Prodotto della fermentazione alcolica di mosti ricavati esclusivamente da uve fresche o leggermente appassite, con o senza la presenza delle vinacce.
I componenti del v. sono acqua (70-80%), alcol etilico (dal 7 al 18%, di solito 10-12%), piccole percentuali di altri alcoli, alcuni acidi organici (tartarico, malico, lattico, succinico, citrico, acetico ecc.). Nel v. sono presenti inoltre tannini (meno di 1 g/l nei v. bianchi e da 1 a un massimo di 8 g/l in quelli rossi), sostanze colorate, sostanze pectiche (1-2 g/l), glicerina (5-12 g/l), aldeidi (meno di 0,1 g/l), eteri (meno di 0,01 g/l), sostanze minerali (2-4 g/l).
Il v. è bevanda millenaria tipica della civiltà mediterranea. Fin dai tempi più remoti ha assunto una potente valenza simbolica, configurandosi, insieme con il pane, come espressione di civiltà superiore e trovando ampio spazio in riti e celebrazioni. In Grecia era un usuale elemento sacrificale e come bevanda inebriante aveva un’importanza speciale nei culti orgiastici e soprattutto nel culto di Dioniso. Nell’antica Roma due feste segnate già nel calendario arcaico con il nome di Vinalia celebravano l’una, in aprile, l’inizio della consumazione del v. nuovo e l’altra, in agosto, l’inaugurazione della stagione della vendemmia. Banchetti comunitari a base di pane e v. dolce sono presenti nei testi di Qumrān e varie analogie sono state indicate con il banchetto eucaristico di Cristo e del cristianesimo il cui pane e v. costituiscono due elementi essenziali (➔ eucaristia). Le tecniche della viticoltura furono sviluppate dagli Egizi e dai Greci, e trasmesse poi ai Romani, che le specializzarono e razionalizzarono, producendo v. molto apprezzati come il cecubo e il falerno. Dopo un lunghissimo periodo di viticoltura tradizionale, dalle origini sino a circa metà dell’Ottocento, l’arrivo dall’America di Phylloxera vastatrix, un insetto che distrugge le radici di Vitis vinifera, ha costretto a innestare tutti i vitigni europei su piede americano, dando così inizio alla viticoltura moderna. Attualmente la produzione enologica si è estesa non soltanto in Europa, ma anche al di là degli oceani, in America Settentrionale e Meridionale e in Australia, nonché in Nuova Zelanda e nella Repubblica Sudafricana.
Le operazioni enotecniche per la preparazione del v. iniziano con la vendemmia, proseguono con la preparazione del mosto e la fermentazione, la svinatura, la conservazione del v.; comprendono anche trattamenti correttivi dei mosti, della vinificazione e dei v. stessi.
Preparazione dei mosti. I grappoli, raccolti e trasportati al locale di vinificazione, vengono pigiati (in passato ciò veniva effettuato con i piedi, oggi il lavoro è svolto da una macchina; fig. 1). Per quanto riguarda la pigiatura meccanica, una importante innovazione è rappresentata dalla diffusione di speciali torchi continui, detti velocipresse, che esercitano sull’uva una pressione soffice e rapida, consentendo di separare il mosto dalle bucce e dai vinaccioli, che rimangono sostanzialmente intatti.
I mosti possono richiedere correzioni per variarne il tenore di zucchero, di acidi, di sostanze colorate. Una deficienza di tenore zuccherino si può correggere con il taglio di uve più ricche in zucchero o con aggiunta di mosti concentrati o di filtrati dolci o concentrando i mosti. Una deficienza di acidità si corregge con aggiunte di acido tartarico o citrico; l’eccesso di acidità si può ridurre aggiungendo mosti deficienti di acidità o carbonato di calcio in polvere, che provoca la precipitazione di parte dell’acidità presente. Il colore si aumenta per aggiunta di mosti concentrati o di vinaccia fresca.
Fermentazione. La fermentazione può essere naturale, cioè operata dai microrganismi presenti naturalmente sulla superficie degli acini e che con la pigiatura vengono portati a contatto del mosto, o può essere guidata, cioè eseguita con colture di fermenti selezionati. Durante questa fase gli zuccheri presenti vengono trasformati in alcol, con sviluppo di anidride carbonica. L’operazione si compie in tini di legno, di cemento armato, di acciaio (fig. 2) o di vetroresina, aperti per lasciar sfuggire l’anidride carbonica che si produce. La fermentazione si può anche far avvenire utilizzando fermenti selezionati, opportunamente scelti in relazione alle condizioni di ambiente nelle quali devono agire. L’aggiunta al mosto di una piccola quantità di un lievito ottenuto facendo moltiplicare in condizioni controllate le colture di fermento selezionate, provoca per es. una fermentazione più rapida.
