Il complesso delle Scritture sacre dell’ebraismo e del cristianesimo (dal lat. tardo Biblia, gr. τὰ βιβλία «i libri»).
Nelle comunioni e confessioni religiose che riconoscono il carattere sacro della B., suo ‘autore’ è ritenuto Dio stesso che ha parlato agli uomini attraverso scrittori da lui ispirati, in modi diversamente intesi. Ma, come non in tutte le confessioni che accolgono la B. essa è considerata unica fonte di conoscenza della rivelazione, così non tutti i libri che la compongono sono da tutte ritenuti ispirati e inclusi nel canone. La prima, e più notevole, differenza a tale proposito è quella che separa l’ebraismo dal cristianesimo e che dà luogo alla distinzione dei due ‘Testamenti’, l’Antico (o Vecchio) e il Nuovo. Gli ebrei, ai quali risale il nome Testamento, che allude principalmente alla ‘Alleanza’ (ebr. bërĭt, reso col gr. διαϑήκη «disposizione») tra Dio e il popolo d’Israele, infatti accettano esclusivamente il primo; i cristiani aggiungono la ‘Nuova Alleanza’, la Rivelazione definitiva, escatologica di Dio in Gesù di Nazaret, il Messia redentore attraverso la morte in croce e la risurrezione, il «mediatore della nuova disposizione» (Ebrei 9, 15-17).
In teologia, la stretta aderenza alla B. è nota come biblicismo, termine usato negli ambienti luterani per designare la tendenza di teologi (J.T. Beck, J.A. Bengel, R.B. Kübel, F.C. Oetinger ecc.) che, concependo la B. come una rivelazione sistematica e compiuta dell’economia divina, anzi come essa stessa un sistema di ‘filosofia sacra’, la interpretarono in senso realistico (‘realismo biblico’) o letterale, specie relativamente all’escatologia.
Canone. - Neppure l’intero Antico Testamento (quale è nelle B. cattoliche) è accettato dagli ebrei e da alcune confessioni cristiane. Presso i primi è diverso anche l’ordine dei libri, distinti in tre classi: a) la Legge (Tōrāh) o, con termine greco, il Pentateuco, ossia i cinque libri di Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; b) i Profeti (Nĕbī’īm), suddivisi in Profeti anteriori (Giosuè, Giudici, Samuele, Re) e posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele) e dodici Profeti minori in un libro solo; c) Scritti, s’intende ‘sacri’ (Kĕtūbīm o, con termine greco, Agiografi), relativamente ai quali le discussioni tra i legisti-teologi palestinesi durarono fino al cosiddetto sinodo di Iamnia (90 d.C.), quando in base al doppio principio che si potessero considerare ispirati solo i libri scritti in ebraico, e comunque non posteriori a Esdra (con cui l’ispirazione sarebbe venuta a cessare), vennero accolti come canonici: Salmi, Proverbi, Giobbe (libri poetici); Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Qōhelet (Ecclesiaste), Ester (gruppo dei ‘Cinque rotoli’, letti ciascuno nelle sinagoghe in certe ricorrenze); Daniele (profezia); Esdra-Neemia e Cronache (storia). In tutto, dunque, 24 libri, mentre altri, unendo Rut con Giudici, e Lamentazioni con Geremia, ne contarono 22 (tanti quante le lettere dell’alfabeto ebraico) e altri ancora dividendo in due Samuele, Re, Cronache, Esdra-Neemia, e Geremia-Lamentazioni arrivarono a 27 (le 22 lettere più le 5 forme ‘finali’).
