Detto anche t. neurale, è nell’embrione dei Vertebrati l’abbozzo del neurasse, cioè dell’encefalo e del midollo spinale. Si origina dalla piastra midollare, cioè da quel territorio ectoblastico ispessito della faccia mediana dorsale della gastrula (al suo termine) che, all’inizio della neurulazione, deprimendosi longitudinalmente, si trasforma in doccia neurale, mentre sui lati e anteriormente vanno sollevandosi dal margine della piastra le pieghe neurali. Dall’avvicinamento graduale delle due pieghe, di un lato e dell’altro, che si sollevano congiungendosi e fondendosi dorsalmente, trae origine il t. midollare che per un certo tempo rimane aperto anteriormente in un neuroporo, reperibile come una fossetta (recesso neuroporico) anche in stadi molto avanzati. Con la formazione del t. midollare ha termine la neurulazione che si conclude con lo scorrimento e la saldatura, al di sopra del t., dell’ectoblasto di rivestimento della parete del corpo, cosicché il t. si approfonda allontanandosi dalla superficie esterna dorsale. Nella zona ove il t. midollare si distacca dall’ectoblasto, si separano ai suoi due lati due listerelle anch’esse di materiale ectoblastico che si denominano creste neurali, ciascuna distinta in una cresta neurale cefalica e in una cresta neurale spinale. Da quest’ultima hanno origine i gangli spinali e molte cellule ausiliarie del sistema nervoso, più i melanofori o melanociti. Dalla cresta neurale cefalica, formatasi in corrispondenza della porzione encefalica del t. neurale, si originano alcuni gangli dei nervi cranici, ma soprattutto molto ectomesenchima scheletogeno che partecipa alla formazione dello splancnocranio.
Elemento cilindrico cavo, di vario materiale, usato per vari scopi, specialmente per trasportare fluidi, proteggere conduttori elettrici e come elemento di strutture metalliche
Denominazione, con diverse qualificazioni, di vari dispositivi e apparecchi; la qualificazione è in riferimento o allo scopo dell’apparecchio (t. polarimetrico, piezometrico ecc.) o alle condizioni fisiche regnanti in esso (t. a vuoto, a gas ecc.) o a fenomeni che in esso si svolgono (t. a scarica, elettronico, a raggi catodici ecc.) o, infine, al nome dell’ideatore, per es. il t. di Kundt (➔ Kundt, August) o il t. di Quincke (➔ Quincke, Georg Hermann).
Per la loro fabbricazione sono utilizzati materiali vari e, di conseguenza, vari sono i procedimenti di lavorazione. I t. d’acciaio possono essere fabbricati partendo da lamiere di acciaio dolce omogeneo, mediante laminazione o stampaggio, saldate con saldatura elettrica; questi t. saldati trovano impiego anche per grandi condotte (diametri fino a 2000 mm), con pressioni d’esercizio fino a 50-60 bar. Sono preferiti spesso i t. senza saldatura ottenuti con laminatoi Mannesmann oppure con i laminatoi a passo del pellegrino (➔ laminazione); si ottengono così t. con lunghezze fino a 15 metri e diametri fino a 900 mm. I t. di cemento si fabbricano con o senza armatura metallica. Possono essere sia costruiti in opera sia preparati fuori opera, nel qual caso vengono per lo più ottenuti mediante centrifugazione. Nel caso dei t. costruiti in opera, il getto del conglomerato viene eseguito con l’ausilio di opportune centine di legno o metalliche; per t. di diametro non molto grande s’impiegano anche speciali forme pneumatiche. L’armatura è costituita da tondini d’acciaio disposti secondo le direttrici e le generatrici del cilindro. I t. centrifugati fuori opera hanno l’armatura formata da una o due eliche di piccolo passo collegate da tondini longitudinali. Sono anche usati t. di cemento armato precompresso, per condotte in pressione; l’armatura principale è costituita da un filo di acciaio di elevata resistenza meccanica che viene avvolto sotto tensione a formare una fitta spirale di cerchiatura intorno alla parete cementizia del tubo. Sopra lo strato delle armature metalliche viene gettato un rivestimento protettivo di malta di cemento di qualità. I t. di ghisa possono essere fabbricati per fusione o per centrifugazione. Nel primo caso s’impiega ghisa di seconda fusione, di norma a grana fine; la colata si esegue in forme disposte verticalmente. I t. di ghisa di normale produzione resistono a pressioni d’esercizio fino a 10 bar; i diametri interni arrivano fino a 1500 mm; per pressioni di esercizio maggiori si aumenta lo spessore mantenendo però fisso il diametro esterno. Per l’elevata resistenza alla corrosione da correnti elettriche vaganti e all’azione aggressiva esercitata dagli acidi umici contenuti nel terreno, trovano impiego per condotte interrate. I t. di gomma e materie plastiche sono fabbricati per estrusione mediante apposite macchine trafilatrici partendo da opportune mescole di gomma o di materie plastiche di diverso tipo. Sono utilizzati per il trasporto di acqua, gas, composti chimici, liquidi alimentari ecc., per il rivestimento dei conduttori elettrici, per guarnizioni ecc. Possono essere rigidi o flessibili. I t. di vetro sono fabbricati per laminazione e sono impiegati principalmente in apparecchi e impianti chimici da laboratorio per la loro resistenza alla corrosione. Vengono costruiti anche t. di vetro, cosiddetti calibrati, con diametro variabile entro limiti molto ristretti per essere usati in strumenti di precisione (barometri, manometri, termometri ecc.).
