Manufatto di legno, di ferro, di muratura o di cemento armato che serve per assicurare la continuità del corpo stradale o ferroviario nell’attraversamento di un corso d’acqua o di un avvallamento del terreno. Per analogia, qualsiasi struttura o mezzo, che abbia funzioni simili a quelle dei p., funga cioè da collegamento tra due o più altri elementi.
Formazione del metencefalo dei Mammiferi, costituita dai peduncoli cerebellari medi attraverso cui passano il fascio ponto-cerebellare, fibre reticolo-cerebellari e fibre cerebello-reticolari. Deve il suo nome alla disposizione delle fibre superficiali, che con decorso trasversale circondano a forma di ‘ponte’ i fasci longitudinali che provengono dal midollo allungato (peduncoli cerebrali).
In anatomia umana, la faccia anteriore del p. di Varolio poggia sulla doccia basilare dell’occipitale, quella posteriore concorre a formare il pavimento del quarto ventricolo. Le altre sono convenzionali. La parte anteriore del p. è detta piede ed è separata dalla parte dorsale o tegmento da due nastri di sostanza bianca, i lemnischi (➔) mediali, fibre nervose che trasmettono stimoli sensitivi. Il tegmento comprende la formazione reticolata, costituita da fibre che decorrono in varie direzioni e da accumuli di sostanza grigia. La sostanza grigia corrisponde o a nuclei pontini di origine di alcuni nervi cranici o a gruppi di cellule nervose da cui partono fibre destinate a collegare altre formazioni di sostanza grigia. La sostanza reticolata del tegmento pontino rappresenta la parte centrale di quest’ultimo; lateralmente hanno sede i peduncoli cerebellari superiori e i lemnischi laterali che contengono fibre provenienti dai nuclei del nervo cocleare (➔ acustico, nervo).
Nel p. hanno sede importanti centri nervosi e vie che presiedono alla coordinazione dei movimenti oculari. L’interruzione di questi meccanismi regolatori provoca la ‘paralisi laterale dello sguardo’, cioè l’impossibilità di girare gli occhi verso un lato. Nel p. decorrono inoltre le fibre per i movimenti volontari alla cui interruzione conseguono paralisi e disturbi sensitivi (➔ sensibilità).
Lesioni del p. possono essere dovute a disturbi tossici, circolatori, infettivi, traumi: mentre le emorragie si manifestano acutamente con perdita di coscienza, convulsioni, deviazione degli occhi, seguite da paralisi, spesso di tutti e 4 gli arti, le trombosi hanno sovente un decorso progressivo e graduale, dando luogo a sindromi pontine diverse a seconda della sede della lesione. I tumori del p. sono rari; clinicamente danno luogo all’una o all’altra delle sindromi pontine.
In chimica e biochimica, atomo o raggruppamento atomico che, attraverso legami chimici, collega due molecole o loro parti. Questi legami stabilizzano conformazioni della struttura terziaria e quaternaria di proteine e acidi nucleici.
Arcate di roccia che sovrastano in genere corsi d’acqua e che si sono originate per l’azione erosiva esercitata dalle acque stesse su rocce di diversa resistenza; p. naturali si formano spesso anche lungo le coste per il parziale franamento delle volte di caverne marine battute dalle onde; il fenomeno è particolarmente frequente nelle regioni carsiche, dove è causato dalla fusione di più doline di crollo.
Antichi collegamenti, emersi e successivamente sprofondati, fra le masse continentali, che erano stati chiamati in causa dai paleontologi agli inizi del 20° sec. per giustificare similarità faunistiche e floristiche riscontrate tra continenti differenti durante il Mesozoico. Le argomentazioni geofisiche e geologiche prodotte da A. Wegener nella sua teoria della deriva dei continenti hanno evidenziato l’impossibilità della presenza di tali p., giustificando le similarità riscontrate con la separazione, e la successiva deriva, di continenti che erano precedentemente uniti.
