sillaba La minima unità fonica (autonoma e distinta sotto l’aspetto dell’articolazione) in cui si possono considerare divise le parole.
La s. è costituita da un punto vocalico o centro o apice, formato da una vocale o da un dittongo o anche da una sonante con valore vocalico (così, per es., la sonante l nella 2ª sillaba dell’ingl. able, o r nel monosillabo serbocroato tvrd), cui possono essere associate una o più consonanti, precedenti e seguenti. Il limite fonetico tra una s. e l’altra è generalmente costituito dalla chiusura parziale o totale del canale di fonazione (parziale, per es., in ca-sa, totale in ro-ba), o anche dal succedersi di un nuovo punto vocalico a un altro (come, per es., tra le due prime s. di gua-ì-na).
Le s. che terminano in vocale si chiamano aperte o libere (per es., le tre s. di pa-ga-re); quelle che terminano in consonante si chiamano chiuse o implicate (per es., le prime due s. di con-trat-to). L’apertura o chiusura delle s. determina in molte lingue la quantità, meccanica e non distintiva, delle rispettive vocali: avviene spesso che le vocali delle s. aperte siano lunghe, quelle delle s. chiuse siano brevi. Questa regola approssimativa ha una parziale applicazione anche in italiano: una vocale italiana è infatti lunga a condizione di essere tonica e finale di s. (ossia in s. aperta) ma non di parola (per es., a di fato), essendo brevi tutte le vocali atone, quelle non finali di s. (ossia in s. chiusa) e quelle finali di parola (per es., a di fatidico, di fatto, di fa). Sillabazione Divisione in sillabe. Nella scrittura o nella stampa, si uniforma spesso a criteri convenzionali, che non rispecchiano la reale situazione fonetica, e specialmente le condizioni della fonetica sintattica. In italiano, per es., la divisione in s. in fin di riga è regolata da tre norme empiriche: a) si uniscono alla vocale seguente, e non a quella precedente, tutte le consonanti che potrebbero trovarsi riunite in principio di parola (per es., co-strin-ge-re, ap-pre-sta-re); b) le consonanti finali apostrofate fanno s. con la parola seguente (per es., nes-sun’a-mi-ca), mentre le consonanti finali non apostrofate fanno s. con la parola precedente (per es., nes-sun - a-mi-co); c) non si divide mai una parola in modo che la s. a inizio di riga cominci per vocale (per es., buo-no, chie-sa, trau-ma, non bu-ono, chi-esa, tra-uma). Nessuna delle tre norme è assoluta, nemmeno nell’applicazione che se ne fa nell’ortografia corrente, perché: a) nelle parole composte, accanto alla sillabazione normale, è facoltativa una sillabazione etimologica che in alcuni casi unisce alla vocale precedente consonanti o gruppi di consonanti teoricamente possibili in principio di parola (per es., dis-u-gua-le accanto a di-su-gua-le, post-in-cu-na-bo-lo accanto a po-stin-cu-na-bo-lo), e nelle parole dotte, accanto alla sillabazione normale, è facoltativa una sillabazione che unisce alla vocale seguente gruppi consonantici estranei alla fonetica popolare (per es., te-cni-co accanto a tec-ni-co, se-gmen-to accanto a seg-men-to); b) quando si abbia uno iato costante è possibile andare a capo con una vocale (per es., in ma-estro, pa-ura, sci-are); la regola tuttavia va seguita fuori d’accento (dividendo perciò mae-strale, pau-roso, scia-tore piuttosto che ma-estrale, pa-uroso, sci-atore); c) l’apostrofo in fin di riga è in genere evitato, preferendosi spostare la s. che contiene l’apostrofo alla riga seguente, piuttosto che ripristinare al posto dell’apostrofo la vocale elisa (scrivendo, quindi nessu/n’altra piuttosto che integrare nessuna/altra). L’efficacia delle tre norme empiriche, pur con le riserve sopra enunciate, è limitata all’ortografia; la pronuncia infatti se ne distacca in diversi punti.
Nella metrica italiana il computo delle s. (s. metriche o, secondo un’altra terminologia, posizioni) di un verso coincide spesso con il normale computo sillabico, ma se ne discosta nei casi noti con il nome di figure metriche (➔ figura), come dialefe, sinalefe, dieresi, sineresi, sinafia ed episinalefe. In fine di verso, inoltre, si ha uno schema astratto secondo cui all’ultima arsi fissa segue sempre una s. atona, sia che essa venga realizzata (versi piani) sia che non venga realizzata (versi tronchi) sia che ne venga realizzata più di una (versi sdruccioli, bisdruccioli). Nei versi a cesura fissa vige lo stesso schema anche alla fine del primo emistichio.
In linguistica, apice sillabico, la vocale centrale o comunque il fonema di maggiore sonorità della s.; confine sillabico, la linea ideale o la pausa concreta che separa due s.; fonema consonantico in funzione sillabica, il fonema (per es., n, m, l, r, s ecc.) che viene assunto come centro di s. e svolge perciò una funzione che è propria delle vocali; quantità sillabica, la quantità inerente a un’intera s., diversa dalla quantità vocalica che riguarda la sola vocale della s.; grafia sillabica, ogni grafia che rappresenti le parole di una lingua analizzate non nei loro singoli suoni (come le grafie alfabetiche) ma nelle loro sillabe.
Nella grammatica greca scolastica, aumento sillabico, l’aumento ottenuto prefiggendo alla forma verbale una s., costituita dalla vocale ε: per es., part. aoristo λιπών ma indicativo aoristo ἔλιπον.
Nella didattica, metodo sillabico, uno dei metodi d’insegnamento del leggere, fondato sul presupposto che occorra partire dalla s. per formare la parola. Tale metodo subentrò a quello ‘alfabetico’, che è un metodo sintetico, per il quale si fanno imparare prima i suoni delle lettere, poi le s. e infine le parole. Dal nome delle prime lettere dell’alfabeto, il libro di lettura fondato su questo metodo fu chiamato Abbecedario. Il metodo sillabico, sostenuto da V. Ickelsamer (1527), da Comenio (in parte), dai Portorealisti, da S. Heinicke, e diffuso in Italia nella prima metà del 19° sec. da G.A. Rayneri, è un metodo analitico-sintetico, in quanto parte dalle parole scomponendole in s., per poi passare da queste alla composizione di tutte le parole possibili. Venne quindi sostituito dal metodo ‘fonico’, ideato da B. Pascal e riscoperto (1804) da H. Stephani, secondo il quale si insegnavano prima le vocali e poi le consonanti più facili a pronunciarsi. Nel corso del 20° sec. si è affermato per l’insegnamento della lettura il metodo globale (➔ globalizzazione) proposto da O. Decroly. Sillabario Libro per imparare a leggere secondo il metodo sillabico.
Nella storia delle scritture del vicino Oriente antico raccolta più o meno ampia di segni cuneiformi con valore sillabico redatta per sussidio mnemonico o per l’insegnamento. Sillabogramma Nelle scritture a base sillabica, con o senza ideogrammi, il segno con cui si rende una s. (in contrapposizione a ideogramma, che è il segno con cui si rende un’idea).