Complesso dei granuli pollinici (microspore) delle piante Fanerogame.
Il p. si origina nei sacchi pollinici (microsporangi o microsporoteci), porzioni fertili degli stami (microsporofilli). I granuli pollinici costituiscono il prodotto della meiosi delle cellule madri del p., o cellule archesporiali. Se durante la meiosi si forma una membrana divisoria successivamente a ogni divisione, il p. ha origine per formazione succedanea (Monocotiledoni) altrimenti simultanea (Dicotiledoni). A maturità i granuli pollinici possono essere liberi l’uno dall’altro (p. polverulento), oppure riuniti a due a due (di rado) o in tetradi come sono stati formati dalle cellule madri (p. coerente), o anche conglutinati in masse compatte (pollinio) di 16-32-64 granuli, come nelle Mimosacee, o anche di molte centinaia, come nelle Asclepiadacee e Orchidacee.
Il complesso di p. che si forma in una metà dell’antera nelle Orchidacee prende il nome di pollinario; esso è sostenuto da un sottile peduncolo, detto caudicola, il quale finisce alla base in una massa vischiosa, facilmente staccabile dall’antera.
La forma dei granuli pollinici è la più varia (sferica, poliedrica, allungata, vermiforme), come variabili sono le dimensioni (da 2,5 μm in Myosotis, a 250 μm in Mirabilis; nel p. delle Pinacee e delle Podocarpacee, sono caratteristiche due espansioni laterali vescicolose, importanti nel trasporto anemofilo del polline (fig. 1). Quanto al colore, esso è giallo, meno spesso rossiccio, azzurrognolo, bruno o bianco.
Il singolo granulo è protetto da una doppia membrana: l’intina più internamente e l’esina esternamente. L’intina è di natura celluloso-pectica, è assai sottile e deriva dall’attività stessa del granulo pollinico; l’esina è costituita di terpeni polimerici formanti un insieme di sostanze, di formula chimica media approssimativa C90H129O12(OH)15, che presentano alcune varianti nella molecola da specie a specie e alle quali è stato dato il nome collettivo di sporopollenine, in quanto questi politerpeni sono comuni alla parete esterna dei p. e delle spore delle Felci. Nell’ultimo stadio della formazione dei granelli di p., una parte delle cellule del tappeto assume funzione secretoria e forma un insieme di composti che si collocano, in forma di piccoli granuli, sulla superficie dei granuli pollinici, costituendovi una copertura protettiva fino alla loro germinazione. Questo processo determina l’ispessimento considerevole dell’esina, su cui si appone dall’esterno la sporopollenina, senza che tale deposito comporti quindi una riduzione del lume cellulare.
La superficie esterna dei granelli di p. è caratterizzata da sculture elaborate e caratteristiche per ogni specie, il che presuppone il controllo genetico della loro origine e del loro sviluppo. La forma e la disposizione degli elementi di tali sculture permettono l’identificazione della pianta che ha prodotto un dato p. in base alla morfologia della superficie della parete dei granelli stessi.
La sporopollenina è resistentissima agli agenti più diversi, sia fisici sia chimici; la stessa cellula pollinica non possiede enzimi capaci di scinderla, tanto che la germinazione del granulo pollinico nelle Gimnosperme è permessa solo dal fatto che, col rigonfiarsi del contenuto cellulare, l’esina si lacera e il p. se ne spoglia. Nelle Angiosperme invece l’esina non è continua o almeno non è uniformemente ispessita: essa presenta di solito un certo numero (da 1 a molti) di pori germinativi, dove l’esina è interrotta, oppure molto sottile e anche di diversa natura chimica, e appunto attraverso uno di tali pori passa il tubetto pollinico.
Il granello pollinico, quando sta per germinare sullo stigma (nelle Angiosperme), in seguito alla divisione del nucleo risulta binucleato; delle due energidi, che lo costituiscono, una, più grande, rappresenta la cellula vegetativa o sifonale, che forma il tubo pollinico, l’altra, più piccola, è la cellula generativa, la quale si divide in due nuclei, che sono i due gameti maschili, ossia gli spermi. In queste piante il gametofito maschile originato dalla microspora (granello pollinico) è quindi estremamente ridotto perché costituito da tre nuclei dei quali uno solo, quello vegetativo, rappresenta la fase aplofitica, omologa del protallo delle Felci. Le due accennate divisioni possono avvenire quando il p. è ancora racchiuso nell’antera oppure quando il granello sta per germinare. Alla germinazione il contenuto del granello, rigonfiato per assunzione di acqua, esce da uno dei pori germinativi in forma di tubo (tubo o tubetto o budello pollinico) provvisto di sottilissima membrana, il quale si accresce assorbendo sostanze dai tessuti dello stilo con cui viene a contatto. Questa estroflessione rappresenta la cellula vegetativa; il suo nucleo sta a breve distanza dall’apice del tubetto ed è seguito passivamente dai due nuclei spermatici. Il tubetto, facendosi strada nei tessuti dello stilo o strisciando alla superficie del canale stilare, raggiunge alla fine l’ovulo nel quale avviene la doppia fecondazione (➔).
Nelle Gimnosperme il granello germina nel liquido secreto dall’ovulo, che si raccoglie nella regione micropilare; il granello germinante è già pluricellulare. La cellula vegetativa della parte superiore del granello sviluppa il tubetto che ha funzioni di austorio. I nuclei spermatici liberati nel suddetto liquido raggiungono le oosfere, in certe specie anche mediante movimenti attivi (ciglia), e compiono la fecondazione. Per la presenza del tubetto pollinico le Fanerogame sono state chiamate anche Sifonogame.
