Il termine e. fu introdotto intorno al 1940 per indicare quella parte della scienza elettrica dedicata allo studio dei fenomeni associati al moto di fasci di elettroni nel vuoto e nei gas (American standard definition of electrical terms, 1941). La definizione di e. comprendeva anche i vari dispositivi, circuiti e applicazioni basati su tali fenomeni e, in particolare, i tubi a vuoto e a gas e molti dei dispositivi circuitali utilizzati in radiotecnica e nei sistemi di trasmissione telefonica. Poiché in tutti questi casi le intensità delle correnti elettriche e i livelli di potenza erano di gran lunga inferiori a quelli utilizzati nella elettrotecnica tradizionale, si usava anche la locuzione ‘tecnica delle correnti deboli’ come sinonimo di e., in contrapposizione a ‘tecnica delle correnti forti’ come sinonimo di elettrotecnica.
Dal 1940 in poi, il panorama dei dispositivi, delle applicazioni e degli stessi fenomeni fisici di interesse elettronico è aumentato così rapidamente che la definizione originaria è risultata del tutto inadeguata. I progressi dell’e. si possono classificare in tre categorie: a) introduzione e sviluppo dei dispositivi a stato solido con conseguente miniaturizzazione dei componenti elettronici; b) messa a punto di dispositivi e apparati a frequenze sempre più elevate, fino alle microonde e ai dispositivi ottici; c) aumento straordinario della complessità dei dispositivi e delle possibili applicazioni. Di conseguenza non risulta più corretta l’identificazione dell’e. con la tecnica delle correnti deboli, se si tiene anche conto del fatto che esiste una parte dell’e., denominata elettronica industriale, che si occupa di una vasta classe di dispositivi elettronici per medie e alte potenze.
Con la scoperta dell’elettrone (J.J. Thomson, 1897), quale componente essenziale della materia e ‘quanto’ dell’elettricità, ha inizio la prima fase della storia dell’e. propriamente detta. Nello stesso anno fu realizzato da F. Braun il primo tubo a raggi catodici, che è il progenitore dei dispositivi visualizzatori usati negli oscilloscopi, nei televisori e nei terminali degli calcolatori. Negli anni seguenti, il processo di emissione di elettroni da metalli riscaldati (emissione termoelettronica) fu chiarito e impostato in termini quantitativi da O.W. Richardson. Nel 1902 J.A. Fleming realizzò il diodo a vuoto, che è il componente fondamentale per effettuare la trasformazione di una corrente bidirezionale in una unidirezionale. Un passo decisivo nello sviluppo dell’e. si ebbe nel 1906, quando L. De Forest riuscì a inserire nel diodo un terzo elettrodo a forma di griglia in modo da controllare il flusso di elettroni fra i due elettrodi principali, realizzando così il triodo. Con tale componente risultò possibile realizzare per la prima volta un dispositivo dotato di amplificazione, cioè in grado di ottenere in uscita una copia amplificata del segnale elettrico presente in ingresso. Al triodo seguirono vari tubi elettronici dotati di più elettrodi. I tubi elettronici divennero i componenti essenziali nella realizzazione di apparati e di sistemi di telecomunicazioni (telefonia a grande distanza, radiocomunicazioni ecc.) e in varie altre applicazioni. Un ulteriore progresso si ebbe con la realizzazione dei primi circuiti bistabili, con i quali fu aperto il campo dell’elettronica digitale e fu mostrata la possibilità di memorizzare informazioni in circuiti elettronici; tali circuiti rappresentarono la base delle successive realizzazioni dei primi elaboratori digitali.
