’Es è dominato dal principio del piacere e tende esclusivamente alla soddisfazione delle pulsioni, indipendentemente dai limiti imposti dalla morale e dalle convenzioni sociali. L’Io, al cui consolidarsi contribuisce un principio di realtà, è la struttura che si trova alla base del pensiero logico-razionale, ma, soprattutto, è l’insieme dei tratti della personalità costituitisi come difese dagli impulsi istintuali in vista di un adattamento, attraverso la parziale repressione della sfera pulsionale, alle esigenze della realtà e della società. Il Super-Io è quella parte dell’apparato psichico in cui risiedono sia i valori morali sia le censure dell’Io. Funzionalmente, esso rappresenta la coscienza morale, dalla quale provengono le difese dell’Io e che si trova dinamicamente in conflitto con le esigenze pulsionali. Geneticamente, il Super-Io sorge per un processo di differenziazione dell’Io ed è l’erede della più tipica situazione psichica infantile, consistente nella rivalità verso il padre che il bambino avverte per l’amore esclusivo che rivolge alla madre (complesso di Edipo); il superamento di tale situazione si verifica con la rinuncia ai desideri incestuosi e l’interiorizzazione del divieto, a cui si associa l’identificazione di una parte inconscia dell’Io con la figura autoritaria del padre, identificazione che riguarda inoltre anche tratti di altre persone provviste di autorità e che è all’origine della coscienza morale e della tendenza a perseguirne i dettami.
Il terzo punto di vista, quello economico, si basa sull’ipotesi dell’esistenza di certe energie psichiche, quali la libido (l’energia propria delle pulsioni sessuali), l’aggressività, gli istinti di conservazione dell’Io; in senso economico, l’apparato psichico è concepito come un dispositivo che tende a scaricare le tensioni determinate dall’energia insita nelle pulsioni (soprattutto sessuali) per mantenerle al livello più basso (principio di costanza). Data la difficoltà di conseguire il soddisfacimento delle esigenze pulsionali (ossia di scaricare le tensioni accumulate), l’apparato psichico è costretto a impiegare quantità di energie in grado sia di ridurre le tensioni sia di mantenerle in uno stato di rimozione, senza peraltro poterle sopprimere. La libido assume un ruolo centrale nei conflitti con le istanze dell’Io e del Super-Io, e da questi conflitti derivano i sintomi nevrotici. Estendendo in una prospettiva genetica lo studio dei fattori che presiedono all’insorgere delle nevrosi, Freud ha delineato le fasi di una vita sessuale infantile (orale, anale, fallica) scandite come fasi dello sviluppo individuale e rimosse nell’inconscio. Da questo punto di vista, l’arresto (fissazione) o la deviazione (regressione) delle pulsioni a certe fasi immature della loro evoluzione possono provocare l’insorgere di sintomi nevrotici, qualora intervengano i meccanismi della rimozione, o di vere e proprie perversioni sessuali, qualora l’Io riesca a opporsi a quei meccanismi. Accanto a questi fenomeni, può manifestarsi quello della sublimazione, se le pulsioni sessuali (o, anche, quelle aggressive) vengono indirizzate o spostate verso altri obiettivi, come la ricerca scientifica e la creazione artistica, nelle quali si appaga la libido desessualizzata.
La p. da teoria della psiche a concezione del mondo. Lo sviluppo del pensiero freudiano ha individuato altri tipi di pulsioni, come quelle di autoconservazione, poi unificate con quelle sessuali sotto la denominazione di pulsioni di vita (o Eros), e le pulsioni di morte (o Thanatos), antagoniste delle prime, nelle quali si vede la tendenza stessa del vivente a ritornare a una forma di esistenza inorganica. Con quest’ultimo dualismo, che introduce elementi fortemente speculativi, si compie il passaggio della p. da teoria della psiche a vera e propria concezione del mondo. La diade amore e morte (Eros-Thanatos) sta alla base dei tentativi degli stadi più maturi della p. di pervenire a una visione unitaria della situazione umana all’interno non solo dei contesti familiari ed educativi, ma della stessa civiltà, che trarrebbe origine dal divieto ancestrale dell’incesto per poi evolvere come risultato di un compromesso fra Eros, l’insieme delle pulsioni che mirano alla propria soddisfazione in base al principio del piacere, Thanatos, quello delle pulsioni aggressive e autodistruttive, e i mezzi con cui la società oppone loro resistenza.
