Formazione anatomica tubolare a pareti proprie o scavata in una struttura compatta, che serve al passaggio di liquidi (sangue, urina, bile ecc.), di altre formazioni anatomiche (nervi, muscoli, tendini ecc.), o di alimenti. C. di Falloppio C. scavato nello spessore della rocca petrosa del temporale e occupato dal nervo facciale. C. midollare Nella diafisi delle ossa lunghe, la cavità centrale, allungata nel senso del maggior asse, contenente il midollo osseo. C. semicircolari Elementi del labirinto dell’orecchio interno. Sono costituiti da tre c. scavati nella rocca petrosa del temporale (c. semicircolari ossei) e disposti ad arco di cerchio, su piani tra loro perpendicolari ed orientati secondo le tre direzioni dello spazio. I c. semicircolari ossei racchiudono un’analoga formazione membranosa: i c. semicircolari membranosi. I due sistemi di c. sono reciprocamente separati da un liquido, detto perilinfa, in contrapposizione all’endolinfa, che è contenuta nei c. membranosi. Sono organi dell’equilibrio. C. vitellino Peduncolo che unisce la vescicola ombelicale (sacco vitellino) all’intestino dell’embrione.
C. di Marte Formazioni della superficie marziana a forma di sottili strisce oscure rettilinee, così denominate dal padre A. Secchi (1859) e più tardi (1877) da G.V. Schiaparelli (➔ Marte).
C. di membrana Sono così dette alcune proteine complesse, inserite entro la membrana cellulare o nella membrana di organelli intracellulari, che costituiscono un c. per il passaggio, selettivo e specifico, di ioni o molecole a basso peso molecolare (c. ionici, c. idrofili). I c. di membrana mettono in comunicazione l’interno delle cellule con lo spazio extracellulare, l’interno degli organelli intracellulari con il citosol, o il citosol di una cellula con quello di una cellula contigua; in questo ultimo caso i c. vengono chiamati giunzioni comunicanti. L’apertura e la chiusura dei c. è controllata da diversi meccanismi: associazione di un legando (un ormone, una tossina) con un recettore che può essere anche una proteina del c., modificazione locale del potenziale di membrana, modificazione della concentrazione intracellulare di ioni, protoni, o altri messaggeri che possono attivare la fosforilazione di una proteina costitutiva del c. o a esso associata. La selettività dei c., che è responsabile del passaggio di particolari soluti e non di altri, dipende dalle dimensioni del c., regolate a loro volta dalla struttura e dalle variazioni di conformazione delle proteine che costituiscono il c. stesso; un altro fattore che regola la specificità è costituito dalle proprietà del micro-ambiente del lume del c. e quindi dalle caratteristiche delle proteine che lo rivestono. Tra i principali c. ionici sono da ricordare quelli per gli ioni sodio, potassio e calcio.
Cavità, per lo più cilindrica o fusiforme, che si forma nello spessore di un tessuto per schizogenesi. Le cellule parietali possono elaborare particolari sostanze che poi si riversano nel c.: si parla in questo caso di c. secretore (per es., i c. resiniferi nelle Conifere, i c. laticiferi nelle Euforbiacee). Se il c. contiene aria, servendo così all’aerazione dei tessuti vicini, è detto c. aerifero (diverse piante acquatiche).
Il canalicolo è un c. di comunicazione tra cellula e cellula, che si forma nelle pareti cellulari per disuguale accrescimento dello spessore di queste. Visti di fronte i canalicoli appaiono come punteggiature. Sono più o meno numerosi per ogni cellula e disposti in corrispondenza a quelli delle cellule attigue; benché interrotti dalla membrana primaria (lamella mediana) hanno la funzione di facilitare gli scambi materiali. Mancano di rado: per es., nel sughero e nella parete esterna delle cellule epidermiche.
Raggi c. Radiazioni corpuscolari costituite da ioni positivi, così detti in quanto per rivelarli ci si serve di un tubo a scarica con un catodo nel quale è praticato un canaletto di guida (➔ raggio).
In fisica nucleare e subnucleare si chiama c. di reazione ciascuno dei possibili stati finali che si hanno nell’interazione di due particelle, mentre è detto c. di decadimento ciascuno dei possibili stati finali che si hanno nel decadimento di un nucleo o di una particella.
