Parte della fisica che studia i fenomeni relativi alla propagazione della luce (nel vuoto e nei mezzi materiali) e gli effetti della sua interazione con i corpi, nonché le proprietà e la costituzione degli strumenti atti a fornire, a diversi fini, immagini degli oggetti, o a emettere radiazione luminosa, oppure a misurarne le grandezze caratteristiche. Può essere suddivisa in: o. geometrica, o. ondulatoria, o. elettromagnetica, o. fisica, o. non lineare, o. quantistica.
Per estensione, sulla base dell’analogia formale tra la propagazione della luce in mezzi trasparenti e il moto di particelle (elettroni, protoni ecc.) in campi elettrici e magnetici, si parla di o. elettronica e di o. delle particelle. Con riferimento al mezzo con cui la luce interagisce dando luogo a fenomeni specifici: o. atmosferica, studio dei fenomeni ottici che si producono nell’atmosfera terrestre (per es., l’arcobaleno, i miraggi, gli aloni ecc.); o. cristallografica, che si occupa degli effetti dell’interazione della luce con strutture cristalline ecc. Con riferimento a particolari applicazioni dell’analisi dei fenomeni ottici: o. adattiva o adattabile, studio dei modi in cui si può modificare un sistema ottico per correggere le perturbazioni introdotte su fasci luminosi da eventi casuali (moti dell’atmosfera, vibrazioni ecc.); o. fisiologica, studio del comportamento dell’occhio (degli animali e in particolare dell’uomo) in quanto sistema ottico che riceve, focalizza e rivela la radiazione luminosa, anche nelle sue componenti cromatiche (➔ visione) ecc.
Per o. si intende anche l’insieme delle lenti, specchi ecc., che fanno parte di un sistema ottico o di uno strumento. O. binaria Sistema ottico i cui elementi sono progettati con l’elaboratore e realizzati con tecniche litografiche. O. diffrattiva Sistema ottico i cui elementi lavorano sfruttando fenomeni di diffrazione. O. trattata Sistema ottico (in particolare obiettivo) le cui lenti, mediante opportuni trattamenti fisici o chimici, siano state ricoperte di una pellicola sottilissima trasparente, in grado di attenuare, se non di eliminare, la riflessione della luce sulle loro superfici: ne risulta più o meno sensibilmente aumentato il fattore di trasparenza.
La storia dell’o. propriamente detta (o. ordinaria) riflette puntualmente le varie vicende che hanno subito nel corso dei secoli i concetti relativi ai fenomeni luminosi; nata come scienza della visione, e dunque ancorata agli aspetti fisiologici, soggettivi, del fenomeno luce, l’o. ha poi finito per svincolarsi da questi aspetti per assumere il carattere oggettivo, che oggi le si riconosce, di una disciplina fisica: precisamente, la disciplina relativa ai fenomeni propri di quelle particolari radiazioni elettromagnetiche che chiamiamo onde luminose, capaci, tra l’altro, di suscitare sensazioni visive, e che costituiscono la luce. La luce partecipa delle rappresentazioni corpuscolare e ondulatoria che non sono antitetiche, bensì complementari, l’una e l’altra dando conto, complessivamente, di tutti i fenomeni luminosi. Questi sono infatti descrivibili (o. quantistica) in termini di enti corpuscolari, i fotoni, a ciascuno dei quali è associata una funzione (la funzione d’onda, il cui modulo quadrato fornisce la densità di probabilità di localizzare il fotone) con evoluzione spazio-temporale di tipo ondulatorio governata dalle leggi della meccanica quantistica. Quando si vogliono studiare i fenomeni di propagazione della luce e non quelli relativi all’emissione e all’assorbimento (➔ irraggiamento; assorbimento) è generalmente sufficiente descrivere la luce come un’onda (o. ondulatoria), o più specificamente come un’onda elettromagnetica (o. elettromagnetica; ➔ onda).
