In arte e architettura, persona od oggetto che l’artista ritrae o riproduce, oppure esemplare preparatorio dell’opera finale. Nel linguaggio scientifico, costruzione schematica, puramente ipotetica o realizzata materialmente, di origine anche intuitiva, con cui viene rappresentato globalmente o soltanto in parte l’oggetto di una ricerca.
L’arte, la tecnica, l’attività intese alla realizzazione e allo studio di m., sia costruiti a scopo sperimentale sia destinati alla rappresentazione o alla riproduzione, si chiamano modellistica; più particolarmente, nella tecnica, la modellistica costituisce il complesso delle teorie e dei metodi inerenti alla sperimentazione su m.; la parola si estende anche allo studio di fenomeni considerati schematicamente nei loro aspetti essenziali così da consentirne la traduzione in termini matematici.
M. è qualsiasi oggetto reale che l’artista si propone di ritrarre, o che un artigiano, un operaio abbia dinanzi a sé per costruirne un altro uguale o simile, nelle stesse dimensioni o in dimensioni diverse; più specificamente è l’esemplare di opera realizzato dall’artista stesso in preparazione dell’opera finale; in particolare in architettura, m. è la costruzione che riproduce, di solito in scala notevolmente ridotta, le forme esatte e le caratteristiche di un’opera in fase di progettazione, a scopo illustrativo o sperimentale.
L’uso di rappresentare un edificio in scala ridotta (o reale per alcuni suoi particolari) fu molto diffuso nelle epoche passate: m., in argilla, cera e più spesso in legno, potevano rappresentare una fase di elaborazione del progetto di un edificio da realizzarsi o quella ultima e diretta alle maestranze del cantiere ma spesso erano anche costruiti in funzione dell’approvazione da parte del committente. Per il mondo antico e per il Medioevo sono testimonianza di questa pratica i piccoli m. di case, trovati nelle tombe, o di chiese spesso raffigurati in dipinti e sculture in mano a santi o committenti (dal mosaico di Giovanni VII con il m. dell’oratorio nelle grotte Vaticane, dell’8° sec., all’affresco di Desiderio in Sant’Angelo in Formis), come pure i numerosi reliquiari a forma di chiesa (per es. quello di Colonia del 12° sec., Londra, Victoria and Albert Museum), anche se in questi ultimi prevale la valenza simbolica. Di tali m. si conservano mirabili esempi risalenti soprattutto al Rinascimento (nel museo dell’Opera di S. Maria del Fiore, a Firenze, sono conservati, oltre ai m. lignei di F. Brunelleschi della cupola e della lanterna, quelli presentati da vari architetti per la facciata della chiesa; nella Fabbrica di S. Pietro, a Roma, quelli di Antonio da Sangallo il Giovane e di Michelangelo). La pratica dei m. architettonici continuò (esemplare è il «grande m.» della St. Paul’s Cathedral di Londra di C. Wren). Dopo un ridotto uso nel 19° sec., i m. architettonici (detti anche plastici) assumono dal 20° sec. un ampio e vario spettro di applicazioni, divenendo parte integrante del processo progettuale ma anche strumento d’indagine nello studio ricostruttivo delle architetture del passato. L’uso dei m. nella progettazione architettonica persiste nonostante il sempre più diffuso impiego del computer (F.O. Gehry, Z. Hadid ecc.)
Nella scultura, il m. è l’esemplare di un’opera, foggiato in creta, gesso, cera o altra sostanza plastica e condotto a termine in ogni sua parte, destinato a servire di base all’esecuzione definitiva dell’opera stessa quando questa dovrà essere tradotta in altro materiale (marmo, pietra) o fusa in bronzo. È usato un m. anche per l’esecuzione di opere di grandi dimensioni; a differenza del bozzetto, esso presenta una forma definitiva che può essere tradotta in dimensioni maggiori anche da persona diversa dall’autore. Nell’antichità e nel Medioevo furono in uso libri di m. per scultori e per pittori. Essi consistevano in repertori che presentavano diversi schemi compositivi, decorativi o studi di particolari. Nel tardo Medioevo essi furono un importante veicolo di trasmissione delle novità stilistiche e tecniche del gotico e poi del realismo del Trecento e del primo Quattrocento. Con le accademie del tardo Rinascimento e del Barocco l’uso dei libri di m. non scomparve, ed essi divennero anzi più sistematici e analitici. La loro tradizione si è perpetuata nelle scuole di disegno moderne. Ma nella formazione e nella pratica dell’artista, dal 15° sec., accanto all’uso di m. tridimensionali per studiare «gli sbattimenti, cioè le ombre», si fa sempre più frequente il ricorso al m. vivente, codificato anch’esso nell’insegnamento accademico soprattutto nello studio del nudo.
Intendendo per m. e disegni industriali nuove soluzioni atte a migliorare l’estetica dei prodotti industriali, conferendo loro un particolare ornamento o incidendo su forma, colore o altri elementi, più in particolare, si definisce m. la soluzione di tipo tridimensionale (per es., l’accessoristica per la cucina), disegno industriale quella bidimensionale (per es., i disegni sulle stoffe nel campo della moda).
Sia i m. sia i disegni industriali possono essere tutelati giuridicamente per mezzo di un’apposita registrazione, ma solo i secondi possono godere della tutela ulteriore prevista dalla legge sul diritto di autore. Perché si possa dare vita alla registrazione occorre che il m. o il disegno sia nuovo e dotato di carattere individuale. La registrazione si effettua presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, oppure presso l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (con sede ad Alicante) e/o presso l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (con sede a Ginevra). A seconda dell’ente prescelto la tutela ha portata rispettivamente nazionale, comunitaria o internazionale e si protrae al massimo per 25 anni. Là dove il disegno risulta essere creativo, non banale e dotato di valore artistico, può esser fatta valere anche – per una durata pari alla vita dell’autore e sino al settantesimo anno dopo la sua morte – la tutela da diritto di autore.
Con la registrazione si può interdire ai terzi qualsiasi uso non autorizzato del m. o del disegno industriale, compresa la semplice detenzione di un prodotto recante il m. o disegno non fabbricato dal titolare della registrazione o da un suo licenziatario. In caso di m. e disegni immessi direttamente in commercio nella Comunità europea, senza preventiva registrazione, il reg. 6/2002/CE prevede una tutela di fatto e gratuita, consistente nel diritto di poter impedire ai terzi, per i 3 anni successivi la prima divulgazione al pubblico all’interno dell’UE, l’esatta riproduzione del m. o del disegno.