La tecnica delle libere associazioni comporta, rispetto al metodo catartico da cui deriva, un’evoluzione che configura la strategia terapeutica come mezzo volto alla verbalizzazione del rimosso; il paziente è indotto a dire tutto quello che gli si presenta alla mente, rinunciando a ogni atteggiamento critico o censorio. Fondamentale, nella terapia, appare il transfert, cioè il trasferimento o spostamento alla persona stessa dell’analista di atteggiamenti, sentimenti, tendenze e comportamenti che un tempo il soggetto ha avuto nei confronti di persone importanti della sua infanzia, generalmente i genitori. I sintomi e i comportamenti nevrotici passano quindi, attraverso il transfert, da un grado di massima rimozione a un certo tipo di esteriorizzazione, l’acting-out, che può comportare anche manifestazioni di aggressività. Ciò permette all’analista di rendersi conto della struttura della nevrosi e permette al paziente di rendersi conto, mediante l’aiuto dell’interpretazione terapeutica, delle sue pulsioni censurate e, soprattutto, delle difese inconsciamente attuate.
La caratteristica più tipica del lavoro dell’analista è quella dell’interpretazione, che egli è in grado di fornire ricostruendo le esperienze passate del paziente; l’interpretazione riguarda naturalmente anche i sogni, che vengono decifrati per far riaffiorare i contenuti psichici rimossi. Nella misura in cui il paziente è in grado di superare le resistenze all’analisi, di accettare e integrare in sé le interpretazioni terapeutiche, e di fare affiorare reminiscenze coperte dalle amnesie e dagli acting-outs, si organizza in lui il superamento della nevrosi.
Organizzatasi in istituzioni già quando Freud era ancora in vita, la p. si sviluppò articolandosi in ricerche volte all’approfondimento e alla diffusione delle teorie freudiane.
Relativamente ai problemi dell’Io, si svilupparono due scuole di p., l’una facente capo allo psicanalista austriaco P. Federn, l’altra a H. Hartmann. La prima non ebbe un grande sviluppo, e lo stesso Federn finì per allontanarsi dalle concezioni freudiane. L’altra scuola operò negli USA e fu la cosiddetta psicologia dell’Io, inaugurata da A. Freud (The ego and the mechanisms of defense, 1936) e poi sviluppata grazie agli studi di H. Hartmann, E. Kris, R. Loewenstein e, in seguito, di D. Rapaport e di G.S. Klein. Caratteristica centrale dell’indirizzo è lo studio psicologico degli apparati e delle funzioni dell’Io, sia in rapporto alle altre strutture psichiche sia in rapporto al mondo esterno. Nella forma più matura della teoria, la genesi dell’Io non è più concepita come trasformazione a partire dall’Es, secondo la classica teorizzazione di Freud, ma tanto l’Es quanto l’Io si fanno derivare da una comune matrice indifferenziata preesistente. L’individuo viene al mondo con un corredo di apparati che gli consentono l’adattamento all’ambiente; il funzionamento di tali apparati è autonomo, indipendente dall’individualità, cioè non derivabile immediatamente dalla sfera pulsionale e motivazionale. Su questa modalità adattativa primaria poggia quella che Hartmann chiama l’autonomia primaria dell’Io.
In Italia la p. fu introdotta da E. Weiss, M. Levi-Bianchini, E. Servadio, C. Musatti, che furono tra i fondatori, nel 1932, della Società psicoanalitica italiana, anno in cui cominciarono anche le pubblicazioni della Rivista italiana di psicoanalisi
Le due scuole britanniche più importanti sono quella di M. Klein e quella di D. Fairbairn. Accostatasi alla p. attraverso i discepoli di Freud, S. Ferenczi e K. Abraham, la Klein riconobbe sempre il suo debito verso Freud, ma sviluppò ben presto, a partire dagli anni 1930, teorie e tecniche proprie. La sua attenzione è stata dedicata soprattutto allo sviluppo dell’Io nella prima epoca della vita: di qui la sua tecnica di dare giocattoli ai bambini e interpretare i loro giochi come se fossero libere associazioni. Il suo contributo principale consiste nell’ipotesi che l’Io non sorge come un’unità già integrata, ma si sviluppa attraverso una complessa attività intrapsichica. Il primo e più importante oggetto del bambino è il seno della madre, fonte di piacere (quando elargisce il nutrimento) o di dolore (quando lo nega). È l’interiorizzazione di questi aspetti materni, la difesa da essi e la loro progressiva integrazione che porta infine alla costituzione del Sé.