Gli sviluppi Prima e durante la Seconda guerra mondiale le ricerche nel campo dell’e. ebbero come obiettivo la realizzazione di tubi elettronici per alte frequenze e, in secondo luogo, la sostituzione dei tubi elettronici con dispositivi allo stato solido. Il primo campo di studi dette luogo, durante la Seconda guerra mondiale, alla realizzazione del magnetron che rappresentò il primo tubo elettronico per generare segnali elettrici di elevata potenza nel campo delle microonde. Tale componente, al quale seguì una vasta classe di dispositivi analoghi, permise l’invenzione e lo sviluppo del radar e rese l’e. di interesse strategico nell’ambito del conflitto.
Il secondo campo di ricerca permise la realizzazione del transistore, da parte di W. Shockley, J. Bardeen e W.H. Brattain (1947). Tale componente pose le basi dell’elettronica dello stato solido e produsse una vera rivoluzione nell’e. stessa, tanto da rendere superati gran parte dei circuiti e dispositivi realizzati in precedenza. Il primo transistore detto a punta (perché realizzato mediante contatti puntiformi posti a distanza ravvicinata su una lastrina di germanio) fu successivamente superato dal transistore a giunzione (1951), assai più stabile e affidabile. Tale invenzione fu seguita, in pochi anni, dall’introduzione di una estesa varietà di dispositivi elettronici allo stato solido (diodi di vario tipo, componenti fotovoltaici, diodi rivelatori di particelle, tiristori, transistori a effetto di campo ecc.).
A partire dalla metà degli anni 1950, ebbe inizio la ‘transistorizzazione’ delle applicazioni dell’e. (la prima radio a transistori risale al 1954, il primo calcolatore a transistori al 1957). Successivamente, una nuova rivoluzione dell’e. si compì con la costruzione dei circuiti integrati, il cui primo esemplare fu realizzato nei laboratori della Texas Instruments nel 1958. Si trattò di una inevitabile conseguenza dell’invenzione del transistore, che permise di realizzare un intero circuito all’interno di una minuscola lastrina di materiale semiconduttore. L’integrazione degli apparati elettronici apparve subito vantaggiosa e tale da rendere un’altra volta superati gran parte dei dispositivi precedenti. I vantaggi conseguiti sono stati innumerevoli, dalla possibilità di miniaturizzazione alla maggiore frequenza di impiego, all’aumento dell’affidabilità (cioè della possibilità di funzionamento corretto in lunghi periodi di tempo). Vi è poi il miglioramento della velocità di funzionamento dei dispositivi digitali, fino a ottenere tempi di commutazione dell’ordine dei nanosecondi. Infine, un altro vantaggio importantissimo riguarda la forte riduzione dei costi di fabbricazione.
La microelettronica Ciò ha permesso lo sviluppo di una nuova parte dell’e., nota con il nome di microelettronica. I progressi compiuti successivamente hanno riguardato soprattutto la crescente complessità dei circuiti integrati, identificabile con il numero di componenti che è possibile realizzare sulla stessa lastrina di silicio (chip) e il miglioramento delle prestazioni dei dispositivi. Si è arrivati a realizzare circuiti integrati che contengono oltre un milione di transistori nell’area di pochi millimetri quadrati (VLSI, very large scale integration). Fra i circuiti integrati più diffusi vi sono le memorie ad altissima densità, che memorizzano in forma digitale dati fino a parecchi miliardi di bit e i cosiddetti microcalcolatori, che realizzano in un unico chip un calcolatore completo delle sue parti principali. Altri dispositivi elettronici innovativi hanno riguardato le applicazioni della superconduttività e dell’effetto Josephson. Tale effetto permette di realizzare amplificatori per segnali di ingresso estremamente bassi e circuiti logici ad altissima velocità, con bassissimo consumo di potenza. Parallelamente allo sviluppo dell’elettronica integrata, sono state poste le basi della optoelettronica, fondata sull’utilizzazione del laser, delle fibre ottiche e di una vasta gamma di componenti ottici. Lo sviluppo di tali dispositivi trova larga applicazione in vari campi, fra i quali quello delle telecomunicazioni.
