Architetto, scultore, pittore, poeta (Caprese, od. Caprese Michelangelo, Arezzo, 1475 - Roma 1564). Culmine della civiltà rinascimentale, celebrato come il massimo genio del suo tempo, ne rappresentò anche la drammatica conclusione. Apprendista dal 1487 nella bottega di D. Ghirlandaio, intorno al 1489 venne in contatto presso il giardino di S. Marco, domicilio della collezione di antichità della famiglia Medici, con la statuaria classica e la filosofia neoplatonica, componenti essenziali per lo sviluppo della sua produzione artistica. Nel 1498 il cardinale J. Bilhères gli commissionò per la sua tomba in S. Petronilla a Roma la Pietà : per il carattere di perfetta armonia, grazia e bellezza, l'opera suscitò universale ammirazione. Tornato a Firenze, M. realizzò la statua di David (1501-04), quindi nel 1505 fu di nuovo a Roma per eseguire la tomba di Giulio II in S. Pietro, i cui tormentati lavori si sarebbero protratti per oltre quarant'anni. Nel 1520 gli vennero commissionati per la Sagrestia Nuova della chiesa di S. Lorenzo a Firenze i sepolcri di Giuliano de' Medici e di Lorenzo de' Medici: M. creò un insieme inscindibile di architettura e scultura rinnovando profondamente la tradizione delle cappelle funerarie. Incaricato nel 1533 da Clemente VII di affrescare nella Cappella Sistina la parete dietro l'altare con un'immagine del Giudizio universale, che reinterpretò l'evento facendo ricorso alla straordinaria capacità inventiva e innovativa. L'ultima parte della sua vita fu sostanzialmente dedicata all'architettura: Paolo III gli affidò tra l’altro il completamento del Palazzo Farnese, la sistemazione della piazza del Campidoglio e la cupola di S. Pietro. M. fu inoltre apprezzato scrittore di un epistolario (Lettere, pubblicate nel 1875) e delle Rime, composte per lo più dal 1534.
Durante la sua lunga vita M. fu testimone di importanti eventi storici e religiosi; suoi mecenati e committenti, con i quali ebbe spesso rapporti di particolare e controversa intimità, furono i protagonisti della storia fiorentina - dalla signoria di Lorenzo il Magnifico all'esperienza repubblicana degli anni 1494-1512, alla ricostituzione della signoria medicea nel 1512, interrotta dal breve ed eroico periodo repubblicano del 1527 - e romana, dal pontificato di Giulio II Della Rovere (1503-13) a quello dei Medici Leone X (1513-21) e Clemente VII (1523-34), di Paolo III Farnese (1534-49), Giulio III Del Monte (1550-55), Paolo IV Carafa (1555-59), Pio IV Medici di Marignano (1559-65). Se dell'ambiente fiorentino e romano respirò la complessa atmosfera religiosa, letteraria, filosofica - dal neoplatonismo della corte medicea al profetismo savonaroliano, ai movimenti preriformatori e riformatori - la Bibbia, Dante e i suoi commentatori (soprattutto C. Landino) e Petrarca rimangono le fonti più dirette della sua cultura che traspaiono dall'opera letteraria e, certamente più sfumate e intrecciate con simboli più specificamente figurativi, nell'elaborazione della sua opera artistica. L'arte di M. s'impose presto, fin dalle opere giovanili, e un'aurea di mito circondò l'artista "divino". Nel 1550 G. Vasari pose la Vita di M. al vertice della prima strutturazione sistematica dell'arte; nel 1553 A. Condivi pubblicò una Vita più particolareggiata a rettifica degli errori e imprecisioni di quanti prima di lui scrissero, forte della sua familiarità con l'artista, opera largamente sfruttata dal Vasari nella sua seconda edizione delle Vite (1568). Ma altre fonti contemporanee importanti sono i testi di B. Varchi, che tenne anche l'orazione funebre per M., i dialoghi romani con M. che Francisco de Hollanda inserì nel suo Tractato de pintura antigua (1548); significativo è poi che M. sia uno degli interlocutori nei dialoghi danteschi di D. Giannotti.
