Caso della declinazione latina, collocato dai grammatici antichi al sesto posto nell’ordine dei paradigmi flessionali. In età moderna la denominazione è stata applicata dai linguisti occidentali anche a casi di altre lingue indoeuropee (per es., sanscrito e indoeuropeo ricostruito). Nel latino d’età classica l’a. è individuato da morfemi specifici soltanto nel singolare dei nomi della prima, terza, quarta e quinta declinazione (rosā, urbĕ, fructū, diē); ha invece desinenze comuni con il dativo nel singolare della seconda declinazione (lupō) e nel singolare di alcuni temi della terza declinazione (felicī), e nel plurale di tutte le declinazioni. L’analisi comparata dei morfemi utilizzati dall’a. mostra che nel latino si è esteso l’uso dell’a. utilizzando, oltre che antiche desinenze di a., anche desinenze di strumentale e locativo. La vicenda morfologica è da porre in relazione con l’ampliata funzionalità del caso, che si riflette anche nella molteplicità di preposizioni che possono unirsi all’a.: ab, ex, de, cum, in, sine, sub, super ecc. Nella sintassi scolastica, pertanto, gli usi dell’a. si classificano nelle seguenti categorie: a. di separazione o allontanamento e di origine; a. di comparazione; a. di causa; a. di misura; a. di stato in luogo; a. di relazione o limitazione; a. di tempo; a. di compagnia; a. di modo; a. di mezzo, cui è affine l’a. di moto attraverso luogo; a. di abbondanza o difetto; e infine l’a. di materia.
A. assoluto Costrutto della sintassi latina con cui vengono espressi alcuni tipi di proposizioni subordinate (temporali, causali, concessive, ipotetiche), quando siano o possano essere sciolte da ogni legame sintattico diretto con la proposizione reggente. In esso il soggetto e il predicato vengono posti nel caso ablativo: per es.: confecto punico bello secundo («terminata la seconda guerra punica»), adhuc eo loquente («mentre egli parlava ancora»).