L’uso di m. matematici ha contribuito in maniera significativa allo sviluppo dell’ecologia e alla sua affermazione come disciplina autonoma. In particolare, l’impiego di tali strumenti ha rappresentato la diretta conseguenza dell’evoluzione in senso quantitativo degli studi ecologici, compiuta intorno alla metà del Novecento. In effetti, già nell’intervallo fra le due guerre mondiali, grazie soprattutto ai contributi contemporanei, ma indipendenti, di A. J. Lotka e di V. Volterra, erano stati formalizzati ed espressi sotto forma di m. matematici i primi concetti essenziali per la comprensione della dinamica delle popolazioni e delle interazioni fra specie. Tuttavia, è solo fra gli anni 1940 e 1960, con l’affermarsi di una visione dei processi ecologici basata sull’analisi dei flussi energetici, che l’uso dei m. matematici si diffonde in ecologia non soltanto a fini previsionali, ma soprattutto come strumento di ricerca e di sintesi delle conoscenze. È del tutto ovvio, al di là delle motivazioni di natura teorica, che la crescente disponibilità di strumenti di calcolo abbia poi favorito l’affermazione dell’uso dei m. matematici in ecologia non solo da parte di una ristretta cerchia di modellisti, ma anche da parte di un numero crescente di ricercatori. Oltre a ciò, l’evoluzione degli strumenti di calcolo ha reso possibile anche lo sviluppo di nuovi approcci alla modellizzazione dei sistemi ecologici, che si sono affiancati a quelli più tradizionali, generalmente basati su sistemi di equazioni differenziali. Fra gli approcci più innovativi possono certamente essere annoverati quelli che hanno mutuato tecniche proprie dell’intelligenza artificiale, favoriti sia dalla crescita delle capacità computazionali sia dalla disponibilità di una sempre più vasta mole di dati ecologici, raccolti con misurazioni strumentali e tecniche di telerilevamento.
I m. matematici utilizzati in ecologia possono essere divisi in due grandi categorie. Esse differiscono fra loro sia per i metodi utilizzati sia per le finalità applicative: la prima comprende i modelli finalizzati alla simulazione dei processi ecologici e all’analisi della loro dinamica; l’approccio è meccanicistico e riduzionistico, cioè basato sull’analisi e sulla scomposizione dei processi più rilevanti in un certo numero di sottoprocessi più semplici e quindi più adatti a essere trattati con le equazioni differenziali che formano il m. stesso. La seconda categoria comprende i m. che consentono di stimare i valori di una o più variabili ecologiche sulla base dei valori noti di un insieme di altre variabili, cui si attribuisce un ruolo predittivo.
La situazione idealizzata di una singola specie, isolata e internamente omogenea (gli individui che la compongono possono essere considerati identici, trascurando differenze di struttura quali età, dimensione, sesso, differenze di collocazione geografica ecc.), viene descritta da una singola equazione differenziale ordinaria, cui si dà in genere la forma specifica seguente (m. di Verhulst), dove N è il numero degli individui, variabile dipendente dal tempo t:
In questo modello, il tasso specifico di crescita ε(1−N/K), che risulta dal bilancio tra la natalità e la mortalità specifiche, dipende dai due parametri ε>0 e K>0, chiamati rispettivamente potenziale biologico intrinseco della popolazione e capacità portante dell’ambiente. Inoltre, il tasso dipende in modo decrescente dal numero di individui presenti, allo scopo di modellizzare il cosiddetto effetto logistico secondo cui, in presenza di alte densità di individui, a causa di numerosi fattori (tra cui la limitatezza delle risorse, le sostanze di rifiuto che la popolazione emette nell’ambiente, le energie spese per la socializzazione, l’aumento della predazione), un aumento della popolazione produce una diminuzione della natalità e un aumento della mortalità. La soluzione del modello,
dove N0=N(0) è la popolazione iniziale, tende asintoticamente al valore K, qualunque sia il dato iniziale N0≠0. La popolazione, quindi, tende ad attestarsi sul valore della capacità portante. Nel caso di N0<K/2, la soluzione assume la forma della sigmoide logistica, che si osserva sperimentalmente in molte situazioni (fig.). Quando la capacità K è molto grande rispetto alla densità di popolazione N, il tasso ε(1−N/K) è approssimabile con ε e di conseguenza si ha una crescita (illimitata) di tipo esponenziale N(t)=N0exp(εt), ossia una crescita malthusiana.
Competizione. - Il m. relativo alla competizione riprende il principio logistico esposto nel modello di Verhulst, applicandolo al caso di due specie biologiche che vivono in uno stesso ambiente e interagiscono in quanto competono per le stesse risorse. In termini biologici, le due specie hanno in comune parte della nicchia ecologica, intendendo con questo termine il complesso di abitudini, cibo, spazio ecc. propri di ciascuna specie. Indichiamo con N1(t) e N2(t) il numero di individui delle due specie e (supponendo che ognuna di esse, in assenza dell’altra, si evolverebbe secondo un modello logistico) siano ε1, ε2 i rispettivi potenziali biologici e K1, K2 le rispettive capacità. In questo caso occorre tener conto del fatto che il potenziale biologico di ciascuna specie diminuisce anche al crescere della densità del competitore; ciò porta al sistema di equazioni differenziali ordinarie
con le condizioni iniziali N1(0)=N01, N2(0)=N02, dove il parametro αij rappresenta il grado di occupazione della nicchia della specie i da parte di un individuo della specie j, misurando quanti individui di tipo i equivalgono a un individuo di tipo j. Le conclusioni che si traggono da questo m., in funzione dei valori dei parametri, forniscono indicazioni sul meccanismo della competizione tra le due specie. In particolare, si ottengono indicazioni sulle condizioni che permettono la coesistenza stabile (α12K2<K1 e α21K1<K2) o su quelle che invece portano all’esclusione di una delle specie.
Predazione. - Una fenomenologia diversa da quella di competizione caratterizza il meccanismo della predazione. In questo caso, indicando con H(t) e con P(t) rispettivamente la preda e il predatore al tempo t, un tipico m. che permette di discutere l’interazione tra le due specie in modo esauriente è dato dal sistema:
Ogni funzione presente nelle equazioni ha un suo specifico significato biologico: ε[H] rappresenta il tasso intrinseco di crescita della preda, che spesso si assume nella forma specifica ε[H]=ε0(1−H/K), tipica del modello di Verhulst; −μ è il tasso intrinseco di crescita del predatore, che si assume costante e negativo, supponendo così che, in assenza di preda, il predatore si estinguerebbe esponenzialmente con vita media 1/μ; π[H] è la risposta funzionale del predatore, che corrisponde al numero di prede consumate nell’unità di tempo da un singolo individuo; ω[H] rappresenta, infine, la risposta numerica alla predazione e corrisponde al numero di nuovi individui prodotti da ciascun predatore nell’unità di tempo. Per es., tra le forme che possono prendere queste funzioni è realistica e significativa l’espressione
(proposta da C.S. Holling sulla base di considerazioni empiriche riguardanti il meccanismo della predazione), dove a>0 è detto coefficiente di attacco, mentre T>0 corrisponde al tempo necessario a consumare la preda; per ciò che riguarda la risposta numerica, si suppone spesso che sia proporzionale alla risposta funzionale, ponendo ω[H]=ω0π[H]. L’analisi qualitativa del comportamento delle soluzioni mostra che il modello è in grado di render conto delle tipiche oscillazioni che si rilevano in natura, e permette di discutere le condizioni che producono oscillazioni stabili (soluzioni periodiche).
