Parte dell’elettrologia che studia i fenomeni cui danno luogo cariche elettriche statiche, cioè con grandezza e posizione determinate e invariabili nel tempo.
Le questioni tipiche dell’e. sono lo studio dei campi elettrostatici e quello dei fenomeni che avvengono nella regione sede di un campo elettrostatico: azioni tra cariche elettriche, induzione elettrica nei conduttori, polarizzazione dei dielettrici. Il campo elettrostatico è un campo vettoriale conservativo, il cui vettore, E, è definito operativamente come rapporto tra la forza agente su una carica che non perturbi il campo e il valore della carica stessa, oppure, analiticamente, come il gradiente cambiato di segno del potenziale V, quest’ultimo rappresentando l’energia potenziale dell’unità di carica positiva posta nel campo. L’intensità del campo elettrico è legata alle cariche dalla relazione div(E)=ρ/ε, e alle così dette cariche libere o vere, cioè non di polarizzazione, di densità volumica ρL, dalla relazione div(εE)=div(D) = ρL, con ε costante dielettrica assoluta (➔ dielettrico) del mezzo in cui il campo si svolge. Il vettore D=εE è il vettore spostamento elettrico, o induzione elettrica (➔ elettromagnetismo). In condizioni elettrostatiche E è nullo nell’interno dei conduttori e lo spazio occupato dai conduttori in questione, anche se sono carichi, è equipotenziale.
Il problema generale dell’e. è il seguente: siano dati vari conduttori, di forma e posizione assegnata, immersi in un mezzo di costante dielettrica assoluta ε, nota che sia la carica q1, q2, ..., oppure il potenziale V1, V2, ..., del primo, del secondo, ... conduttore, si tratta di determinare l’intensità E del campo in tutto lo spazio (in realtà, basta limitarsi ai vari punti del mezzo, posto che, come abbiamo detto sopra, E è nullo nei punti occupati dai conduttori). In termini analitici, si tratta di risolvere l’equazione:
[1] formula
essendo ∇2V il laplaciano (➔ Laplace, Pierre-Simon de) del potenziale. Tale equazione, nota come equazione di Poisson, risolta sotto la duplice condizione che V decresca proporzionalmente alla distanza r e che ∂V/∂r decresca proporzionalmente al quadrato della distanza, dà:
[2] formula,
l’integrale intendendosi esteso all’intero spazio. È poi E=− grad V. Per determinare V, e quindi E, nei vari punti del mezzo, sempre supposto omogeneo, si può peraltro seguire un’altra via. In tali punti, trovandosi le cariche sulla superficie dei conduttori, è ρ=0 di modo che in luogo della [1] si può considerare la relazione
[3] formula,
che costituisce la classica equazione di Laplace, in cui ci si imbatte in varie questioni di fisica matematica. Se sono noti i potenziali dei vari conduttori, il problema (problema di Dirichlet) si riduce alla determinazione di quella soluzione della [3] che assume i valori V1, V2, ... sulla superficie del primo, secondo, ... conduttore, ferme restando le condizioni che V si annulli all’infinito come 1/r e che −∂V/∂r si annulli all’infinito come 1/r2. Come si dimostra, la soluzione esiste, è unica e dà risultati coincidenti con quelli che si traggono dalla [2]. Se invece che i potenziali sono note le cariche dei singoli conduttori, il problema, detto allora problema di Neumann, può essere ricondotto al caso precedente calcolando, per il tramite dei coefficienti di capacità (➔ capacità), i potenziali dei conduttori.
Macchine elettrostatiche Dispositivi (detti anche generatori elettrostatici), capaci di operare la separazione di cariche elettriche eteronome e di creare una differenza di potenziale tra due conduttori, detti poli. La tensione tra i poli ha valori molto elevati (dalle decine di migliaia di volt delle macchine a strofinio, sino ai milioni di volt delle macchine a effluvio), ma l’intensità della corrente che se ne può ricavare è piccolissima (dell’ordine dei microampere o, al massimo, dei milliampere): si tratta dunque di generatori con forza elettromotrice molto alta e resistenza interna parimenti molto alta. Il loro uso, a parte qualche applicazione delle macchine a effluvio all’accelerazione di particelle cariche, è sostanzialmente ristretto all’ambito delle esperienze didattiche.
La paternità delle macchine a strofinio è attribuita a O. von Guericke. Lo schema di principio di una tale macchina è mostrato nella fig. 1: un cilindro isolante a, per esempio di vetro, è messo in rapida rotazione e strofinato sopra un cuscinetto di pelle c, cosicché si elettrizza; dalla parte opposta a c si trova un conduttore e che termina con una punta b molto vicina al cilindro. Poiché questo è carico positivamente, l’estremo lontano di e si carica, per induzione, positivamente, mentre la punta si elettrizza negativamente e la sua carica passa per effluvio sul cilindro neutralizzandone la carica positiva. All’estremo di e si ha pertanto un addensamento continuo di carica positiva che, attraverso un filo inumidito d e la terra, può tornare al cuscinetto c. Anche le macchine di J. Ramsden, di B. Le Roy, e di E. Nairne sono del tipo a strofinio.
Un tipico esempio di macchine a induzione è la macchina di Wimshurst (fig. 2), costituita da due dischi di ebanite a, b, paralleli, vicini, rotanti in verso opposto, su cui sono disposte molte striscioline di stagnola (settori); due coppie di pettini metallici d, d′ collegate ai poli della macchina g, g′, connessi a loro volta a due bottiglie di Leida, abbracciano i dischi agli estremi di un diametro orizzontale; infine, due coppie di spazzole fisse f, f′ ed e, e′ sfregano rispettivamente sui settori di un disco e dell’altro. Facendo ruotare i dischi ne consegue che le spazzole, per strofinio, caricano i settori, i quali, attraverso i pettini metallici, caricano con segno opposto i condensatori costituiti dalle bottiglie di Leida, e con esse i poli della macchina. La macchina può arrivare a fornire una tensione massima di qualche centinaio di migliaia di volt. Di questo tipo sono anche le macchine di R. Voss, di W. Holtz e il duplicatore di Belli.
Le macchine a effluvio costituiscono il tipo di gran lunga più potente di macchina elettrostatica, ideato da R.J. Van de Graaff (1933). Mediante un generatore ad alta tensione d si stabilisce (fig. 3) tra la punta a e il piatto b una differenza di potenziale sufficiente a determinare l’effluvio; tra a e b scorre un nastro e di materiale dielettrico, che si carica positivamente; quando il nastro passa davanti alla punta c, connessa a una grande sfera metallica f, questa si carica, per induzione, positivamente, mentre la carica negativa della punta sfugge per effluvio e neutralizza quella del nastro. Mantenendo il nastro in continua rotazione mediante un motore, si può portare la sfera f a un potenziale positivo molto elevato; si possono ottenere tensioni che raggiungono diversi milioni di volt e correnti fino a qualche milliampere.