La versione ‘dei Settanta’, o semplicemente ‘la Settanta’ o anche ‘la LXX’, a uso degli ebrei di lingua greca, ammise però anche altri libri, sicché dal canone palestinese si distingue il più largo canone alessandrino. Tale versione fu adottata dal cristianesimo, sebbene nelle controversie con i giudei gli apologisti cristiani si astenessero dal citare libri cui quelli non attribuivano autorità e sebbene parecchi (Melitone di Sardi, sec. 2°; Origene, sec. 3°; s. Atanasio e altri, soprattutto s. Girolamo, nel sec. 4°) si attenessero al canone ebraico. Prevalse tuttavia il criterio di s. Agostino e del papa Innocenzo I di riconoscere come ispirati anche i libri ‘discussi’, che da Sisto da Siena (sec. 16°) in poi sono detti dai cattolici deuterocanonici. Nella Riforma protestante, Carlostadio li respinse e Lutero li pose alla fine dell’Antico Testamento, come ‘apocrifi’ (onde il diverso significato del termine presso i protestanti, che per gli apocrifi esclusi anche dal canone cattolico usano il termine pseudoepigrafi). Fin dal sec. 17°, ma più costantemente dal 1827, seguendo l’esempio della Società Biblica Britannica, gli apocrifi sono esclusi dalle B. dei riformati e, per influsso di questi, da quella della Chiesa greca. Ma anche in queste B. l’ordine dei libri è (salvo le omissioni) lo stesso che venne fissato per la Chiesa cattolica, insieme con il canone, dai Concili ecumenici di Firenze del 1441 e di Trento del 1546 ed è il seguente (i deuterocanonici si contrassegnano con un asterisco): a) Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; b) Giosuè, Giudici, Rut, I e II Samuele (o I e II Re, o dei Regni), I e II Re (o III e IV Re, o dei Regni), I e II Cronache (o Paralipomeni), I e II Esdra (ο Esdra e Neemia), *Tobia, Giuditta, Ester, *I e *II Maccabei; c) Giobbe, Salmi, Proverbi, Qōhelet, Cantico dei Cantici, *Sapienza, * Siracide (o Ecclesiastico); d) Isaia, Geremia, Lamentazioni, Baruc (con la Lettera di Geremia, come cap. 6 nelle B. latine, come libro a parte, precedente Baruc, in quelle greche), Ezechiele, Daniele (con il Cantico dei tre fanciulli, *Susanna, Bel e il dragone, nelle B. latine), Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sonnia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Le partizioni si riferiscono alla moderna distinzione tra Pentateuco, libri storici, libri sapienziali e libri profetici, fatta in base al contenuto e solo all’ingrosso corrispondente al carattere letterario, per il quale si pongono a parte i libri poetici (per es., i Salmi): Giobbe ha infatti parti in prosa, mentre abbondano i passi poetici nei profeti, né mancano poesie anche negli altri. Inoltre, se l’Antico Testamento comprende quanto ci è stato conservato della letteratura ebraica antica, essa era certamente assai più vasta, ma la scelta fu determinata da criteri religiosi, non letterari.
I titoli dei singoli libri derivano dalla tradizione delle b. greche e latine: in ebraico ciascun libro è designato dalle parole iniziali (per es., bĕrē’shīt «in principio»: la Genesi, e così via).
Testo. - Il testo ebraico, con le poche parti in aramaico (Daniele 2, 4-7, 8; Esdra 4, 8-6, 18; 7, 12-26; Geremia 10, 11), ci è giunto (tranne il Papiro Nash, con i Dieci comandamenti e Deuteronomio 5, 6-21 e 6, 4-5, datato in genere nel sec. 2° a.C., e i rotoli, con vari testi, del Mar Morto, di data discussa tra il sec. 1° a.C. e il 2° d.C.) in numerosissimi manoscritti (circa 800 nella collezione più numerosa, quella Derossiana – da G.B. De Rossi – della biblioteca Palatina di Parma), nessuno dei quali anteriore al sec. 9° d.C. (il più antico con data, «codice babilonico dei profeti», a San Pietroburgo, è del 916), perché le copie consunte delle sinagoghe venivano subito sostituite. Essi presentano una sorprendente uniformità, dovuta all’opera di minuziosa fissazione di tutte le particolarità del testo per assicurarne la retta pronuncia nella lettura sinagogale, compiuta dal sec. 5° al 10° d.C. dai masoreti, e prima di loro dai talmudisti e dai tannaiti, tra cui emerge ‛Aqībā. Il confronto con le versioni greche fatte da ebrei in concorrenza con la LXX (Aquila, Teodozione, Simmaco, sec. 2° d.C.), con le versioni aramaiche, o targūmīm, e con i testi biblici del Mar Morto assicura dell’esistenza, già verso il sec. 2° d.C. (e forse anche un secolo o due prima), di un testo assai simile a quello masoretico.
