Nome generico con cui si indicano vari tipi di sorgenti luminose artificiali, a combustione di materie liquide (olio, grassi, petrolio) o gassose (gas di città, acetilene, metano o gas petroliferi ecc.) oppure a incandescenza di materiali solidi (l. a fiamma, elettriche a filamento incandescente ecc.) oppure a luminescenza o a scarica (l. elettriche a conduzione gassosa: fluorescenti, al neon, all’elio, ad arco ecc.).
L’apparecchio che utilizza la sorgente luminosa per l’illuminazione, costituito dalla sorgente stessa e dai vari dispositivi occorrenti per il suo funzionamento, o che la sostengono opportunamente o che dirigono, limitano, diffondono la luce emessa (➔ illuminazione).
Tipo di l. che trasformano in luce l’energia elettrica. Le l. elettriche nacquero come l. a filamento (l. a incandescenza) e come l. a scarica quasi contemporaneamente, nei primi decenni del 19° secolo. Le prime realizzazioni, presentate alla Royal Society, furono quelle di H. Davy nel 1802 (l. a incandescenza) e di Moore nel 1804 (l. a scarica). La l. a incandescenza è diventata prodotto industriale e commerciale soprattutto per merito di T.A. Edison nel 1880.
Le l. elettriche possono essere classificate in: l. a filamento o a incandescenza, l. a scarica in aeriforme, l. a fluorescenza, l. ad arco, sorgenti elettroluminescenti, l. di tipo speciale. Per tutte le caratteristiche principali sono: la tensione di alimentazione (volt); la potenza elettrica assorbita (watt); il flusso luminoso emesso (lumen); l’efficienza luminosa (lumen/watt), rapporto tra flusso luminoso emesso e potenza elettrica assorbita; la caratteristica spettrale, che rappresenta l’andamento della emissione specifica (potenza per unità di superficie emittente) nell’intervallo unitario di lunghezza d’onda, in funzione della lunghezza d’onda stessa (tale caratteristica è legata alla temperatura del filamento, kelvin, e permette il confronto con la luce solare); la curva fotometrica (a, in fig. 1), ottenuta dall’intersezione della indicatrice sferica di emissione (la cui intensità, in una data direzione, è espressa in candele) con un piano d’interesse passante per la sorgente luminosa b; la durata (ore).
Molto importanti, per l’impiego delle l. elettriche nell’illuminazione, sono alcune caratteristiche costruttive: tipo di vetro dell’ampolla (diafano, smerigliato, opalino, chiaro, azzurrato ecc.), forma dell’ampolla (sferica, a pera, a oliva, a goccia, cilindrica ecc.), tipo di innesto o zoccolo (a vite o Edison, a baionetta o Swan, laterale o a siluro, polarizzato ecc.) e dimensioni dell’innesto (normale, mignon, micromignon ecc.).
Nelle l. a incandescenza l’emissione luminosa è prodotta da un filo conduttore (filamento), generalmente metallico, reso incandescente dal passaggio della corrente elettrica, continua o alternata. Il filamento è protetto dal contatto dell’aria (in cui, per rapida ossidazione, brucerebbe rapidamente) mediante un’ampolla di vetro svuotata d’aria oppure riempita di gas inerte. Queste lampade si possono dividere in 3 categorie: l. a filamento di carbone, l. a filamento metallico e l. a lampo di luce.
Le l. a filamento di carbone sono state le prime a diffondersi ma oggi non sono più utilizzate. I filamenti erano realizzati dapprima con fibre di bambù carbonizzate o con pasta di cellulosa trafilata e carbonizzata e successivamente con carbone grafitizzato o metallizzato.
I primi tipi di l. a filamento metallico, con filamento di tantalio, furono successivamente sostituiti da quelli con filamento di tungsteno, materiale con caratteristiche di emissione luminosa migliori di quelle degli altri materiali, che consentì temperature più elevate, cioè luce più bianca, e maggiore efficienza. Il filamento di tutte queste l. era sistemato in un’ampolla svuotata dell’aria; in seguito (1914), per ridurre la sublimazione del filamento (causata dall’alta temperatura) e aumentarne la temperatura (e perciò l’efficienza luminosa della l.), furono introdotte le l. a filamento di tungsteno in gas inerte (azoto, argon), che costituiscono il tipo universalmente adottato. Il filamento di tungsteno delle l. attuali lavora a temperatura di circa 2700 K. Le variazioni nella tensione di alimentazione influiscono sulla durata (numero di ore di funzionamento), sul flusso luminoso, sulla potenza assorbita e sull’efficienza luminosa (fig. 2) della lampada che solitamente è dell’ordine di 15 lm/W. Lo spettro della luce emessa è continuo, con un massimo di emissione che cade fuori del campo visibile, e precisamente nell’infrarosso (fig. 3).