La sua formazione artistica avvenne presso D. Ghirlandaio (1488) in una delle più prestigiose botteghe fiorentine, dove certamente il primo esercizio fu il disegno. Alla scultura si accostò frequentando il giardino mediceo di S. Marco dove era raccolta la più scelta collezione di sculture antiche e Bertoldo di Giovanni, vecchio allievo e collaboratore di Donatello, addestrava i più promettenti giovani fiorentini. Accolto familiarmente nella casa di Lorenzo de' Medici, ebbe modo di ascoltare le dotte conversazioni di M. Ficino, Pico della Mirandola, A. Poliziano. Frequentò allo stesso tempo il priore di S. Spirito, avendo la possibilità di esercitarsi nel disegno anatomico sui cadaveri dell'ospedale. Vengono attribuiti a questo primo periodo giovanile due rilievi, conservati in Casa Buonarroti: la Madonna della Scala (1489-94) che trae da Donatello la tecnica del rilievo a stiacciato e l'impressionistica fattura dei putti sullo sfondo prospettico mostrando il profondo segno di M. nelle forme anatomiche eroizzate e nell'assorto distacco della Madonna, nel cui profilo molti critici hanno voluto vedere un'ispirazione dalle stele attiche; la Lotta dei Centauri, iniziata nel 1491 e particolarmente cara a M. che la volle tenere nel suo studio per tutta la vita. La composizione è incentrata sulla figura mediana dalla quale sembra scaturire forza e dinamismo, accentuati dal diverso trattamento della superficie, dal quasi tutto tondo al basso rilievo, dal marmo al puro abbozzo; il soggetto tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (il ratto di Ippodamia da parte del centauro Eurizione) attesta la sottile ricerca iconologica del giovane scultore impegnato in un confronto con la plastica antica, suggerito anche da una certa predilezione, diffusa alla fine del Quattrocento, per le scene di battaglia di carattere anticheggiante. A questa prima attività vengono ancora riferiti alcuni disegni a penna, libere copie tratte nelle chiese di Firenze dalle opere di Giotto e di Masaccio (Parigi, Louvre; Albertina di Vienna), che esprimono una nuova e grandiosa concezione plastica integrata da osservazioni dirette dal vero, e un Crocifisso ligneo (Firenze, Casa Buonarroti), a lui attribuito e restaurato nel 1963, già nella chiesa di S. Spirito a Firenze.
Nel 1494, presentendo la imminente caduta di Piero de' Medici M. lasciò Firenze per soggiornare brevemente a Venezia e poi a Bologna (1494-95) dove, ospite di Gianfrancesco Aldrovandi, scolpì, per l'arca di S. Domenico (interrotta nel 1494 alla morte di Niccolò dell'Arca), un Angelo reggicandelabro, S. Procolo e S. Petronio. Seppur di piccole dimensioni queste opere rivelano maggiore sicurezza e un vigore plastico; certamente i rilievi di Jacopo della Quercia nel portale di S. Petronio lasciarono su M. un'impronta profonda. Ritornato a Firenze, Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici gli commissionò un San Giovannino (variamente identificato con una statuetta in S. Giovanni dei Fiorentini a Roma o con un'altra conservata nella Pierpont Morgan Library di New York) e, secondo le fonti, gli consigliò d'invecchiare artificialmente un Cupido Dormiente (perduto). Quest'ultimo, venduto per antico a Roma, fu poi scoperto falso dall'acquirente, il cardinale Raffaele Riario, che tuttavia volle conoscere e poi ospitare M. nel suo palazzo dandogli la possibilità di vivere a Roma e di compiervi determinanti esperienze di studio dell'antico.