M. è ogni schema teorico che cerchi di ridurre un fenomeno economico ai soli elementi fondamentali, trascurando quelli secondari, in modo da capirne e spiegarne meglio il funzionamento; si esprime come una rappresentazione formalizzata delle relazioni quantitative che, in modo semplificato, descrivono il fenomeno analizzato. Del ricorso a tali schemi teorici e all’aggregazione si giovò indubbiamente anche l’economia classica per esprimere sotto forma di leggi i rapporti esistenti tra vari fenomeni, ma negli ultimi decenni ci si è valsi sempre più di questo procedimento che permette di combinare insieme i vantaggi del metodo deduttivo e di quello induttivo. I nuovi m. si presentano generalmente sotto forma di tabelle, di sistemi di equazioni o di grafici che consentono l’individuazione delle relazioni quantitative tra le variabili concorrenti a determinare un fenomeno; questo impiego della formulazione matematica e della rappresentazione grafica che li caratterizza ne permette la verificazione statistica, che a sua volta ne rende possibile la correzione e il perfezionamento.
È soprattutto dopo J.M. Keynes che il ricorso ai m., intesi come rappresentazione semplificata e astratta dell’interazione di certi fenomeni economici estesa a un intero sistema economico o a parte di esso, si è generalizzato e questi m., detti anche m. macroeconomici perché rappresentati da relazioni quantitative tra grandezze di tipo globale (reddito nazionale, consumo complessivo, investimenti totali privati e pubblici ecc.), richiedono sempre più l’uso della matematica e di formalizzazioni molto complesse.
I m. possono essere descrittivi, esplicativi, previsionali o decisionali. I m. descrittivi mirano a rappresentare fenomeni reali, in genere in termini quantitativi, basandosi sull’utilizzazione di dati, distribuzioni statistiche e correlazioni empiriche. I m. esplicativi si propongono di spiegare le uniformità suggerite dai m. descrittivi e la concatenazione di cause ed effetti che è possibile constatare tra i fenomeni. I m. previsionali si fondano sull’estrapolazione del passato, quale risulta dall’analisi descrittiva ed esplicativa, ipotizzando, s’intende, che nulla muti nella struttura dei fenomeni. I m. decisionali, infine, mirano a mettere in luce le misure da adottare per raggiungere un dato obbiettivo e hanno un intento normativo, pur essendo costruiti secondo gli stessi principi generali degli altri modelli. Dato che si propongono di determinare le grandezze incognite come funzioni di altre grandezze, tutti i m. si chiamano anche funzionali.
Le variabili che entrano in un m. si distinguono in endogene ed esogene e a queste seconde si ricorre per indicare fenomeni extra-economici o sotto controllo sperimentale in altri campi, o per necessità di isolare un certo gruppo di fenomeni. I valori delle variabili endogene sono determinati dalle varie equazioni strutturali (equazioni di comportamento, tecniche, istituzionali e identità) che stanno a base del m., e su essi confluiscono le variabili esogene, mentre i valori di queste non risultano dalle dette equazioni e sfuggono all’influenza delle variabili endogene. Il m. è detto autocomprensivo o sezionale a seconda che il numero delle equazioni sia uguale o inferiore al numero delle variabili e il m. sezionale è detto completo quando il numero delle equazioni sia uguale a quello delle variabili endogene. Spesso nei m. si fa anche ricorso a variabili stocastiche, ossia a variabili che possono assumere numerosi (spesso infiniti) valori e che stanno a rappresentare gli effetti erratici di fattori non sistematici, i quali, pur avendo ciascuno un’influenza trascurabile, nell’insieme possono provocare perturbazioni nelle relazioni da cui risultano definite le diverse variabili endogene in funzione delle altre variabili. Un m. può essere inoltre statico o dinamico, a seconda che nelle sue equazioni strutturali non entrino o entrino variabili riferentesi a diversi momenti di tempo, ed è detto lineare quando tutte le equazioni in esso contenute siano lineari.
Per quanto accuratamente elaborato, il m. comprende sempre un insieme incompleto di informazioni e di ipotesi circa le equazioni strutturali e circa le distribuzioni delle variabili stocastiche – se queste entrano nelle suddette equazioni – e non rappresenta che il primo passo dell’analisi econometrica, la quale mira a sottoporre a verifica statistica la teoria incorporata nel m. stesso e a integrarla mediante le informazioni e le ipotesi che è possibile inferire con l’analisi statistica, ma incontra su questa strada numerosi limiti. Nella pratica il procedimento di costruzione di un m. econometrico (➔ econometria) prevede che innanzitutto vengano tradotti in equazioni matematiche i dati rilevati statisticamente in base a specifici criteri teorici i quali influenzano la scelta delle variabili e la stima dei parametri da inserire nel m. stesso. Inoltre occorre effettuare la verifica statistica del funzionamento del m. che viene valutato in base alla sua efficacia nel riprodurre i fenomeni appartenenti a periodi passati o nel prevedere il loro andamento nel futuro. Perché il confronto con il fenomeno reale rilevato statisticamente e la proiezione nel futuro a mezzo dell’estrapolazione divengano più facili e permettano a loro volta modifiche e miglioramenti del m., l’econometrico in genere provvede a decomporre il fenomeno globale in una serie di fenomeni specifici, ma la disaggregazione non deve essere spinta troppo oltre affinché la sintesi non diventi poi eccessivamente complessa.