- La prima edizione a stampa della B. ebraica intera (dopo le edizioni di singoli libri, dal 1477 in poi) fu pubblicata a Soncino, il 23 febbraio 1488. Ne seguirono altre, tra le quali quella di D. Bomberg che diede la prima B. rabbinica (testo, masora e commenti), a cura di Felice da Prato (1516-17), e quella curata da Y. ben Ḥayyīm (1525-26), base delle successive fino a quelle critiche di C.D. Ginsburg (Londra, 1908-26) e R. Kittel (1906; 7a ed. a cura di P. Kahle, A. Alt, O. Eissfeldt, Stoccarda, 1951). La Biblia Hebraica di R. Kittel (BHK) è stata sostituita dalla Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS), terminata nel 1977 e curata da K. Elliger e W. Rudolph, assistiti da un gruppo di qualificati studiosi: alla base dell’edizione sta, come per la BHK, il cod. Petropolitanus del 1008.
- Le lettere di san Paolo, che egli raccomandava ai destinatari di comunicare ad altre chiese e che erano lette nelle riunioni pubbliche, furono ben presto raccolte in collezione e già la II Pietro le paragona alle «altre Scritture»; i quattro Vangeli erano certo già riconosciuti verso la metà del 2° secolo, quando Taziano volle fonderli in un solo racconto (Diatessàron, διὰ τεσσάρων «tra quattro») e i Padri più antichi citano altri scritti. Verso la fine del sec. 2° il frammento detto Canone muratoriano (dal nome dello scopritore, L.A. Muratorì), mutilo all’inizio e alla fine, enumera con Matteo, Marco, Luca, Giovanni e 13 lettere di s. Paolo (esclusa dunque Ebrei) anche Giuda, I e II Giovanni, l’Apocalisse; ma l’inclusione di testi quali Sapienza, Apocalisse di Pietro, Pastore di Erma (i due ultimi apocrifi), indica che alla fine sono posti libri discussi. «Antilegomeni» rimasero, secondo Eusebio di Cesarea, II Pietro, II e III Giovanni, Giacomo, Giuda e, soprattutto, in Occidente Ebrei e in Oriente l’Apocalisse, che, nonostante fosse inclusa nei canoni (completi, di 27 libri) di s. Atanasio e s. Epifanio, fu accolta, con le «quattro lettere minori» (II Pietro, II e III Giovanni, Giuda) ad Antiochia soltanto verso la metà del sec. 5° e nella versione siriaca nel 508 (respinte però dai nestoriani). Il canone completo, già affermatosi in Occidente verso la fine del sec. 4°, si può considerare pertanto definitivamente chiuso all’epoca di Giustiniano e rimase poi sempre tale (nonostante l’avversione di Lutero per Giacomo). Esso comprende: a) i Vangeli: Matteo, Marco, Luca, Giovanni e gli Atti degli Apostoli; b) lettere di s. Paolo Ai Romani, I e II, Ai Corinzi, Ai Galati, Agli Efesini, Ai Filippesi, Ai Colossesi, I e II Ai Tessalonicesi, I e II A Timoteo, A Tito, A Filemone, e Agli Ebrei; c) epistole: di Giacomo, I e II di Pietro, I, II e III di Giovanni, di Giuda; d) Apocalisse.