Del suo primo soggiorno romano (1496-1501) restano due opere: il Bacco, eseguito su commissione del cardinale Riario e poi acquistato da un altro appassionato collezionista di antichità, Jacopo Galli (ora, Firenze, Museo nazionale) e la Pietà commissionata (1498) dal cardinale francese Jean de Bilhères, destinata alla rotonda di S. Petronilla (cappella dei re di Francia), presso l'antica basilica di S. Pietro (passata nella antica sagrestia fu poi collocata nella prima cappella della navata destra della nuova basilica di S. Pietro). Emblematiche per le soluzioni formali strettamente connesse alla personale interpretazione dei soggetti, profano e sacro, travalicando i punti di riferimento della statuaria classica l'uno, e del nordico Vesperbild (tema certamente familiare al committente) l'altra, le due opere rivelano anche quanta importanza nella formazione di M. abbiano avuto le esperienze della scultura del Quattrocento, oltre a Donatello, Verrocchio e specialmente Benedetto da Majano. A dare fama a M. fu soprattutto la Pietà, posta in un luogo pubblico, l'unica opera sulla quale l'artista pose la sua firma: al di là della veridicità dell'aneddoto vasariano che racconta come M. firmò la Pietà per affermarne la paternità misconosciuta da alcuni visitatori, l'episodio richiama la preoccupazione costante di M. di salvaguardare le sue "invenzioni", come emerge spesso nel suo epistolario, preoccupazione che lo portò anche alla drastica soluzione di bruciare molti suoi disegni. Al primo soggiorno romano appartengono due significativi, seppure incompiuti, dipinti su tavola, conservati nella National Gallery di Londra: la Madonna di Manchester (cosiddetta perché rivelata al pubblico e alla critica in una mostra tenuta a Manchester nel 1857) e la Deposizione. A lungo dibattuta la loro autografia e datate da parte della critica intorno al 1510, queste opere, seppur non sostenute da prove documentarie esplicite (ma la Deposizione per molti versi corrisponde all'opera commissionata a M. dai frati della chiesa di S. Agostino nel 1500), ben s'inseriscono nel periodo giovanile di M., rivelando, più di quanto l'artista stesso volesse ammettere, la sua formazione nella bottega del Ghirlandaio e allo stesso tempo la sua originalità nelle soluzioni formali e iconografiche.
Tornato a Firenze (1501) M. ebbe numerose ed importanti commissioni e la sua profonda adesione agli ideali civili ed etici della repubblica fiorentina si concretizzò nel David (1501-04, ora nell'Accademia di Firenze) che fu collocato dinanzi al palazzo della Signoria e nella prima commissione pittorica importante, l'affresco con la Battaglia di Cascina nella Sala del Consiglio di Palazzo Vecchio. Il David, ricavato da un grande blocco di marmo, già sbozzato e ritenuto non più utilizzabile, fu occasione di sfida per il superamento di una difficoltà materiale sfruttata dall'artista che concentrò nell'immagine con il massimo di intensità l'energia, la volontà che precede l'azione. L'idealizzazione eroica e la sua larga maniera riemergono, in uno stile più sintetico, nei rilievi con la Madonna col bambino e s. Giovannino del tondo Taddei (Londra, Royal Academy) e dell'altro non finito (Firenze, Museo nazionale) per Bartolomeo Pitti. Nel 1504 M. aveva avuto l'incarico da Pier Soderini di dipingere nella sala del Consiglio in Palazzo Vecchio una battaglia a riscontro di quella di Anghiari commissionata a Leonardo. Nell'affrontare il tema della Guerra di Pisa (Battaglia di Cascina) M. preferì rappresentare, al contrario di Leonardo che aveva fissato l'immagine della battaglia in atto, la tensione del momento che precede lo scontro, l'energia trattenuta negli atti e nei corpi nudi dei soldati, esplorata nella difficoltà di una forma concettuosa e studiatissima. Del cartone, che completò nel 1506 e presto fu disperso in brani dagli allievi che lo copiavano, rimangono solo copie parziali (grisaille di Holkham Hall, Norwich) e disegni preparatorî (Firenze, Casa Buonarroti; Haarlem, Teylers Museum; Oxford, Ashmolean Museum).