Il termine m. assume nella letteratura scientifica una pluralità di accezioni tale da non consentire alcuna univoca definizione. Al fine di precisare alcune delle principali accezioni, conviene rifarsi a quel periodo dello sviluppo storico della teoria fisica in cui l’uso dei m. nella costruzione delle teorie diventa sistematico. L’elaborazione sistematica di m. allo scopo di inquadrare teoricamente i dati empirici e controllare le ipotesi emerse nel corso della ricerca si può far risalire all’opera di J.C. Maxwell e di lord Kelvin. Un esempio è il famoso m. maxwelliano di etere: trattando delle linee di forza in un campo magnetico, Maxwell avanza l’ipotesi dell’esistenza di un medium in cui agisca una tensione (stress), per cui le linee di forza rappresenterebbero le direzioni di minima pressione; l’anisotropia della pressione viene attribuita alla presenza di vortici ‘molecolari’ in un fluido composto di particelle microscopiche. Da questo m., e in armonia con le leggi dell’idrodinamica, Maxwell ricava una serie di leggi analoghe a quelle elettriche e, estendendo l’analogia, riporta al m. tutti i fenomeni elettromagnetici. Con il suo m. ‘meccanico’ Maxwell ha così tentato di riportare le relazioni esistenti in un insieme di fenomeni elettrici e magnetici su un altro insieme di fenomeni di tipo meccanico (usato come m.), stabilendo tra i due insiemi una corrispondenza e consentendo la costruzione di una teoria del campo elettromagnetico dotata della stessa unitarietà esplicativa, assicurandone inoltre la coerenza (in senso logico). L’esplicazione analogica, cioè l’interpretazione delle relazioni tra fenomeni realizzata nel m., si rivela quindi di fondamentale importanza per la costruzione della teoria.
Sul piano epistemologico si può poi considerare già presente nella concezione di Maxwell la maggior parte dei significati attribuiti nell’epistemologia odierna al termine m.: una funzione del m. consiste nel permettere una rappresentazione, più o meno semplice, di un fenomeno complesso, mettendone in luce la struttura; conseguenze euristiche e predittive di rilievo si connettono a questa proprietà. Qualora non si esiga alcuna contropartita reale delle entità che compaiono nel m., ma le si consideri come un insieme di proprietà immaginarie, il m. può poi diventare un semplice schema concettuale e, al limite, un puro schema di riferimento. Il che non implica che non si possa considerare il m. come una quasi-teoria (‘quasi’ in quanto, per es., manca totalmente o in parte una verifica empirica). Va tenuto peraltro presente che il m. non coincide con la teoria, dal momento che possono darsi più m. di una stessa teoria; in tal caso il m. adempie alla funzione di un’interpretazione alternativa.
Nel campo algebrico si può considerare invece m. di una struttura astratta, una struttura concreta appartenente a una classe di strutture equivalenti (la struttura astratta risulta estensionalmente una classe di strutture concrete isomorfe; m. di una struttura di gruppo si può ritenere, per es., un qualunque gruppo di permutazioni). Si può pertanto formulare una definizione generalissima di m. ritenendo sufficiente che si abbia una corrispondenza tra una teoria come insieme di relazioni tra segni e un universo di entità (che può essere a sua volta una teoria), per cui valgono le stesse relazioni; il m. realizza così la teoria in una struttura specifica.
Nell’Ottocento, l’esigenza modellistica non era infatti avvertita nella stessa misura dai fisici inglesi, tedeschi o francesi; uno scienziato metodologicamente avvertito come H.R. Hertz, pur sottolineando l’utilità del m. come parte della strumentazione teorica del ricercatore, lo considerava già come un’impalcatura provvisoria di cui fosse necessario disfarsi una volta giunti a uno stadio teorico più avanzato, cioè in ultima analisi alla formalizzazione della teoria.
P.-E. Duhem, all’inizio del Novecento, riprendendo questi spunti (e ricollegandosi in parte anche alle posizioni di E. Mach), contrapponeva il rigore delle sistemazioni ipotetico-deduttive alla grossolanità delle interpretazioni modellistiche, non di rado devianti in quanto indurrebbero alla ricerca di referenti ‘sostanziali’ o reali per gli elementi del m. e sottolineava i pericoli dell’abuso dell’analogia tra m. e teoria. N.R. Campbell, negli anni 1920, ribadiva invece l’indispensabilità del m. per la teoria fisica, sostenendo che una descrizione puramente matematica dei fenomeni era da considerarsi esplicativamente insoddisfacente. A partire dagli anni 1950, nell’epistemologia d’impostazione neoempiristica si è tornati a insistere sulla funzione del m. come ‘anello’ tra teoria ed esperimento, in grado di fornire, oltre a regole ‘sintattiche’, anche le indispensabili regole ‘semantiche’. L’enunciazione di una teoria come un insieme puramente astratto di postulati o assiomi non interpretati non consentirebbe infatti alcuna applicazione, come si esige invece in fisica, a problemi concreti.
Ciò che invece è stato negato è essenzialmente la pretesa esplicativa implicita nell’aspetto analogico del m., sia pur ammettendone l’utilità (M. Black ed E.H. Hutten hanno insistito infatti sul ruolo ‘metaforico’ del m.: l’analogia rappresenterebbe cioè uno strumento privilegiato per la scoperta di relazioni prima non intraviste; C.G. Hempel, al contrario, ha affermato di poter differenziare abbastanza nettamente m. teorici e m. analogici). È piuttosto la funzione strumentale e di costrutto teorico che è stata sottolineata. Il m. svolgerebbe cioè una funzione euristica e di schema di riferimento, non più una funzione esplicativa (contrariamente alle tesi di Campbell e di P.W. Bridgman), funzione attribuita in maniera esclusiva alla teoria. In una prospettiva antineopositivistica, il punto di vista di Campbell è stato tuttavia riproposto e riarticolato da M.B. Hesse, che ha sottolineato il valore non solo euristico ma anche esplicativo e predittivo dei modelli.
Alla nozione di m. si fa ricorso soprattutto nella linguistica teorica. La spinta è venuta dalle riflessioni di F. de Saussure, che, riconosciuta l’irripetibilità e perenne diversità intrinseca degli atti espressivi (parole), propose di concepire la lingua (langue) come un sistema d’identificazione degli atti espressivi (in sé stessi tutti differenti), identificazione che si compie attraverso classi astratte di equivalenza (i segni) producibili con una data lingua. L’impostazione saussuriana è rimasta per lungo tempo lettera morta: fu rinnegata dalle correnti dello strutturalismo statunitense, per le quali le sole realtà linguistiche erano quelle materialmente percepibili, e da quelle europee. Solo negli anni 1950 con l’opera di A. Hjelmslev, di J.N. Chomsky, la reinterpretazione di Saussure e i nuovi rapporti tra linguistica teorica ed epistemologie più scaltrite, la nozione di m. è tornata a occupare un posto rilevante.
In matematica, si chiama m. un elemento scelto in una classe di enti equivalenti rispetto a una data relazione di equivalenza, come rappresentante dell’intera classe, detta classe di equivalenza. Mentre quest’ultima è in sostanza un ente astratto, il m. è un rappresentante concreto. Per es., in topologia, una circonferenza può essere considerata come m. topologico delle curve semplici chiuse, cioè delle curve topologicamente a essa equivalenti.