P. è ogni manufatto avente lo scopo di consentire a una via (strada ordinaria, autostrada o ferrovia) il superamento di un ostacolo: un corso d’acqua, un braccio di mare o un avvallamento del terreno (in quest’ultimo caso si usa anche il termine viadotto specie se, a causa della sua lunghezza, il p. presenta punti d’appoggio intermedi). L’ostacolo da superare può anche essere un’altra via, in tal caso si preferisce usare i termini cavalcavia e sottovia a seconda che la strada più importante sia rispettivamente soprapassata o sottopassata da una strada meno importante; analogo significato hanno i termini soprapassaggio e sottopassaggio, anche se questi ultimi sono usati prevalentemente quando la via che passa sopra o sotto la strada importante ha carattere prevalentemente pedonale.
In un p. si possono distinguere le sottostrutture o appoggi, costituite dalle spalle (o appoggi di estremità), dalle pile (o appoggi intermedi) e dalle loro fondazioni, e le sovrastrutture, costituite dalla struttura principale e dall’impalcato.
I p. più antichi di cui abbiamo notizia sono quelli di legno delle terremare preistoriche. Gli Assiro-Babilonesi e i Persiani non costruirono che p. di scarsa importanza, caratterizzati da massicce pile di pietra e impalcati di legno. Anche i Greci non furono grandi costruttori di p., forse a causa della mancanza d’importanti corsi d’acqua sul loro territorio. Gli Etruschi costruirono diversi p. in muratura con grandi massi a secco. I Romani invece impiegarono per molto tempo strutture di legno legato (e non inchiodato). Ma già nel periodo repubblicano i p. lignei furono per lo più sostituiti con p. di pietra, mentre si usarono p. di barche là dove era necessario il passaggio di navi, oppure con carattere secondario o provvisorio. Con le grandi strade consolari furono costruiti un po’ dappertutto p. di ogni dimensione. Si tratta di p. ad arco, in genere a tutto sesto, su luci comprese fra 5 e 20 m; vi sono anche esempi di luci maggiori, fino a 40 m. Bisogna anche ricordare i p. militari provvisori, tra cui quello famoso costruito da Cesare sul Reno.
Fra i p. medievali, uno dei più importanti fu il p. che i Visconti fecero costruire nel 1370 sull’Adda presso Trezzo, con una luce di 72 m: fu distrutto dal conte di Carmagnola nel 1416. Le dimensioni del p. sull’Adda furono superate soltanto all’inizio del 20° sec., quando fu costruito a Lussemburgo il ponte Adolfo (anch’esso ad arco), con una luce di 84 m.
I p. in muratura (di mattoni o di conglomerato cementizio) sono tutti p. ad arco, non potendo questi materiali sostenere bene alcuna sollecitazione che non sia la pressione. I p. di ferro, i cui primi es. risalgono al 19° sec., e quelli, ancora più recenti, di cemento armato, presentano invece una maggiore varietà di schemi statici, che vanno dalle travate semplici ai grandi p. sospesi.
I p. a travata possono essere a travata semplice (o appoggiata), a travata continua o a travata Gerber; in quest’ultima si ottiene una distribuzione di sforzi simile a quella di una trave continua, senza che il comportamento della struttura divenga iperstatico. Uno schema che si può pensare derivato da quello del p. a travata è quello a piedritti solidali o a telaio. Per tutti gli schemi a travata, specie se isostatici, si presta molto bene il cemento armato precompresso; tra gli es. maggiori si citano: il p. sulla baia Urato a Kochi in Giappone, con una luce di 230 m, costruito nel 1972; il p. Bendorf sul Reno a Coblenza, costruito nel 1965, di 208 m di luce; e il p. di Tatàrna, costruito sul fiume Acheloo, in Grecia, nel 1970 con una luce centrale di 196 m e due laterali di 151 e 97 m. I p. a travata reticolare di acciaio sono stati costruiti su luci considerevoli tra la fine del 19° sec. e l’inizio del 20°: il p. ferroviario sul Firth of Forth, a Edimburgo, costruito tra il 1883 e il 1890, è a due luci di 521 m ciascuna; il Québec Railway Bridge, sul San Lorenzo, costruito nei primi anni del 20° sec., ha una luce di 549 m. Rari sono i nuovi p. a travata metallica reticolare su luci superiori a 500 m, perché risultano molto costosi in relazione a quelli sospesi o a cavi controventati.