Nel 1503 l'Opera del duomo gli commissionava dodici statue degli Apostoli ma M. non cominciò che il grande abbozzo del S. Matteo, (Firenze, Accademia). Remoti ricordi di sculture antiche come il Pasquino e reminiscenze di Donatello, sono sopraffatti da un profondo tragico spirito che nel complesso ritmo delle membra, pur entro il marmo incompiuto, ha una espressione plastica compiuta. Dello stesso periodo è la Madonna col bambino, ordinata da mercanti fiamminghi (fu collocata nella chiesa di Notre-Dame a Bruges nel 1506), opera profondamente nuova, con il motivo del Bambino in piedi tra le gambe della madre, che dimostra la riflessione di M. sull'arte di Leonardo, in particolare sul cartone della S. Anna (un disegno di M. tratto dalla S. Anna è conservato ad Oxford, Ashmolean Museum). Dipinta per Agnolo Doni, la Sacra Famiglia (Firenze, Uffizi) è l'unica opera su tavola di M. compiuta: vi dominano, più che il possente senso della massa, l'energia e il moto che sviluppano i corpi all'interno della chiusa composizione; il colore è sottile e teso come superficie metallica, non assorbe ma riflette la luce con cangianti e freddi riverberi entro una atmosfera chiara quasi senza ombre. La sua iconografia è stata oggetto di varie interpretazioni (la Vergine e s. Giuseppe appartengono per nascita al mondo del Vecchio Testamento, sub lege, il Bambino rappresenta il mondo futuro del Nuovo Testamento, sub gratia, il s. Giovannino il tramite tra questi due mondi, e i nudi sullo sfondo rappresentano il mondo pagano) e la sua datazione, collegata tradizionalmente alle nozze del committente (1504), è oggi ritenuta più vicina al 1507-08 per l'assonanza con gli affreschi della volta della cappella Sistina, soprattutto evidenziata dopo il restauro di questi (1993).
Nel 1505 Giulio II chiamò a Roma l'artista famoso e lo incaricò del proprio mausoleo: interrotto l'affresco della Battaglia di Cascina, annullato il contratto con l'Opera del duomo per le statue degli apostoli, M. si recò alle cave di Carrara per scegliere i marmi (1506) e per molti decennî quella che egli stesso definiva "la tragedia della sepoltura" fu al centro, se non della sua attività, dei suoi pensieri. Il progetto iniziale in forma di edicola isolata, da collocare nell'abside dell'erigenda nuova basilica vaticana, ci è noto sia da alcuni disegni sia dalle descrizioni del Vasari e del Condivi: superato il concetto di ogni monumento antico, M. aveva disegnato una edicola, ornata intorno da grandi termini che ne reggevano la cornice, frammezzati da nicchie con statue, forse di Virtù; a ogni termine era legato un Prigione, in allegoria delle arti liberali, private del pontefice loro patrono; al di sopra, le statue di Mosè, di s. Paolo, della Vita attiva e della Vita contemplativa e, ancora in alto il Cielo e la Terra (per il Condivi, due angeli) dovevano sostenere l'arca funebre con la figura del pontefice. Tornato a Roma M. trovò tuttavia Giulio II rivolto al grande disegno di demolire l'antico S. Pietro per ricostruirlo secondo il progetto di Bramante; deluso, nel 1506, ripartì improvvisamente per Firenze, invano inseguito dai messi e dalle minacce del papa.
Nel novembre del 1506 M. si recò a Bologna da Giulio II che aveva preso con le armi la città; ne ebbe il perdono e la commissione di ritrarlo in una statua di bronzo da porre sulla facciata di S. Petronio (distrutta nel 1511). La tomba di Giulio II rimaneva tuttavia un impegno morale ed artistico centrale nella vita di M., un pensiero che egli avrebbe inseguito per quarant'anni. Richiamato a Roma, invano cercò di sottrarsi alla volontà del papa ch'egli affrescasse la volta della cappella Sistina; nel maggio del 1508 intraprese il grande lavoro che completò nell'ottobre del 1512. Il progetto iniziale (disegni a Londra, British Museum; a Detroit, Institut of Fine Arts; a New York, Metropolitan Museum; a Oxford, Ashmolean Museum), che prevedeva solo il rifacimento della volta, fu ampliato fino a comprendere anche le lunette e i quattro grandi pennacchi d'angolo.