Le tecniche di vinificazione cambiano in relazione alle differenti tipologie di vino. La vinificazione in rosso è eseguita in presenza di bucce e di vinacce, operando ripetute follature (rottura e spinta verso il basso della massa delle vinacce risalite in seguito allo sviluppo di anidride carbonica) e rimontaggi (irrorazione dall’alto di mosto pompato dalla parte inferiore del tino). La vinificazione in bianco, cioè in assenza di bucce e di raspi, si usa per ottenere v. bianco di una certa finezza anche da uve rosse. La vinificazione in rosato si esegue da uve nere con pigiatura soffice; il mosto resta a contatto con le vinacce il tempo necessario per assumere la tonalità e l’intensità di colore desiderate. Notevole importanza va assumendo la vinificazione con macerazione carbonica, ideata da L. Pasteur e perfezionata da M. Flanzy attorno al 1935. Il ricorso a questa tecnica, applicata in origine nel Beaujolais e poi adottata in diversi paesi per la produzione dei v. novelli è in continua espansione.
La fermentazione nei tini (fermentazione tumultuosa o principale) si arresta quando il v. contiene ancora 2-3% di zuccheri, che si trasformano in alcol nella successiva fermentazione (lenta o secondaria) che ha luogo entro altri recipienti chiusi; in genere è meglio svinare presto quando si vogliono v. morbidi o amabili; con svinatura ritardata i v. acquistano sapore più ruvido. Nei moderni serbatoi in acciaio inox le operazioni di follatura e di rimontaggio sono automatizzate.
Svinatura. La svinatura porta a separare dal v. nuovo (o v. fiore) le vinacce (se presenti) e le prime fecce. Essa viene effettuata mediante pompe, facendo passare il v. attraverso setacci che trattengono le parti solide e lo avviano ai recipienti di conservazione. Durante questo passaggio il v. perde parte dell’anidride carbonica che contiene mentre si arricchisce di ossigeno.
Conservazione. Il v. dopo la fermentazione primaria svolta nei tini si raccoglie in botti, o in altri recipienti chiusi, dove il processo di fermentazione procede ulteriormente in maniera lenta. I moderni vasi vinari possono essere fabbricati in legno, cemento armato, metallo, vetroresina. Nel corso soprattutto degli anni 1990 si è affermato l’uso delle barriques, botticelle da 225 l di origine bordolese ormai diffuse in tutti i paesi vinicoli. Mentre i fusti medio-grandi sono principalmente di rovere di Slavonia, le barriques sono di rovere delle foreste francesi (Tronçais e altre zone dell’Allier, Nevers, Massiccio Centrale) o dell’Europa orientale, oppure di rovere americano (Quercus alba, molto ricca di sostanze aromatiche, specificamente del ‘whisky lattone’). Le barriques più pregiate e costose sono quelle europee, con le doghe ricavate a spacco seguendo le fibre del legno, a differenza delle barriques americane che hanno doghe segate. Importanti, oltre al tipo di albero, sono la stagionatura (un anno per ogni cm di spessore della doga) e la tecnica di fabbricazione, che prevede una tostatura a fuoco vivo del legno (ottimale è una tostatura di ca. 10 minuti). Le barriques cedono al v. note speziate, vanigliate, resinose, affumicate.
Correzioni. Non sempre i v. presentano i caratteri organolettici o la composizione chimica richiesta o desiderata dal consumatore; per adeguarli a queste esigenze si possono apportare ai v. alcune correzioni. Queste comprendono: correzione dell’alcol (mediante taglio con v. a maggiore gradazione alcolica, o mediante concentrazione per congelamento; si può anche operare una rifermentazione); correzione dell’acidità (aumento o riduzione, che si opera soprattutto mediante tagli con v. di diversa acidità); correzione del colore (riduzione per i v. troppo rossi, intensificazione per quelli troppo chiari), correzione del tannino e dell’estratto (mediante chiarificazione, che serve a rendere più limpido e chiaro il v., o mediante taglio con v. poveri in estratto).
Invecchiamento. Un particolare intervento cui è sottoposto il v. è l’invecchiamento, processo naturale con il quale si migliorano e si affinano gusto e profumo del v.; esso consiste in lenti processi di ossidazione e di eterificazione. Per accelerare il processo e intensificare gli effetti si può eseguire l’invecchiamento artificiale, mediante agenti fisici o chimici quali il calore (pastorizzazione), il freddo, l’ossigeno, l’ozono ecc.