Le l. a ciclo di iodio, dette anche l. a quarzo-iodio, l. iodine o, correntemente, l. alogene, permettono al filamento di tungsteno di lavorare a temperatura molto elevata (oltre 3400 K), prossima a quella di rammollimento (temperatura di fusione del tungsteno: 3640 K); consentono pertanto di ottenere efficienze specifiche maggiori (20-25 lm/W) e la migliore qualità di luce (fig. 4), mentre, grazie alla presenza di una piccola quantità di iodio oltre al gas inerte di riempimento, si elimina la formazione di depositi di tungsteno sulla faccia interna dell’ampolla, evitando così il suo annerimento.
L. a filamento di tungsteno per usi speciali sono le l. a bassa tensione (da 2 a 24 V), di piccole dimensioni e piccola potenza, usate per autoveicoli, per lampadine portatili ecc., e le l. per fotografia e cinematografia, per ripresa e per proiezione, generalmente ‘survoltate’, alimentate cioè con una tensione maggiore del dovuto, che determina una temperatura molto alta; la luce emessa da queste l. survoltate è intensa e quasi bianca, ma la durata è notevolmente ridotta.
Derivano sostanzialmente dal tubo di Geissler e sono costituite (fig. 5) da un’ampolla a, generalmente cilindrica, contenente agli estremi 2 elettrodi (l’anodo A e il catodo K), riempita con un gas che nel tipo a bassa pressione può essere molto rarefatto (10-3-10-4 bar). Una conveniente differenza di potenziale V applicata agli elettrodi determina una distribuzione di campo elettrico sufficiente a innescare e mantenere una scarica elettrica luminosa; in molti casi gli elettrodi, di tungsteno, sono rivestiti di ossidi di bario e stronzio per facilitare l’innesco della scarica. Nel tubo si distinguono alcune zone, a partire dall’anodo: una zona luminosa b, molto estesa, detta di luce positiva, una zona oscura c, un’altra zona luminosa d, più ristretta, detta di luce negativa, e infine uno spazio oscuro e. Intensità e composizione spettrale della luce dipendono dalla natura dei gas contenuti nell’ampolla; questa può essere riempita con un solo gas (per es., neon) o con più gas, oppure con uno o più gas misti a vapori metallici (vapori di mercurio o di sodio). Queste l. sono in genere alimentate attraverso un resistore (corrente continua) o un reattore (corrente alternata).
Le l. al neon danno luce color rosso-arancio; funzionano in corrente alternata, con tensione tra 2000 e 10.000 V, sono usate soprattutto per la pubblicità luminosa, per quanto si tende a sostituirle con le l. fluorescenti. A causa dell’alimentazione con corrente alternata e della frequenza di questa, non si avvertono più zone luminose e oscure, ma la luce appare uniforme lungo tutto lo sviluppo del tubo, sebbene con leggero tremolio. La durata dei tubi al neon può giungere a 10.000 ore, a seconda della pressione del gas. La tensione deve essere tanto maggiore quanto più lungo è il tubo.
Le l. a gas raro sono poco utilizzate per il loro basso rendimento e per la difficoltà di avere una sufficiente varietà di colori, eccettuate le l. a xeno, che emettono luce bianca, con composizione spettrale molto simile a quella della luce diurna, accompagnata da intense radiazioni ultraviolette e infrarosse; tali l. hanno un’intensità molto elevata e un tempo di innesco brevissimo. Si dividono in l. a bassa pressione (circa 1 bar), in genere di grandi dimensioni, con tensione di alimentazione alternata, impiegate per l’illuminazione di grandi aree (aeroporti, stadi ecc.) e in l. ad alta pressione (circa 20 bar) con tensione di alimentazione continua e flusso luminoso molto concentrato, impiegate prevalentemente in proiettori di grande potenza.