Il t. rotante è un tipo di trasportatore formato da un cilindro inclinato, posto in rotazione mediante un meccanismo a ingranaggi, in modo che il materiale avanzi automaticamente nel suo interno percorrendo delle spirali. Se è necessario disporre il t. orizzontalmente, si mette nel suo interno un’elica cilindrica lungo la quale il materiale scorre durante la rotazione.
Generatore di suoni costituito da un t. a sezione circolare, quadrata o rettangolare, di metallo, legno e talvolta cristallo: i suoni si ottengono facendo vibrare l’aria contenuta nel tubo. I t. sonori sono usati in molti strumenti musicali, per es., in quelli a fiato e negli organi. Le vibrazioni della colonna d’aria contenuta nel t. sono prodotte soffiando, direttamente all’imboccatura del t., come negli ottoni, o su una linguetta, come negli strumenti ad ancia, o su una piccola apertura (detta bocca) praticata su una parete del t., come nei flauti e nelle canne d’organo a labbro. I t. sonori sono aperti o chiusi. In entrambi i casi si formano onde stazionarie (longitudinali): nei t. chiusi si ha un ventre all’estremità in cui si soffia e un nodo in quella chiusa, nei t. aperti si ha un ventre in ciascuna estremità. Può accadere che in un t. chiuso l’unico nodo sia quello di estremità: il suono ha allora lunghezza d’onda pari a 4 volte la lunghezza del t. e prende il nome di suono fondamentale. Esso è in genere accompagnato da suoni armonici più o meno ampi, che per un t. chiuso possono essere solo i dispari. Se il t. è aperto, la lunghezza d’onda del suono fondamentale è doppia della lunghezza del t., in modo che un t. chiuso dà come suono fondamentale l’ottava bassa di quello dato da un t. aperto di pari lunghezza; in un t. aperto, gli eventuali suoni armonici che accompagnano il suono fondamentale possono essere sia pari sia dispari. Queste leggi, stabilite da D. Bernoulli, sono in pratica verificate solo approssimativamente.