In questa opera immensa M. pensò di evocare l'origine del creato, dell'umanità e del suo destino: la Creazione; il Peccato, il Diluvio; i presagi della Redenzione, nei Profeti e nelle Sibille; la lunga attesa del Cristo della stirpe di David, nelle figure dei suoi ascendenti. Erano figure e concetti familiari da secoli all'arte e alla coscienza religiosa, e perciò a tutti intellegibili; la novità, ammirevole nell'organica composizione, e la grandezza che sgomenta, sono nello spirito e nella forma ch'esse ebbero dall'artista. Nella lieve curva della volta su lunette, M. immaginò un'altra architettura illusoria. Finti archi marmorei isolano le storie della Genesi. Al di sopra dei sette Profeti e delle cinque Sibille assisi in troni, gli Ignudi hanno la necessaria funzione di diminuire il rigido spiccare degli archi della finzione prospettica, più che di reggere con ghirlande e fasce i clipei di bronzo istoriati a chiaroscuro: servono a collegare il movimento dell'intera membratura. Concludono la composizione i quattro scomparti triangolari a capo della volta - Aman crocifisso; il Serpente di bronzo; David e Golia; Giuditta e Oloferne - e le figure della stirpe di Abramo e di David nei triangoli e nelle lunette sulle finestre della cappella, mentre altre figure in chiaroscuro bronzeo, stipate nelle riquadrature accrescono la compattezza del tutto.
Al di sopra delle rappresentazioni composte dai pittori del Quattrocento entro gli spartimenti delle pareti, erompe la visione di M., esaltazione di forze titaniche e di forme sovrumane. Il colore (restituito all'originale splendore dal restauro del 1993) chiaro, leggero, con cangianti anche striduli nelle ombre, è spogliato di ogni qualità particolare e serve solo ad accentuare la solidità dei corpi. Nelle rappresentazioni della volta tra i finti archi, e nei quattro scomparti triangolari ai due capi, l'arte di M. trasfigurò ogni tradizione iconografica. Il Dio antropomorfo, vivente nella coscienza cristiana, consueto all'arte, da M. ha figura che magnifica le forze dello spirito e della materia; immenso occupa lo spazio, in ogni aspetto è sovrumano, nel volume corporeo e nella tensione della volontà e del pensiero. Nelle Sibille e nei Profeti M. manifestò le forze dell'intelletto e del sentimento, la riflessione, il pensiero, l'ispirazione che isola dal mondo e quella che erompe nella visione.
La morte di Giulio II obbligò a pensare al sepolcro che il papa aveva raccomandato di compiere. Ne fu rifatto il contratto con M. per un nuovo progetto (1513) in forma ridotta. Di questo momento è il Mosè, una delle sei statue sedute da collocare nel piano del mausoleo e che pertanto era destinata ad una visione dal basso. Nel tempo stesso lo scultore preparava altri marmi per la tomba di Giulio II, poi non collocati nella tomba di S. Pietro in Vincoli; i due Prigioni (Parigi, Louvre) che sono tra le più alte creazioni in cui M. mostra di essere giunto a quella profonda concezione della vita e del dolore da cui trarrà i capolavori futuri. Ma ebbe ancora una delle ultime serene visioni nel Cristo con la croce (Roma, S. Maria sopra Minerva), ideato nel 1514 ma finito dopo il 1521 da aiuti. A questo periodo (1520-22) appartengono i quattro colossi marmorei, probabilmente destinati alla tomba di Giulio II, che rimasero sbozzati soltanto in parte nello studio dell'artista fino alla sua morte (Firenze, Accademia).
Nel 1514 eseguì per Leone X la cappella in Castel S. Angelo, alterando il disegno di Antonio da Sangallo per la nuova autonomia data al tema della grande finestra, ma il papa lo impegnò soprattutto per imprese fiorentine: tra il 1516 e il 1520, M. diede disegni per la facciata di S. Lorenzo che, discostandosi sempre più dal primitivo progetto di Giuliano da Sangallo, mostrano il maturarsi in M. architetto, di una consapevolezza vivamente plastica nella chiara enunciazione delle membrature. Scisso improvvisamente dal papa il contratto per la facciata di S. Lorenzo, M. si impegnava (1520) con il cardinale Giulio de' Medici (poi papa Clemente VII) a costruire la Sagrestia Nuova di S. Lorenzo e a comporvi i sepolcri di Giuliano e di Lorenzo il Magnifico, di Lorenzo duca d'Urbino, di Giuliano di Nemours e dello stesso cardinale. M. rimodellò tutto l'interno della cappella e lo coprì con cupola emisferica, che già nel 1525 era compiuta anche nella complessa lanterna: architettura in cui la tradizione fiorentina derivata dal Brunelleschi è rievocata dalle riquadrature di macigno, ma per rendere più forti le qualità nuove di movimento e di energia espresse nelle parti marmoree.
