Materiale usato nelle costruzioni, detto anche conglomerato; è ottenuto dall’indurimento della miscela di un aggregato lapideo, costituito da pietrisco o ghiaia, sabbia ed eventuali additivi, con un legante (cemento o calce) e acqua. I c. con calce e pozzolana (opus cementicium dei Romani) o quelli con calce idraulica, assai impiegati in passato, sono ora usati esclusivamente per strutture sottoposte a limitate sollecitazioni o aventi funzione di riempimento. Importanza fondamentale hanno invece oggi nelle costruzioni civili i c. cementizi, impiegati nelle strutture di cemento armato.
L’aggregato lapideo costituente il c. cementizio è formato da una miscela di pietrisco o di ghiaia e sabbia (detti inerti, perché non intervengono nelle reazioni chimiche che accompagnano la presa e l’in- durimento del legante). La dimensione dei grani dell’aggregato influisce notevolmente sulla compattezza del getto e quindi sulla sua resistenza a indurimento avvenuto; si usano aggregati con grani di dimensioni assortite con leggi precise. Per getti usuali un dosaggio approssimativo per m3 di impasto secco è di 800 l di ghiaia con elementi da 5 a 0,5 cm e 400 l di sabbia con elementi da 2 a 0,2 mm circa. La quantità di cemento per m3 di c. varia, nella maggior parte dei casi, da 250 a 350 kg, con una media di 300 kg; a seconda della maggiore o minore dosatura di cemento si parla comunemente di c. grassi e c. magri. Per ridurre il calore sviluppato nella presa, come nei getti di grandissime masse (dighe), si adottano cementi con minore calore di reazione (pozzolanici, ferrici ecc.). La densità di un c. dopo l’indurimento, salvo casi particolari, è di ≃2200 kg/m3.
Il c. viene preparato per impasto sia a mano, con i badili (oggi solo per piccolissime quantità), sia con macchine dette impastatrici di c. o betoniere. La quantità di acqua deve essere la minima possibile, tale però da assicurare oltre alla idratazione del cemento una sufficiente lavorabilità dell’impasto; di solito si usano rapporti acqua-cemento intorno a 0,4: valori superiori porterebbero a manufatti troppo porosi, poco resistenti, valori inferiori a prodotti più resistenti ma scarsamente lavorabili. Il c. fresco, tra il momento dell’impasto e quello in cui incomincia la presa del legante, deve essere costipato nelle forme per fargli riempire esattamente i vuoti, avvolgere bene le armature metalliche, se ve ne sono, e assumere la massima compattezza.
Non appena abbia avuto luogo la presa del legante cementizio e si sia iniziata la fase di indurimento, per il c. che sia fatto stagionare in ambiente a grado di umidità costante si inizia pure un fenomeno di contrazione (ritiro), la cui entità tende asintoticamente nel tempo a un valore finale. Il ritiro aumenta all’aumentare sia della dosatura di cemento sia di quella di acqua, mentre diminuisce sensibilmente all’aumentare del grado di umidità dell’ambiente circostante (di qui l’opportunità di bagnare abbondantemente le superfici libere dei getti, per diminuirne il ritiro durante la maturazione). Il ritiro, per la diversa contrazione subita dalle parti superficiali rispetto a quelle più interne, determina nel c. stati di coazione con conseguenti fessurazioni microscopiche della pasta legante; le tensioni interne sono poi soggette a modificarsi notevolmente nel tempo a causa della cosiddetta viscosità dei c.