Un tipo di p. introdotto da R. Morandi è quello in cemento armato precompresso con cavi controventati (p. strallati), anch’essi in cemento armato precompresso, sostenuti da piloni a torre: tale è il p. costruito nel 1962 sulla laguna di Maracaibo con 5 luci di 235 m ciascuna. Molti p. di tale tipo sono stati costruiti anche di recente in tutto il mondo, impiegando cemento armato precompresso e acciaio, come il p. Sunniberg (1998) sul fiume Landquart, in Svizzera, lungo 526 m su 5 campate, la più lunga delle quali misura 140 m; il viadotto autostradale di Millau (2004), in Francia, lungo 2460 m, su 8 campate, le 6 centrali di 342 m e le due laterali di 204; il p. Rìon-Antirìon (2004), in Grecia, che collega il continente al Peloponneso ed è lungo 2883 m, con luce massima di 560 m; il p. Xupu (2008) a Shanghai, che attraversa il fiume Huangpu nel punto in cui ha una larghezza di 500 m, e ha la campata centrale di 590 m e le due laterali di 242 m ciascuna; il p. di Sutong (2008) sul Chang Jiang, sempre in Cina, lungo 8206 m, con una luce centrale di 1088 m.
L’arco è invece ancora considerato come lo schema statico più tipico del p. in calcestruzzo, di cemento non armato per piccole luci, e in cemento armato per medie e grandi luci; molti sono i p. ad arco in ferro e moltissimi quelli in cemento armato, ma i loro rapporti dimensionali sono molto diversi da quelli dei tradizionali archi in muratura. Oltre alla notevole riduzione delle sezioni resistenti, gli archi di ferro o di cemento armato presentano quasi sempre un maggiore ribassamento (rapporto fra la luce e la freccia); come conseguenza si ha un comportamento statico più complesso di quello dell’arco semplice e più sensibile alle varie modalità di vincolo. In relazione al tipo di vincolo si distinguono gli archi isostatici (o a tre cerniere) e gli archi iperstatici (nei quali la distribuzione degli sforzi dipende, oltre che dall’equilibrio statico, anche dai rapporti di deformabilità delle varie parti), fra i quali gli schemi più comuni sono l’arco a due cerniere e l’arco incastrato. I maggiori p. ad arco reticolare in acciaio sono stati costruiti intorno al 1930 e sono il Bayonne Bridge sul Kill van Kull tra Staten Island e New Jersey (USA) e lo Harbour Bridge a Sydney, il primo di 504 m e il secondo di 503 m di luce; nel 1973 è stato costruito il Fremont Bridge a Portland, nell’Oregon (USA), di 383 m di luce. Numerosi p. ad arco in cemento armato di grande luce sono stati costruiti negli anni 1960.