- Del Nuovo Testamento si hanno migliaia di codici, con numerosissime varianti. Si scoprono ogni anno nuovi codici, mentre viene riconosciuta ogni tanto l’appartenenza di frammenti esistenti in diverse biblioteche a uno stesso codice. Perciò le statistiche dei manoscritti variano rapidamente. Il frammento più antico di codice è il papiro Rylands, che contiene Giovanni 18, 31b-33a e sul retro 37b-38a. Pochi codici contengono l’intero Nuovo Testamento (taluni anche la LXX e qualche apocrifo). Tra i codici si distinguono quelli in scrittura onciale, indicati con le lettere maiuscole dell’alfabeto latino (tradizionali; e talvolta ripetute) e greco, in qualche caso ebraico, e con numeri arabici preceduti dallo zero; tra questi vanno ricordati il Sinaitico (4°-5° sec. d.C., trovato nel monastero di S. Caterina del Sinai), il B (Vaticano del sec. 4°), il C (Palinsesto di Efrem dal testo soprascritto, sec. 5°, a Parigi, ove fu portato da Caterina de’ Medici), il D e il D2 (Codex Bezae e Codex claromontanus, ambedue scoperti da Teodoro di Beza, sec. 6°), l’E (codice di Basilea, dei Vangeli, sec. 8°), l’E2 degli Atti (sec. 6°, detto codex Laudianus perché donato dall’arcivescovo anglicano Laud all’università di Oxford nel 1636), l’F2 (codex augiensis, di s. Paolo, sec. 9°, a Cambridge), il G3 (codex boernerianus, di s. Paolo, sec. 9°, a Dresda), l’H dei Vangeli (sec. 9°, ad Amburgo), l’H degli Atti (sec. 9°, a Modena), l’I (cod. Freer II, dal nome del collezionista che lo acquistò; di s. Paolo, probabilmente sec. 7°, a Washington), l’L dei Vangeli (codex regius, sec. 8°, a Parigi), l’L degli Atti (sec. 9°, a Roma, Bibl. Angelica), il Q dei Vangeli (Luca-Giovanni, sec. 5°, a Wolfenbüttel), il Q dell’Apocalisse (sec. 8°, Vaticano), il T (codex borgianus, greco-copto, frammentario, di Luca e Giovanni, sec. 5°, Biblioteca Vaticana), l’U (dei Vangeli, sec. 9°-10°, a Venezia), il W (codice Freer I o Washingtonianus, dei Vangeli, sec. 4°-5°), il Δ (codex sangallensis, dei Vangeli, con versione latina interlineare, sec. 9°; in origine, parte dello stesso manoscritto di G3), il Θ (codice di Koridethi, dei Vangeli, sec. 9°, a Tiflis), il Λ (codex Tischendorfianus, di Luca e Giovanni, a Oxford; in origine, parte dello stesso manoscritto del minuscolo 566, di San Pietroburgo). Gruppo caratteristico è quello dei codici purpurei, con lettere d’oro o d’argento su fondo di porpora: N (codex purpureus Petropolitanus, dei Vangeli, sec. 6°; frammentario, a San Pietroburgo, con fogli a Patmos, Vaticano, British Museum, Vienna, Genova), O (codex Sinopensis, frammento di Matteo, sec. 6°, a Parigi), Σ (codex purpureus rossanensis, di Matteo e Marco, sec. 4°, a Rossano in Calabria, celebre per bellissime miniature), Φ (di Matteo e Marco, sec. 6°, a Berat). Con i manoscritti servono alla ricostruzione del testo e della sua storia, permettendo una localizzazione geografica e cronologica, le antiche versioni, anche indirette, le citazioni dei Padri della Chiesa, comprese quelle trasmesse nelle ‘catene’, i testi liturgici. Ciò può dare una idea della complessità del compito, cui si sono dedicati i più insigni teologi e filologi (da L. Valla e da Erasmo a J. Mill, R. Bentley, J.J. Wettstein, J.A. Bengel, J.J. Griesbach, C.Lachmann ecc.), contribuendo a elaborare e raffinare il metodo generale dell’edizione critica. Tuttavia la storia antica del testo greco del Nuovo Testamento è ben lungi dall’essere chiarita. Giova però notare che le numerose varianti si riferiscono a una porzione relativamente infinitesimale del testo e non hanno carattere sostanziale, come dimostrano gli apparati delle edizioni più quotate, per es., quelle di E. Nestle, K. Aland (27a ed. rivista, 1999) e di A. Merk (11a ed., 1991) e The Greek New Testament (4a ed., Stoccarda 1993).