A partire dalla seconda metà del 20° sec. la modellistica matematica si è sviluppata a ritmi via via crescenti, anche grazie alla realizzazione di calcolatori elettronici sempre più potenti. Un m. matematico può essere costruito mediante concetti, teorie o strumenti della matematica (o una loro combinazione): strutture algebriche o geometriche; equazioni algebriche, differenziali (ordinarie o alle derivate parziali), alle differenze finite, stocastiche; teoria delle probabilità, teoria dei giochi, teoria dei sistemi ecc. Nei confronti dei fenomeni cui si riferisce, il m. matematico può avere una funzione descrittiva, ossia ambire a una descrizione quanto più possibile soddisfacente al fine di consentire una previsione circa il loro andamento futuro. Tale previsione può limitarsi a delineare questo andamento soltanto in termini qualitativi, oppure determinarlo in termini quantitativi. Nei confronti di certe classi di fenomeni, il m. matematico può (o deve) assolvere una funzione prescrittiva o di controllo, ovvero indicare in che modo il fenomeno deve svolgersi al fine di rispondere nel modo più efficace a determinati fini. Per es., un m. dei fenomeni meteorologici è di carattere descrittivo in quanto ambisce a prevedere l’andamento del tempo con la massima accuratezza possibile. Invece, un m. del traffico automobilistico o un modello di allocazione di risorse scarse fra consumatori sono modelli prescrittivi o di controllo. Infatti, la loro funzione non consiste nella descrizione, bensì nella determinazione delle procedure attraverso cui può essere conseguito un fine predefinito: nei due casi considerati, realizzare uno scorrimento veloce del traffico e una distribuzione delle risorse ‘ottimale’ dal punto di vista dell’equità o di criteri di efficienza. Tuttavia, questi due punti di vista possono coesistere. Per es., il moto di un aeromobile fa intervenire aspetti meramente descrittivi e aspetti di controllo legati all’intervento umano sulla traiettoria.
Dal punto di vista concettuale e metodologico, una delle caratteristiche più importanti del m. matematico è che esso non aspira a essere l’unica rappresentazione possibile di un fenomeno o di una classe di fenomeni. Il m. non è specchio della realtà e non esiste alcuna corrispondenza biunivoca fra m. e fenomeni. Il medesimo fenomeno può essere rappresentato mediante più m. fra i quali si può scegliere in base a criteri di efficacia, ma che non sono necessariamente in competizione, potendo offrire prospettive diverse e compatibili fra di loro. Viceversa, uno stesso m. (o, per meglio dire, un singolo schema matematico) può servire a rappresentare fenomeni diversi, fra i quali istituisce una sorta di ‘omologia’ strutturale. Questo aspetto rappresenta un approccio caratteristico della modellistica matematica, e cioè il metodo dell’analogia matematica. Esso consiste nell’identificare aspetti comuni tra fenomeni eventualmente anche molto diversi fra loro e scoprire così collegamenti non di rado inattesi. Se uno di questi fenomeni è suscettibile di una descrizione matematica efficace e semplice, essa può essere considerata come un m. matematico di tutti gli altri fenomeni analoghi (od omologhi). Per es., nella moderna dinamica non lineare si è pervenuti a una trattazione unificata in molti differenti campi d’indagine, quali i fenomeni di turbolenza idrodinamica, la cinetica chimica, il comportamento di certi circuiti elettronici caratteristici della radiotecnica ecc.: il m. matematico più soddisfacente è ricavato dalla descrizione di certi processi oscillatori che trovano la loro manifestazione più evidente e già nota nei suddetti circuiti elettronici.
Un fattore di importanza cruciale nello sviluppo della modellistica matematica è rappresentato dal calcolatore elettronico e dal suo uso sempre più diffuso e sistematico nella ricerca scientifica. A partire dalle prime applicazioni importanti del calcolatore nell’implementazione di m. matematici, dovute a J.L. von Neumann, la costruzione di macchine sempre più potenti, veloci e maneggevoli conduce a un forte sviluppo del calcolo numerico (➔ computazionale). Inoltre, l’introduzione della grafica su calcolatore, e quindi la sostituzione della rappresentazione numerica con quella geometrica delle soluzioni dei sistemi studiati, permette una valutazione qualitativa diretta del comportamento delle soluzioni stesse, provocando un radicale mutamento nella prassi della ricerca. Infatti, l’analisi numerica non è più un supporto per lo studio delle soluzioni laddove esse non sono direttamente esplicitabili con gli strumenti dell’analisi ordinaria, ma diviene uno strumento di simulazione del comportamento dei sistemi matematici studiati e, di riflesso, dei sistemi reali che essi pretendono di rappresentare. Mediante l’elaboratore diviene quindi possibile simulare il comportamento di un sistema reale, riducendo al minimo la verifica empirica diretta.
La teoria dei m. è la parte della logica matematica che studia le relazioni tra insiemi di espressioni di un linguaggio formale e insiemi di strutture in cui tali espressioni sono valide. L’espressione ‘teoria dei m.’ è stata usata per la prima volta da A. Tarski all’inizio degli anni 1950, tuttavia molti importanti risultati già ottenuti prima nella semantica sono catalogabili nella teoria dei modelli. Tra questi il teorema di Löwenheim-Skolem, dimostrato in forma definitiva nel 1920; i teoremi di completezza e di incompletezza di K. Gödel; l’accurata precisazione, formulata da Tarski nel 1933, del concetto d’interpretazione di un insieme di espressioni formalizzate in una struttura; la dimostrazione, data da T. Skolem nel 1934, della non caratterizzabilità dei numeri naturali nell’ambito della logica elementare mediante un insieme finito o numerabile di assiomi; la dissertazione di A. Robinson On the metamathematics of algebra del 1949 che affronta in modo esplicito lo studio dell’analogia tra le teorie algebriche (specialmente quella dei campi) e la teoria generale delle teorie elementari.
A partire dal 1950, specialmente a Berkeley per opera di Tarski e della sua scuola, la teoria dei m. ha ricevuto la definitiva sistemazione su cui si fondano le ricerche relative alla teoria assiomatica degli insiemi (K. Gödel, A. Tarski, P. Cohen, D. Scott), alle logiche con espressioni di lunghezza infinita (A. Tarski, C.R. Karp), ai fondamenti del calcolo delle probabilità (H. Gaifmann, D. Scott, P. Krauss, J.E. Fenstad) ecc.