Inizialmente M. intendeva collocare le tombe al centro della cappella; ridotte le tombe a due sole - di Giuliano di Nemours e di Lorenzo duca di Urbino - e fissato il progetto definitivo della decorazione e delle sculture, M. nel 1521 dava a Carrara le misure dei marmi per alcune statue, tra cui la Madonna, poi collocata sul loculo di fronte all'altare. I lavori dei due mausolei già in corso nel 1524, furono condotti con molta lentezza. In quello stesso anno Clemente VII aveva impegnato M. anche nella costruzione della Biblioteca Laurenziana e già nel 1526 erano state poste in opera alcune colonne del "ricetto". Sopraggiunse (1527) il sacco di Roma quando M. si era già trasferito a Firenze. Qui, dopo la cacciata dei Medici, l'artista si pose al servizio della repubblica (nel gennaio del 1529 M. fu eletto tra i "nove della milizia"). Fra il 1528 e il 1529 M. diede i progetti per la fortificazione di Firenze, che costituiscono un momento significativo nella ricerca di problemi spaziali svincolata dalla tematica tradizionale. Nel 1528 a Ferrara, dove era andato a studiarvi le fortificazioni, per Alfonso d'Este M. eseguiva un cartone per la Leda (perduto, ma noto da varie copie).
Ritornò quindi a Firenze ma, sospettando un imminente tradimento da parte di Malatesta Baglioni, e avendone invano avvertiti i magistrati, riparò d'improvviso a Ferrara, poi a Venezia (ottobre 1529), dove progettò di passare in Francia. Pur essendo stato bandito da Firenze, presto vi ritornò con un salvacondotto per riprendere le fortificazioni di S. Miniato. Tornati i Medici, perdonato da Clemente VII, portò avanti le tombe medicee e attese ai lavori che più premevano al papa: la Biblioteca e Sagrestia nuova in S. Lorenzo.
Nel 1533 M. chiamava G. A. Montorsoli a finire la statua del duca Giuliano; altre statue tra cui quelle dei Fiumi (resta un modello di creta all'Accademia di Firenze), che dovevano completare i mausolei e la decorazione a stucco e ad affresco non furono mai eseguite; e sono in parte non finite le stesse statue giacenti sui sarcofagi, alle quali M. aveva lavorato di sua mano: la Notte, il Giorno, il Vespro, l'Aurora "a significare il tempo che tutto consuma". Nelle statue dei due Capitani al vertice delle tombe, M. esaltò l'energia interiore, pronta all'azione ma ponderata in Giuliano di Nemours, oppure chiusa in profonda riflessione nel pensieroso Lorenzo. Tra il 1532 e il 1534 si collocano l'Apollo (Firenze, Museo naz.; forse concepito come David per la Sagrestia nuova) e il gruppo della Vittoria (Firenze, Pal. Vecchio), trovato nello studio di M. in via Mozza a Firenze, dopo la sua morte.
Nel 1534 M. partì per Roma e i lavori per la Biblioteca Laurenziana rallentarono, benché egli avesse dato (1533) modelli anche per la scala dell'atrio, che fu costruita solo molto più tardi (1560) da B. Ammannati, secondo nuove istruzioni e un modello mandati (1558) da M.; nel "ricetto" la profonda modellazione delle pareti implica uno spazio dinamico, ora compresso ora profondamente dilatato, simbolicamente rappresentato dalle due colonne sugli angoli, dalle coppie di colonne recesse nel muro, dalle erme che inquadrano le finestre, dai medaglioni nello stilobate. Dall'atrio si schiude la profonda sala dove il concluso ritmo del finto ordine di finestre, di cornici, ripete i temi fiorentini del Quattrocento in variazioni nuove, specialmente nella raffinata e dinamica decorazione degli spartimenti del soffitto e del pavimento.