La Pontificia commissione biblica fu costituita nel 1902 da Leone XIII come commissione permanente per promuovere e dirigere tra i cattolici gli studi biblici curando che si mantenessero immuni da errori e decidendo le questioni a essa sottoposte. Con il motuproprio di Paolo VI Sedula cura (27 giugno 1971), è stata completamente ristrutturata: composta da esperti biblisti, è collegata con la Congregazione per la dottrina della fede, il cui prefetto, in ragione del suo ufficio, ne è il presidente.
Il Pontificio istituto biblico, creato nel 1909 in Roma e affidato alla Compagnia di Gesù, dal 1927 ha una succursale in Gerusalemme per gli studi di archeologia e di geografia biblica. Forma professori di S. Scrittura e di discipline orientalistiche nelle due facoltà, biblica e di studi dell’Antico Oriente (dal 1932); pubblica le riviste Biblica, Orientalia e Verbum Domini e varie serie di monografie.
Oltre che nel Pontificio istituto biblico, nelle facoltà teologiche e nelle facoltà di lettere o scuole orientali, gli studi biblici sono coltivati e promossi in istituti di cultura specializzati. Fra questi sono da ricordare l’École biblique et archéologique française, dei domenicani, con la Revue biblique e la serie Études bibliques (pubblicati a Parigi), gli istituti biblici francescano e dei benedettini spagnoli, e altri istituti archeologici inglesi e nordamericani, tutti con sede a Gerusalemme.
Alla diffusione della B. sono dedicate apposite società, che ne curano la traduzione e la stampa anche per uso delle missioni. La prima si può considerare quella sorta (1649) a Cambridge, Massachusetts (prima Bibbia tradotta nel linguaggio degli Indiani della regione, 1663). Un istituto simile sorse nel 1710 in Germania, per impulso di K.H. von Canstein e con il suo nome (Cansteinsche Bibelanstalt). In Inghilterra si ebbero la Society for promoting Christian knowledge (1698), la Society for the propagation of the Gospel (1701) e la Religious tracts society (1799) dalla quale sorse nel 1804 la British and foreign Bible society, che ha succursali in ogni paese e ha fatto tradurre e pubblicato B. o parti di esse (specie Vangeli e Salmi) in circa 800 lingue o dialetti, con una produzione annua di circa 10.000.000 di volumi. Accanto a questa si possono ricordare, fra le altre, la National Bible Society of Scotland, l’American Bible Society (a New York, 1816, circa 10.000.000 di volumi annui), l’American Scripture Gift Mission, la Société biblique de Paris (1818), la Société biblique de France (1864). Nel 1946 in un convegno tra rappresentanti di 13 nazioni fu fondato un organo di coordinamento, United Bible Societies, con sede in Londra. Tra i cattolici va ricordata soprattutto la Pia Società di S. Girolamo per la diffusione dei Santi Evangeli (1902).
Il divieto ebraico di rappresentazioni figurate – anche se certamente evaso, come testimoniano antiche figurazioni superstiti (mosaici pavimentali delle sinagoghe o gli affreschi di Dura Europos e Bēt Alfa) – dà ragione della mancanza di testimonianze dell’elaborazione di una tradizione iconografica ebraica narrativa. Invece, dall’inizio dell’era cristiana i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, oltre che gli scritti apocrifi, hanno costituito fonte per uno dei più importanti filoni iconografici dell’arte figurativa. Nei diversi periodi i temi biblici presentano varianti o interpretazioni, legate a problematiche teologiche o dogmatiche. Diffuse sin dal sec. 3°, inizialmente in forma soprattutto simbolica, le rappresentazioni bibliche di tipo narrativo si affermano, dopo la parentesi iconoclasta e la ripresa carolingia, a partire dai grandi cicli medievali. Nel mondo occidentale è fondamentale la narrazione basata sulla continuità e la concordanza tra Antico e Nuovo Testamento, mentre nell’Oriente bizantino prevale un’iconografia strettamente legata a esigenze liturgiche (Dodekaorton o ciclo delle dodici feste).
