Porzione o faccia o parete o strato che costituisce la parte inferiore di una formazione anatomica: per es., p. della bocca; p. delle fosse nasali; p. dell’orbita; p. del quarto ventricolo; p. del perineo; p. pelvico ecc.
In istologia, epitelio pavimentoso, epitelio costituito da cellule appiattite (che sono dette a loro volta cellule pavimentose), distribuite come le piastrelle di un p.; può essere semplice, quando le cellule sono disposte in un unico strato (alveoli polmonari, superficie interna del labirinto membranoso ecc.), o stratificato, quando è costituito da parecchi strati di cellule (epidermide, epitelio della mucosa dell’esofago ecc.).
Superficie liscia e resistente, destinata a sopportare il passaggio di persone o veicoli; il p. si trova tanto negli ambienti interni degli edifici quanto all’esterno, in cortili, strade, piazze, ma il termine è comunemente riferito solo alle coperture interne.
A seconda della loro natura i p. si classificano in p. a elementi, p. in teli e p. monolitici. I p. a elementi possono essere in mattonelle e pietrini di cemento, marmette di graniglia e marmettoni; oppure in elementi laterizi come mattoni, piastrelle di ceramica smaltata o di gres; o infine in lastre di marmo o di altra pietra naturale. Rientrano nelle categoria anche i p. in legno (➔ parquet). I p. in teli sono sostanzialmente i p. di linoleum, quelli di gomma o anche di materie plastiche di caratteristiche svariatissime e quelli formati da tessuti di fibre naturali o artificiali (moquettes). I p. monolitici sono ottenuti di getto con impiego di malta cementizia. In particolare sono di questo tipo il battuto di cemento, i p. alla veneziana, il bullettonato (costituito da pezzi irregolari di marmo o travertino, allettati con malta di cemento) e alcuni p. in resine sintetiche del tipo spatolato.
Nell’antico Egitto il p. era in stucco dipinto con animali e piante nelle residenze (palazzo di Amenhotep III e di Amenhotep IV), mentre nei templi e nelle tombe venivano utilizzate lastre di pietra. Nei palazzi delle civiltà mesopotamiche si usò spesso uno strato di bitume sotto lastre di terracotta o di alabastro. Marmi colorati decoravano i p. nei palazzi persiani di Susa. Rivestito d’oro era il suolo nel sancta sanctorum del tempio di Gerusalemme. Nell’architettura minoico-micenea sacelli e mègara avevano p. in stucco dipinto, a lastre poligonali con interstizi di stucco rosso o bianco, a lastre di gesso.
In Grecia i templi e gli edifici più importanti ebbero p. a lastre squadrate di pietra o di marmo; nell’edilizia civile si usavano p. in ciottoli spesso a disegno geometrico, a piccoli sassolini con disegno anche figurato, costituenti già un mosaico. Il genere più diffuso fu il vero e proprio mosaico di piccole tessere marmoree squadrate, bianco-nere e policrome, che dai motivi più semplici geometrici arrivò a complesse decorazioni, specialmente in età ellenistica.
Il mosaico fu largamente impiegato anche nell’architettura romana, accanto ad altri tipi di p., come quelli in cocciopesto (opus signinum) o a mattoncini disposti a spina (opus spicatum); un p. cementizio particolare era quello detto graecanicum. Accanto al mosaico si diffuse il p. a marmi policromi con disegni geometrici (opus sectile), come lo scutulatum a cubi in prospettiva, oppure a intarsi vari (rosoni, nodi di Salomone, elementi figurati). Una struttura particolare aveva nelle terme il p. degli ambienti riscaldati, sostenuto da pilastrini di mattoni quadrati (suspensurae).
Nell’Alto Medioevo proseguì l’uso romano del mosaico, con figurazioni bibliche e simboli cristiani o con motivi decorativi; la tecnica andò gradualmente decadendo, dal 6° al 9° sec., per riemergere nel periodo romanico. Numerosi sono i p. con temi profani: cicli epici (duomo di Brindisi), di ispirazione classica (S. Michele di Pavia; duomo di Crema), raffigurazioni dei mesi (duomo di Aosta, S. Savino a Piacenza), figurazioni fantastiche (duomo di Caserta Vecchia, abbazia di Pomposa ecc.), enciclopedici programmi figurati (duomo di Otranto).
Nell’architettura bizantina, i p. musivi dei palazzi imperiali ebbero particolare sontuosità (İstanbul, Grande Palazzo, motivi di caccia e scene agresti, variamente datato dal 5° all’8° sec.); altri sono in opus sectile (S. Giovanni di Studios, 5° sec.). All’area bizantina si riconducono i p. dell’11° sec. nell’alto Adriatico (Pomposa; Venezia, S. Marco; Murano, S. Donato), che alternano opus sectile e mosaico. Influssi dell’arte islamica si riscontrano nei p. di Montecassino (eseguiti da artefici bizantini, 1071), S. Angelo in Formis (Capua), nel duomo di Salerno e di Terracina ecc. I Cosmati gli diedero grande impulso, che a Roma perdurò fino al 16° sec. e si diffuse fino in Inghilterra (chiesa di Westminster, 1268).
Fuori d’Italia il mosaico fu presto sostituito dalla pietra e dalla terracotta. In Inghilterra si ebbero p. in piastrelle di terracotta di valore artistico (13° sec.). In Spagna si usò un cemento detto astracum, più tardi un ammattonato combinato con azulejos, chiamato almorrefa. In Francia, nel 12° sec., si usò marmo con intarsi di mosaico o di metallo (esempi in Italia: S. Miniato e Battistero a Firenze, duomo di Siena). Ne derivò, in molte regioni dell’Europa settentrionale e in Spagna, tra 13° e 14° sec., il procedimento delle piastrelle di argilla incrostate e invetriate (carreaux plombés). Intanto si diffondevano (15° sec.) le mattonelle di maiolica in Spagna e in Italia.
Alla fine del 16° sec. iniziò l’uso di p. di marmi policromi. Nel Veneto prese voga il p. alla veneziana, ottenuto con frammenti di marmi di vario colore disposti alla rinfusa in uno strato di cemento. Da un uso diffuso nei paesi freddi fin dal Medioevo, derivano i p. lignei, dai tavolati di legno comune agli intarsi di legni preziosi. P. in cemento e in lastre lapidee sono usati nel Messico precolombiano o in Cina; in Indocina, a Phnom Penh, è da ricordare il p. della ‘pagoda d’argento’, in lastre d’argento cesellato.