Le espressioni di una teoria elementare T acquistano un significato quando ai simboli del suo linguaggio L si dà un’interpretazione in una struttura costituita da un dominio di individui e, per ciascun simbolo non logico di L, da opportuni enti relativi a quel dominio. Per es., se T è il sistema assiomatico di Peano, T potrà acquistare un significato se viene interpretato nella struttura costituita dal dominio dei numeri naturali (per le variabili individuali di T), dalla costante ‘zero’ (per il simbolo non logico 0), dalla funzione ‘successore’ (per il simbolo non logico s), dalle operazioni di addizione e moltiplicazione ordinarie (rispettivamente per i simboli non logici + e ∙); il simbolo = sarà considerato come simbolo logico da interpretare sempre sul predicato diadico ‘è uguale a’.
Definiamo i concetti di interpretazione e di struttura per il linguaggio L di una teoria elementare T. Un’interpretazione I per il linguaggio L di una teoria elementare T consiste in una struttura (o universo) U(α) e in una determinata applicazione dei predicati e delle funzioni di L. La struttura U(α) è formata: 1) da un insieme non vuoto α detto dominio degli individui o anche universo; 2) per ogni simbolo di predicato n-adico P ∈ L, da una relazione n-aria Pα su α (cioè, un sottoinsieme della potenza cartesiana α n); per il simbolo del predicato diadico ‘=’, la struttura conterrà la relazione binaria ‘è uguale a’; 3) per ogni simbolo di funzione a n argomenti f ∈ L, da un’operazione (o funzione) fα: αn→ α; in particolare, per ogni costante individuale (funzione a zero argomenti) c ∈ L, cα risulta essere un individuo del dominio α. L’applicazione individuata dalla I associa Pα a P e fα a f (in particolare cα a c), per ogni P, f, c ∈ L.
Per qualsiasi interpretazione i connettivi enunciativi e i quantificatori sono applicati sulle corrispondenti funzioni di verità e di quantificazione, mentre le variabili individuali libere potranno essere applicate in tutti i modi possibili sugli individui del dominio della struttura e quelle vincolate nei modi consentiti dall’interpretazione dei quantificatori. Una formula di L è detta vera in un’interpretazione I del linguaggio se e soltanto se per ogni valore delle variabili individuali libere essa riceve valore vero sotto I. Fissata un’interpretazione I per il linguaggio L, ogni formula di L senza variabili individuali libere è vera o falsa; invece una formula contenente variabili libere (cioè non quantificate), che rappresenta una relazione sul dominio degli individui, può risultare vera per alcuni valori del dominio e falsa per altri. Cioè, per una data interpretazione I, ogni formula chiusa risulta o vera o falsa, ogni formula aperta può non risultare né vera né falsa. Per es., la formula chiusa ∀x∃y (2x=y), se il dominio dell’interpretazione è l’insieme dei numeri naturali risulta vera; la formula aperta 2x=y per la stessa interpretazione non risulta né vera né falsa.
Una formula di L si dice logicamente valida (o valida) se e solo se è vera per qualunque interpretazione; si dice soddisfacibile se e solo se esiste almeno un’interpretazione che la rende vera. Una formula di L si dice contraddittoria se e solo se è falsa per ogni interpretazione. Si dice che una formula K è conseguenza logica (o conseguenza) di una formula H (o in generale di un insieme M di formule) se e solo se le interpretazioni che rendono vera H (tutte le formule di M) rendono vera anche K. Due formule H e K si dicono logicamente equivalenti se e solo se ciascuna è conseguenza dell’altra. Un’interpretazione per un linguaggio L dicesi un m. per un insieme M di formule di L (in particolare per una teoria T o per una formula H) se e solo se tutte le formule di M (di T o la formula H) sono vere per quella interpretazione. Talvolta si usa chiamare m. di una teoria T il dominio α dell’interpretazione se questa è m. per T; analogamente si parla di validità (soddisfacibilità) in α di una teoria T se ogni (qualche) interpretazione del suo linguaggio relativa al dominio α è m. di T. Una formula si dice valida in una teoria T se è conseguenza degli assiomi non logici di T o, equivalentemente, se è vera in ogni m. di T. Due strutture U(α) e U(β) si dicono elementarmente equivalenti per un certo linguaggio L se e solo se ogni formula esprimibile in L è vera in U(α) esattamente quando è vera in U(β); il che implica che le due strutture sono m. delle stesse teorie. Consideriamo, per es., la teoria G, i cui assiomi non logici sono:
Il linguaggio L di G ha i simboli non logici + e 0. Interpretiamo L sulla struttura costituita dall’insieme Z dei numeri interi relativi, dall’operazione di addizione ordinaria (per la funzione binaria +) e dalla costante zero (per il simbolo 0). I tre assiomi risultano veri per questa interpretazione del linguaggio; si dice perciò che Z è m. di G o che questa interpretazione è m. di G. La teoria G è quindi soddisfacibile (in Z). Analogamente risultano m. di G gli insiemi Q, R e C dei numeri razionali, reali e complessi muniti dell’ordinaria addizione. I m. di G sono i gruppi.
Il problema della caratterizzazione per una teoria elementare T consiste nel ricercare le condizioni necessarie e sufficienti affinché una formula di T sia un teorema di T. Una prima soluzione di questo problema è espressa dal teorema di completezza semantica di Gödel: ‘una formula di una teoria elementare T è un teorema se e solo se è valida in T′, o, equivalentemente, ‘una teoria T è consistente se e solo se ha un modello’. Questo teorema stabilisce l’equivalenza tra la nozione sintattica di derivabilità e quella semantica di validità. Da esso si ottiene un altro notevole teorema: ‘due teorie formulate nello stesso linguaggio sono equivalenti se e solo se hanno gli stessi modelli’. Anche il concetto di completezza sintattica può trovare una comoda sistemazione nell’ambito della teoria dei modelli. Una teoria T si dice sintatticamente completa se e solo se, per ogni enunciato H formulabile nel suo linguaggio, o H o ¬H è derivabile in T. Sussiste il teorema: ‘una teoria T è sintatticamente completa se e solo se tutte le coppie di m. di T sono elementarmente equivalenti per il linguaggio di T′. Applicando questo teorema si può facilmente dimostrare che la teoria G, prima presentata, non è sintatticamente completa. Infatti, siano U(α) e U(β) due gruppi, il primo abeliano e il secondo no. Essi sono entrambi m. di G ma non elementarmente equivalenti perché la formula x+y=y+x è vera nella prima struttura e non nella seconda. La teoria G, quindi, non è sintatticamente completa.
Una teoria si dice finitamente assiomatizzabile se può avere un numero finito di assiomi non logici. Vale il teorema di compattezza: ‘una formula è valida in una teoria T se e solo se è valida in qualche sottoteoria finitamente assiomatizzabile di T′ o, equivalentemente, ‘una formula è una conseguenza di un insieme M di enunciati se e solo se è conseguenza di un sottoinsieme finito di M′. Corollario: ‘una teoria T ha un m. se e solo se tutte le sottoteorie finitamente assiomatizzabili di T hanno un modello’.