Le ricerche della Klein sono alla base dell’altra scuola di p. sorta in Gran Bretagna, per impulso di Fairbairn, il quale elaborò soprattutto il concetto di relazione oggettuale, mediante cui si intende il rapporto che il soggetto, sin dai primi mesi di vita, intrattiene con il mondo che lo circonda. Lo sviluppo della personalità individuale avviene attraverso i rapporti oggettuali interpersonali; buone relazioni oggettuali promuovono uno sviluppo positivo dell’Io, mentre un non corretto rapporto con l’oggetto condurrebbe a fenomeni patologici. La nozione di relazione oggettuale è anche alla base delle teorie di D.W. Winnicott, l’altro importante rappresentante della scuola britannica.
A W.R. Bion (1898-1979), anch’egli influenzato dalle teorie di Klein e i cui studi si collocano tra gli anni 1950 e 1970, si devono soprattutto ricerche sulla nascita e la formazione dei processi di pensiero in connessione con gli oggetti con cui il bambino è in rapporto.
Nel 1910 A. Adler elaborò una teoria della nevrosi che divergeva da quella freudiana. In quella che egli stesso chiamò ‘psicologia individuale’ la nozione fondamentale non è quella di libido, ma quella del ‘sentimento d’inferiorità’, che provocherebbe una condizione nevrotica negli individui non in grado di superarlo. L’inferiorità può essere determinata da un difetto fisico od organico, ma anche da condizioni psicologiche: il bambino, soprattutto se non è sufficientemente amato, si sente inferiore, indifeso e alla mercé degli adulti. Così, dal momento che Adler vede in tutte le manifestazioni della vita una tensione e un orientamento verso uno scopo (la ricerca del potere, l’aumento dell’autostima ecc.), nella sua prospettiva vengono privilegiati gli aspetti teleologici rispetto a quelli deterministici freudiani.
A C.G. Jung si deve la revisione della p. freudiana di maggior fortuna. Come Adler, anche Jung riteneva che Freud avesse conferito eccessiva importanza al sesso e alla sessualità infantile, a scapito degli aspetti spirituali dell’essere umano. Il concetto fondamentale della teoria junghiana (che lo stesso Jung chiamò psicologia analitica) è quello di inconscio collettivo, consistente di immagini primordiali, quali miti e credenze religiose, comuni alla cultura a cui l’individuo appartiene, e i cui livelli più profondi formano l’inconscio universale, comune a tutta l’umanità. Le immagini primordiali dell’inconscio collettivo sono degli archetipi, cioè delle forme che si ritrovano nelle culture più disparate. Gli individui si possono classificare in base a una tipologia che ammette quattro funzioni fondamentali: pensiero, intuizione, sentimento e sensazione. Una sola energia regge la vita psichica: la libido, che coincide con l’energia vitale. La personalità si compone di vari fattori o livelli: i più superficiali sono la maschera e la persona, che ne rappresentano gli aspetti coscienti ed esteriori. Gli elementi respinti e rimossi dalla personalità costituiscono l’ombra, la totalità psichica è il Sé. Le rappresentazioni psicodinamiche del sesso opposto sono rispettivamente, nell’uomo e nella donna, l’anima e l’animus. La psiche è concepita come sistema di autoregolazione e la sua attività consiste in una continua dialettica di opposti, specie per quanto riguarda le esperienze interiori rispetto a quelle esterne, e quelle coscienti rispetto all’inconscio. Le nevrosi dipendono, di conseguenza, da un disequilibrio tra forze contrarie. Il processo di guarigione psichica è dunque d’integrazione del Sé, d’individuazione. La psicoterapia di Jung, che utilizza le libere associazioni come quella freudiana, mira a mettere il paziente in contatto con l’inconscio collettivo. Le teorie junghiane, per il loro insistere sulle forze primitive e più profonde a fondamento dell’agire umano, presentano aspetti filosofici e metafisici che hanno esercitato grande influenza sull’estetica, sulla filosofia e sulla cultura in genere.
A O. Rank si deve la teoria secondo cui la nevrosi ha origine non dalla situazione edipica, ma dal trauma della nascita. Ogni tipo di separazione (per es., lo svezzamento, la separazione dalla persona amata) riprodurrebbe uno stato di angoscia da mettere in relazione al trauma della nascita. Successivamente, Rank elaborò una teoria della ‘volontà’, in base alla quale il soggetto nevrotico è colui che non riesce ad accettare le norme culturali e sociali, ma nemmeno riesce ad affermare la propria personalità come l’artista.