In talune situazioni particolari si può inoltre far ricorso a una descrizione semplificata dei fenomeni di propagazione luminosa in termini puramente geometrici (o. geometrica). Per consuetudine il campo d’interesse dell’o. ordinaria s’intende esteso anche alle radiazioni, non visibili, di lunghezza d’onda prossima a quella delle radiazioni luminose, cioè alle radiazioni che costituiscono il campo dell’infrarosso vicino e il campo dell’ultravioletto vicino. La radiazione luminosa è caratterizzata dal suo spettro in frequenza o, se si tratta di radiazione monocromatica, dalla sua frequenza ν. In termini ondulatori la frequenza di una radiazione monocromatica è l’inverso della periodicità temporale T dell’onda (ν=1/T); in termini corpuscolari la frequenza è il rapporto tra l’energia E di ciascun fotone e la costante di Planck h (ν=E/h). La frequenza della radiazione è legata alla lunghezza d’onda λ dalla relazione fondamentale λν=v, con v velocità della luce nel mezzo in cui ha luogo la propagazione. Nell’o. geometrica lo studio della radiazione luminosa è ristretto a quei casi nei quali le dimensioni e i raggi di curvatura degli oggetti che intervengono nel problema allo studio sono molto maggiori della lunghezza d’onda. Quando questa condizione non è soddisfatta, è necessario ricorrere, per una corretta descrizione dei fenomeni, all’o. ondulatoria.
L’o. geometrica deve la sua denominazione al fatto che essa descrive i fenomeni della propagazione della luce in termini puramente geometrici; alla sua base sta il concetto di raggio luminoso e le leggi che ne governano la propagazione. Il raggio luminoso è la traiettoria di una piccolissima porzione del fronte della perturbazione luminosa o più concretamente un fascetto di luce di sezione costante piccolissima (rispetto alle distanze in gioco). Le leggi che governano la propagazione dei raggi sono: a) la legge della propagazione rettilinea (in un mezzo omogeneo e isotropo la luce si propaga in linea retta, cioè i raggi sono rettilinei); b) la legge dell’indipendenza dei raggi luminosi (i raggi possono intersecarsi senza risentire di alcuna azione mutua); c) le leggi della riflessione per cui i1=i1′, fig. 1; d) le leggi della rifrazione per cui sen i1/sen i2=n2/n1, fig. 1. Definito il cammino ottico L tra due punti A e B
(dove n è il valore locale dell’indice di rifrazione assoluto del mezzo e l’integrale è calcolato su una linea che collega A e B, queste leggi sono compendiate nel principio di Fermat (1640): il raggio seguito dalla luce nell’andare da un punto A a un punto B è quello tra gli infiniti percorsi tra A e B cui corrisponde il minimo oppure il massimo cammino ottico (cioè per il quale si ha
).
In un mezzo omogeneo e isotropo il cammino ottico è dato da L=nl, con l lunghezza di una linea che collega A e B, e quindi dal principio di Fermat discende immediatamente la propagazione rettilinea della luce in quanto l, e quindi L, è minimo quando la linea che congiunge A e B è retta. Anche la legge della riflessione può essere facilmente ottenuta a partire dal principio di Fermat: consideriamo infatti uno specchio piano S (fig. 2) e individuiamo il percorso della luce tra due punti A e B al quale compete il cammino ottico minimo imponendo che la luce colpisca lo specchio; se B′ è il punto simmetrico di B rispetto allo specchio, si ha OB=OB′ e anche β=β′; il cammino AO+OB=AO+OB′ sarà minimo quando i punti A, O e B′ sono allineati, cioè quando α=β′ e quindi α=β, ovvero quando l’angolo di riflessione è uguale all’angolo di incidenza. Consideriamo infine la superficie piana di separazione tra due mezzi con diversi indici di rifrazione n1 e n2 e individuiamo il percorso tra due punti A e B (fig. 3) che rende minimo il cammino ottico n1AO+n2OB; per tale percorso, considerato un percorso di pochissimo discosto, deve risultare n1AO+n2OB=n1AO’+n2O’B, o anche n1CO=n2O′C′, a meno di infinitesimi di ordine superiore; essendo CO=OO′senα e O′C′=OO′senβ, si deve pertanto avere n1senα=n2senβ, che è proprio la legge della rifrazione. Nella maggior parte dei casi di interesse pratico, il percorso effettivo della luce corrisponde al minimo cammino ottico: e spesso, infatti, il principio viene enunciato con riferimento a tali casi. Accade però talora che il raggio corrisponda a un cammino ottico massimo, anziché minimo. Concludendo, il principio di Fermat dà conto dei fenomeni della propagazione rettilinea della luce, della riflessione e della rifrazione, che sono appunto quelli di competenza dell’o. geometrica. Gli schemi descrittivi di quest’ultima cessano d’essere validi e si è costretti a passare ai più complessi schemi dell’o. ondulatoria tutte le volte che intervengono dimensioni lineari non grandissime rispetto alla lunghezza d’onda, λ, della luce (è il caso, per es., della diffrazione).