I recipienti utilizzati per i v. di qualità sono le bottiglie da 0,75 l di varia forma (bordolesi, renane, borgognone, sciampagnotte) o i magnum da 1,5 l. Per quanto riguarda i tappi, accanto a quelli di sughero naturale e ai cosiddetti tappi tecnici (sughe;ri sminuzzati e conglomerati con speciali collanti, muniti di rondelle di sughero naturale a una o a entrambe le estremità) si è diffuso l’uso di tappi sintetici. Questi tappi non cedono al v. sostanze nocive, ma hanno una durata limitata nel tempo, e perciò si utilizzano per i prodotti di pronta beva. All’inizio di una moderna linea automatica d’imbottigliamento le bottiglie, anche se nuove, passano in una lavatrice, poi sono asciugate e trasportate su nastri alle riempitrici e una volta riempite vengono chiuse da una tappatrice; poi la capsulatrice copre la parte superiore del collo della bottiglia con capsule di alluminio, stagnola, plastica termoretraibile ecc., e l’etichettatrice applica l’etichetta e l’eventuale retroetichetta; alla fine della linea, la cartonatrice, l’incassettatrice e il palettizzatore completano il confezionamento del vino.
Ogni fase dell’imbottigliamento è seguita da controlli computerizzati. I risultati migliori si hanno con l’imbottigliamento sterile a freddo. In questa procedura tutta la linea è racchiusa in una camera in cui si immette di continuo aria sterile; il v. viene filtrato su membrane sterilizzanti; i tappi sono sterili; tutte le tubature e le apparecchiature a contatto con il v. sono trattate con flusso di vapore; nel passaggio alla riempitrice, le imboccature delle bottiglie passano su una fiamma a gas; analisi microbiologiche controllano l’assenza di contaminazioni.
In base alla destinazione si possono distinguere v. da taglio, da tavola, speciali. I v. da taglio, poco adatti al consumo diretto, sono ricchi in un determinato costituente (alcol, colore, acidità) e servono per essere mescolati a v. sprovvisti di quel dato costituente. I v. da tavola sono quelli che per caratteri organolettici, per composizione, sono adatti a essere consumati durante i pasti; si distinguono in v. da pesce (generalmente bianchi), da arrosto (generalmente rossi), da dessert; possono essere comuni, fini, superiori; i primi non hanno pregi speciali e sono di larga produzione e consumo; quelli fini presentano particolari caratteri di finezza, di profumo, di sapore; quelli superiori, oltre ad avere in misura accentuata i caratteri dei precedenti hanno di solito subito invecchiamento di più anni prima di essere messi in commercio. Per i v. da tavola la legislazione in atto consente le indicazioni in etichetta dei colori principali: bianco, rosso e rosato. Tra le qualifiche per l’indicazione del tipo del prodotto è autorizzata, per es., quella di v. novello; quest’ultimo ha una sua disciplina particolare riguardante il modo di vinificazione dovendo, almeno per il 30%, essere prodotto con macerazione carbonica (per la quale uve non pigiate, saturate in vasca con anidride carbonica, subiscono una fermentazione intracellulare che trasforma una parte degli zuccheri in alcol senza l’aiuto di lieviti), l’immissione al consumo (dopo il 6 novembre), il tenore alcolico minimo di 11°, il contenuto minimo in zuccheri non superiore a 10 g/l ecc. I v. speciali, detti anche di lusso, sono quei prodotti che, per i loro caratteri, più che come bevanda durante i pasti vengono consumati o a fine mensa o fuori pasto, quasi come liquori; essi comprendono gli spumanti (così detti per il caratteristico sviluppo di spuma), gli aromatici (derivanti da uve con sapore di moscato), gli aromatizzati (come il vermut), i passiti (preparati con uve più o meno appassite), i liquorosi, secchi o dolci (marsala ecc.). I v. liquorosi, provenienti da una sessantina di vitigni, possono subire l’arricchimento alcolico con alcol distillato di v. o con mosti concentrati e devono avere un titolo alcolometrico totale non inferiore al 15% e non superiore al 22%.
Degustare un v. significa valutarne le caratteristiche di colore, profumo e sapore mediante gli organi di senso. L’esame organolettico avviene in tre fasi successive: visiva, olfattiva, gustativa.