Nel 1534 M. lasciò, dunque, per sempre Firenze. A Roma aveva conosciuto nel 1532 Tommaso Cavalieri, giovane di grande bellezza; l'amore per lui ridette energia a M. che per Cavalieri disegnò un Fetonte, un Baccanale, gli Arcieri (Windsor, Royal Library), un Ganimede (Cambridge, Mass., Fogg Art Museum) esplorando temi nuovi: a Roma, il maestro dovette subito riprendere gli studî e i cartoni del Giudizio universale che Clemente VII gli aveva ordinato nel 1533; e nel 1536, distrutti i dipinti del Perugino e i suoi proprî che già occupavano la parete di fondo della Sistina, intraprese l'affresco che fu finito e scoperto soltanto nella vigilia di Ognissanti del 1541. Subito, tra l'ammirazione universale non mancarono le voci discordi dei moraleggianti, a cui si unì Pietro Aretino: e poco dopo Daniele da Volterra ebbe l'incarico di coprire in parte le nudità di molte figure del Giudizio. In seguito l'oscuramento prodotto dai ceri e forse i ritocchi per schiarire lo sfondo, resero fosco il dipinto che mai, a detta del Vasari ebbe "vaghezza di colore" (restaurato nel 1994). Nel cielo nubiloso soltanto qualche plaga di più vivo azzurro e di luce; tenebrore sulla terra brulla e sulla livida palude: ogni cosa scompare, lo spazio stesso è limitato: tutto si concentra sulla moltitudine umana, ora trascinata in irresistibile caduta ora volgentesi in massa intorno al Redentore. La tradizione iconografica, la lettura delle Scritture e quella di Dante, ma anche la pagana ammirazione della forma umana furono condizioni variamente importanti alla creazione dell'artista che tutto trasformò in un baleno d'ispirazione, poi in un diuturno lavoro di preparazione e di meditazione dei particolari e dell'insieme.
In quegli stessi anni, M. conobbe Vittoria Colonna, che dal 1538 fino alla morte (1547) gli fu amica sincera, appassionatamente venerata: e con lei, con il Cavalieri e con altri, scambiava madrigali e rime, vivendo intensamente e sinceramente la propria esperienza dell'amore platonico. Ma soprattutto Vittoria Colonna compiva la conversione religiosa di M., convincendolo ad aderire alla dottrina di Jòuan Valdés della giustificazione per fede.
Nominato (1535) architetto, scultore e pittore di palazzo, Paolo III gli fece dipingere le sue ultime pitture: gli affreschi della Cappella Paolina in Vaticano, la Conversione di s. Paolo (1542-45) e la Crocifissione di s. Pietro (1546-50); nei dipinti, danneggiati da un incendio (1545), poi dal tempo (restaurati nel 1934), si riconosce, secondo alcuni, soprattutto il conflitto insito nella crescente tendenza di M. a trascendere la realtà corporea per fissare il pensiero nella ricerca del divino. M. da tempo aveva quasi tralasciato i lavori del mausoleo di papa Giulio II quando, nel 1532, ne rinnovò il contratto con Francesco Maria della Rovere. Lasciati i precedenti progetti M. si dedicò allora a fare un nuovo modello per il monumento, da collocare a muro in S. Pietro in Vincoli, con sei statue di sua propria mano, ma occupato tutto nel Giudizio universale e nella Cappella Paolina, ottenne (1542) di commissionare a Raffaello da Montelupo tre di quelle statue già da lui incominciate - la Madonna, un Profeta, una Sibilla - mentre egli stesso finì il Mosè e le due statue della Vita attiva e della Vita contemplativa, che aveva voluto sostituire ai due Prigioni (Parigi, Louvre) non più adatti alla nuova forma del monumento. Finalmente (1545), compiuta da aiuti anche l'architettura del mausoleo su disegni di M., vi venivano collocate quelle statue e il sarcofago con la figura del papa, modellata da T. Boscoli.