Per soddisfare l’esigenza di c. cementizi sempre più resistenti (quali si richiedono per es. nella tecnica del cemento armato precompresso), a parità di dosatura di cemento, la tecnologia ha fatto ricorso a speciali procedimenti, quali il riscaldamento dei getti durante la prima fase della maturazione (fino a temperature di 80-100 °C), l’impiego di clinker appositamente granulato, in luogo di una parte degli inerti, e l’eliminazione dell’eccesso d’acqua mediante un costipamento assai energico dei getti freschi di c. o anche mediante uno speciale trattamento delle superfici esterne dei getti, a contatto delle quali viene creata una intercapedine da cui si aspira l’aria fino a un certo grado di vuoto. Con questi trattamenti si sono raggiunte resistenze alla compressione anche molto elevate (fin oltre 100 N/mm2). Inoltre per conferire particolari qualità ai c., quali per es. la migliore lavorabilità, l’accelerazione o il ritardo della presa, il miglioramento della resistenza agli agenti aggressivi o all’azione delle basse temperature durante la presa, si aggiungono determinati additivi.
I c. cementizi sono soggetti a fenomeni di degrado, di origine fisica, chimica o elettrochimica, che ne provocano la diminuzione della resistenza e anche, nelle strutture in vista, il decadimento estetico. Per il risanamento delle parti di c. danneggiate occorre, una volta effettuate le dovute indagini diagnostiche, procedere preliminarmente alla pulitura delle superfici con l’eliminazione delle parti in fase di distacco. Per il ripristino delle parti mancanti e la protezione di quelle rimaste in sito sono disponibili numerosi prodotti, alcuni a base cementizia, altri a base polimerica. Le resine epossidiche si adoperano per l’incollaggio di c. nuovo al vecchio e di ferro al c., nonché per il riempimento di cavità e fessure; le resine siliconiche si usano come rivestimenti impermeabili di superfici; quelle acriliche si adoperano sia come adesivi sia in emulsione per formare vernici per la protezione delle pareti esterne degli edifici.
C. aerati C. leggeri ottenuti con l’aggiunta di sostanze (in genere polvere d’alluminio) che provocano, durante la formazione dell’impasto, la formazione di minutissime bollicine. Il c. aerato ha densità molto variabile a seconda del dosaggio (da 400 a 1500 kg/m3 circa) e resistenze a compressione che variano da 1 a 4 N/mm2 circa.
C. bituminosi Conglomerati costituiti da sabbia, additivo (polvere minerale molto fine, di solito calcarea), bitume, graniglia e pietrischetto, usati per la costruzione di pavimentazioni stradali. I costituenti più grossi non debbono essere gelivi né alterabili né facilmente frantumabili sotto un traffico pesante; di più, debbono sopportare bene il riscaldamento necessario per l’impasto. Se ne usano miscele grosse, con prevalenza cioè di aggregati grossi, per manti stradali più spessi, mentre le miscele fini, con prevalenza di aggregati fini, sono adatte per lavori più accurati e precisi, per manti sottili, e quindi vengono preferite per le strade urbane.
C. leggeri C. ottenuti con inerti di densità minore di quella degli inerti ordinari; gli inerti impiegati possono essere naturali (pomice, vermiculite) o artificiali (clinker, argilla o scisti espansi, scorie d’alto forno, polistirolo espanso). Questo tipo di c. ha densità compresa fra 800 e 2000 kg/m3; quello più leggero è usato in edilizia come materiale isolante per coperture e pannellature, quello più pesante (1200-2000 kg/m3, detto c. leggero strutturale) ha resistenza caratteristica non inferiore a 15 N/mm2 ed è usato per strutture portanti prefabbricate (solai, pannelli di elevazione ecc.) o per strutture portanti di ponti.
C. schermanti Nella tecnica nucleare, denominazione del c. usato per realizzare schermi biologici, cioè per la protezione del personale, intorno a reattori nucleari e ad acceleratori di particelle; per una migliore protezione si usa a preferenza il cosiddetto c. pesante, nel quale parte della sabbia è sostituita da rottami metallici o, meglio ancora, da minerali di elementi pesanti, per es. di bario (c. al bario); in qualche caso, per conseguire una protezione più efficace nei riguardi di neutroni termici, il c. viene addizionato con sostanze buone assorbenti di tali neutroni, per es. con cadmio (c. al cadmio).