L’insieme degli strumenti e delle tecniche che permettono di rendere un determinato ambiente, chiuso o aperto che sia, fruibile anche in assenza totale o parziale della luce naturale.
Dalla necessità funzionale, antichissima, di portare luce nelle ore notturne o in ambienti oscuri, la storia dell’i. e della relativa tecnica (illuminotecnica) ha percorso svariati aspetti e linee di sviluppo: evoluzione della sorgente luminosa artificiale come elemento artistico e di arredo, che segue la storia del gusto come quella dell’arte e del design; applicazioni specifiche in architettura, in particolare nella progettazione dei flussi luminosi; uso dell’i. in ambienti tanto interni che esterni, privati o pubblici, e conseguente studio di metodi e apparecchi di i. adeguati ai differenti tipi di ambiente.
Il flusso guidato dell’i. naturale nell’architettura ha sempre contribuito a determinare negli spazi interni effetti connotativi legati alla particolare funzione dell’edificio: effetti suggestivi o allusivi in ambienti sacri; effetti funzionali alla migliore percezione visiva in ambienti espositivi o in biblioteche; esaltazione delle volumetrie e della composizione degli interni; effetti volti dunque, in vario modo, alla migliore fruibilità delle diverse soluzioni architettoniche. All’esterno l’i. naturale è stata fatta reagire con lo specifico trattamento formale delle superfici e delle volumetrie. La progressiva evoluzione tecnologica dell’i. artificiale ha condotto da un basilare uso funzionale a un ruolo sempre più importante dell’i. negli aspetti progettuali e nell’esaltazione delle qualità formali dell’edificio, usando le diverse tipologie di luci artificiali nel disegnarne gli spazi; l’i. interviene sulla percezione degli elementi costruttivi per esaltarne gli elementi formali e connotativi se non, addirittura, per trasfigurarne l’aspetto.
La storia degli strumenti e apparecchi di i., lampade o simili segue l’evoluzione delle fonti di i. usate nelle diverse epoche. I più antichi tipi di lampade furono a combustibile liquido, soprattutto a olio (minerale o vegetale), nel quale era immerso uno stoppino. Tra queste le lucerne, diffuse sin dall’antichità e nei primi secoli del cristianesimo, con forma a cuore, con uno o più beccucci all’estremità più sottile, di terracotta, di bronzo, di ottone; numerose le varianti, a foggia di barca, o di coppa, a più beccucci, sostenute da una colonnina. Caratterizzate da esecuzione spesso di alto pregio artistico, sono le lampade destinate a suppellettile di luoghi sacri, anche di grandi dimensioni, e quelle funerarie. Forme e dimensioni variano nel tempo, così come i materiali, spesso preziosi. Soprattutto dal 15° e 16° sec. si sviluppa anche in questo campo una notevole ricerca formale, spesso ispirata alle forme classiche, con l’opera di artisti come A. Briosco, il Riccio ecc.
Sin dal Medioevo è diffuso anche l’uso di lampade a sospensione (lampadari), appese a un’altezza sufficiente a illuminare l’ambiente circostante, e tali da costituirne un elemento ornamentale e di arredo. L’uso dei lampadari divenne consueto con l’adozione della candela di cera, come mezzo di i. comune nelle abitazioni private. Il lampadario era formato da uno o più ordini di candele, per lo più disposti circolarmente, sostenuti da bracci radiali che si dipartono da un motivo centrale sospeso dall’alto. Di ferro battuto, di bronzo, o di legno intagliato fino al Rinascimento, il lampadario, a partire dal 17° sec., divenne tra i principali elementi di decorazione degli interni di chiese e palazzi arricchendosi di materiali ornamentali, di pendagli sfaccettati per rifrangere e moltiplicare gli effetti luminosi, di nuovi materiali (lampadari veneziani di vetro colorato, nel 18° sec.). Nei secoli successivi è sempre maggiore lo sviluppo formale e la ricerca di effetti particolari, attraverso la schermatura o la rifrazione della fonte di luce.
Oggetto di grande diffusione e ricerca formale sin dall’antichità fu anche il candelabro, da quelli metallici etruschi a quelli ellenistici in bronzo o in marmo, ai candelabri marmorei romani, con fusti istoriati e capitelli, per l’i. di edifici sacri. Nel Medioevo fu oggetto di complesse figurazioni simboliche e ornamentali (candelabro per il cero pasquale). Sviluppatosi tra il 14° e il 16° sec. nel disegno e nella varietà dei materiali, in particolare per uso sacro, nel 17° e 18° sec. ebbe particolare successo il candelabro di uso civile e domestico, di forme barocche spesso piuttosto ricche e fantasiose, di piccole dimensioni (candeliere). Il tipo domestico, che si distingue soprattutto per la presenza di vari bracci per altrettante candele, ebbe grande sviluppo tra il 18° e il 19° sec., rimanendo un elemento d’uso e d’arredo anche nell’arredamento moderno.
