Classe di prodotti ceramici a pasta porosa, colorata (da gialla a rossa), con rivestimento opaco (smalto), o trasparente (vernice).
Le m. si distinguono dalle terraglie per il colore della pasta, che in queste ultime è sempre bianco. A volte le m. si classificano in mezze m., m. fini, m. d’arte, differendo fra loro principalmente per la natura e grado di raffinazione della materia prima costituente la pasta e per la natura dello smalto.
Le materie prime sono rappresentate da argille contenenti calcare e sali di ferro, che con la cottura danno un prodotto resistente, poroso, colorato più o meno intensamente in giallo-rosso a seconda della quantità di sali di ferro presenti. La materia prima subisce di solito un processo di depurazione; la pasta, plastica, è foggiata con sistemi comuni alla maggior parte dei prodotti ceramici: a mano, al tornio, entro stampi di gesso, per estrusione o anche per colaggio, nel caso di sospensioni acquose, o per compressione, nel caso di polveri a basso tenore di acqua (o asciutte). I manufatti sono poi essiccati gradualmente, per evitare deformazioni e screpolature, e subiscono una prima cottura, a temperatura di 850-900 °C in modo da dare un ‘biscotto’ sonoro, leggero, poroso, che si presta bene a ricevere lo smalto, la decorazione e la vetrina.
Lo smalto è costituito da un silicato alcalino e da una miscela di ossido di piombo e di ossido di stagno, macinati finemente e sospesi in acqua; è applicato per immersione del biscotto o spruzzando la sospensione sul manufatto. Quando l’oggetto è asciugato, sullo strato di smalto può essere applicata la decorazione: a mano, all’aerografo, con decalcomanie, usando colori minerali a base di ossidi metallici, di silicati e qualche volta costituiti da metalli (oro, platino, argento).
Il prodotto può poi essere ricoperto da un sottile velo di vetrina (di solito piombifera), vernice costituita dal prodotto di cottura della miscela di ossido di piombo e sabbia silicea, macinato e sospeso in acqua, e spruzzato sull’oggetto; il manufatto è quindi sottoposto a una seconda cottura, a temperatura di poco inferiore a quella alla quale è stata condotta la biscottatura, con la quale lo smalto si fissa e incorpora la decorazione, mentre la vetrina forma un velo vetroso, brillante e lucente. È necessario adottare paste, smalti e vetrine dotate di analogo coefficiente di dilatazione per impedire che durante il lento raffreddamento dei manufatti cotti possano verificarsi tensioni capaci di portare a fessurazioni dello smalto o della vetrina che renderebbero i manufatti non più impermeabili.
La decorazione si può anche fare applicando i colori sul prodotto smaltato, vetrinato e già sottoposto alla seconda cottura; in questo caso i colori sono addizionati di sostanze gommose organiche che servono a fissarli, e l’oggetto dopo la decorazione deve subire una terza cottura, di solito a bassa temperatura, per incorporare e fissare i colori nella vetrina. A volte, a scopi decorativi, i colori possono essere resi iridescenti mediante trattamento con resinati metallici, con miscele di sali di bismuto e colofonia ecc.
Al 13° e 14° sec. risalgono le prime imitazioni italiane di scodelle di m. importate dall’Oriente musulmano, ma una vasta produzione di m., sia pure in una fase arcaica, inizia in Italia solo nel 15° secolo. Comunissimo prodotto fu il boccale, mentre l’albarello (vaso simile a un segmento di canna di bambù) richiama l’imitazione orientale. Nel primo trentennio del 15° sec., l’arricchimento cromatico consente un primo sviluppo di fantasie decorative che costituiscono lo stile severo, nel quale si distinguono tre fasi; nella prima (1430-80 circa) si includono: la famiglia verde, così detta dal colore predominante, più propriamente toscana; la famiglia a zaffera (turchino scuro) in rilievo: l’ornato è costituito da foglie di quercia, con figure umane e animali, stilizzate, di ispirazione orientale e mauro-gotica; la famiglia italo-moresca, imitazione per lo più fiorentina della m. ispano-moresca, nota per l’effetto dei lustri.