La nozione di m. lineare ha interesse in molte applicazioni della statistica. Spesso, quando si considera un insieme di valori numerici (o risposte) ottenuti come risultati di un determinato esperimento o di una determinata serie di osservazioni, si suppone che tali risposte abbiano una natura aleatoria, e cioè che siano teoricamente scomponibili in una parte sistematica (dovuta al particolare trattamento) e in una parte casuale (dovuta agli errori di misura, alla variazione accidentale, agli errori di campionamento ecc., secondo i casi). Si dice che le risposte soddisfano a un m. lineare se sono costituite dalla somma delle due componenti, sistematica e casuale, e se la componente sistematica è una funzione lineare (con coefficienti noti) di un certo numero di parametri incogniti, che rappresentano la legge a cui obbedisce il fenomeno considerato. Sono disponibili in tali condizioni alcuni procedimenti generali i quali, mediante opportune elaborazioni sulle stesse risposte, consentono di ottenere valide stime dei parametri e di risolvere importanti problemi induttivi connessi con l’esperimento. Matematicamente, indicate con y1, y2, ..., yn le risposte sperimentali, un m. lineare è rappresentato dalle n equazioni:
yj=b1x1j+b2x2j+...+bpxp+ej,
dove xij sono costanti note, bi sono parametri incogniti ed ej sono determinazioni di variabili casuali di valor medio nullo. Spesso si aggiungono le ulteriori condizioni che tali variabili casuali siano indipendenti e abbiano una distribuzione normale, generalmente con la stessa varianza, detta varianza dell’errore.
I principali problemi statistici connessi con l’analisi di un m. lineare sono: a) la stima di funzioni parametriche lineari, cioè di quantità aventi la forma f=Σikibi, dove ki sono coefficienti assegnati qualsiasi; b) il controllo di ipotesi lineari, cioè di ipotesi equivalenti all’annullamento di un certo numero di funzioni parametriche lineari. In entrambi i casi ci si basa sull’applicazione della condizione dei minimi quadrati, cioè sulla minimizzazione della devianza Σj(yj−Σibixij)2; ciò equivale a un sistema di equazioni lineari in b1, b2, ..., bp, detto sistema normale. Per il problema a), definita stimabile ogni funzione parametrica lineare f che possegga una stima lineare, ossia tale che per certi coefficienti h1, h2, ..., hn l’indice statistico f′=Σjhjyj abbia valor medio f, si dimostra (teorema di Gauss-Markov) che ogni funzione stimabile f=Σikibi possiede una e una sola stima lineare ottima (cioè una varianza minima della classe delle stime non distorte), che si può ottenere da f′=Σikibi′, dove (b1′, b2′, ..., bp′) è una qualsiasi soluzione del sistema normale. Per il problema b) ci si basa sul confronto tra le devianze ottenute in corrispondenza del m. iniziale e del m. condizionato dall’ipotesi.
La grande importanza del m. lineare nella statistica moderna dipende dal fatto che esso permette di inquadrare in modo unitario tutti i problemi di stima parametrica e di controllo delle ipotesi connessi con le classiche applicazioni dell’analisi delle medie, della varianza, della covarianza, della regressione. Ciò si ottiene precisando opportunamente nei casi particolari il significato delle variabili controllate xij, che possono essere sia semplici variabili indicatrici (m. relativi a classificazioni in più categorie, m. per esperimenti fattoriali ossia sui fattori che agiscono su un fenomeno), sia valori numerici assunti volta per volta da determinati fattori sperimentali (m. di superfici di risposta), sia determinazioni osservate di variabili casuali (m. di regressione).
Nel campo delle scienze storico-sociali il riferimento al m. è fatto nei termini e nel senso del ‘tipo ideale’ (Idealtypus, M. Weber), cioè di un costrutto mentale che risulta dall’astrazione e dalla combinazione di un numero indefinito di elementi desunti dalla realtà nella quale sono presenti, mai tuttavia in quella forma specifica. Il m. analogico (o materiale) consiste nel rappresentare una realtà complessa in un sistema più semplice che si presume possa avere alcune proprietà simili a quelle che sono state scelte come oggetto di studio nella realtà: si ragiona della società con concetti o metafore collettivi derivati per es. dalla biologia (‘organicismo sociale’, da H. Spencer a É. Durkheim) oppure si ricorre alle analogie con i sistemi meccanici per analizzare specifici fenomeni sociali nelle loro relazioni di causalità (allo stesso modo dei fenomeni fisici). Il m. formale consiste invece in una rielaborazione astratta, logica e simbolica di una situazione di fatto. Il m. formale per eccellenza è quello matematico, che nel metodo delle scienze sociali trova applicazioni solo parziali, ma esistono anche m. formali non matematici provvisti ciononostante di un livello elevato di astrazione logica, che sembrano maggiormente compatibili con le caratteristiche epistemologiche delle scienze sociali: per es., i m. cibernetici e struttural-funzionalisti, fondati sul concetto di sistema e largamente applicati.
In senso proprio per m. si intende la riproduzione, con dimensioni ridotte, di un prototipo, cioè di una struttura, una macchina ecc., o anche soltanto di una parte limitata di un’opera; in senso più generale, la rappresentazione di un sistema o anche di un fenomeno, per studiare il comportamento di certe grandezze fisiche, per ottimizzare un progetto o per analizzare l’applicazione di un controllo. Nell’industria, per es., m. è il campione destinato a riprodurre la forma esterna di un oggetto prima della sua produzione e quindi prima che si realizzi la necessaria attrezzatura.
Inizialmente, il termine m. fu usato per indicare unicamente i m. simili, legati al sistema da analizzare attraverso relazioni di similitudine; quando lo studio mediante m. si estese dalla meccanica ad altri campi, il concetto di m. e anche le procedure per la ‘costruzione’ dei m. acquistarono carattere più ampio. La sperimentazione su m. ha avuto infatti i primi sviluppi in campo navale, con lo scopo prevalente di ricavare da esperienze in scala ridotta, condotte in apposite vasche (vasche di Froude), i valori delle resistenze al moto delle navi. Da quello navale il criterio della prova su m. si è esteso ad altri settori della scienza e della tecnica. Con il progredire della scienza e con il sempre più largo impiego degli algoritmi matematici, si è potuto osservare che fenomeni di natura completamente differente possono essere rappresentati con le medesime equazioni, per cui la risoluzione di un particolare problema (per esempio, di natura idraulica) può essere dedotta da quella di un problema analogo (per es., di natura elettrica); sono così nati i m. analogici, che hanno avuto un particolare sviluppo con la diffusione delle calcolatrici analogiche. Va comunque sin d’ora osservato che i m. analogici sono m. di equazioni più che m. di sistemi o di fenomeni fisici e in questa caratteristica sta, per così dire, il loro principale difetto, perché la riduzione a equazioni di un qualunque problema corrisponde quasi sempre a una schematizzazione di esso, per sua natura non completamente aderente alla complessa realtà fisica. La parte della scienza che stabilisce i criteri di scelta di un m. analogico in base alle relazioni tra le varie grandezze è la modellistica analogica.
