In fisica, funzione introdotta per caratterizzare particolari campi di forza posizionali ed estesa, sotto opportune condizioni, a campi vettoriali di natura qualsiasi.
Per estensione, il complesso dei mezzi, delle capacità, delle risorse ecc. di cui si dispone o si può disporre per il conseguimento di determinati fini.
Differenza di p. elettrico ai due lati delle membrane biologiche dipendente dalle caratteristiche chimico-fisiche e funzionali delle stesse, che mantengono una diversa distribuzione ionica tra l’ambiente interno e quello esterno. Ciò comporta, per es., che le membrane cellulari dei diversi tessuti presentino, a riposo, una differenza di p. compresa tra −70 e −90 mV. Il mantenimento di questo equilibrio elettrochimico è garantito sia da fenomeni di diffusione passiva, regolati dalla legge di Gibbs-Donnan (➔ Donnan, Frederick George; membrana), sia da processi di trasporto attivo (➔ pompa; trasporto). Stimoli chimico-fisici provocano l’elevazione del p. della membrana plasmatica oltre un valore di soglia (variabile a seconda della specie cellulare) che genera il cosiddetto p. d’azione, consistente in un’improvvisa depolarizzazione con inversione di polarità della membrana a riposo. La membrana assume quindi un valore di p. compreso tra 56 e 135 mV ( positiva all’interno e negativa all’esterno). La depolarizzazione è un fenomeno che si manifesta in tempi estremamente rapidi (dell’ordine dei millisecondi) a una velocità di 700-800 V/s. Raggiunto l’apice del p. d’azione si ristabilisce il p. di membrana, in una fase detta di ripolarizzazione.
Esempi di p. d’azione in diversi tessuti eccitabili sono riportati in fig. 1. Sia durante la depolarizzazione sia durante la ripolarizzazione si verificano cambiamenti drastici della permeabilità della membrana cellulare agli ioni, in particolare al sodio, al potassio e al calcio, a seguito dell’apertura e successiva chiusura dei cosiddetti canali veloci per gli ioni, che ne permettono scambi massivi tra i compartimenti intra- ed extracellulare in tempi molto brevi. Anche se al termine della ripolarizzazione si ripristina il valore del p. della membrana a riposo, le concentrazioni relative delle diverse specie ioniche risultano alterate. È perciò necessario l’intervento di meccanismi di trasporto attivo attuati dalle pompe ioniche ATP-dipendenti, che operano contro i nuovi gradienti di concentrazione.
Variazione di p. d’azione che si verifica in una precisa sede encefalica in risposta alla stimolazione di un recettore periferico o di un qualsiasi punto della sua via afferente. Il p. evocato visivo (PEV) permette la registrazione dell’attività elettrica cerebrale (proiezione corticale occipitale) dopo stimolazione della retina eseguita mediante lampi luminosi. Il tracciato grafico fornito dai PEV consente lo studio dell’integrità anatomica e funzionale delle vie ottiche nervose al fine di valutare la trasmissione dell’impulso visivo dalla periferia (retina) alle porzioni anatomiche centrali cerebrali.
P. di lavoro Il complesso della popolazione avente età e capacità lavorativa.
P. produttivo Capacità di produzione di un dato impianto; se riferito all’intera economia si parla di PIL potenziale, ossia di quel livello di produzione che è possibile raggiungere senza innescare inflazione.
P. inflazionistico La massa di mezzi di pagamento che può rifluire sul mercato e ristagnarvi determinando effetti inflazionistici; può derivare dal formarsi presso i privati di eccedenze monetarie, qualora a emissioni di biglietti da parte dello Stato, destinate a fronteggiare spese pubbliche eccezionali, si accompagnino un efficiente blocco dei prezzi e una severa limitazione dei consumi; può anche derivare da concessioni di credito per operazioni eccessivamente rischiose o per investimenti sbagliati che le imprese difficilmente potranno rimborsare alla scadenza, per cui in definitiva la circolazione ne può risultare accresciuta senza che sia contemporaneamente aumentata l’attività economica.