Nella seconda fase (1460-1500): famiglia a occhio di penna di pavone (Faenza), di forte effetto decorativo e cromatico; famiglia della foglia a cartoccio, così detta dalla stilizzazione, di eredità gotica, di una lunga foglia avvolgentesi su sé stessa, colorata in turchino, manganese, verde e giallo ambra; famiglia del melograno o della palmetta persiana, con ornato di origine tessile orientale (pavimento faentino di S. Petronio a Bologna); famiglia alla porcellana, in solo turchino su fondo bianco, a ornato filiforme con foglioline alterne di diretta ispirazione estremo-orientale; tale ornato persiste nel 16° sec. unito ad altre figurazioni. Particolare sviluppo in questo periodo ebbero le mattonelle di m., sia con disegni autonomi, sia ‘a tappeto’. Tale produzione si mantenne più a lungo in Liguria e a Napoli, per i rapporti con la Spagna dove l’uso ne era comune.
Nella terza fase (fine 15° sec.-inizio 16°) la m. acquisisce notevole valore artistico. Si impone nelle decorazioni la figura umana; si dipingono complesse scene (‘storie’) fantastiche, mitiche, religiose, desunte da stampe italiane o tedesche o scene di creazione originale. Centro della produzione secondo il nuovo gusto è Faenza, seguita da Cafaggiolo, Forlì, Deruta e Siena. Il colore è limitato al turchino sobriamente rialzato da tocchi d’ametista, verde e ocra. A Urbino (1515-20 circa) si accentuano i valori narrativi e cromatici con N. Pellipario, dal quale ha origine la famiglia Fontana. Questo secondo stile istoriato si diffonde rapidamente da Urbino, dove spiccano F. Xanto Avelli da Rovigo e i Patanazzi, sostituendo alla tradizione ‘grottesca’ faentina quella raffaellesca che, trasportata a Delft, vi crea il genere detto dei Patanazzi di Delft. Casteldurante, Pesaro e Venezia seguono da vicino il gusto urbinate. Dal 1520-30 la ‘casa Pirota’ di Faenza dà prevalenza agli azzurri e imita gli smalti. Deruta impiega un pregiato lustro d’oro verdognolo. Gubbio ha in G. Andreoli il massimo esponente della tecnica del lustro metallico. Venezia chiama artefici da ogni parte e crea un tipo fastosamente policromo. Nasce a Faenza e si diffonde nell’inoltrato Cinquecento un nuovo gusto per il predominio dei bianchi e per una maniera ‘compendiaria’. Con il 17° sec. inizia una decadenza della produzione artistica. Le officine minori scompaiono; Faenza produce servizi bianchi con parche decorazioni. A Savona e a Genova trionfa l’imitazione cinese e olandese (Delft). La Sicilia produce vasi di farmacia a imitazione della m. faentina, veneziana e di Casteldurante; Montelupo lavora in un genere popolaresco; Napoli produce mattonelle dipinte. Alla fine del secolo sorge un nuovo tipo in Castelli d’Abruzzo: scene di paese incorniciate da ornati e rese con cromatismo tenue. La m. di Castelli esercita un influsso su varie officine, specialmente a Siena, ma il gusto proveniente dall’estero prende il sopravvento: le cineserie, gli stili francesi, le decorazioni ‘a piccolo fuoco’ iniziate a Delft alla fine del Seicento determinano la produzione delle nuove officine, quali la Ferniani a Faenza (1693-1890), quella di F. Comerio a Milano (18° sec.), quelle di Napoli, di Torino (A. Casali e F.A. Callegari), di Pesaro (1763). Il celebre chiostro di S. Chiara a Napoli, trasformato da D.A. Vaccaro nel 1742 e armoniosamente decorato di mattonelle di Capodimonte, dà il più notevole esempio settecentesco di decorazione a m., di smagliante e fantasiosa policromia. Durante il 19° sec. la decorazione segue le vicende del gusto; in epoca moderna sull’ornato prevale l’esigenza della forma e del colore.
Già nel 13° sec. esiste una produzione di m. nel levante spagnolo (Paterna) di carattere bizantino con influssi musulmani, romanici e gotici. Valencia diviene poi centro di una vastissima produzione a lustro metallico, detta ispano-moresca. Larga esportazione ebbero le mattonelle (azulejos). L’influsso italiano, dovuto all’attività del pisano F. Niculoso all’inizio del Cinquecento, crea un nuovo tipo di carattere faentino e poi urbinate, detto pisa.