W. Reich è stato il primo autore a cercare una integrazione tra marxismo e psicanalisi. Le inibizioni sessuali sarebbero dovute alla repressione sessuale che caratterizza le società contemporanee e la necessità di liberare l’energia ‘organica’ è alla base del progetto Reich di una ‘rivoluzione’ sessuale da affiancare a quella politica.
Durante e dopo la Seconda guerra mondiale si sono sviluppate negli USA diverse scuole di p. generalmente chiamate neofreudiane. Benché i seguaci di queste scuole non considerino le loro teorie prive di rapporti con la p. freudiana, come facevano i primi scissionisti, essi tuttavia minimizzano o rifiutano una parte delle teorie freudiane, rivolgendo la loro attenzione ad aspetti della psiche umana che ritengono siano stati sottovalutati o trascurati da Freud. In particolare, ciò che queste scuole rifiutano è la teoria della libido, mentre insistono sulla rilevanza dei fattori socioculturali sulla psiche individuale, da qui il nome culturalisti con cui sono a volte indicati i loro rappresentanti. H.S. Sullivan, E. Fromm e K. Horney sono tra i principali esponenti di quest’orientamento.
J. Lacan promosse, a partire dagli anni 1930, un ‘ritorno a Freud’ da contrapporre alle deviazioni rappresentate, secondo lui, soprattutto dagli sviluppi statunitensi. In questa prospettiva, Lacan elaborò in particolare il concetto di simbolo, avanzando una teoria in cui, sulla base delle suggestioni dello strutturalismo di F. de Saussure, mise in evidenza l’organizzazione linguistica e semantica dell’inconscio secondo criteri suoi propri.
Le suggestioni della logica matematica anziché della linguistica sono alla base degli studi di I. Matte Blanco, tra i maggiori psicanalisti dell’America Latina, dove la p. ha trovato un fertile terreno di diffusione. Tra gli anni 1970 e 1980, la p. è stata ulteriormente caratterizzata da una disseminazione di interessi che ne rendono sempre più difficile l’inquadramento in quello che ai tempi dell’ultimo Freud veniva denominato movimento psicanalitico.
L’espressione p. postfreudiana, con cui talvolta si indica la p. più recente, ben sintetizza la sua distanza dalle teorie freudiane originarie, ma anche l’ideale continuità con il suo fondatore. Lo spostamento d’interesse dalle pulsioni agli oggetti, lo studio delle fasi preedipiche, la riconsiderazione linguistica dell’inconscio, l’integrazione con prospettive interpersonali, la rinnovata attenzione al rapporto tra processi psicologici e processi biologici: sono queste le principali linee di ricerca che hanno impegnato la p. della seconda metà del 20° secolo. Gli indirizzi più recenti si sono impegnati ad affrontare due questioni in particolare: l’esistenza di molte p. (e, contestualmente, l’impossibilità, da parte delle singole scuole, di stabilire la propria egemonia teorica e clinica sulle altre) e la necessità di identificare un terreno comune di indagine, di metodologia e di riflessione che favorisca il progresso teorico-clinico sulla base di ipotesi fondamentalmente condivise.
Nella prospettiva della reazione al pluralismo, si sono delineate due importanti linee guida: la ricerca di una verifica empirica e l’emergere di una posizione ermeneutica. Nata soprattutto in risposta alle critiche di non scientificità rivolte alla p., l’esigenza di verifiche empiriche risale agli anni 1930, ma è proprio negli anni 1980 che l’International psychoanalytical association ha promosso ufficialmente un gruppo di ricerca su questo punto. Mentre in passato l’oggetto di studio era costituito dai risultati della terapia, ci si è a questo punto prevalentemente interessati al modo in cui gli eventi del processo terapeutico influenzano la diversa qualità e modalità del contesto psicanalitico. A un approccio volto a sottolineare la complessità del processo psicanalitico si rifà invece la posizione ermeneutica, oggetto di un rinnovato interesse anche per l’impossibilità di giungere a una teoria psicanalitica unitaria. Secondo questa posizione, la p. genera una molteplicità di teorie proprio perché i suoi dati sono costituiti da significati e autointerpretazioni prodotti dal paziente; nella situazione analitica, questi dati vengono ricontestualizzati dall’analista sulla base di un proprio modello di lettura: non solo differenti analisti costruiranno storie diverse, ma all’interno di una singola analisi sarà possibile costruire storie multiple, narrazioni che mutano con il procedere del lavoro.