La nozione di p. si è storicamente presentata nella trattazione dei campi di forza. Il lavoro elementare dL di una forza F applicata a un punto P in moto lungo una traiettoria s è il prodotto scalare della forza per lo spostamento elementare dr di P. Se X, Y, Z sono i moduli dei vettori X, Y, Z, come mostrati in fig. 2, e cioè sono le componenti di F rispetto a una terna fissa Oxyz di assi cartesiani, dette dx, dy, dz le proiezioni dello spostamento elementare dr sugli assi x, y, z, ed essendo x0, y0, z0 le coordinate di P rispetto alla stessa terna, è quindi:
Se la forma differenziale che figura al secondo membro della relazione ora scritta è il differenziale totale di una funzione del posto U(x,y,z), si dice che la F deriva dal p. U (o ammette il p. U): la forza è necessariamente posizionale e le sue componenti si identificano con le derivate parziali di U,
o, ciò che è lo stesso, il vettore che rappresenta la forza è il gradiente del p. U:
Le componenti di una forza derivante da un p. devono, in conseguenza della precedente definizione, soddisfare alle condizioni
cioè il campo è necessariamente irrotazionale (➔ rotore). Viceversa, basta che il campo sia irrotazionale (rotF=0) perché esso ammetta un p., che risulta essere una funzione monodroma del posto se la regione in cui il campo è definito è semplicemente connessa, mentre è una funzione polidroma se la regione medesima è molteplicemente connessa. Se il p. è monodromo, il che accade certamente se, per es., la forza è centrale o risulta dalla sovrapposizione di forze centrali, il lavoro della corrispondente forza risulta sempre nullo per un qualunque cammino chiuso del suo punto P di applicazione (la circuitazione della forza è nulla), mentre per un cammino aperto, da una posizione P1 a una posizione P2, esso riesce indipendentemente dal cammino seguito e uguale alla differenza fra i valori U2 e U1 che U assume in P2 e in P1 (differenza di p. tra P1 e P2). Queste proprietà consentono di attribuire a una forza derivante da un p. monodromo la qualifica di conservativa, giustificata dalle osservazioni seguenti.
Se un corpo puntiforme subisce le azioni di un campo derivante da un p., esso acquista per ciò stesso capacità di compiere un lavoro, cioè acquista un’energia che si chiama per tale motivo energia potenziale, e lo compie effettivamente se da una posizione si sposta a un’altra cui corrisponda un diverso valore del potenziale. Essendo tale lavoro misurato dalla differenza fra i valori del p. nei punti di arrivo e di partenza, viene spontaneo assumere come misura dell’energia potenziale posseduta dal corpo, in una determinata posizione, il p. cambiato di segno (e non il p. stesso). Il fatto che per un qualsiasi cammino chiuso il lavoro compiuto dalle forze del campo risulti nullo quando il p. è monodromo equivale dunque a dire che è nulla la variazione subita dall’energia potenziale, cioè che in capo a un ciclo chiuso questa riassume lo stesso valore che aveva in partenza, cioè che si è ‘conservata’. Per un cammino aperto l’energia potenziale nel punto finale non ha generalmente, a meno cioè che P1 e P2 non siano su una superficie equipotenziale, lo stesso valore che nel punto iniziale: la differenza deve essersi trasformata in altra forma di energia, ogni fenomeno dovendo sempre ubbidire al principio di conservazione dell’energia.
Nell’ambito dei fenomeni meccanici classici, le uniche forme di energia di un sistema isolato immerso in un campo conservativo sono quella potenziale e quella cinetica, trasformabili dunque l’una nell’altra, ma con la condizione che la loro somma si conservi costante (➔ dinamica). Poiché il p. viene introdotto in termini differenziali, la sua espressione in termini finiti contiene una costante additiva, che corrisponde al valore del p., arbitrariamente fissato, in un punto, a sua volta scelto arbitrariamente (p. di riferimento). La determinazione della funzione U in termini finiti (a meno, dunque, di una costante) si effettua caso per caso, con procedimenti di integrazione, partendo dall’espressione del lavoro elementare della forza, in base a particolari criteri di opportunità. Così, per es., per campi elettrostatici generati da cariche al finito, viene assunto nullo il p. all’infinito. Vengono di seguito ricordate alcune accezioni del termine p. nonché la definizione e le proprietà dei p. che si possono introdurre in vari campi della fisica. P. ritardato Facendo riferimento ad azioni tra due oggetti posti a una certa distanza, per es. alle azioni elettriche tra due cariche puntiformi, si parla di p. ritardato quando si introduce l’ipotesi che le azioni si propaghino, lungo la retta che congiunge le cariche, con una velocità di valore finito, v: nell’espressione del p. dell’interazione compare allora una dipendenza non dal tempo attuale t, ma dal tempo ritardato (t−r/v), essendo r la distanza tra le due cariche, il che corrisponde a tener conto del fatto che l’azione elettrica promanante da una delle due cariche impiega il tempo r/v per percorrere la distanza r e produrre il suo effetto sull’altra carica. La considerazione di p. del genere ha notevole rilevanza, per es., in elettromagnetismo. P. scalare Denominazione generica del p. costituito da una funzione scalare del posto. P. tensore Denominazione generica di una funzione avente struttura tensoriale che svolge un ruolo analogo a quello dell’ordinario p. scalare. P. vettore Per un campo vettoriale v rotazionale (rotv≠0) e solenoidale (divv=0) è il vettore w tale che v=rotw; poiché vi sono infiniti vettori, differenti per un termine additivo irrotazionale, il cui rotore è uguale a v, per determinare w occorre darne la divergenza. La considerazione di un tale p., che deriva la sua denominazione dal fatto di avere proprietà analoghe ad alcune di quelle del p. ordinario, scalare, ha particolare rilevanza in certe questioni di idrodinamica e nell’elettromagnetismo.