Nelle prime isolate raffigurazioni, tratte da parabole (il Buon Pastore) o dal racconto biblico (Noè nell’arca, Giona e la balena, Daniele nella fossa dei leoni, Abramo e Isacco) prevale il risvolto simbolico della salvezza legata all’avvento di Cristo, alla sua morte e resurrezione; in questo senso si sviluppano le prime successioni narrative nelle quali si cerca una corrispondenza tra gli episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento o tra la vita di Cristo e quella degli Apostoli. Il racconto e la spiegazione dei fatti biblici diviene esigenza didascalica dominante nei cicli iconografici delle basiliche romane (S. Maria Maggiore, S. Pietro, S. Paolo, S. Lorenzo, sec. 5°), che svilupparono un repertorio canonico. Grande importanza ebbe anche la tradizione della miniatura e dell’illustrazione dei testi sacri, in particolare nel suo sviluppo in età carolingia e ottoniana, come fonte per quelle ‘bibbie dei poveri’ costituite dai grandi cicli ad affresco o a mosaico a partire dai sec. 11° e 12° (S. Angelo in Formis, Monreale, St. Savin, S. Marco a Venezia ecc.), nelle vetrate, nelle decorazioni scultoree di paliotti, pulpiti, porte. Lo sviluppo della Biblia pauperum e della Bible moralisée, la meditazione e la teologia tardomedievale, l’interesse della committenza e della devozione privata saranno ulteriori elementi di sviluppo responsabili, soprattutto dopo i sec. 13° e 14°, della trasformazione e della elaborazione di iconografie nuove, non più strettamente legate alla successione narrativa dei testi biblici.
Dal libro della Genesi è tratto il ciclo della Creazione. Il Creatore può essere rappresentato come la prima o la seconda persona della Trinità, quest’ultima più frequente durante il Medioevo; a volte è in atto di misurare la Terra con un compasso. Delle varie fasi del ciclo l’ultima, con la creazione dell’uomo e della donna, è la più raffigurata. Dio immette la vita con un soffio nelle nari di Adamo, o con un tocco della mano; nella creazione di Eva, Adamo è addormentato, e sebbene i testi affermino che fu plasmata da una costola che Dio tolse dal suo costato, è diffusa l’iconografia che la vede nascere direttamente dal corpo di Adamo dormiente. Oltre alla raffigurazione del Paradiso Terrestre, e in particolare della scena di Adamo che dà il nome agli animali, alla Creazione sono associati soprattutto i temi della Tentazione e della Cacciata. Meno frequente la successiva Storia dei Progenitori, con Adamo intento al lavoro nei campi ed Eva che fila, con accanto i due figlioli. L’Offerta di Caino e Abele e l’Uccisione di Abele sono trattati nell’arte religiosa soprattutto tra sec. 12° e 13°. Alla figura di Adamo e al suo ruolo in rapporto alla Redenzione è invece legata la medievale Leggenda della Vera Croce: Adamo portò con sé un ramo dell’albero della Conoscenza del Bene e del Male (secondo altre versioni, dopo la morte di Adamo un ramoscello nacque dalla sua bocca); passando di mano in mano, divenne il palo su cui Mosè innalzò il serpente di bronzo, quindi il legno della croce di Cristo, poi miracolosamente ritrovato da s. Elena. Fa parte della Genesi anche la storia del Diluvio universale, con la fortunata raffigurazione dell’Arca con cui Noè mise in salvo gli animali.