Nelle l. a gas con vapore luminescente gli elettrodi, costituiti da una spiralina di tungsteno, possono essere riscaldati dalla corrente che alimenta la l.: si hanno allora le l. a catodo caldo, che possono funzionare a bassa tensione. Se in esse, oltre al neon, o all’argon, col quale si inizia il funzionamento, si trova del sodio o del mercurio, questo vaporizza rapidamente, e ciò ha l’effetto di far aumentare la corrente e diminuire la tensione a valori tali che il neon cessa di essere luminoso, mentre lo diventa il vapore di sodio o di mercurio, che brilla con la sua luce caratteristica. Le l. a vapori di sodio hanno alta efficienza luminosa (fino a 150 lm/W) e lunga durata (3000 ore); la luce emessa è sensibilmente monocromatica. Nelle l. a vapori di mercurio invece del sodio si usa il mercurio e, al posto del neon, argon, con il quale è facilitato l’avviamento anche a bassa tensione. Si distinguono in: l. a bassa pressione e l. a media e alta pressione. L. a bassa pressione (da 1 a 10 bar) Sono alimentate con la tensione normale della rete, hanno efficienza molto inferiore a quella della l. a sodio e durata da 1000 a 2000 ore; sono usate per illuminazione di zone estese, come per es., aeroporti; la luce emessa ha uno spettro a righe (quello del mercurio) che fornisce un caratteristico colore verde azzurro, e varie righe nell’ultravioletto. Per utilizzare le sole radiazioni ultraviolette, si possono impiegare bulbi di quarzo o di cosiddetto vetro di Wood o vetro nero; si hanno così le l. a raggi ultravioletti, usate in processi fotochimici, per eccitare sostanze fluorescenti, come battericidi, per individuare alterazioni di documenti e dipinti o per abbronzare la pelle. La resa di colore delle l. a vapore di mercurio può essere migliorata e il tono della luce può essere reso quasi bianco aggiungendo un filamento di tungsteno (l. a luce miscelata) oppure rivestendo la parete interna del bulbo di sostanze eccitate dalle radiazioni ultraviolette, dando luogo alle l. a fluorescenza. L. a media e alta pressione (10-100 bar) Hanno durata di 10.000-20.000 ore, efficienza di 50-60 lm/W, potenza da 50 a 3000 W; la forma è assai compatta, dotata sempre di doppia ampolla. Per l’avviamento si impiega un sistema ausi;liario e sono necessari alcuni minuti.
Le l. ad alogenuri contengono, oltre al mercurio e all’argon, anche alogenuri di sodio, tallio e iodio. Queste l. possono essere miniaturizzate e presentano il vantaggio di un alto rendimento e di una elevata resa cromatica, risultando molto interessanti per diverse applicazioni.
Queste l., dette più comunemente, per la loro forma, tubi fluorescenti, costituiscono un tipo di l. particolarmente diffuso per l’elevata efficienza e durata. Le l. a fluorescenza a bassa pressione, oltre a un gas raro (di solito argon) e vapori di mercurio a bassissima pressione (qualche mbar), contengono, sulle pareti del tubo, un sottile strato di fosfori (tungstati, silicati e fosfati, spesso con attivatori) che divengono luminosi per fluorescenza eccitata dalle radiazioni ultraviolette del mercurio: le loro radiazioni, da sole o in aggiunta a quelle del vapore di mercurio, producono una luce di varia composizione spettrale (fig. 6).
Si dividono in tubi ad alta tensione (a elettrodi freddi) e tubi a bassa tensione (a elettrodi preriscaldati). I tubi ad alta tensione, più lunghi e sottili, si accendono istantaneamente e possono funzionare con intensità di corrente variabile, con possibilità di variare la propria luminanza: sono usati per illuminazioni particolari. Questi tubi si alimentano con trasformatori ad alta reattanza di dispersione, che elevano la tensione fino a oltre 1000 V. Nei tubi a bassa tensione, se gli elettrodi non sono preriscaldati l’adescamento richiede una tensione quasi quadrupla di quella di funzionamento; con elettrodi preriscaldati, la tensione di adescamento si riduce a quella normale della rete di distribuzione dell’energia elettrica. I due elettrodi sono costituiti da piccole spirali di filo di tungsteno rivestito di carbonati di bario e di stronzio.
La durata delle l. a elettrodi caldi dipende dal numero di accensioni perché a ogni innesco gli elettrodi subiscono una notevole sollecitazione termica, perdendo parte del materiale emissivo; essa si aggira, tuttavia, sulle 6000-8000 ore; la durata dei tubi a catodo freddo, per la mancanza del filamento e dei connessi problemi di usura, è superiore e si aggira sulle 20.000 ore. Piccole variazioni della tensione di alimentazione non hanno influenza sul colore della luce emessa, e questa si mantiene praticamente inalterata per tutta la vita della lampada.