La distinzione più importante che può essere fatta è quella fra elettronica analogica ed elettronica digitale (o numerica), anche se questa tende a sfumare nelle fasi di progetto dell’hardware, in quanto ogni circuito digitale deve essere progettato e verificato su basi analogiche, considerando l’evoluzione delle grandezze elettriche in modo continuo nel tempo. Tale distinzione è superata anche in alcuni tipi di calcolatori che utilizzano circuiti ibridi, cioè contenenti una parte analogica e una digitale, come avviene nel caso delle reti neurali (➔).
Elettronica analogica L’e. analogica si occupa di circuiti e dispositivi nei quali i vari segnali possono assumere un insieme continuo di valori. Lo studio dei circuiti elettronici di tipo analogico viene affrontato per mezzo delle metodologie proprie della teoria delle reti elettriche. È caratteristica tipica dell’e. la considerazione di circuiti attivi, in cui cioè sono presenti dei transistori. Nel caso di circuiti passivi e cioè contenenti solo resistori, condensatori e induttori le locuzioni circuito elettrico o circuito elettronico sono sostanzialmente equivalenti. L’e. utilizza i metodi propri dell’elettromagnetismo in tutti i problemi in cui sono coinvolti aspetti di propagazione di onde elettromagnetiche o circuiti ad altissime frequenze (microonde o onde millimetriche).
Elettronica digitale L’e. digitale si occupa di circuiti e dispositivi in cui i vari segnali possono assumere solo un insieme discreto di valori (tipicamente due valori). In tal caso l’e. confina con l’informatica, in quanto l’e. digitale tratta segnali che possono essere identificati con variabili logiche. I vari circuiti logici, realizzabili secondo differenti tecniche, sono raggruppati in famiglie logiche che si distinguono in base alla tecnologia usata per la realizzazione delle celle elementari (porte logiche), al consumo di potenza e alla velocità di commutazione. Le famiglie logiche sono identificate con sigle (TTL, NMOS, CMOS ecc.). Dal punto di vista dell’informatica, i dispositivi e le architetture elettroniche usate nella realizzazione di apparati di calcolo sono indicati con il termine hardware, in contrapposizione alle metodologie di programmazione, note con il termine software. È evidente che l’hardware si basa sul tipo di tecnologia adottata e che la modifica dell’hardware di un calcolatore rappresenta un mutamento radicale delle caratteristiche della macchina rispetto a una modifica del software.
Elettronica di potenza Denominazione introdotta negli anni 1980 e affermatasi in ambito internazionale negli anni 1990, per indicare quella parte dell’e. che tratta componenti elettronici a tensione non bassa e/o con elevata corrente di funzionamento, e studia gli schemi, le apparecchiature e i sistemi che li utilizzano allo scopo di convertire l’energia elettrica in modo da alimentare i carichi in maniera ottimale in relazione al loro tipo di funzionamento. La denominazione, talvolta usata in contrapposizione a elettronica di segnale, evidenzia che aspetto caratterizzante è l’elevato livello della potenza convertita e anche che le suddette apparecchiature sono impiegate nel settore della distribuzione e dell’utilizzazione dell’energia elettrica. Talvolta viene confusa e sovrapposta con l’elettronica industriale, che comprende più ampi settori applicativi. Non viene tuttavia individuato un livello di potenza al di sopra del quale è delimitata l’e. di potenza.
La grande diffusione dell’e. di potenza e la conseguente introduzione della denominazione sono avvenute a seguito della realizzazione e della messa a punto di dispositivi a semiconduttore, quali il tiristore (chiamato anche SCR), il GTO, i transistori bipolari di potenza, gli IGBT, i MOSFET di potenza ecc.; nella quasi totalità dei casi tali dispositivi sono utilizzati nella zona di saturazione, ovvero come interruttori comandati.
Tra i settori applicativi più importanti si ricordano: gli azionamenti a velocità variabile nell’industria e per la trazione di veicoli; gli alimentatori e in particolare i gruppi statici di continuità; i grandi convertitori (raddrizzatore e invertitori) per gli impianti di trasmissione dell’energia elettrica a corrente continua.