Esame visivo. Nell’esame visivo si prendono in considerazione la limpidezza, la fluidità, la vivacità, l’effervescenza, il colore. La limpidezza è il grado di trasparenza alla luce; in scala decrescente, un v. può essere cristallino o brillante oppure limpido, quando non ci sono velature evidenti ma la luminosità non è assoluta. Alla fluidità concorrono la ricchezza di alcoli, di zuccheri e di acidi; quando si fa ruotare il v. nel bicchiere l’alcol, più volatile, sale verso la sommità del calice e per capillarità richiama verso l’alto altro alcol, finché compaiono gocce (‘lacrime’) che ricadono lungo il vetro e formano tipici archetti (effetto Marangoni); un v. molto alcolico produce numerosi archetti piuttosto stretti, mentre un v. poco alcolico genera un minor numero di archetti più ampi. La vivacità dipende dalle sostanze coloranti e dall’acidità reale (un v. è tanto più vivace quanto maggiore è il suo tenore acido). L’effervescenza dipende dall’anidride carbonica che si lega alle proteine e forma file di bollicine (perlage) che negli spumanti e nei v. frizzanti devono essere piccole, continue e persistenti. Il colore è legato alle sostanze coloranti naturali; l’intensità dipende dalla varietà, dallo stato di maturazione e dalla sanità dell’uva, dalla durata della fermentazione e dalla quantità di anidride solforosa, mentre la tonalità è correlata al tipo di sostanze coloranti presenti e alla forza acida. Nei v. bianchi i colori vanno dal paglierino chiaro all’ambrato (col tempo tendono a incupire e a perdere vivacità); nei rosati dal rosa tenue al cerasuolo e al chiaretto (rubino pallido); nei rossi dal porpora al rubino, al granato (nel tempo, perdono intensità e assumono tonalità aranciate).
Esame olfattivo. L’esame olfattivo è complicato dal fatto che non si percepisce un confine preciso tra olfatto e gusto. In un v. di consumo corrente si avvertono due o tre profumi dominanti; in un prodotto di pregio o lungamente invecchiato, si arriva a riconoscere una dozzina di sentori differenti. Il bouquet di un v. può essere ampio, quando presenta numerose sfumature; fruttato, quando prevale il sentore di frutta matura (v. giovani); etereo o penetrante, quando si sente il tono pungente degli eteri (v. maturi); vinoso, se mantiene il ricordo del mosto in fermentazione; altri aggettivi usati per qualificare il bouquet sono, per es., delicato, fine, garbato, elegante, netto, fragrante. In linea di massima, nei v. giovani predominano i sentori di frutta e di fiori freschi; con il tempo, subentrano i sentori di frutta appassita e di confettura; poi si colgono (nei rossi) dei sentori animali e dei ricordi di sottobosco, tostatura, spezie (in particolare, nei v. maturati in rovere si avverte la vaniglia).
Esame gustativo. Nell’esame gustativo si valutano i sapori primari (dolce, salato, acido e amaro) e tutta una serie di sensazioni: chimiche, termiche, tattili. Il dolce è legato alla presenza di zuccheri residui, percepiti soprattutto sulla punta della lingua, e anche alla ricchezza di alcol etilico e di glicerina, che danno una sensazione di morbidezza e dolcezza. Il salato è dovuto ai sali minerali (tartrati, fosfati, cloruri) ma viene mascherato dall’alcol; si percepisce sui bordi anteriori e verso il centro della lingua. L’acido è provocato dai diversi acidi organici (tartarico, malico, lattico, succinico, citrico, acetico ecc.) in misura direttamente proporzionale alla concentrazione e alla forza di penetrazione nei tessuti; esso viene percepito sui lati della lingua (principalmente in corrispondenza delle ghiandole parotidi) e fornisce un’impressione di freschezza e di astringenza, attenuando le sensazioni di morbidezza e pseudo-calore degli alcoli e la dolcezza degli zuccheri; è in sinergia con la ruvidità e l’amaro del tannino. L’amaro è causato dall’ossidazione enzimatica e dalla resinificazione dei polifenoli nei v. rossi invecchiati; viene percepito sul fondo della lingua e ha una soglia di percezione bassissima. Non tutti i composti polifenolici hanno gusto amaro. Gli antociani (presenti nei v. rossi da 200 a 500 mg/l) sono insapori finché sono liberi, e non condensati con i tannini. Decisamente amari sono invece gli acidi fenolici e i tannini condensati provenienti dai raspi, dai vinaccioli e dalle bucce dell’uva; il gusto amaro e la sensazione di astringenza dipendono in particolare dal grado di polimerizzazione. Importante è valutare l’equilibrio gustativo, ossia l’armonia tra i componenti fondamentali. In un v. bianco, l’equilibrio è determinato da una giusta proporzione tra l’acidità e la morbidezza (oltre alla dolcezza degli eventuali residui zuccherini). In un rosso i componenti dell’equilibrio sono tre: la morbidezza (alcoli ed eventuali zuccheri), l’acidità (acidi organici) e l’astringenza (tannini).