In termini analitici, si può equivalentemente dire che, ove si rappresenti la perturbazione luminosa mediante uno sviluppo in serie di potenze di λ, si può fare dell’o. geometrica tutte le volte in cui tale sviluppo è lecitamente approssimabile con il suo primo termine, indipendente da λ: è, questa, la cosiddetta approssimazione dell’o. geometrica. Questa approssimazione può sembrare molto restrittiva, ma in realtà non lo è, dato il valore piuttosto piccolo delle lunghezze d’onda in gioco nei fenomeni luminosi (nell’aria, decimi di micrometro): l’o. geometrica ha un ruolo insostituibile, per la sua semplicità, nella trattazione dei sistemi ottici, costituiti appunto da una successione di superfici riflettenti e rifrangenti, macroscopicamente regolari. A proposito della teoria dei sistemi ottici, è opportuno ricordare che, nell’ambito dell’approssimazione generale dell’o. geometrica, si fanno altre approssimazioni per semplificare ulteriormente i calcoli. In genere, si tratta di limitazioni imposte ai raggi e alle superfici ottiche in vista di poter sostituire a determinati enti geometrici altri enti più semplici, come nel caso delle approssimazioni di Gauss (➔ sistema).
Come detto in precedenza, esiste tutta una serie di fenomeni di propagazione della luce in cui viene meno l’approssimazione dell’o. geometrica e occorre tener presente la circostanza che la luce è caratterizzata da una lunghezza d’onda, o da un campo di lunghezze d’onda. Lo studio di questi fenomeni è riconducibile alla risoluzione dell’equazione delle onde con le condizioni al contorno imposte dal problema allo studio (➔ onda). Le difficoltà formali connesse alla risoluzione di questa equazione differenziale (alle derivate parziali) possono generalmente essere superate ricorrendo al principio di Huygens-Fresnel (si tratta di un principio molto generale, valido per una qualunque propagazione per onde). Nella primitiva formulazione di C. Huygens (1678), esso esprimeva in forma qualitativa la circostanza che ogni punto di un fronte d’onda (luogo dei punti raggiunti a un certo istante dalla perturbazione luminosa) potesse essere riguardato come sorgente di onde secondarie, il fronte d’onda a un istante successivo essendo dato dall’inviluppo delle onde sferiche emergenti ciascuna da un punto del fronte d’onda considerato inizialmente. Il principio fu poi integrato da A.-J. Fresnel (1820), e di esso si può dare oggi la formulazione seguente, che costituisce un caso particolare di un più generale risultato ottenuto da G.R. Kirchhoff (1882): se S è una sorgente puntiforme, Σ una qualunque superficie chiusa che la contiene, P un punto qualunque dello spazio, la grandezza fisica che rappresenta la perturbazione luminosa in P (per es., il vettore di intensità del campo elettrico) si può esprimere come sovrapposizione dei contributi generati in P dai vari punti di Σ, agenti come sorgenti secondarie eccitate dalla sorgente primaria S (➔ Huygens, Christiaan). L’o. ondulatoria riproduce, ovviamente, tutti i risultati dell’o. geometrica: di seguito, per es., è illustrato come si ottengano le leggi della riflessione e della rifrazione a partire dal principio di Huygens-Fresnel nella sua forma elementare. Consideriamo un’onda luminosa piana che incide sulla superficie piana di separazione tra due mezzi nei quali la velocità di propagazione della luce è rispettivamente v1 e v2 (fig. 4). Il punto B del