verbo linguistica Nella grammatica tradizionale, parte del discorso che indica azione, stato, o divenire, in contrapposizione al nome, che indica sostanza o qualità; variabile secondo la flessione verbale, cioè la coniugazione, l’insieme delle forme di un tema che designa un’azione (tema o radice verbale), determinate sul piano grammaticale da desinenze speciali (desinenze verbali). La flessione verbale si contrappone a quella nominale o declinazione.
Come categoria linguistica, il v. è suscettibile di determinazione secondo criteri diversi, come dimostra la molteplicità delle definizioni fornite dai grammatici antichi e dai linguisti moderni. La distinzione tra ὄνομα e ῥῆμα, come opposizione nome-v., è stabilita da Aristotele sulla base della notazione temporale, presente nel v., mentre il nome «è indicativo di qualcosa per convenzione al di fuori del tempo» (ἄνευ χρόνου). Si deve poi agli stoici l’elaborazione di un sistema organico delle forme temporali greche, nella quale appare anche guadagnata la distinzione tra aspetto e tempo. Anche i moderni considerano il v. sotto differenti profili, definendolo come parola indicante un «processo» (A. Meillet), come un «gruppo di categorie grammaticali» (L. Hjemslev), come il «qualificarsi» di alcunché nel tempo (A. Pagliaro). La determinazione della nozione generica espressa dal semantema verbale è ottenuta con distinzioni grammaticali classificabili nelle categorie di tempo, aspetto, modo, persona, numero, diatesi, che nel sistema verbale indoeuropeo sono espresse da un lato mediante la formazione tematica (suffissi, infissi, alternanze nella vocale radicale), dall’altro mediante la flessione (desinenze, alternanze sulla vocale predesinenziale, posto del tono). Nello svolgimento delle lingue storiche è possibile rilevare un progressivo indebolimento della funzionalità espressiva e, inversamente, un progressivo livellamento analogico di queste forme, che tendono a raggrupparsi in paradigmi, in relazione ai quali si parla di verbi regolari o irregolari, difettivi, impersonali. Un sistema verbale comprende inoltre, normalmente, accanto alle forme personali, talune forme dette nominali, perché possono assolvere funzione nominale, o anche modi infiniti o indefiniti, determinati non nella persona ma solo nella diatesi e nel tempo (infinito), o nella diatesi, nel tempo e nel numero (participio) ecc. Dalle formazioni primarie del v. si distinguono quelle secondarie, derivate cioè da un’altra forma verbale (deverbativi) o da una forma nominale (denominativi); si distinguono inoltre, dal punto di vista sintattico, verbi transitivi e intransitivi, predicativi, a reggenza, intransitivi pronominali.
Nell’analisi logica, predicato verbale, il predicato costituito da un v. predicativo, da un v. cioè che, sia per significato sia per funzione, è sufficiente a formare da solo un predicato, senza l’aggiunta di un sostantivo o aggettivo. religione Nel linguaggio ecclecclesiastico, la parola di Dio e anche il pensiero di Dio, come immagine perfetta di Dio stesso. V. incarnato è il Figlio di Dio, seconda persona della SS. Trinità.