Nella teoria dei campi vettoriali, il t. di flusso è l’ideale superficie tubolare costituita dalle linee di flusso di un campo vettoriale che passano per i punti di un’assegnata linea chiusa interamente contenuta nel campo e che non sia essa stessa linea di flusso; se il vettore del campo è una forza, il t. di flusso si chiama più particolarmente t. di forza; analogamente, si parla di t. di corrente se il vettore di campo è una densità di corrente (di un fluido, elettrica ecc.). T. di Pitot Dispositivo per misurare la pressione dinamica e la velocità di una corrente fluida; lo strumento serve quindi anche alla misurazione della velocità di veicoli in moto entro fluidi (per es. aeromobili). È costituito, nella sua forma originale, adatta per correnti a pelo libero, da un t. piegato ad angolo retto, di cui un’estremità a (presa dinamica) è disposta nella corrente, come indicato in fig. 1A; detto Δh il dislivello tra la superficie libera del fluido e il livello raggiunto dal fluido nel ramo verticale del t., si ha: Δh=(ptot−p)/gρ, dove ptot è la pressione totale alla presa dinamica, p è la pressione che si avrebbe in assenza del t. (pressione statica), g l’accelerazione di gravità e ρ è la densità del fluido. Si ha inoltre, indicando con v la velocità della corrente: v=k(2g Δh)1/2 dove k è un coefficiente strumentale, adimensionato. Per misurare contemporaneamente la pressione statica, il t. di Pitot originale è stato integrato con una presa statica, costituita da una fessura b disposta alla periferia di un t. coassiale con il primo, lambita quindi dalla corrente (fig. 1B); collegando al t. di Pitot e alla presa statica un manometro differenziale c, si misura direttamente la pressione dinamica (ptot−p). Il t. di Pitot fornisce indicazioni di elevata precisione anche nel caso che l’asse del t. formi un angolo di qualche grado con la direzione della corrente. In aeronautica, esso è installato all’esterno del velivolo, in posizione tale che siano nulli o minimi i disturbi dovuti a interferenze aerodinamiche (in genere all’estremità dell’ala o della prua); esso funziona per es. come machanemometro e machmetro (➔ Mach, Ernst). T. di Venturi Dispositivo per la misurazione di portate fluide, in genere entro t. chiusi e in pressione (➔ Venturi, Giovanni Battista).
Dispositivo accessorio di un polarimetro, costituito da un t. cilindrico o prismatico di vetro, a facce terminali perfettamente piane e parallele, nel quale si pongono i liquidi di cui si vuole determinare il potere rotatorio.
Dispositivo statico e passivo per la trasmissione del calore. Consiste (fig. 2) in un t. ermeticamente chiuso a con la superficie interna ricoperta da uno strato di materiale poroso b (struttura capillare), saturato con un liquido termovettore introdotto sotto vuoto. Le tre zone in cui il t. di calore è convenzionalmente suddiviso sono: la zona c in cui si fornisce calore (evaporatore), la zona d in cui si sottrae calore (condensatore) e la zona adiabatica e, collocata tra le prime due, che permette l’adattamento del t. di calore alla geometria esterna. Il principio di funzionamento è semplice: l’energia è trasferita da un estremo all’altro del dispositivo mediante l’evaporazione del liquido termovettore f nella zona riscaldata, il trasporto e la condensazione del vapore formatosi e, infine, il ritorno del condensato g all’evaporatore attraverso la struttura porosa per capillarità. Il t. di calore si comporta cioè come un anello chiuso di un generatore di vapore nel quale i t. di mandata e di ritorno sono integrati in un solo t., e la circolazione del liquido termovettore avviene non per effetto di pompe, ma per l’azione capillare della struttura porosa.
Colonna di separazione dei componenti di una miscela basata sulla termodiffusione.
Sono particolari dispositivi costituiti da un recipiente metallico o di vetro (detto anche ampolla), nel cui interno viene generato tra due elettrodi un flusso di elettroni, controllato a mezzo di campi elettrici e magnetici, che può essere sfruttato per varie applicazioni, quali l’amplificazione e la generazione di segnali elettrici, la generazione di raggi X, la rappresentazione oscillografica di grandezze elettriche rapidamente variabili. Il flusso elettronico può ottenersi applicando una tensione V tra gli elettrodi elevata a sufficienza; se la pressione nel t. è sufficientemente bassa, s’instaura nell’ampolla una scarica elettrica (t. a scarica è il nome generico di t. e ampolle usate per ottenere e studiare la scarica elettrica nei gas rarefatti), costituita da elettroni diretti dall’elettrodo a potenziale negativo (catodo) verso l’elettrodo a potenziale positivo (anodo). Più convenientemente, l’emissione di elettroni dal catodo si ottiene per effetto termoelettronico (t. elettronici a catodo caldo, o t. termoelettronici), con il vantaggio di poter usare tensioni assai più basse di quelle richieste dai t. a catodo freddo. In un’altra categoria di t. elettronici, i t. fotoelettronici, il catodo (fotosensibile) emette elettroni per effetto fotoelettrico. I t. elettronici si distinguono anche a seconda che nell’ampolla sia praticato un vuoto molto spinto (t. a vuoto) o sia racchiuso un gas o una miscela di gas o un vapore saturo, a bassa pressione (t. a gas o t. ionici): in questi ultimi, a catodo freddo o caldo, alla corrente elettronica se ne aggiunge una di ioni prodotti dall’azione degli elettroni sulle molecole del gas di riempimento. Si hanno così, nell’ambito dei t. termoelettronici, i t. termoelettronici propriamente detti e i t. termoionici e, nell’ambito dei t. fotoelettronici, i t. fotoelettronici propriamente detti, noti anche come cellule fotoemissive a vuoto, e i t. fotoionici o cellule fotoemissive a gas (➔ cellula). Sono t. ionici, tra le lampade a scarica aeriforme, quelle a vapori di sodio (➔ lampada). Sono t. termoionici, per es., i raddrizzatori a vapori di mercurio e i thyratron.
