Famiglia di lingue storiche (dette anche arie, indogermaniche, indoceltiche, arioeuropee) che presentano, specie negli stadi più antichi, un’affinità e una concordanza di caratteri fonetici, morfologici e lessicali tali da rendere legittima l’ipotesi di una fase precedente in cui queste lingue fossero più strettamente connesse tra loro.
Si parla di Indoeuropei per indicare i popoli parlanti lingue indoeuropee. In antropologia, al termine I. (e quelli più o meno equivalenti di Indoari, Indogermani, Arioeuropei), in un’accezione diversa da quella linguistica, si preferisce Europoidi, Europidi.
L’affinità e originaria unità delle lingue i., già intravista da grammatici e studiosi del primo Settecento, e divenuta certa nella seconda metà del secolo, con W. Jones, fu poi confermata dalle indagini dei fratelli Schlegel, dei Grimm, di W. von Humboldt e F. Bopp, che nel 1833 pubblicò una grammatica comparata delle lingue i. allora note (sanscrito, iranico, greco, latino, lituano, gotico e tedesco; nella seconda edizione del 1857 comprese anche l’armeno e l’antico slavo). Nel 19° sec., il lavoro di ricostruzione della protolingua (Ursprache) condotto dalla cultura linguistica europea portò A. Schleicher a interpretare le diverse lingue storiche i. come una naturale differenziazione e articolazione, secondo leggi fisse, di una lingua archetipa perfetta e unitaria, l’i. comune, che si sarebbe scissa in due tronconi, orientale e occidentale, poi a loro volta ramificatisi (teoria dell’albero). Altri hanno visto nella comunione linguistica i. il risultato di una convergenza, all’interno di una ‘lega linguistica’; altri (A. Meillet, A. Pagliaro) hanno insistito sul carattere puramente schematico, astratto, delle forme e funzioni dell’i. ricostruito.
Le lingue i. preistoriche o, meglio, i dialetti i., tra cui vi erano scambi e reciproci influssi, dovevano essere parlati in una zona centro-settentrionale del continente eurasiatico. L’originaria più stretta unità linguistica subì poi un processo di indebolimento e frantumazione in conseguenza delle migrazioni, a partire dalla fine del 3° millennio a.C., e della diffusione in tutta l’Europa centrale e occidentale, nell’Asia Minore e nell’India dei popoli che parlavano tali dialetti. I diversi dialetti, sia per sviluppi particolari di caratteri originariamente affini, sia per influssi del sostrato linguistico delle nuove aree, si differenziarono sempre più l’uno dall’altro, formando quelle lingue storiche che conservano inconfondibili caratteri di unità.
Appartengono alla famiglia i. i seguenti gruppi: armeno, che presenta sin dalle più lontane attestazioni (5° sec. a.C.) molti elementi iranici; baltico, alla base dell’antico prussiano, lituano e lettone; celtico, differenziato in celtico continentale, diffuso nell’area dell’antica Gallia transalpina e cisalpina, e celtico insulare, differenziato in dialetti gaelici (antico irlandese e scozzese) e britannici (antico gallese, cornovagliese e bretone); germanico, con i sottogruppi orientale (gotico), settentrionale (islandese, norvegese, svedese e danese), e occidentale (tedesco, inglese e frisone); greco, con gli antichi dialetti (ionico, eolico, dorico, attico) poi riunificati, a partire dal 4° sec. a.C., con il diffondersi della koinè su base attica; indiano, di cui la forma più antica è costituita dal vedico e dal sanscrito e quella più recente dalle lingue indiane moderne; iranico, rappresentato dall’antico persiano e dall’avestico, e nelle fasi più recenti dal persiano medio (pahlavi, sogdiano ecc.) e moderno; ittito, con le varietà dell’ittito geroglifico e del luvio; latino, già differenziato in vari dialetti, come il romano, il falisco, il lanuvino, il siculo, poi riunificato con l’egemonia politica e culturale di Roma, e diffuso nei territori dell’Impero romano, in cui sorsero le odierne lingue neolatine o romanze; osco-umbro, parlato in età storica nell’Italia centro-meridionale; slavo, alla base dei gruppi dialettali moderni russo, ucraino, bielorusso, polacco, ceco, slovacco, sloveno, serbocroato e bulgaro; tocario, con le due varietà del tocario A o Arśi e del tocario B o Cuceo; tracio e frigio, poco documentati e oscuri.
Dal punto di vista della fonematica caratteri comuni delle lingue i. sono rappresentati da: tre serie di consonanti, sorde, sonore e sonore aspirate, ripartite a seconda del punto di articolazione in labiali (p, b, bh), dentali (t, d, dh), palatali (ḱ, ǵ, ǵh), velari (k, g, gh), e labiovelari (ku̯, gu̯, gu̯h); la sibilante s; le liquide l r e le nasali n m; le vocali a e i o u brevi e lunghe, che possono presentarsi unite nei dittonghi ai ei oi au eu ou: i e u possono, davanti ad altra vocale, assumere valore semivocalico (i̯ u̯); una vocale di timbro indistinto, lo schwa.
Dal punto di vista della morfologia e della sintassi, è comune il sistema di flessione dei nomi, pronomi e verbi basato sull’aggiunta di suffissi e desinenze alla radice della parola, che può presentarsi in gradi apofonici diversi. La flessione dei nomi e pronomi (o declinazione) ammette otto casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, ablativo, strumentale e locativo); la flessione verbale, in cui il modo e l’aspetto verbale hanno maggior risalto del tempo (presente e passato; il futuro non ha una formazione originaria a sé), distingue la coniugazione tematica in e/o e quella atematica. La ricca morfologia consentiva una larga autonomia sintagmatica alle parole: l’irrigidirsi dell’ordine delle parole è fenomeno relativamente tardo.
Le maggiori concordanze appaiono nel patrimonio lessicale della lingua familiare e religiosa e nelle denominazioni di oggetti naturali.