Dal punto di vista scientifico e tecnologico, l’e. di potenza è ormai da considerare matura e autonoma a livello sia di didattica in ambito universitario sia di programmi di ricerca. Le problematiche che maggiormente caratterizzano l’e. di potenza, oltre agli aspetti di analisi simili a quelli dell’e. tradizionale, riguardano i flussi di potenza e quindi i problemi di rendimento, le protezioni dai gradienti di tensione e dalle sovracorrenti, le modalità di raffreddamento e i problemi dei disturbi indotti.
L’industria elettronica ha registrato incrementi poderosi in termini di fatturato negli anni 1990, conseguenza della gamma sempre più ampia di prodotti e del rilevante progresso nelle loro caratteristiche. Infatti l’utilizzazione e la diffusione delle tecniche elettroniche hanno assunto un ruolo sempre più importante nei confronti degli altri settori industriali, e più in generale nel progresso economico della società moderna; fondamentale ed esclusivo è l’apporto dell’e. nei campi delle telecomunicazioni, dell’automazione e dell’informatica. Tra le cause che hanno determinato la forte espansione del settore, oltre ai progressi tecnologici e ai nuovi componenti dalle caratteristiche sempre più avanzate, assume fondamentale importanza la continua diminuzione del rapporto costi-prestazioni dei prodotti che usano componenti elettronici. L’impiego dei circuiti integrati ad alta concentrazione, aspetto fondamentale nello sviluppo dell’informatica, si è esteso rapidamente al settore delle telecomunicazioni e a quello dell’automazione, associandosi ormai diffusamente a tecniche di tipo digitale. A questi settori devono aggiungersi quelli delle apparecchiature elettroniche per ufficio e per la casa, della strumentazione e dei sistemi di misura e controllo, della strumentazione elettromedicale e degli apparecchi speciali.
I principali paesi produttori di componenti elettronici a livello mondiale sono gli USA, il Giappone e la Corea del Sud. L’Europa è presente con due importanti società di semiconduttori: la franco-italiana STMicroeletronics e la olandese NXP (azienda indipendente fondata da Philips Semiconductor).
Per quanto riguarda l’industria elettronica italiana, la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento dei componenti attivi e passivi (soprattutto di quelli di maggior pregio) è elevata.
Tipo di espressione musicale in cui il compositore crea i suoni partendo dai loro elementi costitutivi e li manipola poi con gli strumenti dell’elettroacustica e della registrazione sonora. L’inizio di una ricerca sulle nuove possibilità offerte dall’e. alla creazione musicale si ebbe con la costituzione, a Colonia nel 1951, dello Studio für elektronische Musik diretto da H. Eimert. A lui si unirono poi diversi musicisti come K. Stockhausen, H. Pousseur, F. Evangelisti. A imitazione dello studio di Colonia, centri analoghi sorsero in vari paesi: a Gravesano, nel Canton Ticino, fu costituito nel 1955 lo Studio sperimentale di elettroacustica dell’UNESCO diretto da H. Scherchen; a Milano nel 1956 fu costituito lo Studio di fonologia musicale, di cui furono animatori L. Berio e B. Maderna. Tra le evoluzioni più importanti degli anni 1980 e 1990 un ruolo rilevante spetta alle numerose applicazioni dell’informatica al lavoro musicale e musicologico. Lo sviluppo delle tecnologie audiodigitali, oltre a consentire l’interazione serrata tra mezzi sonori e mezzi visivi, che ha dato vita all’ampio filone delle opere multimediali, ha contribuito a svincolare l’esecuzione di musica e. dalla mera riproduzione del nastro magnetico: sempre più spesso l’interpretazione avviene dal vivo, sia come live electronics, sia come manipolazione, in tempo reale, del suono di strumenti tradizionali.