Il t. convertitore d’immagine è un t. elettronico usato per convertire in immagini visibili immagini di oggetti colpiti da radiazioni invisibili, specialmente infrarosse. È schematicamente costituito da un’ampolla ad alto vuoto che reca a un’estremità un fotocatodo a (fig. 3), sensibile alle radiazioni che interessano, all’altra uno schermo fluorescente b; nell’ampolla (o intorno a essa) è sistemata una lente elettronica (in genere elettrostatica) c. Gli elettroni costituenti l’immagine elettronica che si distacca dal fotocatodo sono accelerati da una tensione (qualche kilovolt) applicata fra catodo e schermo e focalizzati dalla lente elettrostatica sullo schermo; su questo si forma un’immagine visibile corrispondente a quella, invisibile, proiettata sul fotocatodo. Sono particolarmente usati nei visori per raggi infrarossi.
Il t. a raggi catodici è un t. elettronico, generalmente a catodo caldo e a vuoto, in cui un fascetto di elettroni (pennello elettronico) eccita la fluorescenza di uno strato di fosforo (schermo) posto sulla superficie interna dell’ampolla; placchette deflettrici o bobine di deflessione generano campi elettrici o magnetici che alterano la traiettoria del pennello e quindi la posizione del punto luminoso cui esso dà luogo sullo schermo fluorescente (➔ oscilloscopio). I due principali tipi di t. a raggi catodici sono quelli usati negli oscillografi a raggi catodici e quelli usati per la ripresa (iconoscopio, orticonoscopio e t. derivati, vidiconoscopio) e la riproduzione (cinescopi) delle immagini trasmesse per televisione, entrambi in via di sostituzione con dispositivi di tipo digitale.
Il t. termoelettronico è un t. elettronico a vuoto in cui il catodo emette elettroni per effetto termoelettronico ed è perciò costituito da un filamento metallico portato a incandescenza da una corrente elettrica che lo percorre (t. a riscaldamento diretto) o da un elettrodo metallico riscaldato da un filamento incandescente (detto riscaldatore) posto al suo interno (t. a riscaldamento indiretto). I t. termoelettronici derivano tutti, più o meno direttamente, dal diodo di J.A. Fleming (1902). È questo un t. a due soli elettrodi, ai quali si applica una tensione Va che imprime ai termoelettroni un moto d’insieme unidirezionale dal catodo all’anodo. Se, a parità di temperatura del catodo, Va è minore di un valore Vs detto tensione di saturazione, non tutti gli elettroni emessi giungono all’anodo, per effetto della carica spaziale negativa da essi stessi costituita intorno al catodo, e il t. funziona in regime di carica spaziale; l’intensità della corrente elettronica raccolta dall’anodo (corrente anodica) è governata in rapporto a Va, dalla legge di I. Langmuir. Se Va>Vs tutti gli elettroni emessi sono raccolti dall’anodo e il t. funziona in regime di saturazione; l’intensità della corrente anodica dipende solo dalla temperatura del catodo, secondo la legge di O.W. Richardson. Introducendo in un diodo un terzo elettrodo (griglia) tra anodo e catodo, si ha il triodo (L. De Forest, 1907). Altri t., in cui come nel triodo si può controllare con elettrodi ausiliari l’intensità della corrente anodica (t. a modulazione d’intensità), si ottengono inserendo altre griglie tra catodo e anodo (due per il tetrodo, tre per il pentodo, molte per i poliodi). I t. termoelettronici, molto diffusi fino all’avvento dei dispositivi a stato solido, erano usati in vari campi, in particolare in radiotecnica (distinti in t. riceventi, t. trasmittenti, t. amplificatori, in bassa e in alta frequenza, rivelatori, oscillatori ecc.); il loro uso è attualmente limitato essenzialmente ad apparecchiature radiotrasmittenti di elevata potenza e ad alcune applicazioni nel campo delle microonde.