Un’ulteriore risposta al pluralismo e alla molteplicità dei modelli psicanalitici dello sviluppo infantile è costituita dalla ricerca di un’interfaccia tra p. e infant research (che studia l’interazione madre-bambino, la regolazione degli affetti, lo sviluppo del Sé, e sostiene una visione dello sviluppo in cui il neonato è un organismo attivo e competente, con stati emotivi differenziati e abilità complesse che gli consentono di entrare in relazione con la madre). Particolarmente sensibile alle tematiche della ricerca infantile, P. Fonagy ha tentato, all’interno della psicologia dell’Io britannica, un’integrazione teorica e clinica della p. con il paradigma della teoria dell’attaccamento e con l’approccio evolutivo-cognitivista alla teoria della mente. Lo sviluppo nel bambino di tale ‘teoria della mente’, che permetterebbe una buona regolazione affettiva e il passaggio a meccanismi di difesa meno primitivi, è reso possibile da un certo grado di coerenza e sicurezza nelle relazioni oggettuali precoci. C. Bollas, ha analizzato il mondo infantile a partire dalla riflessione di D. W. Winnicott, tendendo a evidenziare, con il concetto di ‘idioma’, l’importanza del progetto individuale, che consiste nel radicare lo sviluppo nell’espressione spontanea delle potenzialità del ‘vero Sé’ winnicottiano. Anche alcuni autori statunitensi, come T. Ogden e J.S. Grotstein, hanno proficuamente utilizzato il pensiero di Winnicott; in particolare, A.H. Modell ha esplorato, negli anni 1990, il carattere privato e paradossale dell’esperienza del Sé e ha elaborato una teoria del trattamento psicanalitico fondata sull’esistenza di livelli diversi di realtà, sul ruolo dell’illusione e sul carattere interattivo dell’interpretazione. Ma il contributo principale proviene da H. Rosenfeld, che ha studiato con grande acume e sensibilità le forme più gravi e impegnative della psicopatologia e ha sottolineato la necessità, nell’interpretazione dell’aggressività, di una valutazione attenta della vulnerabilità e delle difese del paziente, nonché del suo bisogno di idealizzazione come reazione al timore di subire un rifiuto.
La psicologia del Sé, che ha avuto, grazie al lavoro degli allievi di H. Kohut, ampia diffusione negli Stati Uniti, ha elaborato una nuova concettualizzazione del Sé, visto da alcuni autori come organizzatore dell’esperienza, e da altri come un sistema funzionale che integra le informazioni cognitive e affettive, o come centro dell’esperienza correlato a una organizzazione gerarchica di motivazioni e valori. In questa corrente di pensiero, l’attaccamento viene individuato come un principio motivazionale che è fonte del mantenimento della coesione del Sé; J. Lichtenberg, in particolare, ha riformulato il concetto di motivazione, tentando una sintesi tra psicologia del Sé e infant research e distinguendo cinque sistemi motivazionali: di regolazione psichica della tensione fisiologica; di attaccamento-affiliazione; esplorativo-assertivo; avversivo; sensuale-sessuale.
Va ricordato anche il lavoro svolto da S. Mitchell, che promuove a oggetto dell’analisi il campo di interazione, la matrice relazionale in cui l’individuo nasce e si sviluppa; il conflitto avviene tra diverse configurazioni relazionali e la mente viene considerata come tendenzialmente diadica e interattiva. Alla concezione interattiva si contrappone invece in modo netto A. Green, che ha esplorato nelle sue ricerche le problematiche del narcisismo (attraverso le figure della ‘madre morta’, dell’‘angoscia bianca’ e dell’allucinazione negativa) e, ancora, quelle della follia originaria, della triangolazione primitiva, dei casi-limite (evidenziando il conflitto tra angoscia di separazione e angoscia di intrusione). Per Green, la situazione analitica, combinazione di ciò che è intrapsichico con ciò che è intersoggettivo, va pensata nei termini di un modello di relazioni tra oggetti esterni e oggetti interni e tra superficie e profondità.
Secondo gli statuti dell’International psychoanalytical association, la qualifica di psicanalista spetta a chi abbia superato un lungo addestramento individuale.
In Italia, l’accesso all’addestramento per la qualifica, dapprima limitato ai soli laureati in medicina, è stato successivamente esteso anche a laureati di altra formazione (filosofica, psicologica, sociologica ecc.). L’addestramento si basa sull’insegnamento delle teorie psicanalitiche ed è integrato dall’analisi didattica, ritenuta in grado di sviluppare una sufficiente capacità di auto-osservazione nel discente, e dall’analisi di controllo, in cui il lavoro clinico compiuto dall’allievo viene supervisionato da un analista esperto.