A mano a mano che aumentano il ribassamento e la rigidezza flessionale del p. ad arco, si passa a un comportamento statico sempre più simile a quello di una trave, caratterizzato cioè da sollecitazioni di flessione. Uno schema statico che può ritenersi intermedio fra l’arco e la trave è quello dei p. in cemento armato a sezione cava diaframmata, detti anche del tipo Risorgimento dal loro prototipo di tal nome costruito da F. Hennebique a Roma nel 1911-12. Altre soluzioni in un certo senso intermedie fra l’arco e la trave sono date dagli archi a spinta eliminata in cui la spinta, anziché scaricarsi sulle spalle, è assorbita per trazione dall’impalcato, che in questo caso è al disotto dell’arco (p. a via inferiore) ed è appeso all’arco mediante tiranti (fig. 1A). Quando questi tiranti divengono aste rigide dotate di notevole resistenza flessionale, si ha la trave Vierendeel (fig. 1B). Se poi queste aste sono inclinate in modo da formare un sistema a maglie triangolari, si passa alle soluzioni a trave reticolare, fra le quali meritano particolare menzione quelle con aste di parete solamente tese (tipo Nielsen, fig. 1C). Una soluzione invece in cui all’arco è restituito il suo funzionamento tipico a pressione semplice è quella ad arco sottile e travata di impalcato irrigidente, introdotta da R. Maillart nel 1924 per i p. in cemento armato: in questo tipo di struttura tutte le sollecitazioni di flessione dovute ai sovraccarichi mobili sono sostenute dalla travata rigida (fig. 1D). Il comportamento è simile a quello dei p. sospesi, salvo che nel caso di questi ultimi (fig. 1E) si hanno cavi tesi in luogo dell’arco sottile compresso. Nei p. a volta sottile l’impalcato grava sulla volta mediante piedritti che risultano compressi.
Nei p. sospesi l’impalcato è sospeso mediante tiranti di acciaio ai cavi portanti, disposti secondo una curva parabolica e sostenuti da alti piloni. I p. di questo tipo possono avere luci libere molto estese: il p. George Washington a New York (1931) ha una luce libera di 1066 m; il Golden Gate, sulla baia di San Francisco (1937) di 1280 m; il Verrazzano-Narrows di New York (1964) di 1298 m.; l’Humber bridge (1981), in Inghilterra, di 1410 m; l’Akashi Kaikyo (1998), in Giappone, che collega le isole di Honshu e Shikoku, di 1991 m; lo Storebælt East bridge (1998), in Danimarca, che unisce l’isola di Sjælland, in cui si trova la capitale Copenaghen, con lo Jylland, di 1624 m; il Runyang (2005), in Cina, sul Chang Jiang, di 1490 m.
Per ciò che riguarda la lunghezza complessiva, il p. sul Lago di Pontchartrain, sul delta del Mississippi, è lungo oltre 38 km; risulta di più campate successive interamente prefabbricate e poste in opera con un pontone a biga. Da ricordare anche il complesso di p. lungo le Florida Keys, tra la Florida e Key West (ca. 200 km): i p. veri e propri misurano in tutto 45 km, e il più lungo di essi è di oltre 11 km. Nel 1999 è stato ultimato in Canada il Northumberland strait crossing, che unisce l’isola di Prince Edward con la costa canadese, lungo 12,9 km. In Europa, il p. Vasco da Gama (1998), che attraversa il Tago a nord di Lisbona, è lungo quasi 18 km con una campata centrale strallata di 420 m sorretta da due piloni alti 150 m; ha una larghezza di 30 m con tre corsie per ogni senso di marcia e spartitraffico centrale. Il già citato Storebælt East bridge, in Danimarca, è lungo nel suo complesso 6784 m. In Italia il p. che unisce Mestre a Venezia è di 3600 m.
P. mobile costituito da due parti (due metà se la struttura è simmetrica) che possono o sollevarsi ruotando su perni orizzontali, o girare su sé stesse ruotando intorno a perni verticali nelle due spalle. I p. apribili si adoperano nei casi di canali o fiumi navigabili per rendere possibile il passaggio di natanti di altezza maggiore di quella del p. stesso. In passato se ne costruirono di legno, con sistemi non molto diversi da quelli in uso nei p. levatoi degli antichi castelli. Ma negli impianti più moderni, talora di notevole mole, soprattutto nei grandi porti fluviali e nei canali destinati al transito di grosse navi, i p. apribili sono in struttura metallica.
P. che non serve al traffico viario, ma per consentire a un canale, a un acquedotto, un oleodotto o simili, di scavalcare un corso d’acqua o un avvallamento.