Ai m. analogici hanno fatto seguito, più di recente, i m. matematici, intesi come l’insieme delle relazioni matematiche che descrivono un particolare fenomeno; l’uso di tali m. è dovuto soprattutto al largo impiego di elaboratori elettronici di notevole capacità di calcolo e allo sviluppo e alla diffusione di procedimenti di calcolo numerico che permettono di risolvere numericamente problemi governati da sistemi di equazione che, presentando nel passato notevole complessità di risoluzione, avevano portato alla formulazione di m. analogici. Nella definizione di questi m. vengono effettuate delle ipotesi semplificative per limitare il numero delle variabili in gioco, in relazione al grado di affinamento delle soluzioni cercate. Va sottolineato che mentre i m. simili hanno come fondamento la sperimentazione, quelli matematici hanno come punto di partenza le leggi con cui i fenomeni vengono descritti; pertanto per la validazione dei m. matematici è necessario il riscontro sperimentale. Per estensione, sono stati inoltre sviluppati m. matematici di sistemi di natura diversa da quelli fisici e con le caratteristiche peculiari più varie (modelli di industrializzazione, di urbanizzazione ecc.).
I m., oltre che in base ai criteri sopra esposti, possono essere classificati anche a seconda della natura del fenomeno da studiare: si parla così di m. acustici, m. aerodinamici, m. elettrici, m. fotometrici, m. idraulici o m. strutturali.
In molti problemi di acustica ambientale, che maggiormente ricorre a questi procedimenti, il problema fondamentale è quello della forma dell’ambiente ed eventualmente della ripartizione sulle pareti di materiali assorbenti. Lo studio su m. deve consentire: a) di localizzare le riflessioni nello spazio e nel tempo e determinare le intensità relative di queste riflessioni; b) di predeterminare, almeno approssimativamente, l’andamento della pressione durante la riverberazione; c) di prevedere la ripartizione dell’intensità sonora nei diversi punti di ascolto della sala. Lo studio su m. si fa generalmente in sede di progetto ricorrendo a m. a due o a tre dimensioni. I m. tridimensionali, in particolare, sono di solito nel rapporto da 1/20 a 1/30; la lunghezza d’onda del suono va ridotta nello stesso rapporto. Le dimensioni del m. devono essere non troppo piccole, e ciò principalmente per evitare il ricorso a ultrasuoni di frequenza troppo elevata, per i quali, a causa dell’assorbimento dell’aria (che cresce rapidamente al crescere della frequenza), si renderebbe più difficile la misu;razione.
Per la risoluzione di problemi di aerodinamica si fa spesso ricorso alla sperimentazione su m. simili, come quando, durante la fase di progetto, si vogliano conoscere le sollecitazioni cui sarà soggetto un veicolo, un velivolo o un’ala. In aerodinamica la scelta di un m. è, però, un problema particolarmente delicato per la molteplicità delle grandezze fisiche in gioco e per la complessità delle relazioni. La sperimentazione su m. aerodinamici viene effettuata mediante gallerie del vento in cui vengono inseriti corpi rappresentanti, in scala ridotta, gli oggetti di cui si vuole studiare il comportamento aerodinamico.
Una cospicua applicazione di m. elettrici è costituita dai dispositivi analizzatori di reti, introdotti nella prima metà del 20° sec., per studiare il comportamento delle reti di trasporto e di distribuzione dell’energia elettrica. Con questi dispositivi, in seguito sempre meno impiegati, veniva esaminato il funzionamento delle reti in regime permanente e, in caso di corto circuito, la stabilità statica e dinamica di reti alternative con lunghe linee, di reti polifase squilibrate, di reti polifase in regime non sinusoidale, la propagazione di onde d’impulso, nonché problemi di regolazione automatica.
Un altro campo nel quale si è tratta qualche utilità dall’uso dei m. è la fotometria, in particolare per quanto attiene all’illuminazione naturale di singoli edifici e, nelle grandi sistemazioni urbanistiche, all’esigenza di coordinare forma, orientamento, dimensioni e reciproca distanza dei vari edifici per conseguire le migliori condizioni d’illuminamento naturale o artificiale.
Data la difficoltà d’integrazione delle equazioni che esprimono il moto dei liquidi (le quali hanno tutte carattere non lineare), la rappresentazione di un fenomeno idraulico a mezzo di m. ha rivestito, in passato, un particolare interesse. La complessità delle relazioni intercorrenti tra le grandezze in gioco nel caso di liquidi reali richiede un’accurata scelta delle condizioni di similitudine in cui operare. I m. idraulici sono frequentemente impiegati per la valutazione del comportamento di opere di ingegneria idraulica di particolare rilievo e delicatezza per le implicazioni ambientali a esse connesse.
Nel progetto di una struttura, la sperimentazione preventiva su un m. simile consente l’analisi accurata delle variabili in gioco e una variazione o un affinamento delle soluzioni alla luce dei risultati che si ottengono in fasi successive. Naturalmente nei m. in grande scala è possibile riprodurre più fedelmente le condizioni di vincolo, le discontinuità interne o al contorno e le caratteristiche dei materiali costituenti il prototipo. Il problema è ricondotto alla misura degli sforzi ottenuta in via indiretta mediante la misura delle deformazioni locali e la conoscenza delle caratteristiche meccaniche dei materiali impiegati nel modello. Di grande aiuto alla sperimentazione mediante m. strutturali è la possibilità di fare uso della fotoelasticità. Le indicazioni fornite dai m. strutturali sono tanto più utili quanto più l’inevitabile schematizzazione matematica allontana dalla realtà. Di qui la tendenza a rendere obbligatoria l’indagine preventiva su m., almeno in casi di particolare delicatezza. In Italia una sistematica sperimentazione in relazione a opere particolarmente notevoli (come grattacieli, dighe, piloni ecc.) è effettuata dall’ISMES (Istituto Sperimentale Modelli e Strutture) di Bergamo. Notevoli progressi sono stati inoltre effettuati, grazie all’impiego di nuovi materiali, anche nello studio di sollecitazioni dinamiche (quali spinte di vento o di grandi masse liquide, sollecitazioni sismiche ecc.). Fra i materiali d’impiego corrente nei m. strutturali sono da ricordare le sostanze plastiche di più facile lavorabilità.