Il termine c. si adopera per indicare:
a) un solco, un’incavatura nella montagna, fra pareti rocciose molto ripide; è anche nome, frequente in toponimi delle Alpi Orientali, con cui si designano le valli trasversali incise nelle rocce calcaree (C. di Brenta);
b) un passaggio naturale nel quale si stende il mare, aperto tra terre emerse, continentali e insulari, avente una larghezza maggiore di quella che caratterizza gli stretti (c. di Otranto, c. della Manica) e usato quale via di comunicazione marittima;
c) un’insenatura o un braccio marino di forma stretta e lunga, che corrisponde a un’antica valle invasa dal mare, tipo frequente lungo le coste della Dalmazia.
C. di marea C. di comunicazione fra lagune e mare aperto, nel quale il movimento dell’acqua è determinato dalle oscillazioni della marea (è cioè ascensionale, verso la laguna, durante l’alta marea, discensionale invece durante la bassa marea).
Grossa tubazione laterizia o metallica (ghisa, rame, acciaio zincato) per la raccolta o lo smaltimento delle acque pluviali; anche la tubazione di cemento o gres per lo smaltimento delle acque di rifiuto (c. di fognatura o fognolo). In particolare, si dicono c. di impluvio (o converse) i c. situati lungo le linee di impluvio che si determinano nella intersezione delle falde del tetto per convogliare al c. di gronda (o grondaia) l’acqua che scola dalle falde stesse. Con il nome di coppo c. si indica un laterizio a forma di mezzo tronco di cono vuoto che si adopera nella costruzione dei tetti e che viene detto anche tegola curva o semplicemente coppo.
Sede di scorrimento d’acqua, creata artificialmente per servire all’irrigazione, al prosciugamento di terre, alla navigazione, all’industria ecc. Spesso uno stesso c. può essere destinato a usi diversi. L’acqua d’alimentazione dei c. per lo più è prelevata da corsi d’acqua o da specchi lacustri con opere di presa (➔). Il tracciato è subordinato sia agli scopi dell’opera sia alle particolarità locali. Così, possibilmente, un c. irriguo deve mantenersi sempre più alto dei terreni da irrigare, per evitare che si debba ricorrere al sollevamento meccanico dell’acqua al livello del terreno, mentre i c. di scolo (o di drenaggio), che raccolgono le acque in eccesso dei campi irrigati, devono seguire le linee più depresse del terreno emunto.
In generale la sezione di un c., come quella di una strada, può risultare incassata nel terreno o a mezza costa o in galleria. Nei tratti in cui la sezione risulti totalmente pensile, cioè tutta al di sopra del terreno naturale, in luogo del rilevato di sostegno (di larghezza sempre assai notevole per la necessità di formazione degli argini) può convenire l’adozione di un ponte c., cioè un ponte con un adeguato numero di sostegni intermedi e destinato a dare passaggio alle acque del c.; oppure anche l’adozione di un sifone, cioè un tratto di c. a sezione chiusa che segue l’avvallamento del terreno e in cui perciò il moto dell’acqua è in pressione anziché a pelo libero. Quanto alla forma della sezione, a seconda della natura del terreno e della destinazione del c., si adottano sezioni trapezie (con inclinazione delle sponde commisurata alla natura del terreno), rettangolari (per c. in muratura e in roccia), circolari (per c. in galleria), ovoidali (per fognatura).
Il fondo e le sponde, per i c. in terra, possono essere variamente rivestiti sia per evitare l’erosione (con palizzate, fascinate, scogliere, mantellate o corazze flessibili ecc.), sia per ottenere l’impermeabilità (con argilla battuta, rivestimenti in mattoni, in calcestruzzo ecc.). Se la velocità dell’acqua è elevata (come accade in genere nei c. per usi industriali), il materiale più usato per il rivestimento è il calcestruzzo, realizzato con lastre gettate o prefabbricate.