Tra le storie dei Patriarchi è importante quella di Abramo: il suo incontro con i Tre angeli, prefigurazione della Trinità; la cacciata della schiava Agar e di Ismaele; la nascita da Sara di Isacco e il suo sacrificio. Riguardo a Isacco, è nota soprattutto la scena della sua benedizione del figlio Giacobbe, con la fantasiosa resa iconografica di Giacobbe con le braccia coperte dal vello di capretto per poter essere scambiato dal padre cieco per il primogenito Esaù, molto peloso, e carpirne al suo posto la benedizione. Giuseppe, figlio di Giacobbe, è raffigurato venduto dai suoi fratelli; con la moglie di Putifarre; nell’atto di interpretare i sogni del Faraone.
Importante nei cicli biblici la figura di Mosè; prefigurazione di Cristo come David, le storie della sua vita sono rappresentate in numerosi episodi (Mosè salvato dalle acque, Uccisione dell’egiziano, Le figlie di Ietro, Il roveto ardente, La morte dei primogeniti). Protagonista dell’Esodo degli Ebrei dall’Egitto (con le varie storie a partire dal Passaggio del Mar Rosso), è raffigurato nell’ottica della salvezza della Nuova Legge, in particolare in scene come la Consegna delle Tavole o il Serpente di bronzo. Suo successore è Giosuè, uno dei nove eroi dell’Antico Testamento, rappresentato soprattutto nella Conquista di Gerico e in quella di Canaan (Giosuè ordina al sole e alla luna di fermarsi).
Dal libro dei Giudici è tratta la storia di Giaele – una delle figure femminili eroiche della B. – che uccide Sisara, comandante cananeo in lotta con gli Israeliti, conficcandogli un picchetto da tenda nella tempia. Altra figura biblica precorritrice è Sansone, protagonista della lotta di Israele contro i Filistei, che in scene come la lotta con il leone, la cattura e la derisione, il sacrificio di sé, è simbolo della lotta cristiana contro il male. Riconosciuto nei Vangeli come antenato di Cristo, David, consacrato da Samuele re di Israele, è raffigurato frequentemente nella sua prima impresa, la sconfitta del filisteo Golia, e inoltre come salmista, con la cetra o altro strumento a corde; mentre danza riportando trionfalmente l’Arca dell’alleanza in possesso di Israele; con Betsabea, moglie di un suo comandante presa in moglie con la forza. Il loro figlio e re Salomone è proverbiale per la sua saggezza; è raffigurato nella famosa scena del giudizio tra le due pretese madri dello stesso figlio e nell’incontro con la Regina di Saba; più raramente nella costruzione del Tempio. Importante figura profetica è quella di Elia: vissuto da eremita, tra gli episodi più noti sono la guarigione del figlio della vedova, l’incontro con l’angelo nel deserto, l’ascensione sul carro di fuoco.
Di grande complessità e fortuna iconografica è la storia di Daniele, uno dei quattro profeti maggiori, narrata nel suo libro (➔ profeta). Dal libro di Tobia l’episodio più noto è quello con cui il giovane, inviato in viaggio dal padre cieco Tobi, torna in compagnia dell’angelo Raffaele (immagine dell’Angelo Custode) e guarisce Tobi. I libri seguenti narrano di personaggi noti nelle rappresentazioni artistiche. Giuditta, una delle nove eroine, è protagonista della decapitazione del generale assiro Oloferne, iconografia di grande fortuna nel sec. 17° anche se Giuditta, come simbolo di virtù, è raffigurata sin dal Medioevo. Giona, appare rigettato dopo tre giorni illeso dal ventre della ‘balena’ (un grosso pesce), iconografia diffusa in età paleocristiana e in particolare nell’arte funeraria per il suo significato di resurrezione. Giobbe, l’uomo giusto messo alla prova da Satana con supplizi e sofferenze che prefigurano quelle di Cristo.
