Parte dell’elettronica che riguarda la miniaturizzazione dei componenti e dei circuiti elettronici, in particolare la realizzazione dei microcircuiti o circuiti integrati (IC, integrated circuit) o chip.
La m. ha avuto un forte impatto non solo in campo tecnico, ma anche in quello economico e sociale. Infatti, anche se inizialmente l’obiettivo primario della m. era costituito dalla riduzione di peso e di ingombro dei circuiti elettronici richiesto da alcune applicazioni particolari, quali, per es., i circuiti dei satelliti per telecomunicazioni o delle sonde spaziali, in seguito hanno assunto importanza predominante gli effetti indotti, quali l’aumento di affidabilità e la riduzione del costo dei circuiti e degli apparati. La disponibilità di circuiti affidabili, poco ingombranti e poco costosi ha reso possibile la costruzione, l’efficace funzionamento e l’offerta a costo accessibile di calcolatori di grande potenza.
I dispositivi realizzabili con le tecnologie disponibili sono così complessi che anche un singolo microcircuito non può essere progettato manualmente. Pertanto la progettazione nel campo della m. è effettuata con mezzi e procedure automatizzati come, per es., il sistema CAD (computer aided design). La fase di progettazione con mezzi CAD precede la realizzazione fisica dei microcircuiti, effettuata in apposite industrie (foundry) nelle quali è stato messo a punto ed è eseguito il processo tecnologico. Di conseguenza il progettista, dopo aver sviluppato su calcolatore il proprio progetto simulandone il comportamento a vari livelli, genera un insieme di dati che, inviato alla foundry, consente la fabbricazione pressoché automatica del chip.
La m. ha avuto inizio da quando è apparso possibile realizzare più componenti sullo stesso chip. Le prime realizzazioni significative risalgono al 1958 a opera di J.S. Kilby, presso la società Texas Instruments. I primi microcircuiti erano in tecnologia bipolare, mentre in seguito sono stati introdotti microcircuiti di tipo MOS e CMOS che hanno largamente dominato nella maggior parte delle applicazioni. Un parametro significativo per valutare lo sviluppo della m. nel corso degli anni è costituito dal numero massimo di transistori realizzabili sul singolo chip; il progresso in tal senso ha modificato la scala d’integrazione dei microcircuiti (SI, scale integration). Le tappe significative sono state: il superamento dei 100 transistori per chip nel 1965, con il passaggio dalla SSI (small scale integration) alla MSI (medium scale integration); il superamento dei 1000 transistori per chip nel 1970, con inizio della LSI (large scale integration); l’inizio nel 1979 della VLSI (very large scale integration), con il superamento dei 10.000 transistori per chip e l’avvento, nel 1991, della ULSI (ultra large scale integration), in seguito al superamento di 1.000.000 di transistori per chip. Progressi hanno anche riguardato la massima frequenza d’impiego dei microcircuiti, la quale è progressivamente aumentata dando luogo allo sviluppo di diverse tecnologie specifiche (tecnologia del silicio fino a circa 1 GHz, tecnologia dell’arseniuro di gallio nel campo delle microonde).
Lo sviluppo della m. ha in gran parte coinciso con l’affermazione delle tecniche numeriche nei calcolatori, nelle telecomunicazioni e nei sistemi di controllo. Peraltro con il crescere della scala d’integrazione sono stati prodotti dispositivi sempre più complessi nel campo delle memorie per calcolatori, delle unità di calcolo e delle interfacce. D’altra parte i progressi nella scala d’integrazione dei microcircuiti hanno reso possibile lo sviluppo di apparati complessi per specifiche applicazioni su pochi (al limite su un solo) chip altamente specializzati, progettati appositamente e di proprietà di un’unica industria committente, chiamati ASIC (application specific integrated circuit).