Postsensazioni. L’esame organolettico si conclude con le post-sensazioni: la persistenza aromatica intensa (PAI) e il retrogusto. La PAI è il tempo durante il quale permane, apparentemente in bocca (in realtà sulla mucosa olfattoria, per via retronasale), una notevole sensazione d’aroma dopo che il v. è stato espulso dal cavo orale. La PAI differisce dal retrogusto perché le sensazioni che comporta (olfattive e non gustative) sono identiche o comunque molto vicine a quelle percepite quando il v. si trova ancora in bocca. Il retrogusto è una deviazione del gusto iniziale (per es., un v. dolce con un fondo amaro) e va perciò giudicato negativamente. La PAI può essere utilizzata per dividere i v. in differenti categorie di pregio, partendo dalla constatazione che l’impressione di aroma è sempre più prolungata nei prodotti di alta qualità (ovviamente distinguendo tra v. ottenuti da uve aromatiche e v. ottenuti da uve non aromatiche).
La denominazione di origine dei v. compete a nomi geografici o qualificazioni geografiche della corrispondente zona di produzione, accompagnata o meno da nomi di vitigni o altre indicazioni. Le denominazioni di origine sono suddivise in DOCG (denominazione di origine controllata e garantita), DOC (denominazione di origine controllata), IGT (indicazioni geografiche tipiche). Per denominazione di origine del v. si intende il nome geografico di una zona vinicola, utilizzato per designare un prodotto di qualità rinomata, le cui caratteristiche sono connesse all’ambiente naturale e ai fattori umani della zona. Per indicazione geografica tipica si intende il nome geografico di una zona utilizzato per designare il prodotto che ne deriva. La DOCG (v. tabb. 1, 2, 3, 4) è riservata a quei v. già DOC da almeno 5 anni, che siano di particolare pregio riconosciuto a livello nazionale e internazionale. La DOC e la IGT sono riservate alle produzioni che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti, per ciascuna di esse, dai relativi disciplinari di produzione, approvati, contestualmente al riconoscimento della denominazione, con apposito decreto ministeriale. Le DOCG e le DOC sono le menzioni specifiche tradizionali utilizzate dall’Italia per designare i v. di qualità prodotti in regioni determinate (VQPRD) previsti dal regolamento comunitario.
La produzione mondiale di v. si è attestata nei primi anni 2000 intorno ai 27 milioni di t annue (27,2 nel 2008), con punte di oltre 30 milioni di t. Le maggiori produzioni si sono avute in Europa (17,5 milioni di t nel 2008, circa il 64% della produzione mondiale) dove i paesi dell’Unione Europea detengono la quota preponderante (Francia, Italia e Spagna sono i primi produttori mondiali e da sole, con 12,7 milioni di t, producono circa il 72% del totale europeo). Dalla fine degli anni 1980 in Europa si è constatata una tendenza significativa alla diminuzione delle superfici coltivate (tra il 1988 e il 2008 la superficie destinata alla vite nell’Unione Europea è passata da 4,5 a 3,6 milioni di ha), mentre nello stesso periodo le rese non hanno registrato variazioni significative. Il continente americano detiene circa il 19,5% del totale (5,3 milioni di t); la quota maggiore (circa il 43%) è costituita dalla produzione degli Stati Uniti, quarto produttore mondiale. La produzione del continente asiatico (concentrata per oltre l’80% in Cina) rappresenta il 6,8% del totale mondiale; segue quella dell’Oceania (4,9%, concentrata per oltre il 90% in Australia), mentre di poco inferiore (4,2%) è quella del continente africano (concentrata per l’89% nella Repubblica Sudafricana). La distribuzione geografica dei consumi ricalca grosso modo quella delle produzioni: i paesi europei assorbono il 65,5% dei consumi complessivi (dati 2009), le Americhe il 21,3%, l’Asia il 7,8%, l’Africa il 2,9, l’Oceania il 2,5%.
In Italia, l’andamento della produzione vinicola complessiva risulta in diminuzione (da 5,7 milioni di t nel 1988 a 4,6 milioni nel 2008), mentre è aumentata la produzione di v. di pregio. Sul calo di produzione hanno influito molto più degli eventi stagionali le limitazioni imposte dalle norme comunitarie, l’aumento dei costi di produzione che non stimolano i piccoli produttori a investire nel settore e la minor richiesta del mercato interno.