Con il 18° sec., il gusto francese domina la produzione. In Francia, già dal 15° sec. e ancor più nel 16° lavoravano maestri italiani; prendono poi sviluppo i centri di Nevers (smalto perlaceo, gusto eclettico; durante la Rivoluzione produsse le faïences patriotiques così dette dai soggetti), Rouen (smalto tendente al grigio, tecnica perfetta, produzione vasta e varia), Moustiers (ove un servita faentino sembra aver introdotto lo smalto stannifero), Strasburgo (da dove, per opera dei Hannong, si diffonde a metà 18° sec. la pittura a ‘piccolo fuoco’), Marsiglia (dapprima sotto la direzione di Italiani, incrementò poi la produzione a ‘grande’ e a ‘piccolo fuoco’).
In Germania, ove fu particolarmente alta la produzione di mattonelle da stufa nella quale si cimentarono anche pittori di grande fama, coesistono il genere italiano e un altro locale autonomo. Centro di produzione fin dal Cinquecento fu Norimberga; in Moravia, Boemia, Ungheria si sviluppa da iniziali insegnamenti italiani la cosiddetta ceramica habana.
Nei Paesi Bassi, la lavorazione, largamente penetrata di influssi italiani, era già attiva nella prima metà del Cinquecento. Alla metà del Seicento Delft diviene centro famoso e autonomo, anche se talora rivela influssi urbinati o segue modelli dell’Estremo Oriente. Il tipo più comune è il turchino su fondo bianco.
Di fondamentale importanza per la formazione del gusto moderno fu la m. inglese. Nel 17° sec. e all’inizio del 18° si produceva nello Staffordshire una ceramica rivestita di argilla semiliquida (slipware); ma verso la fine del 17° sec., in concorrenza con la porcellana olandese, si iniziò la produzione di m. saltglazed, in cui lo smalto era ottenuto dalla combinazione del cloruro di sodio con un particolare tipo di argilla. Furono così eseguiti vasellami e gruppi plastici di grande originalità. Nel 18° sec. e all’inizio del 19° furono perfezionati, soprattutto in Inghilterra (Wedgwood) e poi in Francia e in Germania, i prodotti industriali, con risultati di grande rilievo.
Arte bizantina. - Gli scavi di S. Sofia a İstanbul hanno restituito ceramiche invetriate a rilievo e stampigliate. Nelle m. d’uso, fortissime sono le influenze islamiche (fabbriche locali sono a Isparta, 1100-1250, a Pergamo, prima del 1325 ecc.), ma nelle m. destinate a rivestimenti murari, di cui esistono nei musei europei e americani frammenti comneni e paleologhi, si trovano alcuni dei più bei disegni bizantini (Vergine con il bambino, Parigi, Louvre). Notevolissimo il pavimento di Osaani (Georgia) dell’11° secolo.
Arte islamica. - L’influsso persiano pare sia stato particolarmente attivo alle origini della m. islamica, che raggiunse una tecnica magistrale. I riflessi metallici sono scoperta islamica, diffusasi probabilmente da Baghdad verso il 9° secolo. Intorno al 1000 Il Cairo divenne il centro di diffusione di questa tecnica; succedettero nel 12° sec. ar-Rayy in Persia, nel 14° Malaga, nel 15° Valencia (donde si diffuse in Italia) e nel 17° Esfahan. Nel 13° e 14° sec. Kashan produsse piastrelle per la decorazione di pareti, usate soprattutto per i miḥrāb nelle moschee. Alla formazione di uno stile islamico contribuirono le grandi tradizioni dell’Asia anteriore: ma per le innovazioni tecniche hanno grande importanza i rapporti avuti fin dal 9° sec. con la Cina, che determinarono una produzione simile alla porcellana. Nel 15° sec. tale imitazione s’iniziò anche in Turchia, con originalità di decorazione, per lo più a motivi vegetali. Le officine di Esfahan del 16° sec. producevano formelle di una mirabile ricchezza coloristica, tali da costituire vere pitture parietali collegate con la scuola pittorica di Riżā ‘Abbāsī.
Estremo Oriente. - La ceramica fu probabilmente introdotta in Cina dalla Persia nei secoli 10°-12°. Vanno considerati come m. i prodotti di Ci Zhou che preludono alla posteriore pittura a smalto. Il vasellame in m. accompagna, in sede rustica, la grandiosa evoluzione della porcellana. In Cina si predilesse la m., non anteriormente all’epoca Ming, soltanto come elemento di decorazione nelle architetture. L’uso della m. non ebbe fortuna in Giappone.