fronte d’onda raggiunge il punto D della superficie di separazione tra i due mezzi con un ritardo τ=BD/v1 rispetto al punto A. Tutti i punti del tratto AD divengono centri di onde sferiche propagantisi nei due mezzi non appena sono raggiunti dall’onda incidente: quando l’onda incidente raggiunge il punto D l’onda sferica emessa dal punto A sarà rappresentata nel primo mezzo da una semisfera di raggio AC=v1τ=BD e nel secondo mezzo da una semisfera di raggio AE=v2τ=BDv2/v1. Quando B raggiunge D gli inviluppi nel primo e nel secondo mezzo di tutte le onde elementari emesse dal tratto AD sono due piani passanti per D e tangenti rispettivamente in C ed E alle onde sferiche emesse dal punto A. Dalla fig. 4 risulta immediatamente i1=i1′ (legge della riflessione) e anche BD=v1τ=ADseni1, AE=v2τ=ADseni2; dividendo membro a membro queste due uguaglianze si ottiene seni1/seni2=v1/v2 cioè la legge della rifrazione. Ma il principio di Huygens-Fresnel, oltre a fornire le leggi della riflessione e della rifrazione, stabilisce anche un collegamento tra la velocità di propagazione della luce, v (velocità di fase), in un mezzo e l’indice di rifrazione assoluto, n, del mezzo stesso, dovendo risultare n=c/v, con c velocità della luce nel vuoto. Il principio di Huygens-Fresnel è alla base dell’interpretazione dei fenomeni di diffrazione della luce, che sono i più suggestivi tra i fenomeni descrivibili con gli schemi dell’o. ondulatoria (➔ diffrazione).
È il complesso di fenomeni ottici legati a caratteristiche non lineari del mezzo ottico, cioè legati a fenomeni di polarizzazione (o di magnetizzazione) dipendenti dall’intensità del campo polarizzante (o magnetizzante) secondo relazioni in cui tale intensità compare a potenze maggiori della prima. Tra questi fenomeni ne figurano alcuni, quali gli effetti Faraday, Kerr, Raman, già compiutamente noti e appartenenti da tempo al contesto dell’o. ordinaria, e altri, quali la generazione di armoniche ottiche e l’amplificazione parametrica della luce, la cui osservazione si è resa possibile soltanto quando si sono avuti a disposizione fasci molto intensi di luce coerente, prodotti da laser (va peraltro ricordato che effetti del genere erano già noti nel campo delle microonde, dove da tempo erano a disposizione mezzi per generare radiazioni coerenti e intense).
Le proprietà non lineari di un mezzo ottico non ferromagnetico possono essere descritte esprimendo l’intensità della polarizzazione dielettrica, P, in serie di potenze dell’intensità del campo elettrico E:
,
dove ε0 è la costante dielettrica assoluta del vuoto e χ1, χ2, χ3 … definiscono la suscettività dielettrica del mezzo; in particolare, χ1 è la suscettività lineare (l’unica non nulla nei dielettrici lineari), mentre χ2, χ3 … sono le suscettività non lineari del secondo, terzo … ordine. La possibilità di scrivere per P una relazione del tipo della precedente deriva dal fatto che le suscettività non lineari sono relativamente piccole: per es., il valore di χ2 è dell’ordine di 10−2 m/V. La non linearità della polarizzazione si traduce in una non linearità della costante dielettrica relativa, e quindi dell’indice di rifrazione elettromagnetico. Poiché la polarizzazione dielettrica è, nel campo delle frequenze ottiche, essenzialmente di tipo elettronico, la non linearità anzidetta è in definitiva da ascriversi a non linearità dei moti vibratori elettronici indotti dalle onde.
