Tecnica decorativa con la quale, per mezzo di frammenti (ordinariamente piccoli cubi, detti tessere musive) di pietre naturali, di terracotta o di paste vitree, bianche, nere o colorate, applicati su una superficie solida con un cemento o con un mastice, viene riprodotto un determinato disegno. È usata per decorazione di pavimenti e pareti o di singoli elementi architettonici e scultorei (amboni, balaustre di chiesa, colonnine di chiostri ecc.). Una tecnica simile, molto più minuta, è impiegata nella creazione di gioielli e altri oggetti, con disegni geometrici, o figurati.
Secondo il metodo diretto, sul fondo preparato con apposito intonaco si ricalca il disegno, che può essere ricoperto da uno strato di gesso dello spessore del mosaico da applicarvi, di volta in volta rimosso dalla parte che si comincia a eseguire. Su un nuovo letto di intonaco più fine o di collante (che può essere costituito da polvere di travertino, calce, olio di lino), fresco, sono infisse le tessere, a seconda delle gradazioni di colore.
Altro modo di esecuzione del m. è quello a rivoltatura, consistente nel comporre il m. su un supporto provvisorio (per es., di legno o di lavagna, inquadrato in bordi di legno smontabili), fissarlo mediante carta e tela incollate in modo da poterlo trasportare e riapplicare sul piano definitivo, dove poi è liberato del materiale usato per fissarlo durante il trasporto.
Età antica. - I primi esemplari di m. pavimentale nella Grecia classica sono costituiti da ciottoli a monocromo o colorati (5°-4° sec. a.C.), mentre di quelli a tessere marmoree si hanno soprattutto esempi nel periodo ellenistico (Delo, Coo ecc.). Il procedimento greco fu perfezionato in Italia utilizzando prima segmenti di marmi colorati, quindi tessere più regolari. Il tipo di pavimento così composto fu detto lithòstroton. Il pavimento a m., definitivamente sviluppatosi nel 1° sec. a.C. (pavimentum tessellatum), usò i motivi geometrici dell’arte greca (treccia, meandro ecc.), oltre a elementi di decorazione architettonica (ovuli, losanghe, scacchi ecc.). Il m. monocromo, bianco e nero, non fu mai abbandonato e se ne hanno importanti sviluppi fino al 4° sec. d.C. L’opus vermiculatum, dal quale si sviluppò il m. a colori, ebbe origine dall’ἔμβλημα ellenistico, cioè da quel quadro a m., preventivamente eseguito dall’artista su una lastra di marmo sottile o su un tegolone, limitato ai margini dalle pareti di una cassetta che era poi inserita nel pavimento. L’opus vermiculatum è composto da tasselli tagliati nel senso richiesto della figurazione; varia la grandezza delle tessere, talvolta minutissime, con effetto di estrema finezza pittorica, raggiunta anche con l’inserimento di pietre dure (lapislazzuli, corniola, diaspro ecc.) e di paste vitree. Un tipo di m. pavimentale usato per la decorazione dei triclini fu l’asàroton, che fingeva un pavimento ingombro dei resti del banchetto (Aquileia). Tra il 1° sec. a. C. e la prima età imperiale il m. pavimentale raggiunse il massimo sviluppo, con pavimenti policromi interamente decorati con grandi scene figurate. La tradizione ellenistica perdura nei numerosi m. figurati policromi dal 1° al 6° sec. d.C. ad Antiochia, ad Apamea, a Costantinopoli. Diversa la tradizione orientale rappresentata dai m. di Edessa e delle sinagoghe palestinesi. Accanto al m. policromo di tradizione ellenistica si sviluppa nell’ambiente romano quello bianco-nero, anche per grandi ambienti, come quelli termali; frattanto si fondono le tecniche dell’opus tessellatum e dell’opus vermiculatum, con la produzione, nel tardo Impero, di grandiosi complessi di m. policromi. Dal 4° sec. ha inizio il maggiore sviluppo del musivum parietale.