Il t. elettrometrico è un triodo termoelettronico caratterizzato da altissima resistenza fra catodo e griglia; usato in passato per realizzare voltmetri elettronici con resistenza interna paragonabile con quella di elettrometri.
Il t. a onda viaggiante (o a onda progressiva) è un t. termoelettronico per microonde (ingl. travelling wave tube), atto a essere usato come amplificatore a frequenze dell’ordine di qualche gigahertz con un’ampia larghezza di banda, dell’ordine di qualche centinaio di megahertz, e un’amplificazione di potenza di qualche decina di decibel. È costituito da un’ampolla cilindrica b (fig. 4) contenente a un’estremità un cannone elettronico a, all’altra un anodo f, detto collettore; tra il catodo e l’anodo è un’elica metallica d (le cui estremità fanno capo all’ingresso c, e all’uscita e in alta frequenza) che costituisce una struttura in grado di guidare il campo elettromagnetico per onde lente. Se la tensione acceleratrice ha un valore opportuno, gli elettroni si muovono nell’ampolla con una velocità uguale a quella con cui si muove lungo l’elica l’onda elettromagnetica applicata all’ingresso del t.: in tali condizioni si hanno scambi energetici tra gli elettroni e il campo elettromagnetico, che ne risulta amplificato. La connessione all’ingresso e all’uscita del t. è fatta mediante opportune guide d’onda o cavi coassiali.
Denominazione generica dei t. e delle ampolle usate per ottenere e studiare la scarica elettrica nei gas rarefatti. Il t. di Crookes è un t. a scarica usato per dimostrazioni didattiche sui raggi catodici. È costituito da un’ampolla a (fig. 5), in cui è praticato un vuoto spinto e che contiene un catodo b, un anodo c e un lamierino d a forma di croce, ribaltabile su un supporto. Stabilita una sufficiente differenza di potenziale tra b e c, nel t. s’instaura una scarica elettrica: i raggi catodici (elettroni) che così si producono, propagandosi in linea retta colpiscono in f l’ampolla ed eccitano una tipica fluorescenza verdastra. Il lamierino d si può manovrare dall’esterno per mezzo di un magnete e produce, assorbendo gli elettroni, una sua immagine ‘negativa’ in f.
Il t. di Geissler (o di Plücker) è un t. a scarica dal quale derivano molte lampade a scarica in aeriforme.
I primi erano t. a scarica elettrica usati in condizioni particolari e molto instabili. Un notevole miglioramento nella stabilità e nell’intensità fu ottenuto nel 1913 da W.D. Coolidge con un t. in cui la sorgente di elettroni è un catodo termoelettronico. Il t. di Coolidge (o t. Röntgen) è costituito da un’ampolla di vetro o quarzo ad alto vuoto in cui si trovano i due elettrodi: il catodo a (fig. 6), filamento reso incandescente da una corrente elettrica, e l’anodo (o anticatodo) b, formato da un metallo ad alto punto di fusione (per es., tungsteno); gli elettroni emessi da a, accelerati dalla tensione applicata fra a e b (da qualche decina a qualche centinaio di kilovolt), incidono su b, dove sono frenati, provocando l’emissione di raggi X: questi formano un fascio divergente c, con asse ortogonale all’asse del tubo. Tutti i t. a raggi X per uso scientifico, medico e industriale derivano da questo prototipo; in fig. 7 è mostrato lo schema di un t. moderno, con finestre di uscita dei raggi X di berillio, materiale molto poco assorbente. Poiché il 99,9% della potenza applicata al t. (che arriva nei t. commerciali più diffusi a 20 kW) è dissipata in calore, l’anticatodo è raffreddato, in genere ad acqua, e talora mantenuto in rotazione (a 5000 giri/min ca.) di modo che gli elettroni incidano via via su diverse porzioni della superficie (fig. 8 ). La tenuta del vuoto sull’asse di rotazione nei t. ad anodo rotante si ottiene con un fluido magnetico tenuto in posizione da un intenso campo magnetico di configurazione opportuna.
In paletnologia, le ossa lunghe di animali, incise, che nell’interno presentano tracce di ocra rossa, impiegata probabilmente per la pittura corporale degli uomini del Paleolitico superiore.