La teoria della propagazione di onde elettromagnetiche in mezzi non lineari può essere sviluppata lungo linee puramente classiche. Uno degli effetti di non linearità più eclatanti è la produzione di seconda armonica, cioè la generazione di un fascio di luce a frequenza doppia di quello incidente in materiali cristallini che mancano di simmetria d’inversione. L’intensità dell’onda di seconda armonica prodotta dipende dal quadrato dell’intensità dell’onda fondamentale: l’efficienza della produzione di seconda armonica cresce quindi rapidamente al crescere dell’intensità della fondamentale. L’onda di seconda armonica, dopo essere stata creata, viene riassorbita dal dielettrico, rigenerando l’onda fondamentale, poi viene di nuovo generata, e così via, in modo che il valore dell’intensità della seconda armonica prodotta ha un valore oscillante con la lunghezza L del materiale cristallino attraversato, purché non sia n1=n2 (condizione di adattamento di fase o di phase-matching), con n1 e n2 indici di rifrazione rispettivamente alla frequenza della luce incidente e a frequenza doppia.
È il complesso degli studi e delle tecniche finalizzati alla generazione, mediante opportuni effetti o dispositivi ottici, di un’onda luminosa avente una distribuzione di fase che è, in ciascun punto dello spazio, l’esatto opposto di quella di un’arbitraria onda monocromatica incidente. Usando la rappresentazione complessa delle onde, il processo di coniugazione di fase dà luogo a un’onda la cui ampiezza spaziale è la complessa coniugata di quella dell’onda incidente (da qui il nome del processo). L’onda coniugata in fase può per molti versi essere considerata come una replica, viaggiante a ritroso nel tempo, di quella incidente (fig. 5). Le prime tecniche di coniugazione di fase sono state realizzate nell’ambito dell’olografia (olografia in regime transitorio) e dell’o. adattiva (uno specchio ordinario veniva deformato sotto il controllo di un calcolatore in modo tale che in ogni punto la superficie dello specchio risultasse parallela al fronte dell’onda incidente); a partire dalla metà degli anni 1970, l’o. a coniugazione di fase ha ricevuto un grandissimo impulso dall’impiego di effetti ottici non lineari del terzo ordine.
In un materiale non lineare le proprietà ottiche dipendono dalla radiazione incidente e il materiale può, in opportune condizioni, ‘adattarsi’ con perfetta corrispondenza alla struttura dell’onda incidente e produrre la replica coniugata in fase. Gli effetti non lineari più utilizzati sono la diffusione Brillouin stimolata e il cosiddetto mescolamento a quattro onde. Quest’ultimo viene ottenuto inviando in un mezzo non lineare l’onda segnale e due onde (di pompaggio) molto intense della stessa frequenza di quella incidente, secondo la disposizione schematizzata in fig. 6: le tre onde danno luogo a una polarizzazione del terz’ordine variabile nel tempo che genera una quarta onda coniugata in fase con l’onda segnale; il materiale si comporta pertanto come un retroriflettore perfetto e se le onde di pompaggio sono sufficientemente intense l’onda riflessa può anche avere intensità maggiore di quella incidente. Gli studi sulla coniugazione di fase hanno avuto una rapida espansione così come le sue applicazioni (microscopia, o. adattiva, o. correttiva, elaborazione delle immagini, tecnologia laser, fotolitografia, sistemi di puntamento ecc.).
Tutti i fenomeni ottici possono essere studiati con il ricorso al campo elettromagnetico quantizzato, cioè in termini di fotoni la cui evoluzione spazio-temporale è descritta dalla funzione d’onda. Tuttavia, in generale, ciò non è vantaggioso poiché i risultati sono in molti casi gli stessi ottenibili nell’ambito dell’o. ondulatoria che fornisce una trattazione più semplice. La formulazione quantistica è però indispensabile per quei fenomeni, come le interazioni della luce con i costituenti microscopici della materia (in particolare l’emissione laser, l’assorbimento fotoelettrico ecc.), che trovano adeguata trattazione solo in questo ambito. L’o. quantistica (in passato detta anche o. fotonica) è l’insieme dei fenomeni ottici la cui completa comprensione richiede l’uso specifico della meccanica quantistica. Il settore più rilevante, anche per gli aspetti applicativi, dell’o. quantistica riguarda lo studio dell’emissione stimolata e dei fenomeni a essa correlati che hanno portato alla realizzazione del laser.