Tecnologia bipolare. - La m. si è sviluppata dopo l’invenzione del transistore bipolare a giunzione, anche detto BJT (bipolar junction transistor), quando è apparso chiaro che la tecnologia di fabbricazione consentiva di costruire più transistori sullo stesso chip con un unico processo chimico-fisico. Questa tecnologia si avvale di substrati, detti lastrine o fette, ricavati da un unico monocristallo cilindrico di silicio mediante tagli perpendicolari all’asse del cilindro stesso. Le giunzioni p-n sono ottenute con appositi drogaggi del substrato. A questo scopo sulla lastrina è realizzata un’ossidazione superficiale di biossido di silicio. Tale ossidazione impedisce la diffusione all’interno del cristallo di alcuni tipi di droganti (boro, fosforo) e può essere rimossa mediante attacco chimico con acido fluoridrico.
La tecnologia dei microcircuiti è basata sulla possibilità di eliminare lo strato di ossido solo da alcune zone di ampiezza e forma predeterminate (finestre), in modo da formare una maschera per la diffusione selettiva dei droganti. Allo scopo si usa il processo di incisione selettiva che consiste nella deposizione di uno strato uniforme di emulsione fotosensibile (resist o photoresist) sulla superficie ossidata. Il resist, che è in grado di polimerizzare se esposto a radiazioni ultraviolette, viene illuminato selettivamente solo in corrispondenza delle finestre che si vogliono realizzare sull’ossido, per mezzo di una maschera che presenta zone opache e zone trasparenti. Tale maschera è ottenuta con varie tecniche a partire dal file di dati che rappresenta il progetto del chip. L’immersione in un solvente consente di asportare l’emulsione in corrispondenza delle zone non esposte (sviluppo), mentre l’essiccazione in forno indurisce le parti polimerizzate (fissaggio). Una successiva immersione in soluzione di acido fluoridrico elimina il biossido di silicio dalle zone non protette creando così le finestre attraverso le quali verrà effettuata la diffusione dei droganti. Successivamente il resist viene eliminato mediante l’azione combinata di processi chimici e meccanici (stripping). Successive fasi del processo tecnologico riguardano la realizzazione dei collegamenti elettrici fra i vari componenti del microcircuito e i contatti di alimentazione, di entrata e uscita dei segnali. Tali fasi consistono nell’applicazione della procedura di fotoincisione precedentemente descritta a uno strato di alluminio depositato su tutta la superficie del chip e isolato da esso mediante uno strato di ossido di silicio, a eccezione dei punti previsti per il contatto elettrico, con gli strati sottostanti.
Tecnologia MOS. - La tecnologia bipolare è stata la prima sviluppata in m. ed è ancora in uso; la tecnologia MOS è simile a quella bipolare, ma invece di produrre transistori bipolari produce transistori a effetto di campo (MOSFET), che hanno il vantaggio di richiedere un minore consumo di potenza (➔ transistore). La tecnologia MOS è preferita, rispetto a quella bipolare, nella maggioranza delle applicazioni. Per ottenere degli elementi resistivi con la tecnologia MOS, la cui realizzazione diretta è molto difficile, si utilizzano i transistori MOSFET a svuotamento. In questi transistori, la zona del canale è riempita di elettroni nella fase costruttiva, di solito mediante l’impiantazione di atomi che hanno elettroni esterni in più rispetto agli atomi del substrato. In questo modo il transistore è sempre in conduzione a meno che non venga applicata al gate una tensione negativa in grado di allontanare gli elettroni dalla zona del canale. Il resistore è ottenuto connettendo direttamente il gate al terminale source. Un funzionamento analogo si ha per i due tipi di transistori MOS a canale p.