In un punto P di un campo elettrico generato da una configurazione stazionaria di cariche elettriche si chiama p. elettrico, o elettrostatico, la quantità:
[1] formula
dove E è l’intensità del campo, A è un punto (punto di riferimento) prefissato in cui si assume per il p. un determinato valore V(A) (p. di riferimento) e l’integrale di linea, essendo il campo conservativo, è valutato lungo un qualunque percorso che vada da P ad A. Chiaramente, la differenza di p. (o tensione elettrica) tra P e A vale:
Come si vede, e in accordo con quanto detto per il p. in un campo di forza conservativo, la differenza di p. V(P)−V(A) è univocamente definita, mentre il p. nel generico punto P è definito a meno della costante additiva arbitraria V(A). La convenzione che normalmente si segue per tale costante è di scegliere come punto di riferimento un punto in cui il campo si annulli, e di assumere ivi nullo il potenziale. Per es., in elettrostatica, se tutte le cariche sono al finito, si assume A a distanza sufficientemente grande dalle cariche perché il campo non sia più sensibile; si dice allora che il riferimento è all’infinito, e, in luogo della [1], si può scrivere la relazione particolare:
In altri casi, posto che in condizioni statiche non si hanno campi elettrici macroscopici lungo la superficie e all’interno di conduttori, si pone il riferimento in un punto qualunque di un conduttore che sia dotato di capacità sufficientemente grande (di modo che il suo p. non vari apprezzabilmente per eventuali variazioni della carica posseduta): è quanto si fa quando si assume come p. di riferimento, nullo, quello della Terra o di corpi conduttori collegati elettricamente al suolo (pareti di una stanza, telai metallici connessi a una presa di terra ecc.). Restando per il momento nell’ambito dell’elettrostatica, si ha:
[2] formula;
tale relazione, che si può considerare l’inversa della [1], mostra che la presenza della costante additiva arbitraria V(A) non ha influenza quando si voglia determinare l’intensità del campo a partire dal p. (tale costante infatti scompare quando si applica alla funzione V l’operatore gradiente, che comporta operazioni di derivazione); in virtù della relazione ora scritta si giustifica l’uso di chiamare gradiente di p. l’intensità di un campo elettrico. Per le proprietà dell’operatore gradiente, risulta che E è nullo dove V è costante; E ha componente nulla lungo linee o superfici equipotenziali, di modo che è necessariamente normale a tali linee e superfici. In fig. 3 sono schematizzati gli andamenti delle superfici equipotenziali e delle linee del campo in alcuni casi.