Il circuito di alimentazione di una l. fluorescente comprende (fig. 7) un reattore a che funziona da limitatore della corrente, e un interruttore termico, in genere a lamina bimetallica (starter) b, per l’innesco; alla chiusura del circuito, lo starter è chiuso e fa circolare la corrente che riscalda i filamenti c e lo starter medesimo; dopo qualche secondo lo starter interrompe il circuito, e la sovratensione d’apertura dovuta all’elevata induttanza del reattore è tale da innescare la scarica nel tubo, che poi si mantiene, a elettrodi freddi, con la normale tensione di alimentazione. Poiché, per la presenza del reattore, il fattore di potenza risulta piuttosto piccolo, s’inserisce quasi sempre in parallelo un condensatore di rifasamento d; spesso il reattore e il condensatore sono riuniti in un unico complesso, che viene chiamato reattore rifasato. Quanto detto sopra vale naturalmente se l’alimentazione è a tensione alternata; se è invece a tensione continua, occorre mettere in serie un resistore, anziché un reattore, con conseguenti perdite che giustificano l’uso non comune di tale tipo di alimentazione. L’accensione con lo starter è la più economica, ma ha l’inconveniente di essere ritardata, e anche non molto sicura a causa della delicatezza dello starter stesso. Per queste ragioni si sono largamente diffusi sistemi di accensione rapida, utilizzanti speciali autotrasformatori elevatori che consentono di fare a meno dello starter, oppure alimentatori ad alta frequenza costituiti generalmente da un raddrizzatore a diodi, un circuito intermedio in corrente continua, e un inverter a IGBT che fornisce una tensione alternata di frequenza dell’ordine di alcuni kHz. Entrambi questi sistemi sono utilizzati generalmente per l’alimentazione in serie di almeno 2 lampade.
Le l. a fluorescenza ad alta pressione derivano direttamente dalle l. a vapori di mercurio a media e alta pressione. Il materiale fluorescente deposto sulla faccia interna dell’involucro di vetro esterno a protezione del tubo di scarica in quarzo è diverso da quello utilizzato per le l. fluorescenti a bassa pressione, per le quali l’emissione di radiazioni ultraviolette avviene in corrispondenza di lunghezze d’onda minori rispetto a quelle delle l. ad alta pressione. Hanno efficienza luminosa di 50-60 lm/W, flussi luminosi di 10.000-90.000 lm e durata di 6000-10.000 ore. Si utilizzano per illuminazione di ambienti aperti (strade, piazzali ferroviari e aeroportuali) o grandi ambienti industriali. La resa cromatica è migliore delle lampade ad alta pressione a vapori di mercurio.
Costituite da un arco elettrico, sono sorgenti luminose molto concentrate e di grande brillanza. Possono essere alimentate con corrente alternata oppure con corrente continua; in quest’ultimo caso, per ovviare al consumo asimmetrico degli elettrodi (di carbone, o anche metallici), tra cui scocca l’arco, l’anodo, che si consuma di più, è di diametro maggiore del catodo. In ogni modo, occorre un dispositivo, detto regolatore, che mantenga automaticamente le estremità degli elettrodi alla giusta distanza tra loro, malgrado il loro continuo consumarsi; inoltre, perché l’arco sia stabile, occorre disporre in serie agli elettrodi un resistore oppure un reattore, che però assorbono una certa potenza (una l. ad arco ha per tale motivo un’efficienza non molto alta, intorno a 25 lm/W). Le l. ad arco breve (in ambiente confinato), costruttivamente simili alle l. a incandescenza, presentano proprietà fisiche simili a quelle dell’arco. La l. ad arco corto in atmosfera di mercurio o di xeno (pressione di esercizio 10-55 bar), in silice pura molto resistente, in cui sono alloggiati massicci elettrodi di tungsteno, permette di ottenere valori eccezionali di luminanza (2∙108-2∙109 cd/m2) e caratteristiche di colore della luce molto vicine a quelle della luce diurna (fig. 8).
La l. ad arco concentrato, allo zirconio, è costituita da un anodo (una placchetta forata al centro) di molibdeno, e da un catodo (un cilindretto di tungsteno in cui è stata ricavata una cavità contenente ossido di zirconio) di superficie molto ridotta (da 1 mm2 a 5 mm2), che diventa incandescente quando scocca l’arco, con luminanze medie superiori a 2.000.000 cd/m2.
