tipologia Suddivisione, distribuzione e classificazione di una molteplicità di individui, oggetti, fatti, elementi e fattori, omogenei o similari, in gruppi caratterizzati dall’appartenenza a determinati tipi formali e funzionali, o comunque dalla possibilità di venire ricondotti ad altrettanti tipi.
La t. vegetale consiste essenzialmente nell’individuare il gruppo di specie caratteristico dell’associazione, ossia quel gruppo di piante che con la loro presenza rivelano un’ecologia particolare, cioè si mostrano adatte a determinate condizioni ambientali. Naturalmente, il quadro che risulta dall’indagine statistica eseguita su un’associazione si riferisce a una fase più o meno stabile, ma non stazionaria, del mantello vegetale. L’indagine tipologica è importante anche nel campo applicativo, giacché la t. della vegetazione spontanea di un territorio costituisce un prezioso fondamento per la sperimentazione agronomica e forestale.
I forestali finlandesi distinsero per primi, nella classificazione dei boschi, diversi tipi, fondati non sulla presenza delle specie legnose (alberi e arbusti) dominanti, bensì su quella delle piante erbacee del sottobosco (comprese le tallofite, come muschi e funghi), perché queste, almeno nei climi temperati e freddi, mostrano una maggiore dipendenza dall’ambiente (suolo, clima, influenza dell’uomo ecc.) che non le prime; così, per es., un bosco dove predominano il faggio e, nel sottobosco, Anemone nemorosa, rappresenterà il tipo faggio-Anemone, mentre un altro tipo sarà faggio-Asperula odorata ecc. Questa distinzione di vari tipi ha importanza per la ricostituzione di boschi distrutti dall’uomo, perché la o le specie del sottobosco, rimaste in posto, indicheranno quali specie arboree crescevano un tempo in quel dato territorio.
T. linguistica Evidenziazione degli elementi di omogeneità e diversità esistenti tra lingue anche appartenenti a ceppi molto diversi tra loro, al fine di classificarle in vari tipi caratterizzati da omologie formali e sostanziali.
Gli studi di t. linguistica nascono all’inizio dell’Ottocento, in seguito alla scoperta della diversità linguistica (W. von Humboldt), dovuta al contatto con le lingue non europee a cui non si adattava il modello di grammatica generale a base greco-latina. Una classificazione tipologica fu proposta dapprima da F. e A.W. Schlegel (1808 e 1818), ma quella più nota è basata sulle definizioni di A. Schleicher (1848) e soprattutto di A.F. Pott (1849), che distingue quattro tipi: isolante, caratterizzato dall’assenza di affissazione (per es., il cinese); agglutinante, con affissi a funzione univoca e basso grado di fusione con la radice (per es., il turco); flessivo, che ha affissi a funzione multipla e fusi con la radice (per es., l’indoeuropeo); incorporante o polisintetico, in cui molti elementi della frase si fondono in un’unica gigantesca parola (per es., l’eskimo). La t. linguistica ottocentesca era però limitata al livello della parola e strettamente collegata alla classificazione genealogica.
La t. linguistica moderna invece opera indipendentemente dai rapporti genealogici tra lingue, concentrandosi sugli universali linguistici, cioè sulle proprietà comuni a tutte le lingue del mondo. Le lingue sono confrontate in base a metodi descrittivi che discendono da un unico modello teorico e il confronto avviene a tutti i livelli (fonologia, morfosintassi, semantica); la scoperta di universali è utilizzata per classificare meglio la diversità; è importante mostrare come le realizzazioni sostanziali diverse degli stessi universali formali siano regolate da principi costruttivi abbastanza coerenti e distinti da poter costituire dei tipi.
Si possono distinguere due tipi di approccio alla t. linguistica: quello induttivo, tipico di molti strutturalisti, che parte dallo studio dei fenomeni nelle varie lingue per ricavarne a posteriori dei principi generali, e quello deduttivo, tipico dei generativisti, che si fonda sulla verifica di ipotesi teoriche a priori. L’estensione degli interessi della t. linguistica alla diacronia (i mutamenti linguistici sarebbero tipologicamente solidali tra loro) e alla pragmatica linguistica (inserimento della t. delle lingue nel più ampio quadro della t. dei linguaggi) mostrano come, nella dialettica tra particolare e universale, la t. linguistica possa costituire anche nel futuro un importante punto di riferimento sia teorico, sia metodologico.
In paletnologia, scienza che consente di riconoscere, definire e classificare le diverse varietà di manufatti preistorici. La t. può essere funzionale o morfologica; nel primo caso gli oggetti vengono raggruppati a seconda dell’uso presunto cui erano destinati; nel secondo, la classificazione viene fatta in base alla forma del manufatto.