È possibile calcolare direttamente il p., senza passare per l’intensità del campo, come richiede la [1], a partire dalla conoscenza della configurazione delle cariche (libere e di polarizzazione) che generano il campo; precisamente, nel caso che tutte le cariche siano al finito e si assuma nullo il p. all’infinito, si ha la relazione:
[3] formula
che vale per cariche concentrate puntiformi q, per cariche ripartite su linee l con densità γ, su superfici S con densità σ, entro volumi τ con densità ρ, essendo r nei vari casi la distanza del punto P in cui si valuta V dalle singole cariche concentrate e dai singoli elementi di linea, di superficie, di volume. Del legame tra cariche e p. si può peraltro dare una formulazione diversa, ricorrendo al teorema di Gauss in forma differenziale:
[4] formula
in cui ε0 è, come nella [3], la costante dielettrica assoluta del vuoto e ρ la densità volumica di carica elettrica (libera e di polarizzazione). Combinando la [4] con la [2] si ottiene la seguente relazione, nota come equazione di Poisson:
[5] formula
in cui il simbolo ∇2 indica l’operatore laplaciano. La soluzione di questa equazione differenziale alle derivate parziali, del 2° ordine, lineare, esiste ed è unica; se si assume nullo il p. all’infinito, tale soluzione coincide con la funzione V(P) ottenibile dalla [3]:
[6] formula
Se si immagina di racchiudere le cariche entro superfici chiuse (per es., coincidenti con le superfici limite dei vari corpi che portano le cariche medesime) e di considerare soltanto lo spazio esterno a tali superfici (si opera dunque una sconnessione dello spazio ordinario), in questo spazio (a connessione multipla) è ρ=0, e in luogo della [5] vale l’equazione omogenea associata, nota come equazione di Laplace: ∇2V=0. Anche stavolta la soluzione esiste, è unica e coincide con la [6] ove si impongano le condizioni anzidette all’infinito e, al finito, appropriate condizioni derivanti dalla conoscenza del valore del p. sulle superfici racchiudenti le cariche o alternativamente dalla conoscenza della carica netta racchiusa da ogni superficie.
L’equazione di Laplace si presenta così come un potente mezzo per determinare il p., e quindi, mediante la [2], l’identità del campo, note che siano certe grandezze globali della distribuzione delle cariche: a essa si ricorre, per es., per risolvere il problema generale dell’elettrostatica, in cui le superfici da considerare sono quelle di conduttori carichi (➔ elettrostatica). Richiamando la definizione operativa dell’intensità del campo E come forza agente sulla carica puntiforme unitaria positiva, l’integrale che compare nella [1] può essere interpretato come il lavoro fatto dalle forze del campo elettrico in relazione allo spostamento, lungo un qualunque percorso, della carica unitaria da P ad A; in relazione allo spostamento di una generica carica puntiforme q tra due punti P1, P2 del campo, il lavoro fatto dalle forze del campo varrà dunque: L= q[V(P1)−V(P2)]. Poiché l’energia potenziale elettrostatica ℰ di una carica puntiforme q in un punto P di un campo elettrico è pari al lavoro che le forze del campo compiono quando q venga portata da P, lungo un qualunque percorso, fuori dal campo (assumendo nulla l’energia potenziale fuori del campo), si ha: ℰ=q V(P). In definitiva, il p. in un punto di un campo elettrico può essere definito come l’energia potenziale che compete alla carica puntiforme unitaria positiva posta in quel punto. Il p. si presenta dimensionalmente come rapporto tra energia (o lavoro) e carica elettrica, e sua unità di misura è il volt (pari a joule/coulomb) nel sistema internazionale SI.
Il p. sopra definito vale, come abbiamo precisato, in condizioni stazionarie; condizioni di tal genere si hanno non soltanto in elettrostatica, ma anche in tutti i casi in cui, pur essendoci cariche in moto, la situazione è tale che ovunque sia costante la densità di carica ρ: ciò ha luogo per es., per circuiti percorsi da corrente continua. Va tuttavia osservato che in tali casi l’intensità del campo E non ha rotore nullo; il campo deriva dalla sovrapposizione di un campo Es, derivante da cariche separate, che è conservativo e che per comodità chiameremo campo elettrostatico, e di un campo F, cui si deve la separazione delle cariche, il campo elettromotore, che non è conservativo; la precedente definizione [1] conserva la sua validità a patto di considerare in essa il solo campo Es; l’integrale di linea del campo F dà invece la forza elettromotrice f eventualmente presente nel tratto PA considerato, e in definitiva si ha (legge di Ohm): VP–VA+f=Ri, essendo R la resistenza elettrica del tratto PA e i l’intensità della corrente. Il p. ‘cade’, cioè va decrescendo, se si percorre il circuito (fuori dei generatori) nel verso in cui scorre la corrente: per tale motivo la differenza di p. alle estremità di un tratto di circuito non comprendente forze elettromotrici è anche detta caduta di potenziale.