Tipo di p. apribile, rotante intorno a un perno corrispondente al pilone centrale della sua luce complessiva; tali p. sono per lo più in struttura metallica e, a differenza dei p. apribili, riducono alla metà la larghezza utile del canale sottostante.
P., per lo più di legno, rotante intorno a un perno orizzontale, in modo da poter essere sollevato quando si voglia impedirne l’uso. Il p. levatoio, che poteva essere manovrato sia mediante catene sia con sistemi a contrappesi, fu usato soprattutto nelle fortificazioni medievali, per consentire l’attraversamento dei fossati esterni in tempo di pace e l’interruzione del transito all’approssimarsi del nemico. Ma scomparve gradatamente con lo sviluppo della fortificazione bastionata e l’uso degli esplosivi, che trasformarono la tecnica ossidionale e resero inutili i sistemi difensivi contro attacchi ravvicinati.
Ma anche semplicemente p., nelle costruzioni edilizie, costruzione provvisoria costituita da elementi portanti in tubo metallico, sia assemblati in opera con manicotti bullonati, sia conformati a telaio e montati in opera, che serve per il sostegno degli operai e per il trasporto dei materiali da costruzione di un edificio. Il complesso dei p. ai vari ripiani di lavoro e dei sostegni che li sorreggono si chiama impalcatura o ponteggio.
Struttura che divide, o copre, orizzontalmente un galleggiante nelle sue varie parti (scafo propriamente detto e sovrastrutture), costituita da un fasciame, generalmente metallico, controfasciato o no di legno, sostenuto da robuste travi trasversali (bagli) e longitudinali (anguille, correnti). Il p. è un elemento fondamentale nei riguardi: della robustezza (per es., il p. di forza, o p. principale, che chiude superiormente lo scafo, resistente alle azioni longitudinali); della sicurezza (galleggiabilità, specialmente il p. del bordo libero o delle paratie, che forma la chiusura superiore, stagna, del galleggiante); dell’abitabilità della nave (specialmente nelle navi da passeggeri, dove i p. sono molto numerosi, moltiplicandosi anche nelle sovrastrutture); della protezione passiva delle navi da guerra (dove numerosi p., tra cui predomina quello detto corazzato o di protezione, sono costituiti con grosse piastre, fino a 150-200 mm, e proteggono la nave contro il tiro perforante delle artiglierie e l’attacco delle bombe degli aerei).
Sovrastruttura parziale, elevata al di sopra delle altre, situata generalmente verso prora, talvolta anche a poppa, come nelle petroliere, o lateralmente come nelle portaerei, da dove il comandante della nave dirige la navigazione, avendo visuale libera in ogni direzione e disponendo degli organi di governo (timoneria) e di guida (bussole, radar ecc.), di comando alle macchine e di radiosegnalazione. Nella marina da guerra si chiama più comunemente plancia.
Tipo di sollevatore (➔ sollevamento) per automobili con struttura simile a quella di un ponte.
Negli autoveicoli, termine di uso corrente per intendere gli assali motori sia anteriore (p. anteriore) sia posteriore (p. posteriore), di tipo rigido e con trasmissione interna; è detto anche p. motore. Classico è il p. posteriore negli autocarri e negli autoveicoli pesanti con trasmissione posteriore, che può essere anche doppio; ha funzione portante e alloggia l’ultima parte della trasmissione (semialberi, differenziale, eventuali riduttori). Nelle automobili era molto usato nel passato; attualmente, salvo casi particolari, è impiegato nei veicoli a trazione integrale.
