Pianta dal cui frutto (uva) si trae il vino. Per v. s’intende normalmente la v. europea o v. nostrana (Vitis vinifera; v. fig.), unica specie del genere che vive spontanea in Europa e in tutto il bacino mediterraneo. Delle specie americane hanno notevole importanza per la viticoltura europea alcune specie resistenti all’attacco della fillossera (Vitis riparia, rupestris e berlandieri) e alcune altre che entrano nella costituzione di taluni ibridi usati come portinnesti (Vitis cordifolia, candicans, cinerea ecc.); vi è poi Vitis labrusca, la più antica specie americana introdotta in Europa, tuttora usata, in alcune sue varietà, per il frutto. Delle specie asiatiche nessuna è utilizzata nella viticoltura europea. Lo studio della v. può farsi da un punto di vista botanico e da uno ampelografico (➔ ampelografia).
Il fusto della v. normalmente non assume notevoli dimensioni. Sulle branche del ceppo si trovano i rami di 1-2 anni, detti tralci: essi sono divisi da nodi in porzioni di lunghezza varia (più corte verso la base) dette internodi (o meritalli); sui nodi si trovano le gemme all’ascella dei piccioli. Dal lato opposto, a partire per lo più dal 3°-4° nodo, si trovano i grappoli e i cirri (comunemente detti viticci, sono gli organi di attacco della v. e di altre piante delle Angiosperme). Dalle gemme che hanno passato l’inverno in riposo, a primavera spuntano i germogli, i quali danno origine a nuove gemme di cui alcune schiudono nella stessa stagione (gemme pronte) originando altri germogli detti femminelle (o rami anticipati), i quali a loro volta possono dar luogo a sottofemminelle: le une e le altre raramente possono anche portare fiori e frutti. Da altre gemme, nascoste sotto la corteccia del ceppo o delle branche (gemme latenti), possono svilupparsi germogli vigorosi, ma normalmente infruttiferi, detti succhioni o polloni. I fiori sono di norma ermafroditi ma a volte risultano femminili, per deficiente sviluppo degli stami e conseguente mancanza di polline; la fecondazione è generalmente incrociata; gli ovuli fecondati si trasformano nei semi, i vinaccioli.
La v. selvatica (Vitis vinifera sottospecie silvestris) è specie dioica (con rari individui ermafroditi), spontanea nei boschi umidi lungo il Danubio (Austria) e il Reno e in altri punti dell’Europa centrale, nei paesi del Mediterraneo e dell’Africa nord-occidentali; ha bacche di 5-7 mm, azzurro-violacee, poco succose e acide. La sottospecie sativa comprende tutte le numerosissime (forse 5000) razze coltivate (vitigni) che sono derivate da mutazione gemmaria oppure da ibridazione spontanea o artificiale tra Vitis vinifera e varie specie americane (v. tab.). Dei molti vitigni solo un numero esiguo è coltivato industrialmente e la tendenza è quella di limitarne il numero al minimo possibile; alcuni di essi sono più adatti a produrre uve da vino, altri uve da mensa (➔ uva).
La viticoltura, nota a Etruschi, Euganei, Latini e Sabini, raggiunse grande perfezione tecnica durante l’epoca romana; ripresa alla fine del Medioevo, con la scoperta dell’America si diffuse nel Nuovo Mondo, mentre con il Rinascimento si affermò la fama dei numerosissimi vini italiani. La comparsa in Europa, verso la metà del 19° sec., della cosiddetta crittogama della v. (il primo dei più gravi parassiti venuti dall’America) e, circa vent’anni dopo, della fillossera e infine della peronospora, determinò nella v. una crisi gravissima, superata con l’adozione di anticrittogamici e di v. americane resistenti.
L’area occupata dalla v. europea e dai vitigni coltivati in Europa e nei paesi adiacenti è notevolmente estesa; molta importanza ha anche l’altitudine, il cui limite massimo è naturalmente in funzione della latitudine (per es., è di circa 300 m in Ungheria e di 1300 sull’Etna); l’effetto combinato di questi due coefficienti può esprimersi con una cifra, detta punto climenologico. La v. è certo più esigente in fatto di clima che di terreno: ne permettono la coltura quasi tutti i terreni, tranne quelli troppo umidi, troppo acidi o troppo alcalini; il terreno ha però grande influenza sulla quantità e, soprattutto, sulla qualità del prodotto della vite. La v. è fra le piante più soggette alle avversità atmosferiche e comunque fisiche dell’ambiente e agli attacchi dei funghi e degli animali.
La potatura della v. è un’operazione fondamentale: consiste nel sopprimere una parte degli organi legnosi (potatura secca) o erbacei (potatura verde). Senza la potatura la v. assumerebbe un portamento disordinato, darebbe una produzione molto incostante da un anno all’altro e qualitativamente mediocre. Una potatura razionale deve basarsi sui seguenti principi: a) la vigoria vegetativa della v. è fino a un certo punto contraria alla sua attitudine a fruttificare; b) la vigoria è proporzionale al numero delle foglie; c) una potatura molto severa deprime la vigoria vegetativa; d) lo sviluppo degli organi omologhi è complementare; e) lo sviluppo del sistema aereo è proporzionale a quello radicale; f) la posizione orizzontale o ricurva dei tralci favorisce la fruttificazione; g) il frutto della v. è portato dai germogli che escono dai tralci di un anno situati su legno di due anni. Per le concimazioni d’impianto o fondamentali del terreno era tradizionalmente indicata un’abbondante somministrazione di letame, oggi surrogato da sostanza organica di diversa origine: animale (lombrichi), vegetale o industriale. Riguardo alle concimazioni periodiche, cioè di v. già in produzione, la moderna tecnica agronomica indica un apporto di nutrienti minerali in funzione della fertilità del terreno, desunta da analisi chimico-agrarie e di diagnostica fogliare; vengono in particolare utilizzati concimi chimici, specialmente fosfatici, potassici e azotati. Per l’impianto del vigneto lo scasso del terreno deve essere effettuato a profondità da 60 cm a 1 m o più. D’importanza essenziale è la scelta dei portinnesti americani su cui innestare i vitigni europei e quella dei vitigni propriamente detti. La v., per sua natura sarmentosa, non può reggersi senza appropriati sostegni (➔ alberata; sostegno).