Nei casi in cui la densità di carica non si conserva stazionaria, e ciò accade quando il campo varia nel tempo, la nozione di p., quale precedentemente illustrata, viene meno e in suo luogo va considerato, come grandezza analoga, il p. elettromagnetico scalare. P. di collettore, di emettitore, di base Nei transistori, rispetto al conduttore che si assume a p. nullo, p. del collettore, dell’emettitore, della base. P. di un conduttore In elettrostatica, è il p. di un punto qualunque (sulla superficie o all’interno) di un conduttore: in condizioni statiche infatti il volume occupato da un conduttore è equipotenziale (non esiste in esso un campo elettrico). P. di contatto Il p. al quale si porta, per effetto Volta, un conduttore posto a contatto con un altro, assunto a p. nullo; talora la locuzione è usata per indicare genericamente la differenza di p. tra due conduttori a contatto; in elettrochimica, è usata tradizionalmente per indicare la differenza di p. che si stabilisce tra due fasi quando sono elettricamente collegate. P. coulombiano Il p. del campo elettrostatico, centrale, generato da una carica puntiforme; estensivamente lo stesso che p. elettrostatico o p. elettrico. P. elettrochimico Il p. di un metallo posto a contatto con una soluzione può essere interpretato come la differenza tra i p. elettrici dei due sistemi, considerando i p. elettrostatici interni, cioè i valori che si determinerebbero nel caso di misure della sola carica elettrica senza interazione chimica del metallo con la soluzione. Nel caso di un sistema elettrochimico costituito da due semicelle, ognuna formata da un metallo in contatto con una soluzione, si instaura tra i due metalli una differenza di p.; poiché la differenza di p. all’interfaccia metallo/soluzione non è misurabile e dal momento che le differenze di p. di contatto tra le varie componenti del sistema risentono delle proprietà superficiali, è diventato d’uso designare come p. di un elettrodo (p. elettrochimico) il valore misurato rispetto a un elettrodo di riferimento.
In situazione di reversibilità, il p. elettrochimico è termodinamicamente correlato alla variazione di entalpia libera ΔG (energia libera di Gibbs) delle reazioni di semicella: ΔG=+nEF per la semireazione di ossidazione (dove n è il numero di elettroni scambiati nel processo elementare, E è il p. standard, F è la costante di Faraday) e ΔG=–nEF per quella di riduzione o con segni invertiti a seconda della convenzione adottata. P. intermolecolare È il p. associato alle forze intermolecolari; in particolare, il p. di Lennard-Jones è il p. delle forze intermolecolari descritte dalla formula di Lennard-Jones (➔ intermolecolare). P. di ionizzazione In rapporto a un determinato processo di ionizzazione, è il rapporto tra l’energia richiesta dal processo e la carica dell’elettrone (energia di ionizzazione e p. di ionizzazione concidono numericamente se la prima è espressa in eV); in relazione all’energia di prima ionizzazione, di seconda ionizzazione ecc. si parla di primo, secondo ecc. p. di ionizzazione (➔). P. di ossidoriduzione P. di equilibrio che si determina, per una coppia redox, tra una soluzione contenente la forma ossidata e la forma ridotta, che può essere costituita o da un elettrodo metallico (per es., una soluzione di ioni rame in presenza di una barretta di rame) oppure dalla stessa specie in soluzione con un numero di ossidazione più basso (per es., la coppia redox Fe3+/Fe2+).
Nel problema generale dell’elettrostatica (➔), coefficienti di p. sono i coefficienti di dipendenza lineare tra il p. di un conduttore e le cariche portate dai vari conduttori del sistema che si considera; sono, in un certo senso, gli inversi dei coefficienti di capacità (➔).
3. P. magnetostatico
Come un campo elettrostatico, anche un campo magnetostatico, cioè generato da magneti in quiete o da circuiti elettrici in quiete percorsi da correnti continue (o lentamente variabili nel tempo), può essere fatto derivare da un p.: anzi, ciò può essere fatto in due modi, facendo intervenire un p. scalare oppure un p. vettore. 3.1 P. magnetostatico scalare. Un campo magnetostatico non è, in genere, conservativo; per il rotore del campo magnetico H si ha infatti:
[7] formula
dove j è la densità della corrente (di conduzione) che genera il campo; quanto alla circuitazione di H, si ha che essa è pari a Σni, dove i è l’intensità della corrente nel generico circuito tra i vari che generano il campo e n è l’ordine di concatenamento tra questo circuito e il cammino d’integrazione. Per il p. magnetostatico scalare U in un punto P del campo si può dare una definizione analoga a quella del p. elettrostatico, e precisamente:
essendo A un punto di riferimento, ove si assume per il p. il valore U(A). A causa della non conservatività del campo, occorre specificare il cammino l da P ad A, al variare del quale varia il termine Σni (costante una volta specificato il cammino e che è nullo per un cammino non concatenato con alcuno dei circuiti percorsi da corrente). Fissato anche il p. di riferimento U(A), il p. in un punto P si presenta comunque come una funzione polidroma delle coordinate di P; U(P) è un p. polidromo. Il vettore del campo, H, si ottiene, come nel caso dell’elettrostatica, facendo il gradiente del p., cambiato di segno: H=−gradU; così i due termini costanti, che scompaiono nell’effettuare il gradiente, non influenzano la determinazione di H. La funzione U non ha un significato fisico immediato da un punto di vista energetico (l’integrale che compare nella sua definizione non esprime un lavoro in alcuna situazione fisicamente realizzabile) ed è inoltre indeterminata a causa del termine additivo Σni il cui valore dipende dal particolare cammino considerato. Il p. U è comunque utilizzabile per il calcolo del campo, in particolare quando le sorgenti siano solo magneti permanenti (in tal caso Σni è identicamente nulla e il p. risulta espresso da una funzione monodroma del posto). 3.2 P. magnetostatico vettore. Poiché B è un vettore solenoidale, è sempre possibile porre:
[8] formula
Esistono però infiniti vettori A che soddisfano la relazione ora scritta, differenti tra loro per un termine additivo irrotazionale arbitrario; tra essi si assume come p. magnetostatico vettore quello solenoidale, cioè quello che soddisfa all’ulteriore condizione: divA=0 (condizione o gauge di Coulomb). Per un generico vettore, compreso A, vale l’identità: rotrotA=grad divA−∇2A, il simbolo ∇2 indicando l’operatore laplaciano; è B=μH e, dalla [7], per un mezzo omogeneo e isotropo, segue: rotB=μ j; in definitiva, è:
[9] formula
Questa relazione è formalmente analoga all’equazione di Poisson, cui obbedisce il p. elettrostatico, e formalmente analoga alla soluzione dell’equazione di Poisson è la soluzione della [9]:
essendo r la distanza dall’elemento volumico di corrente jdτ al punto P in cui si vuole determinare A. L’energia potenziale che compete a un circuito percorso da corrente, immerso in un campo magnetico vale:
[10] formula
l’integrale rappresentando il flusso d’induzione magnetica concatenato con il circuito, cioè il flusso di B attraverso una qualunque superficie S avente il circuito come bordo. A norma del teorema di Stokes, le [8] e [10] danno:
La denominazione di p. data al vettore A è dunque giustificata dal fatto che il suo integrale lungo un circuito c percorso da corrente, di intensità i, dà l’energia potenziale del circuito medesimo in un campo magnetostatico divisa per l’intensità di corrente. Il p. magnetostatico vettore ha le dimensioni di un’induzione magnetica per una lunghezza, e sua unità di misura, nel sistema internazionale SI, è il teslametro.
Il termine p. è utilizzato in termodinamica per indicare due tipi di grandezze fisiche, fra loro divise anche dimensionalmente: i p. chimici, grandezze intensive, che sono dimensionalmente energie per mole cioè densità di energia; i p. termodinamici, grandezze estensive, che sono dimensionalmente energie. P. chimico L’espressione differenziale del primo principio della termodinamica per un sistema omogeneo chiuso, dU=TdS−dL (con U energia interna, T temperatura termodinamica, S entropia, L lavoro), nel caso di sistemi chiusi non omogenei o di sistemi aperti va integrata con altri termini per dar conto delle variazioni di energia interna a seguito di variazioni della quantità delle varie fasi e/o delle varie componenti del sistema, un termine per ogni fase e/o componente di cui varia il numero di moli ni:
[11] formula
dove per semplicità si è posto dL=pdV, con p pressione e V volume; le variabili intensive μi associate agli ni vengono chiamate p. chimici (o elettrochimici) delle rispettive fasi e/o componenti del sistema. Poiché l’energia interna U è una funzione di stato, dU è un differenziale esatto e quindi si ha:
[12] formula
dove per brevità si è posto n in luogo di n1, n2, ... nk. Confrontando la [12] con la [11] si ricavano per le μi le relazioni:
ciascuna di queste relazioni può essere assunta come definizione del p. chimico della componente i-esima del sistema. Si vedrà nel seguito come il p. chimico possa anche essere definito in termini di energia libera di Gibbs. P. termodinamici Per sistemi complessi, oltre al lavoro di espansione pdV vanno considerate altre forme di lavoro che possono comunque essere poste nella forma yj dxj, con yj variabile intensiva e xj variabile estensiva; pertanto il lavoro potrà esprimersi come dL=Σj yj dxj e l’energia interna U sarà in generale una funzione delle grandezze estensive S, ni e xj indicabili genericamente con ξ≡(ξ1, ξ2, ...):
U viene detta funzione generatrice rispetto all’insieme di variabili ξ perché per derivazione fornisce le variabili intensive ζ≡(ζ1, ζ2, ...) associate alle ξ; infatti da dU=Σαζαdξα segue
queste equazioni formano il gruppo delle equazioni di stato del sistema. Quando in luogo delle variabili estensive ξ si assumono altre variabili indipendenti cambia, ovviamente, la funzione generatrice e il suo significato fisico. In particolare, per passare da U(ξ1, ..., ξf, ... ξm) alla funzione generatrice ℱ(ξ1, ..., ζf, ... ξm) relativa alle variabili indicate in argomento (ottenuta sostituendo alla variabile estensiva ξf la variabile intensiva associata ζf) si ricorre a una trasformazione di Legendre
Le funzioni generatrici ℱ, tutte con le dimensioni di una energia, vengono genericamente chiamate p. termodinamici. I p. più comuni, corrispondenti a sostituzioni delle sole variabili S e V, per la loro importanza sono individuati con una denominazione particolare (v. tab., dove per semplicità si è ipotizzato, così come nel seguito, che l’unica variabile xj in gioco sia proprio il volume).