Il p. è spesso descritto sulla base della forma delle aperture, ovvero di quelle aree della parete esterna attraverso le quali emerge il tubetto pollinico durante la germinazione (fig. 2). Il p. è detto colpato (o solcato) quando le aperture sono rappresentate da lunghi solchi; porato, quando le aperture sono circolari e simili a pori; zonato, quando presenta aperture a forma di anello o di banda; colporato, quando combina il tipo di apertura colpato con quello porato. Le aperture possono essere localizzate al polo, all’equatore o essere più o meno distribuite su tutta la superficie del granulo pollinico. A seconda del numero di aperture presenti, ai termini colpato, porato e colporato, usati per definire il p. e la sua struttura, vengono aggiunti i prefissi mono-, tri-, poli-. La natura e il numero delle aperture del p. sono costanti in molti taxa di piante; per es., le Monocotiledoni sono di base un gruppo monocolpato, mentre all’interno delle Dicotiledoni c’è un vasto gruppo di piante Tricolpate (➔).
6. Analisi pollinica
Metodo di studio basato sull’esame dei p. fossili, ha un notevole interesse in geologia, poiché con le tecniche di datazione esso si presta a dare indicazioni circa l’età dei vari depositi; inoltre il p. si è dimostrato un utilissimo indicatore delle condizioni climatiche esistite in epoche passate.
Delle grandi quantità di granelli pollinici che sono dispersi dai venti e che, per la loro leggerezza, si portano anche a grande distanza, la parte che cade in ambienti lacustro-lagunari e nelle torbe si può conservare per un tempo indefinito allo stato fossile, in quanto la parete dei granelli è una membrana resistentissima agli attacchi chimici. Poiché i granelli pollinici di una data specie sono costanti per grandezza, forma e scultura della membrana, e sono invece più o meno differenti a seconda della specie o del genere o della famiglia vegetale, in un complesso di granelli fossili di una data località si possono distinguere quelli appartenenti a famiglie e generi e spesso anche a specie diverse.
Confrontando i saggi di p. di strati sedimentari successivamente formatisi dal basso verso l’alto, in un lago o in una torbiera, si notano differenze di composizione e di abbondanza dei p. delle varie specie e così si può ricostruire l’aspetto generale della vegetazione che circondava il lago o la torbiera nei diversi tempi successivi. Con vari trattamenti meccanici e chimici si eliminano dal campione contenente granelli pollinici i materiali estranei e si concentrano così i granelli, che poi si contano. Quando sono note le proporzioni dei vari generi per ognuno dei diversi strati di un deposito lacustre o di una torbiera, si ha il diagramma (o profilo) pollinico (fig. 3), nel quale risultano in evidenza gli spettri pollinici (cioè l’andamento della relativa importanza di ciascun genere in uno strato sedimentario). I cambiamenti negli spettri dal basso verso l’alto sono in rapporto con l’età del deposito.
L’analisi pollinica si dimostra utile anche per datare reperti archeologici; in complesso è un mezzo d’indagine sussidiario di altre discipline, come paleogeografia, paleoclimatologia, paleoetnologia e fitogeografia storica (➔ anche palinologia). Nell’analisi dei mieli, lo spettro pollinico consente di accertare la composizione e provenienza di un dato campione ed è utile per individuare zone di tipicità.
Teoria sostenuta da alcuni botanici del principio del 19° sec., secondo la quale l’embrione della nuova pianta (nelle Fanerogame) sarebbe contenuto nell’estremità del tubetto pollinico e per mezzo di questo giungerebbe nell’ovulo, nel quale si svilupperebbe. G.B. Amici dimostrò (1822) che avviene il contrario, perché la prima cellula dell’embrione è la cellula-uovo contenuta nell’ovulo, la quale viene fecondata da un gamete maschile portatovi dal tubetto pollinico. Questa seconda teoria è nota come teoria ovulista o ovulismo.
Sotto il nome comune di pollinosi è compreso un gruppo di sindromi allergiche, causate da p. e caratterizzate da fenomeni infiammatori a carico delle mucose dell’occhio e delle vie respiratorie. Rientrano in tale gruppo alcune sindromi quali: febbre da fieno stagionale, corizza allergica, allergia pollinica ecc. Nella sua patogenesi avrebbero maggiore importanza i contatti occasionali e periodici con quantità non massive di polline. I p. più comunemente in causa appartengono a piante anemofile e di larga diffusione: Poacee, Urticacee ecc.; rare in Italia le sensibilizzazioni alle Ambrosiee, frequenti invece negli Stati Uniti. Per tale ragione la pollinosi ha uno spiccato carattere stagionale, con frequenza massima in primavera. Il contatto con l’antigene provoca nell’uomo immunoreazioni di tipo reaginico (➔ reagine).
Tra i sintomi più comuni alle varie forme di pollinosi sono: starnuti a salve, ostruzione nasale, prurito faringeo e oculare con lacrimazione, tosse spastica, asma bronchiale ecc.
La diagnosi generica di pollinosi è basata sul riscontro anamnestico e sulla presenza dei sintomi caratteristici; quella eziologica si basa sulle prove allergiche (cutireazioni con estratti allerginici, determinazione quantitativa delle IgE ecc.). La prognosi è in genere favorevole. La profilassi si attua cercando di sfuggire al contatto con i pollini responsabili. La terapia consiste nella desensibilizzazione specifica (iniezioni sottocutanee o intradermiche di estratti di p.) o aspecifica (antistaminici, inalazioni di disodio cromoglicato, cortisonici ecc.).