Nella tecnologia CMOS, nel substrato di tipo p o di tipo n vengono create, mediante diffusione, delle zone con drogaggio opposto a quello del substrato, dette isole. La presenza di queste isole consente la realizzazione contemporanea di transistori MOS a canale p e a canale n. Nella tecnologia MOS e CMOS si realizzano quindi strutture a strati sovrapposti (wafer) di tre tipi differenti: diffusione, polisilicio, strati metallici di alluminio. Tutti gli strati sono conduttori e quindi ciascuna delle piste che si realizza con uno qualunque degli strati è equivalente a un conduttore; pertanto gli strati sono sempre isolati tra loro tranne che nei punti previsti per il contatto. La tecnologia prevede che sia realizzato prima lo strato di ossido, poi lo strato di polisilicio, poi la diffusione e successivamente gli strati metallici. Quando è stato realizzato lo strato di polisilicio, esso viene mascherato e la parte non utile viene rimossa con attacco acido insieme con l’ossido sottostante. Successivamente, previa opportuna mascheratura, viene realizzata la diffusione: in questo modo il polisilicio maschera le zone a esso sottostanti. Se una pista di diffusione incrocia una pista di polisilicio si forma un transistore MOS. Infatti, nella zona sottostante al polisilicio si forma il canale e le due parti della striscia di diffusione formano il source e il drain del transistore. È chiaro che nella tecnologia CMOS servono due tipi di diffusione che vengono quindi realizzati separatamente in passi successivi. Per ultimi vengono realizzati gli strati metallici, che sono ottenuti per evaporazione sotto vuoto e successivamente mascherati e attaccati.
La progettazione del microcircuito consiste nella definizione della geometria dei vari strati (layout). Tutti i dati del layout sono memorizzati, in un insieme di dati numerici, nel calcolatore mediante opportuni strumenti informatici (CAD ecc.). In fase realizzativa, l’insieme dei dati che definiscono il layout è processato da opportune macchine automatiche che producono le maschere necessarie per la realizzazione dei processi fotolitografici relativi ai singoli strati.
La m. ha consentito di minimizzare i problemi derivanti dai possibili guasti. Infatti, il microcircuito si presenta in generale di struttura molto robusta dal punto di vista meccanico ed essendo monolitico non richiede interventi interni per il montaggio. Tuttavia, in fase di realizzazione tecnologica, vi sono molte cause che possono portare al non funzionamento di un microcircuito: impurezze nell’ambiente di lavorazione, errori nel posizionamento delle maschere ecc. In generale, il rapporto fra il numero dei circuiti funzionanti rispetto al numero totale dei circuiti costruiti è chiamato resa (yield) del processo e tende ad aumentare con l’affinamento della tecnologia, in particolare con le condizioni degli ambienti in cui le operazioni sono svolte. Quest’ultimo è uno degli aspetti più difficili da ottimizzare, ma è essenziale poiché può condizionare tutto il processo produttivo.
Per selezionare i circuiti validi da quelli non funzionanti si usano complesse procedure di collaudo (testing) sui singoli circuiti costruiti, utilizzando particolari macchine che effettuano tali operazioni con la massima velocità e precisione. La certezza del corretto funzionamento del circuito si ottiene verificando, per tutti i possibili ingressi, la correttezza delle uscite. Poiché un tale modo di procedere può richiedere tempi di impegno eccessivamente lunghi per le macchine di testing, il collaudo viene effettuato con metodi che massimizzano il rapporto tra la percentuale di cause di guasto verificate e il tempo richiesto. A tal fine è nata la tendenza di tenere conto dei problemi del testing già in fase di progetto (design for testability), scegliendo architetture più facilmente collaudabili, ovvero predisponendo la possibilità di verifica sia a livello circuitale, attraverso appositi punti di accesso a segnali interni, sia a livello software, definendo sequenze di ingresso adatte a dare la maggiore copertura di possibili cause di guasto. Inoltre, tenendo conto della grande complessità dei microcircuiti realizzabili in ULSI, possono essere costruite architetture in grado di funzionare anche in presenza di uno o più guasti circuitali (fault-tolerant); tali circuiti, basati su un certo grado di ridondanza strutturale, possono essere anche capaci di autodiagnosticare il guasto e di riconfigurarsi in maniera da non utilizzare la parte guasta, mantenendo il corretto funzionamento.