L’equazione fondamentale U=U(S, V, n), essendo una relazione tra grandezze tutte estensive, gode della proprietà U(fS, fV, fn)=fU(S, V, n), cioè U è una funzione omogenea del primo ordine
[13] U = TS − pV + Σiμini;
per differenziazione si ottiene la relazione di Gibbs-Duhem
che mostra come varia con T e p il p. chimico per un sistema omogeneo a un singolo componente, riducendosi in questo caso a dμ=−(S/n)dT+(V/n)dp. Inserendo la [13] nella definizione di G, si ottiene G=Σiμini e, per una sostanza pura con un’unica componente, G=μn, relazione che permette di definire (e perciò anche di misurare) il p. chimico come energia libera di Gibbs per mole.
Si tratta di due grandezze, una scalare, l’altra vettoriale, che generalizzano dal caso statico a casi non stazionari i concetti di p. elettrico e di p. magnetico e che, inoltre, possono essere fatte intervenire per descrivere un campo elettromagnetico in particolare quando si adotti il formalismo quadrimensionale della relatività ristretta. Per la definizione di queste grandezze, dette anche p. elettrodinamici, occorre rifarsi alle equazioni di Maxwell dell’elettromagnetismo, che qui si applicano a un mezzo omogeneo e isotropo:
[14] formula
essendo E il campo elettrico, B l’induzione magnetica, ε la costante dielettrica assoluta e μ la permeabilità magnetica assoluta del mezzo, ρ la densità volumica di carica elettrica libera, j la densità della corrente di conduzione; inoltre, si ricorda che per la velocità di propagazione v di perturbazioni elettromagnetiche nel mezzo si ha: v2=1/(με). Poiché divB=0, si può introdurre, come nel caso magnetostatico, il p. elettromagnetico vettore (o, per brevità, p. vettore) A definito dalla relazione
[15] formula
la terza delle [14] dà:
e può dunque porsi:
[16] formula
essendo V il p. elettromagnetico scalare (o, per brevità, p. scalare). In effetti, per definire univocamente il vettore A, occorre fissarne la divergenza, che viene assunta nella forma (condizione o gauge di Lorentz):
[17] formula
Le [15], [16], [17] costituiscono le relazioni di definizione dei due p. elettromagnetici; la denominazione a essi data è giustificata, già a questo punto, dal fatto che in condizioni statiche si ha:
e dunque, in queste condizioni, V si riduce al p. elettrostatico e A si riduce al p. magnetostatico vettore. Introducendo i p. elettromagnetici nella prima e nella quarta delle [14], si ottengono le seguenti due equazioni differenziali:
[18] formula
Queste equazioni hanno le seguenti soluzioni generali:
[19] formula
dove x′, y′, z′ sono le coordinate dell’elemento infinitesimo di volume dτ, r è la distanza da dτ al punto P(x, y, z) in cui si valutano i potenziali. La presenza a secondo membro del tempo ritardato (t−r/v) corrisponde alla circostanza fisica che all’istante generico t la situazione in P è determinata dal valore che ρ e j avevano in dτ precedentemente, e precisamente (r/v) secondi prima, che è il tempo impiegato dalla perturbazione a percorrere, con la velocità finita v, la distanza finita r. A causa del valore finito di v, i p. elettromagnetici sono dunque, per loro natura, p. ritardati. Le [19], oltre al fatto che l’interazione elettromagnetica si propaga con velocità finita, mettono in evidenza il fatto fondamentale che i p. elettromagnetici dipendono solo dalla posizione (attraverso ρ) e dalla velocità (attraverso j) ritardate delle cariche elettriche. Si osservi ancora che in condizioni statiche le [18] e [19] si riducono alle relazioni valide per i p. elettrostatici e magnetostatici. Le [18] in regioni di spazio prive di sorgenti (ρ=0, j=0) si riducono all’equazione differenziale delle onde. P. quadrivettore o quadripotenziale In elettromagnetismo, quadrivettore ottenuto associando al p. elettromagnetico vettore il p. elettromagnetico scalare, come componente temporale.