È quella parte della fisica che, partendo dall’analogia formale fra il movimento di elettroni in campi elettrici e magnetici e la propagazione della luce nei mezzi trasparenti, tratta i problemi relativi al moto degli elettroni secondo gli schemi e i metodi dell’o. ordinaria. L’analogia cui ora s’è accennato consiste nel fatto che le traiettorie elettroniche in campi elettrici e magnetici sono tali da dar luogo a fenomeni di riflessione, rifrazione e focheggiamento analoghi a quelli cui danno luogo raggi luminosi in mezzi ottici; inoltre, come un fascio di luce può essere considerato come un insieme di onde (elettromagnetiche), così un fascio di elettroni può essere considerato come un insieme di onde (di probabilità), associate ai singoli elettroni. Come nell’o. ordinaria, anche nell’o. elettronica si parla di o. elettronica geometrica e o. elettronica ondulatoria. La prima studia i problemi della rifrazione e della riflessione di fasci di elettroni, considerando questi ultimi come corpuscoli puntiformi carichi, soggetti alle leggi della dinamica e dell’elettromagnetismo; la seconda studia invece i fenomeni di propagazione legati alla natura ondulatoria degli elettroni, per es. la diffrazione. Infatti, secondo i principi della meccanica ondulatoria, a un elettrone in movimento con quantità di moto p si deve intendere associata un’onda (onda di probabilità), la cui evoluzione spazio-temporale è governata dall’equazione di Schrödinger e avente lunghezza
,
dove h è la costante di Planck. Nel caso di un elettrone accelerato da una tensione V (espressa in volt) si ha:
(espressa in ångström).
O. elettronica geometrica. - È lo studio delle traiettorie di elettroni che si muovono in campi elettrici e/o magnetici, trascurando gli effetti dovuti all’irraggiamento elettromagnetico conseguente a forti decelerazioni o accelerazioni (come accade, per es., negli acceleratori) e gli effetti delle interazioni mutue tra gli elettroni che costituiscono il fascio, e utilizzando le leggi della dinamica classica. Se, come accade in genere, i campi in questione sono costanti, si parla di o. elettronica geometrica statica; nel seguito ci si riferirà appunto a campi elettrostatici e magnetostatici. È naturale riguardare le traiettorie degli elettroni come raggi elettronici, in analogia ai raggi luminosi. Nelle ipotesi ora fatte si può mostrare che i raggi elettronici soddisfano a una equazione variazionale, formalmente identica al principio di Fermat dell’o. luminosa; è possibile allora usare anche per gli elettroni la teoria generale della propagazione per raggi luminosi in mezzi con indice di rifrazione continuamente variabile, in analogia al caso delle traiettorie di particelle materiali in campi di forza. Per la soluzione della maggior parte dei problemi pratici si ricorre pertanto alla descrizione e alla terminologia dei fenomeni dell’o. geometrica ordinaria. A tale proposito va peraltro osservato che l’analogia fra o. geometrica della luce e o. elettronica geometrica ha dei limiti. Gli strumenti ottici sono infatti essenzialmente composti da superfici di discontinuità dell’indice di rifrazione, opportunamente sagomate, le quali bruscamente rifrangono o riflettono la luce, mentre negli strumenti dell’o. elettronica gli elettroni sono rifratti o riflessi da campi elettrici o magnetici che agiscono continuamente per una certa lunghezza finita. Consideriamo a tale scopo uno strato piano sottile S (fig. 7) che separa due regioni in cui il potenziale elettrostatico ha valore differente, V1 e V2; un elettrone si muova nella direzione PO con velocità v1. Poiché l’elettrone viaggia in una zona equipotenziale, su esso non agiscono forze, e il suo è un moto rettilineo uniforme. Nello strato è presente un campo elettrico, normale a S, tale che quando l’elettrone perviene in O, su esso agisce una forza normale a S, che altera soltanto il componente normale, vn, di v1; il componente tangenziale vt resta invariato e, con riferimento alla fig. 7, si ha: vt=v2seni2=v1 seni1, ovvero:
,