Dispositivo di misurazione elettrica costituito dalla rete a p. della fig. 2. Nella forma più generale, i 4 elementi a, b, c, d sono 4 impedenze, rispettivamente Z1, Z2, Z3, Z4, mentre l’elemento e, inserito tra i vertici di misura B e D, è uno strumento indicatore di zero; i vertici di alimentazione A e C sono invece collegati a un generatore di tensione alternata. Se tra le impedenze sussiste la relazione Z1∙Z3=Z2∙Z4 (condizione di equilibrio), i vertici di misura sono allo stesso potenziale, indipendentemente dal valore V della tensione applicata ai vertici di alimentazione, e nell’elemento e non scorre corrente. Nella condizione di equilibrio, noti che siano i valori di 3 delle impedenze, risulta determinata in conseguenza la quarta impedenza; se quest’ultima è da misurare, per portare il p. in equilibrio si regola il valore noto di una o più delle altre 3 impedenze. Però, poiché l’impedenza è una grandezza complessa, la predetta condizione di equilibrio si traduce in 2 analoghe condizioni, una per le parti reali e l’altra per le parti immaginarie dei 2 membri dell’equazione; si devono quindi poter regolare, per l’equilibrio, le parti note resistive e reattive delle impedenze. Questo principio è molto sfruttato in pratica per la realizzazione di strumenti, detti genericamente p. di misura, atti alla misurazione di resistenze, di reattanze induttive e capacitive, nonché del fattore di merito Q di induttori e condensatori.
Nel caso della misurazione di resistenze, l’alimentazione del p. può essere fatta con una tensione continua, generalmente fornita da una batteria (a in fig. 3), impiegando come strumento indicatore di zero, per es., un galvanometro b. Fra i dispositivi di questo tipo, detti p. a corrente continua, ricordiamo il p. di Wheatstone, il p. di Kirchhoff e il p. doppio di Thomson. Il p. di Wheatstone (fig. 3A) costituisce lo strumento più accurato per la misurazione di resistenze comprese fra qualche decimo di ohm e qualche centinaio di kiloohm. Usualmente il resistore R3 è una cassetta di resistenze mentre R1 e R2 sono tali che il rapporto R1/R2 possa essere variato per valori discreti (per es.: 1, 10, 100, 1000 e i valori inversi) in modo da poter scegliere la condizione di massima sensibilità agli squilibri. In condizione di equilibrio, indicata dall’azzeramento della corrente nel galvanometro, si ha: Rx=R3(R2/R1). Il p. di Kirchhoff (fig. 3B), detto anche p. a filo o a corda, circuitalmente uguale al p. di Wheatstone, soddisfa alla medesima condizione di equilibrio; R1 e R2 sono ottenuti con un resistore a filo avente una presa mobile intermedia c, per cui il rapporto R1/R2 è variabile in modo continuo, mentre R3 è un resistore di precisione. Il p. doppio di Thomson (fig. 3C) si utilizza per la misurazione di resistenze inferiori al decimo di ohm: si usa un resistore campione R3 dello stesso ordine di grandezza di Rx e si varia il rapporto R2/R1 fino al raggiungimento dell’equilibrio, per il quale si ha Rx=R3(R2/R1). Tale p. ha la caratteristica di fornire una misura della resistenza incognita indipendente dalle resistenze di collegamento (le resistenze dei fili impiegati per realizzare il circuito di misura) e dalle resistenze di contatto (le resistenze che si presentano nei punti di connessione del circuito).
Nel caso della misurazione di reattanze, l’alimentazione è realizzata con una tensione alternata di frequenza nota (a in fig. 4) e come strumento indicatore b si usa un voltmetro per tensioni alternate o un oscilloscopio. La condizione di equilibrio si sdoppia in tal caso nelle 2 equazioni:
R1R4−X1X4 = R2R3−X2X3 ,
R1X4+R4X1 = R2X3+R3X2 ,
che per l’equilibrio devono essere verificate contemporaneamente (X è la parte reattiva, R la parte resistiva delle impedenze costituenti il p.); essendo nota la frequenza della tensione di alimentazione, dal valore della reattanza si può passare al corrispondente valore di capacità o d’induttanza, per cui il p. può essere considerato nei 2 casi come misuratore di capacità e di induttanze rispettivamente. Poiché le impedenze dei rami possono risultare da combinazioni di resistori, induttori e condensatori sia in serie sia in parallelo tra loro, il numero di p. diversi realizzabili è molto grande. La massima sensibilità del circuito a p. si ha quando i 4 rami hanno circa la stessa impedenza. La precisione della misurazione dipende dall’esattezza con cui si valuta il raggiungimento dell’equilibrio (e quindi dalla sensibilità dello strumento indicatore) e dalla precisione con cui è noto il valore dei componenti usati nei vari lati del ponte.
