L’a. è il rafforzamento o elevazione del tono di voce (a. tonico in senso largo) con cui si dà a una sillaba maggior rilievo rispetto ad altre della stessa parola (a. di parola), della stessa frase (a. di frase o sintattico) o dello stesso verso (a. ritmico). L’a indica i due modi con cui una sillaba viene messa in rilievo nella parola, nel sintagma o nella frase: a. dinamico o intensivo o espiratorio, quale è quello dell’italiano o del tedesco, consistente in un aumento dell’intensità della voce; a. musicale o cromatico o tonico, quale è quello per es. del serbo-croato o del greco antico, consistente in un aumento dell’altezza della voce.
Riguardo alla posizione nella parola, l’a. si distingue in vari tipi: a. fisso, nelle lingue in cui la posizione dell’a. è stabilita a priori su una certa sillaba in tutte le parole (sulla radicale, per es., in tedesco, sulla finale in francese, sull’iniziale in ceco, sulla penultima in polacco); a. assolutamente libero, dove la posizione dell’a. non è determinabile a priori in base a un principio generale del sistema, ma è stabilita dalla tradizione linguistica in modo diverso da parola a parola (come, per es., nel vedico o in russo); a. relativamente libero, quello che, pur non essendo determinabile a priori, può manifestarsi soltanto in un ambito sillabico determinabile a priori (per es. sulle ultime tre sillabe, come in spagnolo); a. condizionato, quando la posizione è legata alle caratteristiche fonologiche del vocabolo (latino e greco antico). Nelle lingue in cui è assolutamente o relativamente libero, all’a. può essere attribuita una funzione distintiva, in quanto identiche sequenze fonematiche si distinguono in virtù della diversa collocazione dell’a. (per es., bado e badò, càpito, capito e capitò ecc.). Nelle lingue in cui l’a. è fisso, la sua funzione distintiva è molto ridotta (come in tedesco) o nulla (come in francese). Nelle lingue indoeuropee la natura dell’a. differisce anche sensibilmente da lingua a lingua.
Rispetto all’intensità, l’a. può essere forte o debole; parole plurisillabe o composte possono avere accanto all’a. principale uno o più a. secondari. Si distinguono inoltre l’a. ascendente, il discendente, l’ascendente-discendente, secondo che il momento della maggiore altezza sia in fine, in principio o nel mezzo dell’elemento accentuato.
L’a. tonico (o a. d’intensità) ha in italiano una funzione distintiva essenziale. Esso può cadere sull’ultima sillaba (parole tronche: arrivò, caffè), sulla penultima (parole piane: lìbro, versaménto), sulla terzultima (parole sdrucciole: sìmile, barìtono), più raramente, in forme della coniugazione verbale, su sillabe antecedenti (fàbbricano, lìberatene). Dei monosillabi, alcuni possono portare l’a. sintattico; altri sono atoni e si appoggiano nella pronuncia alla parola precedente o seguente. L’a. italiano in generale continua l’a. latino, con limitate deviazioni.
Nella scrittura, in italiano, la posizione dell’a. tonico viene indicata, limitatamente ai casi che ora vedremo, mediante il segno dell’a. grafico, il quale ha anche la funzione di distinguere la pronuncia aperta o chiusa delle vocali, e perciò ha due forme: acuto (΄) per le vocali e ed o chiuse, grave (`) per e ed o aperte e anche per le vocali a, i ed u. Nell’ortografia ordinaria, è obbligatorio segnare l’a.:
a) sulle parole tronche in vocale (carità, virtù);
b) su alcuni monosillabi per lo più capaci di portare un a. sintattico, che altrimenti si confonderebbero con altri d’uguale grafia, per lo più enclitici o proclitici (per es. è verbo, lì e là avv., sé pron., dì «giorno», ecc.);
c) sui monosillabi con dittongo ascendente che, almeno teoricamente, potrebbero essere scambiati per bisillabi (più, può, e anche ciò, già, giù, che contengono dittonghi apparenti). È inoltre facoltativo segnare l’a., per indicare sia la vocale tonica, sia il timbro aperto o chiuso dell’e o dell’o, e questo senza limiti precisi, ma soprattutto là dove possa evitare confusione tra omografi.
Simili all’a. tonico, e per lo più coincidenti con esso, sono gli a. metrici, i quali nel verso detto ‘accentuativo’ segnano il ritmo, la cadenza del verso; per es., nel settenario Fra le fuggenti tenebre (Foscolo), la sede degli a. ritmici è sulla prima, la quarta e la sesta sillaba (frà, -gèn-, tè-) (➔ metrica).
In musica si distinguono a. metrici, ritmici e dinamici. I primi derivano dagli schemi di accentuazione fissati per i diversi tipi di battuta e si succedono quindi secondo un ordine determinato. Gli a. ritmici derivano dalle figurazioni usate e segnano la struttura del discorso musicale, di cui distinguono e circoscrivono le varie frasi. Gli a. dinamici sono usati per mettere in evidenza particolari punti per fini melodici o armonici. Si usano per questo scopo segni che si scrivono sopra o sotto la nota da far emergere: – (debole accentuazione), > (attacco sforzato ed energico che vada poi smorzandosi), ⋁ oppure ⋀ (attacco vibrato con mantenimento della stessa intensità per tutta la durata della nota).