essendo i1, angolo di incidenza, l’angolo che la direzione di v1 forma con la normale p a S in O; i2, angolo di rifrazione, l’angolo che v2 forma con p, e n21 l’indice di rifrazione della zona a potenziale V1 rispetto alla zona a potenziale V2. Questa formula è l’analoga della ben nota legge della rifrazione dell’o. ordinaria per raggi luminosi (nella quale, però, interviene il rapporto v1/v2 delle velocità di fase della luce nei due mezzi). Il comportamento del fascio di elettroni è dunque simile a quello di un fascio di luce che passa attraverso la superficie di separazione tra due mezzi diversi, eccetto per il fatto che nel caso degli elettroni al raggio rifratto non s’accompagna un raggio riflesso. Questo è dovuto al fatto che il potenziale varia gradualmente nello strato S o, se si vuole, all’interfaccia fra i due ‘mezzi’; in effetti, se si tratta il caso di mezzi ottici con indice di rifrazione gradualmente variabile, si trova, analogamente, che non esiste raggio riflesso. Poiché il lavoro fatto dal campo sull’elettrone quando esso passa dal primo al secondo mezzo è e (V2−V1), essendo e la carica dell’elettrone, dal teorema di conservazione dell’energia si ricava:
,
essendo m la massa dell’elettrone. Se la velocità v1 è quella che l’elettrone ha acquistato per essere stato accelerato dalla tensione V1, si ha:
Se la differenza di potenziale V2−V1 è negativa (V2<V1) e se in valore assoluto è e|V2−V1|>m(v1cosi1)2/2, che è la parte di energia cinetica dell’elettrone corrispondente alla componente normale della velocità nella zona di potenziale V1, allora l’elettrone sarà respinto indietro dalla superficie con una velocità normale uguale in modulo, ma di segno contrario rispetto a quella incidente. L’angolo che la direzione OP′ dell’elettrone riflesso forma con la normale alla superficie è ancora i1: si ha l’analogo della riflessione nell’o. geometrica dei raggi luminosi. Il comportamento degli elettroni nel passaggio attraverso una zona a potenziale non costante è dunque analogo a quello di fasci di luce nel passaggio fra due mezzi con indice di rifrazione diversi.
Sfruttando le proprietà sopra menzionate è possibile costruire dispositivi riflettenti e rifrangenti per fasci di elettroni, e in particolare costruire lenti elettroniche, cioè dispositivi per concentrare e focheggiare fasci elettronici, mediante campi elettrici e magnetici: la denominazione è giustificata dal fatto che tali dispositivi servono a scopi identici a quelli cui servono le lenti ottiche. Nelle lenti elettrostatiche, che sono le più semplici e anche le più diffuse, sono usati campi elettrostatici; sugli elettroni agisce una forza che è direttamente proporzionale all’intensità del campo ed è nella direzione di questo (è perpendicolare alle superfici equipotenziali). Le lenti magnetiche sono invece caratterizzate dall’impiego di un campo magnetico costante, avente anch’esso una simmetria di rotazione rispetto a una retta (asse ottico). Generalmente tale campo è prodotto da un elettromagnete di forma opportuna, alimentato da una corrente continua.
O. elettronica ondulatoria. - Poiché gli elettroni partecipano anche della rappresentazione ondulatoria, ci si deve aspettare che per essi esistano dei fenomeni di diffrazione analoghi a quelli delle onde luminose. In particolare, se un fascio di elettroni incontra un reticolo, esso deve essere diffratto con le stesse modalità con cui è diffratto un fascio di luce. Tuttavia è praticamente impossibile sul piano sperimentale produrre fasci ben collimati di elettroni molto lenti e pertanto la lunghezza d’onda non può essere superiore a un certo limite, che è dell’ordine di pochi ångström: i reticoli adatti per osservare fenomeni di diffrazione elettronici sono quindi quelli cristallini. Nella fig. 8 è schematizzato il fenomeno della diffrazione elettronica da un reticolo cristallino: a causa della interferenza delle onde diffratte dai diversi piani reticolari, si hanno elettroni diffratti solo se la differenza di percorso tra gli elettroni riflessi da due piani reticolari a (separati da una distanza D) è pari a un numero intero n di lunghezze d’onda λ, cioè se 2Dsenϑ=nλ (relazione di Bragg). In pratica, quindi, fissato un certo valore per la tensione acceleratrice degli elettroni (e quindi per λ), si studia la distribuzione degli elettroni riflessi spostando il rivelatore nelle varie posizioni individuate dall’angolo α. In generale si trova una distribuzione continua (diffusione) con un massimo in corrispondenza a una certa direzione per la quale è soddisfatta la relazione di Bragg e si verifica la diffrazione. Nella fig. 9 è mostrata la figura di diffrazione elettronica, registrata con lastra fotografica, prodotta da un monocristallo. I metodi della diffrazione elettronica, insieme a quelli della diffrazione dei raggi X e dei neutroni, sono diventati sempre più importanti nell’analisi della struttura atomica dei cristalli. Oggi la tecnica della diffrazione elettronica è impiegata anche nell’industria.