P. elastico È il p. delle forze elastiche, cioè delle forze che si destano nell’interno di un corpo elastico in concomitanza a una deformazione del corpo medesimo, e alle quali è dovuto il ritorno alla configurazione primitiva quando cessi l’azione deformante. Il p. elastico (unitario) rappresenta l’energia, per unità di volume, che nell’intorno di ciascun punto il corpo ha acquistato in conseguenza della deformazione: energia equivalente sia al lavoro che in corrispondenza le forze elastiche possono compiere nel ritorno del sistema alla configurazione primitiva, sia al lavoro compiuto dalle forze esterne per portare l’unità di volume suddetta dallo stato indeformato allo stato deformato. P. di una forza centrale Una forza centrale F che un punto materiale Q, punto potenziale, esercita su un punto P, punto potenziato (cioè una forza la cui direzione è quella della congiungente QP, e la cui grandezza dipende soltanto dalla distanza fra i due punti), è sempre conservativa e il suo p. vale U=ʃϕ(r)dr essendo ϕ(r) la componente della F secondo la retta orientata QP, sicché ϕ(r) risulta positiva o negativa a seconda che la forza sia repulsiva o attrattiva. Se, in particolare, Q è fisso e la forza centrale esercitata da Q su P è la forza di gravitazione universale, indicando con m la massa di P, con M quella di Q e con G la costante di gravitazione universale si ha ϕ(r)=−GmM/r2 e il p., detto newtoniano, vale, a meno di una costante additiva arbitraria,
P. della forza peso Per un sistema materiale pesante prossimo alla Terra, se p è il peso del sistema, y la quota del baricentro misurata lungo la verticale discendente a partire da un piano orizzontale arbitrario π, si ha per il p. del peso: U=py+cost; o semplicemente U=py se si assume nullo il p. sul piano π.
In grammatica, modo (o tempo) verbale che, da solo o con l’aggiunta di particelle, esprime un’azione pensata come possibile, sia in forma positiva sia in forma negativa. In greco e in latino si distinguono un p. del presente e un p. del passato. In greco il p. del presente si esprime con ἄν (o κε) e l’ottativo del presente o dell’aoristo: εἴη ἄν «è; si può dire che sia»; δὶς ἐς τὸν αὐτὸν ποταμὸν οὐκ ἄν ἐμβαίης «non sarebbe possibile entrare due volte nello stesso fiume»; il p. del passato con ἄν e l’indicativo di un tempo storico: ϑᾶττον ἤ ἄν τις ᾤετο «più presto di quanto si sarebbe potuto credere». In latino, in cui all’ottativo è subentrato il congiuntivo, il p. del presente è espresso con il congiuntivo presente o perfetto: quis dubitet? «chi potrebbe dubitare?»; dixerit quis «qualcuno potrebbe dire», oppure con una perifrasi costituita dal verbo posse «potere» e un infinito: possum persĕqui «potrei enumerare»; il p. del passato è espresso in genere dall’imperfetto congiuntivo: L. Lentŭlus satis erat fortis orator ... quaerĕres in iudiciis fortasse melius «Lucio Lentulo era vigoroso come oratore ... ma come eloquenza giudiziaria forse avresti potuto desiderare qualcosa di meglio».
In linguistica, enunciato potenziale o frase potenziale, ogni enunciato che potrebbe essere formulato in base alle regole grammaticali di una lingua, anche se nel corpus di cui si dispone esso non è presente; p. sintattico, la somma delle possibilità di accordo sintattico presentata da una categoria linguistica storica: per es., nell’italiano moderno l’articolo la ha un p. sintattico maggiore di quello presentato dall’articolo il al quale in determinati casi subentra lo.