Morto Antonio da Sangallo il Giovane (1546), M. gli succedette nella fabbrica del palazzo Farnese per il cui cornicione già aveva fornito il modello e fu nominato architetto di S. Pietro (1547). La sua attività si rivolse allora soprattutto all'architettura, ma non mancarono grandi e tragiche affermazioni anche in scultura e pittura, nelle quali ogni ideale rinascimentale di bellezza è abbandonato come caduco e l'artista, che ormai lavora spesso liberamente per sé, al di fuori di commissioni altrui, ricerca i moti più profondi dell'animo; scolpì una Pietà poi tralasciata (Firenze, duomo) e forse preceduta da quella, incompiuta, già a Palestrina (ora all'Accademia di Firenze) e la Pietà Rondanini, (1555-59, Milano, Castello Sforzesco).
Tralasciato il progetto del Sangallo per la basilica di S. Pietro, M. tornò all'idea della pianta "chiara e schietta, luminosa e isolata intorno" suggerita dal progetto di Bramante; ma se mantenne il concetto bramantesco della costruzione concentrica, già attuato nei piloni e nella cupola, lo riplasmò in tutto, e ideò un insieme, meno complesso nella pianta, su cui doveva elevarsi una cupola capace di dominare le gigantesche membrature inferiori e la facciata alleggerita dall'atrio con colonne. Nel 1555 era già in parte costruito il tamburo, ma ancora non era in tutto compiuto nel 1564. G. Della Porta e D. Fontana attuarono i disegni di M. dando maggior slancio all'insieme e minor volume alle nervature ma scostandosi dall'effetto ideato dal maestro.
Lentamente procedettero i lavori per la trasformazione della piazza del Campidoglio, ideata nel 1546, e per la costruzione dei nuovi edifici; alla morte di M., non erano stati realizzati che il loggiato del palazzo dei Conservatori, la base della statua di Marco Aurelio (tema centrale e quasi matrice di tutto il complesso architettonico) e le scale esteriori del palazzo senatorio. G. Della Porta e gli architetti successivi che proseguirono l'opera apportarono alcune modifiche al disegno di M., riducendo ad ammezzato il piano superiore, elevando ulteriormente la torre e aprendo le due vie laterali che rompono la chiusa concezione michelangiolesca. Ma dal progetto di M. (ritratto con fedeltà in una antica stampa della quale, nel 1970, fu trovato il disegno) ebbero l'impronta l'intera piazza col suo ornamento di statue fluviali e dei Dioscuri, lo stesso palazzo senatorio nei lineamenti principali, i palazzi laterali dal colossale ordine corinzio; infine l'idea degli scalini che disegnano un ovato entro il trapezio della piazza, suggerendo un'ambivalenza di spazî. Diede inoltre disegni per Porta Pia (1561) e per altre porte di Roma, per il ciborio di bronzo, eseguito da Iacopo del Duca a S. Maria degli Angeli per il cui adattamento nelle terme M. aveva dato il progetto. Morì a Roma: il suo corpo fu portato a Firenze dove ebbe esequie solenni in S. Lorenzo e fu sepolto in S. Croce.
A lungo ammirato soltanto per le Rime, di recente M. scrittore è stato rivalutato anche come epistolografo. Le Rime, pubblicate postume nel 1623 dal nipote, Michelangelo Buonarroti il Giovane, furono per lo più composte a partire dal 1534. In precedenza, M., che come sembra aveva cominciato a poetare dal 1502-03, si era dedicato solo occasionalmente a quella che rimaneva un'attività del tutto secondaria rispetto alla splendida produzione del pittore, dello scultore e dell'architetto, e che perciò risentiva ancora di precisi ancorché non scontati modelli letterarî. Nelle Rime, soprattutto quando una originaria inquietudine spirituale di marca ancora savonaroliana ebbe trovato una migliore definizione concettuale nel platonismo, M. seppe esprimere il rovello di una ricerca intellettuale irriducibile alle formule del classicismo e del petrarchismo; tale ricerca si andò precisando nei termini di un'autentica ansia religiosa, con una originale nervosa concentrazione che solo inizialmente scade in una sorta di concettismo e trova poi una sempre più persuasiva ragione formale in un ideale di purezza e di rigore. Particolarmente notevoli le Rime per Vittoria Colonna. Di una analoga meditazione, ardua e dolorosa, si nutrono le sue Lettere, pubblicate nel 1875, che, oltre a essere importanti per il grande valore documentario, sono caratterizzate da una immediatezza sanguigna e persino popolaresca di straordinaria efficacia.