Forma nominale del verbo, così chiamata dai grammatici greci perché partecipe, da un lato, della categoria dei nomi, di cui segue la flessione distinguendo numero, genere e caso, e dall’altro della categoria dei verbi, in quanto può distinguere la forma, il tempo e l’aspetto e può inoltre averne la reggenza, transitiva e intransitiva. Nelle lingue indoeuropee storiche questo duplice valore, nominale e verbale, si presenta vivo e funzionale, mentre in italiano, e in generale nelle lingue neolatine, non è restato che un p. presente, o attivo, che raramente ha valore verbale (soprattutto nel linguaggio giuridico-burocratico), e un p. passato, limitato, come uso verbale, a costruzioni assolute o alla formazione dei tempi composti, attivi e passivi. Del p. futuro latino, sia attivo sia passivo (quest’ultimo detto anche gerundivo o p. di necessità), rimangono nella lingua italiana solo pochi esempi, la maggior parte con funzione di aggettivo o di sostantivo (perituro, venturo, laureando ecc.).