Utilizzano il fenomeno della luminescenza eccitata in alcune sostanze da campi elettrici alternati. Un condensatore (fig. 9) costituito da uno strato dielettrico b, nel quale è incorporata la sostanza elettroluminescente (solfoseleniuri di zinco, solfuri di zinco e cadmio ecc.) e da 2 strati di elettroconduttori, uno dei quali, c, trasparente e l’altro, a, metallico (in genere alluminio) rappresenta la soluzione per risolvere problemi di segnalazione alfabetica o numerica. L’efficienza luminosa è di circa 2,5 lm/W e si possono avere superfici emittenti di area tra 30 e 400 cm2 e luminanze di 60.000-80.000 cd/m2.
Appartengono a questa categoria le l. a lampo di luce elettronica, particolare tipo di l. a scarica. Sono usate nei lampeggiatori elettronici, in cui la l. è riempita di un gas nobile (cripton o xeno) ed è alimentata dall’energia accumulata in un condensatore di notevole capacità (qualche centinaio di mF) caricato a tensione di qualche centinaio o qualche migliaio di volt. La luce è assai intensa e ha brevissima durata (da 1 a 100 milionesimi di secondo) e si presta per riprese fotografiche di oggetti in rapido movimento, quando sia sincronizzato opportunamente l’otturatore della macchina fotografica. Ogni l. è in grado di fornire parecchie migliaia di scariche prima di diventare inservibile.
Un altro tipo particolare di l. è il LED (➔ diodo), utilizzato per segnalamento (in apparati, quadri sinottici ecc.), e recentemente sviluppato per dare una luminosità maggiore, così da presentarsi alternativo ad altre sorgenti luminose. Il vantaggio è il risparmio energetico, per effetto del bassissimo consumo, e l’elevata durata di vita. Le nuove applicazioni, basate sull’impiego di numerosi LED, riguardano l’illuminamento di pannelli, cruscotti o segnalatori semaforici, ma le prospettive sono rivolte verso livelli di illuminamento sempre maggiori in sostituzione delle l. a incandescenza.
Infine, anche la l. a induzione può considerarsi una l. di tipo speciale, pur essendo sostanzialmente una l. a conduzione gassosa. Infatti, il suo funzionamento, che non richiede la presenza di elettrodi, è dovuto a un’antenna alimentata da un generatore elettronico ad alta frequenza (qualche MHz) tramite un cavo coassiale, la quale crea un campo magnetico alternato che ionizza e induce le correnti nella miscela di gas (vapori di mercurio e gas rari) contenuta nel bulbo di vetro. Si attiva così il meccanismo che determina l’emissione di radiazione ultravioletta, poi corretta nello spettro con le polveri fluorescenti ricoprenti il bulbo stesso. L’assenza degli elettrodi consente di raggiungere durate di funzionamento dell’ordine delle 60.000 ore; altri vantaggi sono la rapida accensione, la possibilità di regolare il flusso luminoso, l’insensibilità ai classici disturbi di rete e l’eliminazione del fenomeno dello sfarfallamento.
In molte esperienze fisiche sono usate l. come sorgenti di luce bianca o monocromatica; l. speciali sono altresì usate in fotometria come campioni di intensità luminosa. Le l. usate come sorgenti di luce bianca debbono rispondere, in generale, al requisito di essere il più possibile puntiformi; le più usate a tal fine sono le l. elettriche a incandescenza in gas inerte a filamento molto concentrato, del tipo per apparecchi da proiezione, e le l. ad arco: le prime forniscono una luce equivalente a quella emessa dal corpo nero a circa 2900 K, le seconde una luce equivalente a circa 3200 K (ricordiamo che la ‘temperatura di colore’ della luce bianca naturale è 5200 K). Tra le l. ad arco, particolarmente adatta agli usi di laboratorio è la l. pointolite. Come sorgenti di luce monocromatica sono usate l. elettriche a conduzione gassosa con vapore luminescente (specialmente con vapori di mercurio, luce ultravioletta; e con vapori di sodio, luce gialla).
In medicina si usano l. particolari: l. per transilluminazione per lo studio in trasparenza di organi esterni (per es., scroto); l. endoscopiche, per lo studio di organi interni cavi (vescica, albero bronchiale, esofago, stomaco, retto ecc.); l. scialitiche (o senza ombre), per es. a LED, usate in chirurgia per l’illuminazione del campo operatorio; l. a fessura, montate su bio-microscopio e utilizzate in oftalmologia per l’esame delle varie strutture anatomiche dell’occhio.