I p. a corrente alternata più usati sono: p. di Maxwell (fig. 4A), per la misurazione di induttanze con fattore di merito non troppo elevato; p. di Hay (fig. 4B), utilizzato, invece, per la misurazione di induttanze aventi elevato fattore di merito; p. di De Sauty, secondo due schemi circuitali diversi, in serie (fig. 4C) e in parallelo (fig. 4D), per la misurazione della capacità di condensatori aventi piccola resistenza equivalente di perdita, rispettivamente in serie o in parallelo; p. di Schering (fig. 4E), per la misurazione della capacità di condensatori da sottoporre a elevata tensione durante la misura. A partire dallo schema circuitale di ciascuno di essi, applicando l’equazione che esprime la condizione di equilibrio, si ricavano, in funzione delle impedenze note, le espressioni della parte reale (Rx) e della parte reattiva (Lx o Cx a seconda del tipo di p.) dell’impedenza incognita. Adatto alla misurazione di una frequenza incognita è invece il p. di risonanza (fig. 4F). Quest’ultimo ha 2 elementi reattivi, di tipo inverso, inseriti nello stesso ramo. La resistenza R1 è dimensionata in modo da soddisfare l’uguaglianza delle parti reali dell’equazione di equilibrio del p.; variando la capacità di C1 è possibile ottenere anche l’equilibrio delle parti immaginarie, per la frequenza di alimentazione f, nell’ipotesi di corrente sinusoidale; si ha allora f=1/2π√‾‾‾‾‾‾L1C1. Con tale p. è quindi possibile la determinazione di una frequenza incognita, supposti noti L1 e C1, ovvero la misurazione di una induttanza incognita, se sono noti f e C1.
Il p. universale, costituito da resistori, condensatori e induttori, sia fissi sia variabili, nonché da un generatore di tensione alternata, una batteria e uno strumento indicatore, consente, connettendo in vario modo tali elementi mediante opportuni commutatori, la realizzazione di vari p. di misura, adatti, di volta in volta, alla misurazione di resistenze, di induttanze e di capacità. I p. universali del tipo descritto sono sempre più spesso sostituiti da misuratori RCL programmabili, che, sfruttando una logica di controllo a microprocessore delle operazioni, consentono di effettuare automaticamente, con grande rapidità e buona accuratezza, la misura di resistenza, induttanza e capacità, fornendo contemporaneamente il fattore di merito o il fattore di perdita.
Sistema di comunicazione, stabilito per mezzo di radioonde, che permette di effettuare collegamenti bidirezionali a larga banda fra punti prefissati. La larghezza di banda per ogni collegamento è di vari MHz, permettendo così di trasmettere contemporaneamente uno o più canali televisivi ovvero parecchie centinaia di canali telefonici. La trasmissione è effettuata utilizzando frequenze portanti nel campo delle microonde, tipicamente da 1 a una decina di GHz. In questo campo di frequenze, per ottenere un’elevata qualità di trasmissione con la minima potenza trasmessa, sono usate antenne ad alta direttività, posizionate in condizioni di reciproca visibilità ottica. Quando le località da collegare sono molto distanti, l’intero collegamento è suddiviso in tratte mediante stazioni ripetitrici, intercalate fra tratta e tratta come i piloni di un ponte. Ciascun ripetitore, posto in condizioni di visibilità ottica con i ripetitori a esso contigui, riceve il segnale da una tratta e lo ritrasmette a quella successiva dopo opportuna amplificazione.