Lo sforzo di classificare gli individui secondo le caratteristiche del comportamento e della personalità è iniziato, nella nostra cultura, già presso i medici e i filosofi della Grecia antica. Nella tradizione ippocratico-galenica, si insegnava l’indirizzo biotipologico noto come studio dei quattro temperamenti, dove per temperamento si intende la mescolanza, il modo in cui disposizioni affettive e conative agiscono sulla condotta manifesta. La predominanza di uno dei quattro umori biologici (sangue, flemma, bile gialla e bile nera) diviene il fattore determinante di tutto il complesso delle caratteristiche morfologiche e psicologiche dell’individuo, definibile, in ragione di questa prevalenza, come sanguigno, flemmatico, collerico e melanconico. Una rielaborazione della dottrina dei quattro temperamenti in età moderna si deve a I. Kant, che distinse i temperamenti in due gruppi (del sentimento, sanguigno e melanconico, e dell’attività, collerico e flemmatico) e fornì una serie di caratterizzazioni tipologiche descrittive. All’origine della psicologia moderna è W. Wundt a riconsiderare la tradizionale t. secondo due criteri fondamentali, la forza e la stabilità delle reazioni emotive (forte-stabile = melanconico; forte-mutevole = collerico; debole-stabile = flemmatico; debole-mutevole = sanguigno). Nel Novecento i contributi più importanti alla t. possono considerarsi quelli di E. Kretschmer, che accoppiò ai vari tipi costituzionali da lui individuati i caratteri dello schizotimico, del ciclotimico e del viscoso, di C.G. Jung, in cui il criterio di classificazione dei due tipi fondamentali, estroverso e introverso, è costituito dall’orientamento prevalente dell’energia psichica (libido) del soggetto verso la realtà o verso le proprie reazioni nei confronti di essa, e di I.P. Pavlov, la cui t. è incentrata nell’attività nervosa superiore contraddistinta da processi di eccitazione e inibizione. Il tentativo più autorevole di sintetizzare in modo originale i risultati della ricerca sperimentale è costituito dalla t. di H.J. Eysenck, definita da tre dimensioni fondamentali: introversione-estroversione, neuroticismo e psicoticismo.
In sociologia s’intende generalmente per t. una tassonomia in cui le categorie fondamentali dell’ordinamento dei fenomeni sociali (i tipi) sono elaborate per via induttiva, e risultano dall’incrocio di almeno due criteri di classificazione. Il dibattito metodologico sulle t. in sociologia è stato ed è particolarmente vivace: da un lato, infatti, si è sostenuto che esse sono strumenti conoscitivi utili e importanti solo in quanto riflettono oggettivamente raggruppamenti empirici di fatti sociali, ovvero qualità comuni a più gruppi sociali; dall’altro, si è posto l’accento sulla funzione ‘orientativa’ della t. e sulla sua connessione con la teoria sociologica da cui prende le mosse la ricerca empirica. Il primo approccio, tendenzialmente positivistico, ha condotto a sviluppare l’idea dei ‘tipi naturali’; il secondo, orientato in senso piuttosto convenzionalistico e/o strumentalistico, ha trovato sbocco nella sistematizzazione metodologica di P. Lazarsfeld, basata sull’idea della ‘struttura latente’, sottostante all’immagine dei fenomeni sociali che la t. prende in considerazione. Resta fermo, tuttavia, che il metodo per elaborare t. sociali riposa in primo luogo sull’induzione.
M. Weber introdusse come strumento fondamentale dell’analisi sociologica il termine e il concetto di ‘tipo ideale’ (ideale in quanto non trova una specifica corrispondenza nella realtà empirica), che non può essere ottenuto né mediante un procedimento di astrazione, né mediante un procedimento induttivo; d’altra parte non può neppure ricavarsi in base a procedimenti statistici (individuazione di caratteristiche normali o medie). Weber ritenne che la particolare natura dei fenomeni oggetto delle scienze sociali esigesse la creazione di strumenti interpretativi radicalmente diversi da quelli in uso sia nelle scienze naturali sia nelle cosiddette scienze dello spirito (Geisteswissenschaften): una considerazione dei fenomeni sociali che ne analizzasse le caratteristiche estreme appariva l’unica soluzione accettabile.
Servendosi dello strumento elaborato da Weber, G. Simmel ha definito una serie di ‘tipi sociali’ largamente ripresi dai sociologi contemporanei; il sociologo francese G. Gurvitch, da parte sua, ha sostenuto che il metodo della sociologia è per definizione tipologico; lo statunitense P.A. Sorokin, infine, ha dedicato i suoi studi allo sforzo di definire tre grandi tipi di sistemi socio-culturali (materialistico, idealistico, ideativo). Alla definizione di tipi sociali si perviene prevalentemente con metodi qualitativi; sono state tuttavia sviluppate anche tecniche di classificazione tipologica altamente formalizzate in termini quantitativi. Tali tecniche poggiano sull’assunto che la classificazione in tipi mutuamente esclusivi non è che la forma più semplice di un ordinamento scalare.