Nella progettazione di un c. il calcolo della sezione è basato sull’ipotesi che il moto dell’acqua risulti uniforme. Accanto all’equazione di continuità Q=US, dove Q è la portata, U la velocità media dell’acqua, S l’area della sezione, è valida la relazione (Chézy) U=χ √‾‾‾RI, essendo R il raggio idraulico della sezione, cioè il rapporto tra la sua area e il contorno bagnato, I la pendenza del pelo libero o del fondo, χ il coefficiente di scabrezza. I valori di χ sono diversi secondo la natura delle pareti del c. e, a parità di sezione, secondo l’entità del contorno bagnato. Per i c. scavati in terra si assume una sezione di forma trapezia simmetrica, che risulta molto economica, anche per la possibilità di compenso trasversale tra scavi e riporti (utilizzati per gli argini). La pendenza delle sponde è di solito di 2:3. Il rapporto tra l’altezza e la base inferiore della sezione può essere quello che corrisponde al minimo contorno bagnato, a parità di area (sezione di minore resistenza che dà luogo alla massima portata), oppure quello che dà luogo a minori perdite di acqua per infiltrazione, e che viene determinato in base a formule empiriche diverse (si ricavano altezze molto minori che con il criterio precedente). Circa il valore da assumere per la velocità media, questa è limitata superiormente per il pericolo di erosione del fondo e delle sponde, e inferiormente per la necessità di evitare i depositi di limo e le conseguenti diminuzioni di sezione. Le formule già ricordate consentono di risolvere i problemi principali di calcolo: dati che siano due dei tre elementi caratteristici di un c. (sezione, portata e pendenza), esse consentono di determinare il terzo. Sulla scelta degli elementi influisce essenzialmente lo scopo specifico cui il c. è destinato. Così, per es., per i c. navigabili è necessaria una pendenza longitudinale molto piccola (praticamente nulla) mentre per i c. industriali per forza motrice, scavati in roccia e rivestiti di muratura, la pendenza può anche essere notevole al fine di ridurre la sezione del c., sacrificando parte del salto disponibile all’economia generale.
La costruzione di un c. richiede anche quella di certe opere accessorie, di diverso numero e tipo a seconda delle caratteristiche del c. stesso. Oltre alle opere di presa si hanno normalmente dispositivi regolatori della portata, ponti-c. e sifoni per l’attraversamento di depressioni o altri ostacoli del terreno, chiaviche di scolo e bocche di erogazione, conche di navigazione, elevatori, partitori delle portate e misuratori delle medesime.
C. di bonifica Servono a facilitare il deflusso delle acque da terreni di difficile scolo. Analoga funzione hanno i c. (c. collettori, di fuga ecc.) per l’allontanamento dai centri abitati delle acque di rifiuto e di quelle piovane.
C. d’irrigazione Hanno importanza fondamentale nell’economia agricola delle zone siccitose. Classici esempi sono, in Italia, il c. Cavour, derivato dal Po a Chivasso, il c. della Vittoria (1923-27), derivato dal Piave presso Nervesa, che serve per irrigare parte della provincia di Treviso, e il c. di derivazione delle acque del Fortore (30 m3/s di portata), parte in galleria (16 km), parte allo scoperto per l’irrigazione del Tavoliere di Foggia. Per quanto riguarda la costruzione di nuovi c., l’orientamento, in qualche caso, è verso il nuovo tipo a sezione chiusa con tubazioni di grande diametro, anche in galleria e a volte in pressione, come, per es., il c. irriguo tra i fiumi Adda e Serio, con una portata di 10 m3/s per l’irrigazione di 19.000 ha. Il c. a sezione aperta trapezoidale è tuttavia ancora in funzione, oltre che per i piccoli c. d’irrigazione, anche per il trasporto di grandi portate d’acqua su lunghe distanze: ne è un esempio il c. Emiliano-romagnolo, lungo 133 km, che deriva dal Po, presso Bondeno (Ferrara), con una portata d’acqua notevole (68 m3/s) per l’irrigazione di 300.000 ha nella pianura a sud del Po, dal Panaro fino al Riminese. Fuori d’Italia, uno degli esempi più grandiosi è costituito dalla rete irrigua della Central Valley, in California, derivata dai fiumi Sacramento e San Joaquin; da segnalare anche in Francia il sistema d’irrigazione del Basso Rodano e della Linguadoca, con c. adduttori della lunghezza di circa 70 km e portate da 30 a 75 m3/s; in India il sistema d’irrigazione derivato dagli sbarramenti di Bhakra e Nangal, il cui c. principale è lungo 100 km, mentre i c. distributori sommano a 5000 km di lunghezza; in Ucraina il c. di Kachovka con una portata di testa di 530 m3/s, la massima fra quelle dei c. noti.
