Minerale costituito da solfato di calcio (CaSO4) con durezza 2 nella scala di Mohs, densità relativa 2,3, cristallizzato nel sistema monoclino.
Ha lucentezza vitrea o madreperlacea, è limpido e incolore se puro; la geminazione più semplice è quella detta a ‘coda di rondine’, ma molto frequente è anche quella a ‘ferro di lancia’. La varietà a grandi cristalli con perfetta sfaldatura è chiamata selenite o specchio d’asino e la varietà fibrosa a lucentezza serica sericolite. Un’altra varietà di g., ma impura per la presenza di inclusioni sabbiose, è costituita da cristalli lenticolari aggregati, cui si dà il nome di rosa del deserto, presente in diverse località dell’Africa settentrionale. Il g., oltre che in cristalli, può trovarsi in aggregati lamellari o granulari saccaroidi; esso è il più comune dei solfati naturali. Si dicono gessose le rocce sedimentarie costituite prevalentemente di g. (alabastro, ballatino) o di anidrite (volpinite o bardiglio di Bergamo).
Il materiale da costruzione, pure indicato con il nome di g., viene prodotto con la cottura del minerale, specie della cosiddetta pietra da g.; questa viene frantumata o polverizzata e cotta in modo discontinuo o continuo fino a ottenere solfato di calcio semiidrato (CaSO4•0,5H2O). Alla cottura fa seguito la macinazione per conferire la finezza richiesta. Con la cottura a 120-180 °C si ottiene il g. a pronta presa per stucchi e modelli; cuocendo tra 200 e 250 °C si ottiene il g. da muratore, a presa più lenta; spingendo più a fondo la disidratazione (600 °C), si ha il g. morto, che non si può più reidratare ed è impiegato come sottofondo in alcuni tipi di pavimentazioni; a temperature ancora maggiori (800-1000 °C) si ottiene il cosiddetto g. idraulico, che ha presa lentissima e raggiunge un buon indurimento. La maggior produzione è quella del g. a pronta presa che, a seconda della purezza e del grado di finezza della macinazione, è chiamato scagliola, g. da stucco, g. da forme ecc. Come legante, il g. può essere impiegato solo in ambienti coperti e perfettamente asciutti, per cementare laterizi, pietre, ferro. Il g., mescolato con acqua e coloranti, da solo o con legante idraulico, è anche impiegato per la tinteggiatura di interni, spesso per il trattamento delle superfici cosiddette a buccia d’arancio.
In campo artistico, il g. è adoperato per l’imprimitura di tele o tavole, per la pittura e la doratura; come materiale di base per stucchi, pastiglia, scagliola; nella preparazione delle terre. Notevole il suo impiego nella scultura, in marmo o in metallo, dove è utilizzato per forme o calchi sia nella riproduzione di opere, sia nel passaggio dal modello in argilla all’opera definitiva (per quanto riguarda il Museo dei g. ➔ gipsoteca).
In medicina fasce gessate sono impiegate per ottenere immobilizzazione dei segmenti scheletrici. Il bendaggio così ottenuto si chiama apparecchio gessato. Si confeziona ricoprendo la parte con maglia di cotone o altro tessuto, per evitare il contatto della pelle con la superficie dura dell’apparecchio. Si applicano prima le fasce bagnate in acqua tiepida, si tagliano a limiti netti i bordi dell’apparecchio, e su di essi si ribalta la maglia di cotone, fissata con un giro di garza amidata. La tecnica dell’apparecchio, già nota a Celso, fu perfezionata verso la metà del 17° sec. (bende amidate); nel 1852, si ebbe la comparsa dei primi apparecchi confezionati con stoffa e gesso.
In agraria la gessatura consiste nell’immissione di g. nel terreno agrario, al fine di correggere il suo pH nel caso sia troppo basico. Con tale aggiunta nei terreni alcalini lo ione calcio del g. viene scambiato dai costituenti argillosi con liberazione di una quantità equivalente di ioni potassici, il che contribuisce alla solubilizzazione del potassio dei silicati. La gessatura del mosto è l’aggiunta di g. fatta al mosto di fermentazione, per rallentare la violenza di questo processo, ottenere vino di colore più vivo e più facilmente depurabile. La quantità di solfati del vino non può superare, secondo la legislazione italiana, il limite di 1 g/litro.