Poiché in genere il collegamento in p. radio è bidirezionale, l’amplificazione è effettuata in entrambi i versi di trasmissione. A causa della grande differenza di livello fra il segnale ricevuto e quello trasmesso, è sempre necessario assicurarsi che il segnale trasmesso non interferisca con il segnale ricevuto dallo stesso ripetitore. Ciò è ottenuto in vari modi, il principale dei quali consiste nell’utilizzare frequenze diverse per la ricezione e la trasmissione. Pertanto, ciascun ripetitore è realizzato in modo da effettuare una traslazione della frequenza portante per ciascun segnale in transito. Allo scopo di mantenere le antenne dei ripetitori contigui in condizioni di visibilità ottica, le singole tratte non possono superare distanze dell’ordine di un centinaio di km, e pertanto collegamenti di grande lunghezza possono essere realizzati solo mediante un elevato numero di tratte. Distanze maggiori sulla singola tratta, fino ad alcune centinaia di km, si possono ottenere nei collegamenti per diffusione (scatter) troposferica (➔ diffusione), i quali però richiedono l’uso di frequenze inferiori al GHz e potenze di trasmissione relativamente più elevate. Tali collegamenti sono tuttavia raramente utilizzati nei p. radio essendo fortemente soggetti al fenomeno dell’evanescenza, dato il carattere aleatorio dei fattori che determinano la diffusione stessa. Anche nelle tratte in visibilità ottica è necessario realizzare il sistema in modo da evitare interferenze, riflessioni, cammini multipli non desiderati che potrebbero rendere non accettabile la qualità del collegamento e provocare improvvise cadute di segnale (fading) in corrispondenza a sfavorevoli condizioni atmosferiche. Per questo motivo la localizzazione delle stazioni ripetitrici avviene in località scelte con cura particolare, in genere piuttosto elevate e in relazione alle caratteristiche orografiche del territorio. Quando ostacoli non eliminabili dovessero essere presenti lungo la tratta, si può far uso dei cosiddetti ripetitori passivi o specchi elettromagnetici, mediante i quali è possibile deviare il fascio, secondo leggi simili a quelle dell’ottica.
I p. radio si distinguono in fissi, quando le apparecchiature terminali sono stabilmente localizzate, e mobili, quando le apparecchiature terminali sono installate a bordo di mezzi mobili e direttamente collegate a una rete di ripetitori fissi. Nelle stazioni terminali dei p. radio, il segnale da trasmettere (segnale in banda base) è utilizzato per modulare una portante a frequenza intermedia (tipicamente intorno ai 70 MHz). È di norma utilizzata la modulazione di frequenza. Dal segnale a frequenza intermedia, per mezzo di una traslazione di frequenza, si ottiene il segnale a radiofrequenza da trasmettere. In ricezione sono effettuate le operazioni inverse. Le antenne utilizzate sono o a riflettore parabolico con illuminatore a tromba o a specchio parabolico (horn reflectors). La direttività di tali antenne è piuttosto elevata (fino a ca. 45 dB) e quindi il fascio trasmesso è piuttosto stretto. Pertanto è sempre attentamente curato il corretto posizionamento delle antenne, in modo da non avere cadute di segnale per errato puntamento. Ogni fascio radio (fascio hertziano) dà luogo a un collegamento completo bidirezionale fra i singoli ripetitori. Tuttavia, a causa della notevole larghezza di banda delle antenne impiegate, si possono avere sulle stesse tratte e con le stesse antenne più fasci completi, ciascuno con la propria frequenza portante, realizzando così un sistema di più collegamenti in parallelo. In ricezione e in trasmissione i singoli fasci sono separati con opportuni filtri di diramazione, di tipo passa-banda.
Collegamento aereo tra due o più basi militari o di altra natura tra le quali, essendovi interposti territori nemici o non essendo possibile alcuna comunicazione terrestre, ci si serve dell’aereo per rifornirle del necessario. L’espressione è stata usata la prima volta per indicare il traffico aereo con cui gli Angloamericani ovviarono al blocco di Berlino istituito dai Sovietici nel giugno 1948 e durato fino al maggio 1949.