C. navigabili Possono unire tra loro due o più corsi d’acqua (c. di collegamento); essere paralleli a un tratto non navigabile di un fiume (c. laterali); unire un fiume da un punto a monte del suo estuario al mare (c. d’estuario). Devono avere sezione sufficiente per dare sicuro passaggio a natanti di determinate dimensioni e forma; la velocità dell’acqua deve essere in essi piccola e i dislivelli essere superati mediante conche di navigazione; anche il tracciato deve svolgersi con lunghi rettifili e ampie curve. In alcune regioni (per es., Paesi Bassi) i c. navigabili, fitti e assai estesi, costituiscono una rete di comunicazione non meno importante di quella stradale, e conferiscono particolari caratteristiche al paesaggio.
C. per usi industriali Rientrano in questa categoria i c. di alimentazione e di scarico di impianti idroelettrici (c. di derivazione, c. moderatore ecc.) o di impianti industriali chimici e siderurgici o cartiere.
I c. marittimi sono vie d’acqua create per collegare due specchi di mare; possono essere a livello (Suez, Corinto), o a conche (Panama). Hanno sempre notevole importanza per il traffico marittimo, che è regolato da convenzioni internazionali.
C. di lavaggio Apparecchio per la concentrazione dei minerali in base alla differenza di densità (usato, per esempio, per il lavaggio delle sabbie aurifere). È un c. di legno, inclinato, con ostacoli disposti trasversalmente, in modo da rallentare la corrente d’acqua che lo percorre e facilitare la deposizione sul fondo dei materiali in sospensione o trascinati dall’acqua.
C. di ventilazione Nome che si dà alle spaziature e ai fori che, in una macchina elettrica, servono a facilitare la circolazione del fluido raffreddante e ad accrescere la superficie da questo lambita.
È l’insieme delle apparecchiature atte a trasmettere l’informazione fra una sorgente e un destinatario. A seconda dei casi, un c. può comprendere tratte in cavo e tratte in radiopropagazione (dette tratte hertziane). Nella tecnica delle comunicazioni si distinguono i c. analogici e i c. numerici (o anche c. digitali). Un c. analogico è caratterizzato dalla larghezza di banda (➔) e dal rapporto segnale-rumore (SNR). Un c. numerico è caratterizzato dalla velocità di trasmissione (espressa in bit/s o in multipli) e dal tasso di errore binario. Quando più c. di trasmissione sono presenti sulla stessa tratta, è necessario garantire valori adeguatamente bassi per l’interferenza (o diafonia) fra i c. stessi. L’interferenza viene limitata utilizzando bande di frequenza sufficientemente ampie (la banda totale deve essere maggiore della somma delle bande dei singoli c.) e progettando in modo adeguato gli apparati di trasmissione. Le esigenze di banda dei singoli c. dipendono dal tipo d’informazione che deve essere trasmessa. Nei casi più comuni tali larghezze di banda sono standardizzate e fissate da opportune normative internazionali, in ambito del Comitato Consultivo Internazionale delle Radiocomunicazioni (CCIR).