Età paleocristiana e medievale.- In età cristiana, il m. divenne l’ornamento principale delle chiese: la tendenza dell’arte a esprimere concetti religiosi in forme astratte si giovò infatti della tecnica musiva, tendente alla schematizzazione di colori e di forme. Le opere di m. sfruttarono le possibilità cromatiche offerte dal frazionamento di colore imposto dalle tessere e dalla loro inclinazione rispetto alla superficie. L’arte del m. fiorì, per esigenze tecniche, in centri particolari (Venezia). L’Italia conserva molti m. monumentali: a Roma si avverte l’evoluzione della tradizione classica (S. Costanza, S. Pudenziana, 4° sec.; navata di S. Maria Maggiore, 5° sec.; SS. Cosma e Damiano, S. Lorenzo fuori le Mura, 6° sec.) verso forme più astratte; queste trovano la massima espressione nei m. di Ravenna (S. Apollinare Nuovo, S. Apollinare in Classe, S. Vitale ecc., 6° sec.); altri m. (in Ravenna stessa, a S. Vitale) dimostrano il persistere di tradizioni tardoantiche.
I m. bizantini di età preiconoclastica sono noti per pochi frammenti a Costantinopoli (Kalender Giāmi‛, S. Sofia e patriarcato ortodosso), per il grande m. giustinianeo del Sinai e per una serie di m. a Salonicco (Hòsios David, S. Giorgio, S. Demetrio, S. Sofia). Del periodo iconoclasta sono i m. della moschea di Damasco (con influssi tardoromani) e di S. Irene a Costantinopoli (8° sec.). Caratteri propri presentano i m. di Cipro del 7° secolo. Della ripresa posticonoclastica sono testimonianza m. in S. Sofia a Costantinopoli, dove altri m. mostrano la continuità dell’arte musiva bizantina in età macedone, comnena e paleologa (m. della Qahriyye Giāmi‛ e della Fetye Giāmi‛, 14° sec.). L’arte bizantina produsse inoltre raffinati m. portatili, per oggetti di devozione, con tessere minutissime. Oltre che in Grecia (S. Luca in Focide, Dafni, SS. Apostoli a Salonicco), il m. bizantino fu diffuso nei paesi musulmani (Cordova), in Russia (Kiev) e soprattutto in Italia: a Roma, m. del 7° e specialmente del 9° sec. sono espressione di una peculiare scuola locale.
Dall’11°-13° sec. l’arte musiva conobbe una grande fioritura dall’Italia settentrionale alla Sicilia: perduti i m. di Montecassino, cui riconducono alcuni frammenti a Salerno, restano a Roma le absidi di S. Maria in Trastevere, 12° sec., S. Maria Maggiore e S. Giovanni in Laterano, 13° sec. ecc.; notevoli inoltre i m. di Grottaferrata, 12° sec.; Palermo, Cefalù, Monreale, 12°-13° sec.; Venezia, S. Marco, 11°-14° sec.; Milano, S. Ambrogio, 12° sec.; Firenze, Battistero, 13°-14° sec. A maestri palermitani forse spettò il rifacimento del m. di S. Pietro in Vaticano sotto Innocenzo III, a maestri veneziani furono affidati i m. di S. Paolo fuori le Mura per Onorio III. Minore fu l’attività nel 14° sec.; notevoli tuttavia i m. dell’abside del duomo di Pisa, in parte su disegno di Cimabue; quello, parzialmente perduto, della Navicella, su disegno di Giotto, nell’antico S. Pietro di Roma; quelli della facciata di S. Maria Maggiore, ivi; quelli del duomo di Messina; quello di S. Giovanni di Firenze e del duomo, ivi.
Età moderna. - Nel 15° sec. il rinnovamento della pittura distolse l’attenzione dal m.; tuttavia si hanno notevoli realizzazioni (cappella dei Mascoli in S. Marco a Venezia; cappella di S. Elena in S. Croce a Roma), oltre all’esecuzione di m. su cartoni di grandi artisti, anche nei secoli successivi (m. di S. Marco su cartoni di P. Veronese, L. Lotto, Tintoretto, S. Ricci ecc.). La tecnica del m. rimase eredità di poche maestranze (da Venezia passò a Roma L. De Pace per eseguire i m. della cappella Chigi in S. Maria del Popolo, su disegno di Raffaello). Nel 17° sec. maestranze specializzate lavorarono a Roma, per la realizzazione delle pale a m. degli altari di S. Pietro; e nel 1727 fu istituito in Vaticano lo Studio del mosaico.