La propagazione di fasci di particelle cariche diverse dagli elettroni in campi elettrici o magnetici è governata dalle stesse leggi dell’o. elettronica, salvo differenze che nascono dalla differenza di massa ed eventualmente di carica: l’o. delle particelle è, per così dire, l’estensione dell’o. elettronica ad altre particelle. Tale disciplina si è notevolmente sviluppata, fra l’altro per la realizzazione di spettrografi di massa, di microscopi a emissione e di ‘sistemi ottici’ per particelle cariche ad altissima velocità. Una prima differenza rispetto all’o. ordinaria e, parzialmente, anche rispetto all’o. elettronica, è che mentre per la luce solo la lunghezza d’onda distingue le differenti radiazioni, nell’o. delle particelle vi sono tre diversi parametri che distinguono le varie particelle: la massa, m, la carica, q, e la velocità, v. Va subito osservato che la massa e la carica non possono essere determinate separatamente con i metodi dell’o. delle particelle, poiché il moto di particelle cariche in campi elettrici o magnetici dipende dalla carica specifica, q/m. D’altro lato, le azioni dei campi elettrici e magnetici su particelle dipendono da differenti combinazioni della carica specifica, del raggio di curvatura r e della tensione V sotto cui le particelle sono state accelerate, cosicché q e m possono essere determinate separatamente da un’applicazione simultanea di un campo elettrico e di un campo magnetico.
Oltre che nel campo della spettrografia di massa e della microscopia, importanti applicazioni dell’o. delle particelle si hanno nel campo degli acceleratori. Tali applicazioni riguardano in primo luogo lo studio e la progettazione dei magneti delle macchine acceleratrici circolari; negli acceleratori con bersaglio fisso, riguardano anche la realizzazione di dispositivi per la selezione e il trasporto di fasci secondari, generalmente ottenuti utilizzando solo campi magnetici (magneti deflettori, magneti analizzatori, lenti multipolari ecc.). L’effetto combinato di un campo magnetico e di un campo elettrico (statico o a radiofrequenza) è utilizzato nei selettori di velocità, mediante i quali è possibile separare un fascio di particelle nelle sue varie componenti di massa.
Settore dell’optoelettronica che studia la realizzazione dei sistemi miniaturizzati per l’elaborazione di segnali ottici. In analogia ai circuiti integrati microelettronici, i circuiti integrati ottici comprendono, su di un unico supporto di poche decine di millimetri quadrati, sorgenti, mezzi trasmissivi, modulatori e rivelatori, in un insieme che abbina caratteristiche di alta affidabilità a una elevata velocità di elaborazione dei segnali e a un costo di fabbricazione contenuto. Negli anni 1990 l’optoelettronica e l’elettronica sono risultate complementari. La crescente attività nei laboratori di ricerca del settore indicava però un progressivo spostamento di interesse a favore del trattamento di informazioni con tecniche puramente ottiche (ossia con il solo impiego di fotoni in sostituzione degli elettroni), con un ruolo decrescente dell’elettronica. E già sul finire degli anni 1980 veniva introdotto il termine fotonica per denominare la disciplina che studia le suddette tecniche (➔ fotone).