In questo settore vengono costruiti modelli matematico-statistici dei c. di trasmissione reali. Tali modelli (che si chiamano ancora c.) sono caratterizzati dall’insieme (o alfabeto) U dei messaggi che il c. accetta al suo ingresso, dall’alfabeto V dei messaggi che il c. emette in uscita e dalla relazione tra gli elementi di U e quelli di V, che riassume gli effetti che il c. esercita sui messaggi che gli vengono affidati. Poiché i c. reali sono in genere affetti da disturbi (rumore), nel modello teorico la relazione tra i messaggi in entrata e quelli in uscita è di tipo statistico; perciò l’osservazione dell’uscita non permette in generale di decidere con sicurezza quale sia stato l’ingresso corrispondente. Quindi la trasmissione della informazione è soggetta a errori di trasmissione e di decisione. Come esempio si consideri un c. per il quale U=V={ai} e la cui descrizione statistica sia fornita da una matrice di transizione Γ=[pij], dove pij è la probabilità di osservare in uscita aj quando sia stata trasmessa ai: gli elementi pij sono numeri non negativi e la somma degli elementi di una riga di Γ è 1, poiché qualunque elemento si trasmetta, in uscita se ne osserverà sempre uno. C’è dunque, dopo l’osservazione dell’uscita, un’incertezza residua sull’ingresso, che può essere espressa dall’entropia condizionata H(U/V) dell’ingresso data l’uscita. Prima dell’osservazione dell’uscita, l’incertezza sull’ingresso è H(U) e quindi la differenza I(U; V)=H(U)−H(U/V), detta mutua informazione tra ingresso e uscita, misura la quantità media d’incertezza sull’ingresso che viene rimossa da un’osservazione dell’uscita. Poiché H(U)≥H(U/V)≥0, quando H(U/V)=0 non c’è incertezza residua, I(U; V)=H(U) e il c. trasmette perfettamente l’informazione. Se H(U/V)=H(U), I(U; V)=0 e l’osservazione dell’uscita non aiuta per nulla la decisione. Quest’ultimo caso si presenta quando l’ingresso e l’uscita sono statisticamente indipenden;ti. Si osservi che l’impiego di una matrice di transizione per descrivere il c. corrisponde a un’ipotesi di stazionarietà (gli elementi della matrice sono costanti) e di assenza di memoria: il c. agisce su ciascun simbolo senza tener conto di ciò che è accaduto in precedenza. Si consideri ora il più semplice modello di c., il c. simmetrico binario (CSB), per il quale U=V={a, b} e
(dove la probabilità di transizione ε rappresenta la probabilità di un errore di trasmissione). Se i messaggi a e b si presentano all’ingresso con probabilità rispettivamente p e 1−p, si può verificare che I(U; V)=H(q)−H(ε), dove H(x)=−x log x−(1−x) log (1−x) è la funzione entropia e q=p(1−ε)+(1−p)ε. Come si vede da questo semplice esempio, l’informazione trasmessa dal c. dipende in generale dalla distribuzione (p, 1−p) dell’ingresso, cioè della sorgente che lo alimenta. Facendo variare tale distribuzione in tutti i modi possibili, se ne troverà una che rende massima I(U; V). Tale massimo si chiama la capacità informazionale del canale. Per il CSB, per es., la capacità è 1−H(ε) e corrisponde alla distribuzione d’ingresso uniforme (1/2, 1/2). Questa funzione di ε vale 1 quando ε=0 (cioè quando i messaggi sono sempre ricevuti correttamente) e decresce fino a 0 quando ε varia da 0 a 1/2 (quando ε=1/2 l’ingresso e l’uscita sono indipendenti). Quando ε cresce da 1/2 a 1, la capacità cresce di nuovo fino a 1 (in questo caso per avere la decisione migliore basta scambiare tra loro i messaggi osservati in uscita, e ciò spiega questa simmetria). Per giungere a una nozione di capacità più concreta, ci si può chiedere quanti messaggi distinti si possono trasmettere sul c. con una probabilità arbitrariamente piccola di decisione erronea in uscita. Quando il numero dei messaggi da trasmettere aumenta, s’intuisce che essi divengono sempre più simili l’uno all’altro e che distinguerli in uscita diviene sempre più difficile. Il numero massimo di messaggi che, con opportuni procedimenti asintotici di codifica e decodifica, si possono trasmettere con precisione arbitrariamente grande su un c., si chiama capacità di trasmissione del canale. Un fondamentale teorema di Shannon afferma che per classi piuttosto ampie di c., compresi tutti i c. stazionari e senza memoria, la capacità di trasmissione coincide con la capacità informazionale. Il calcolo di quest’ultima (che è il massimo della mutua informazione tra ingresso e uscita) si può compiere con algoritmi piuttosto semplici e in certi casi addirittura immediati, i quali per il teorema citato sopra forniscono anche la capacità di trasmissione, che in base alla definizione sarebbe invece di computazione praticamente impossibile nella maggior parte dei casi. La capacità si misura in unità d’informazione (bit) per messaggio trasmesso, oppure in bit al secondo. Il numero effettivo di bit/messaggio durante la trasmissione si chiama tasso di trasmissione. Se il tasso di trasmissione supera la capacità, sul c. si ha una perdita irreversibile di informazione (➔ errore).