Nell’architettura moderna, il m. ha avuto nuovamente numerose applicazioni, anche per la decorazione di esterni (in Spagna, A. Gaudí). Tra gli artisti italiani, su disegni dei quali sono state eseguite notevoli opere a m., si ricordano G. Severini e C. Cagli.
Possono essere definite m. altre tecniche o lavori tendenti a ottenere effetti decorativi con l’accostamento di altri materiali per lo più di colore diverso, disposti a formare disegni geometrici o figurati. Così, per es., nell’arte islamica fu in uso fin dal 13° sec. il m. di ceramica, composto da pezzi di ceramica variamente tagliati e usato per decorazioni architettoniche; nell’America precolombiana ebbe grande sviluppo il m. di piume, eseguito con piume di vario colore, disposte, secondo un disegno, per decorare manti, copricapi ecc.; nella legatura dei libri, si è spesso ottenuto il m. mediante intagli di pelle di più colori.
Altri tipi di m. ebbero diverse applicazioni. Il m. rustico, formato da ghiaia, conchiglie, frammenti di vetro ecc., fu usato, specie nel 16°-18° sec., per ornamento di fontane, ninfei e grotte di giardini, ma era già noto agli antichi. I m. a intarsio, di marmi vari, sono realizzati con tecnica non dissimile da quella della tarsia lignea e usati per il rivestimento dei pavimenti. Il genere antico a opus alexandrinum, formato da elementi variamente tagliati in figure geometriche, trovò sviluppi originali, specie nell’arte bizantina che lo applicò, oltre che alla decorazione di pavimenti, a quella di plutei marmorei: intorno a grandi dischi di marmi colorati (porfido, serpentino) si svolgono intrecci di fasce marmoree a tasselli colorati, composti in ornati geometrici. Questo tipo di decorazione, ripreso e diffuso dai Cosmati a Roma nel 12° sec., con abbondanza di elementi vitrei, dorati ecc., fu applicato anche a membrature architettoniche.
M. fluido In biochimica, il modello teorico della struttura delle membrane biologiche maggiormente suffragato da evidenze sperimentali (➔ membrana).
M. cromosomico In genetica, coesistenza, in uno stesso individuo, di linee cellulari che contengono un patrimonio cromosomico normale e di altre con patrimonio cromosomico alterato (mosaicismo); l’alterazione può consistere nella perdita di particolari cromosomi o nella presenza di cromosomi soprannumerari, ed è causata da anomalie della mitosi (mutazioni somatiche).
Malattia di varie piante erbacee che ha per sintomo caratteristico la decolorazione in varie tonalità di piccole aree della lamina fogliare che, ravvicinate e interposte alle parti ancora verdi delle foglie, danno a queste l’aspetto di un mosaico. A questo sintomo generalmente se ne accompagnano altri: le piante colpite rimangono nane, i fiori possono essere decolorati, malformati e abortire. Il m. è prodotto da virus, trasmesso spesso da insetti vettori o per innesto o per inoculazione di succo di piante ammalate a piante sane e in qualche caso anche a mezzo dei semi. Di particolare importanza sono il m. del tabacco, della patata, del sedano, della fava.
Elettrodi a m. Particolare tipo di elettrodi formato da un elevato numero di corpuscoli fotoelettrici (particelle di ossido di cesio e di argento) disposti gli uni accanto agli altri e isolati elettricamente gli uni dagli altri; questi elettrodi, disposti nell’interno dei tubi di ripresa televisiva, costituiscono l’elemento (detto nel suo insieme fotomosaico) del tubo che permette di tradurre le variazioni di intensità luminosa dell’immagine da trasmettere in variazioni di intensità di una corrente elettrica.