I Salmi, il Cantico dei Cantici, i libri Sapienziali sono fonte di svariate raffigurazioni, mentre dai libri dei Maccabei si ricorda soprattutto la scena di Eliodoro nel tempio.
Il Nuovo Testamento si apre con la figura chiave di Giovanni Battista, ultimo profeta e precursore di Cristo, raffigurato nelle scene della predicazione, del battesimo, della decapitazione (preceduta dal banchetto di Erode con la danza di Salomè, molto raffigurata). Da bambino è spesso accanto a Maria e al piccolo Gesù. I cicli neotestamentari seguono i diversi periodi della vita di Maria e di Cristo. Le storie di Maria (Nascita, Presentazione, Visitazione, Annunciazione, Sposalizio) sono precedute dalla storia di Gioacchino e Anna, genitori di Maria, tratta dai vangeli apocrifi e ampiamente trattata nell’arte figurativa. La Natività di Gesù segue nel Medioevo essenzialmente l’iconografia con Maria sul giaciglio, eventualmente con il Bambino lavato dalle levatrici; in seguito, in Occidente prevale la scena con Maria e Giuseppe in ginocchio, con il Bambino nella mangiatoia o a terra, legata spesso all’annuncio e all’adorazione dei pastori; la cosiddetta Adorazione del Bambino, tratta dalle Revelationes di s. Brigida, vede la sola Maria inginocchiata davanti al Bambino. Le altre scene dell’infanzia (Adorazione dei Magi o Epifania, Fuga in Egitto, Riposo, Presentazione al Tempio, Gesù tra i Dottori), che dal Rinascimento comprendono anche raffigurazioni della vita domestica, sono seguite dagli episodi della vita pubblica: Nozze di Cana, Cena in casa di Levi (che, soprattutto dopo il sec. 16°, sono pretesto per fantasiose rappresentazioni conviviali), Cristo con i discepoli, predicazione e miracoli, Trasfigurazione. Le storie cristologiche relative al ciclo della Passione sono particolarmente dettagliate: Ingresso a Gerusalemme, Ultima Cena, Orazione nell’orto, Tradimento e arresto di Cristo, Rinnegamento di Pietro. Numerose le iconografie legate al processo e alle torture di Cristo: la Derisione, con il Cristo bendato sottoposto a ingiurie (beffe, sputi, schiaffi, bastonature) spesso raffigurate attraverso simboli; Flagellazione, Incoronazione di spine, Ecce Homo, immagine devozionale generalmente non narrativa con il Cristo mostrato dopo le torture, con corona di spine e mantello; Salita al Calvario, Crocifissione. Le storie successive riguardano la Deposizione dalla Croce, il Compianto (con varie figure intorno al corpo di Cristo) o la Pietà (con la sola Maria), il Trasporto e la Deposizione nel sepolcro. Seguono la Discesa al Limbo, la Resurrezione, le Pie donne al sepolcro, l’Apparizione alla Madonna e alla Maddalena (Noli me tangere, che vede il Cristo spesso nelle vesti di ortolano, secondo il vangelo di Giovanni), la Cena in Emmaus (con Cristo spesso raffigurato in veste di pellegrino, o benedicendo il pane in relazione alla cena eucaristica), l’Incredulità di Tommaso, l’Ascensione e la Pentecoste. Il ciclo neotestamentario viene concluso dalla Morte della Vergine (Dormitio Virginis, Koimesis, Maria sul letto di morte e la sua anima tra le braccia di Cristo) e la sua Assunzione (Maria, chiusa in una mandorla luminosa, è trasportata in cielo dagli angeli); più rara è la Morte di Giuseppe e la sua Incoronazione. Legati per lo più all’iconografia dei santi sono i fatti narrati negli Atti degli Apostoli.
Il libro dell’Apocalisse fu un’ispirazione quasi costante soprattutto nell’arte medievale occidentale: dal motivo della Gerusalemme celeste, al rotolo o libro sigillato posto sul trono, ai 24 seniori, alla donna vestita di sole ecc.