Introdotto nel 19° sec. l’impiego del petrolio, la lampada ebbe un serbatoio dalla caratteristica forma tondeggiante, che, specie nei tipi di porcellana decorata, divenne un tipico prodotto dell’arte applicata. Aspetti non molto diversi, soprattutto per la presenza dei tubi di protezione e dei globi diffusori di vetro, ebbero le lampade a gas; è in questa fase che si consolida e si diffonde l’i. pubblica e stradale. Con l’avvento della luce elettrica, lampade, lampadari, lampade a muro (appliques), non subirono radicali e immediate trasformazioni. Con l’art nouveau si assiste a una ricerca fuori della tradizione; il movimento moderno accentuò il carattere funzionale dell’apparecchio di i. semplificando al massimo le forme e scegliendo nuovi materiali. Innovatrici furono le creazioni di M. Brandt intorno al 1920 e l’invenzione dei globi di vetro, e, in seguito, l’uso di forme e materiali, soprattutto metalli, vetri e cristalli, appositamente studiati. Dall’i. domestica l’interesse si estende all’i. di esterni, anche naturali (parchi, giardini ecc.); l’i. diviene, dal singolo elemento di diffusione della luce alla progettazione d’ambiente, campo e settore di applicazione del design.
Intesa in senso moderno, l’illuminotecnica si può considerare sorta dopo che il progresso scientifico e industriale ha messo a disposizione, a un prezzo economicamente conveniente, sorgenti di luce di caratteristiche adattabili alle più importanti esigenze. Le sorgenti di luce attuali sono realizzate con l’intento di avvicinarsi a un’i. con luce che approssimi il più possibile quella diurna, con intensità uniforme e appropriata alle diverse esigenze. La base indispensabile di ogni ricerca di illuminotecnica è lo studio del fenomeno della visione: l’occhio umano, benché possegga una grande capacità di adattamento alle più diverse condizioni di ambiente, si affatica quando gli oggetti della visione siano troppo o troppo poco illuminati. Le migliori condizioni si hanno, com’è intuitivo, quando l’i. dell’ambiente è poco diversa, sia per intensità, sia per colore, da quella media che vi è di giorno, all’aria aperta, al riparo dai raggi diretti del sole. Questo è un limite ottimo, assai difficile da conseguire perché, per quanto riguarda il colore, lo spettro di tutte le sorgenti artificiali di luce differisce, più o meno, da quello solare, e quanto all’intensità, risulta molto costoso raggiungere quella che si chiama i. a giorno. È stato quindi determinato di quanto peggiorino le condizioni della visione via via che l’i. divenga meno intensa di quella diurna, e si è trovato che esiste un intervallo abbastanza ampio nel quale sia la prontezza con cui l’occhio percepisce la presenza degli oggetti (velocità di percezione), sia l’attitudine a distinguerne i minimi particolari (acuità visiva) permangono soddisfacenti. A questo proposito, sono stati svolti studi approfonditi riguardo ai diversi aspetti fisici, fisiologici e psicologici della visione al fine di stabilire correlazioni obiettivamente controllate tra le diverse grandezze fotometriche e quella che viene comunemente chiamata buona qualità della visione. In prima approssimazione si può ritenere che si possa stabilire una correlazione di tipo quantitativo tra le proprietà dell’occhio precedentemente ricordate e una grandezza fotometrica di riferimento atta a rappresentare l’i. richiesta. Tale grandezza può essere rappresentata dalla luminanza o, piuttosto, dall’illuminamento.
Per poter dare norme generali sull’intensità di i., è necessario riferirsi a una superficie convenzionale la cui posizione sia immutabile nei vari ambienti. Questa è, in generale, il piano di utilizzazione della luce, corrispondente all’altezza media dei tavoli, banchi di vendita e di lavoro che si trovano nei locali; l’altezza di questo piano si suole assumere di 0,80 m dal pavimento. Nella tabella sono riportati i limiti inferiore e superiore adottati in ambienti interni per varie attività visive. Con il termine prestazione visiva, riportato in tabella, s’intende l’insieme delle capacità dell’occhio (acuità visiva, velocità di percezione di luminosità diverse, risoluzione cromatica ecc.). Il rapporto tra i. minima e massima lungo l’asse longitudinale deve essere contenuto intorno a 0,60-0,70. Per avere un’idea dell’ordine di grandezza e dell’estensione dei limiti entro cui varia l’i. naturale, si può notare che l’illuminamento dato sul suolo dalla luna piena è, in media, di 0,1 lux, mentre quello diretto del sole al mezzogiorno estivo nelle nostre latitudini oscilla di solito tra 50.000 e 100.000 lux. La luce diurna diffusa, presso un’ampia finestra, può dare su un tavolo un illuminamento compreso tra 500 e 1000 lux.
Gli illuminamenti dati dalla tabella sottintendono una distribuzione abbastanza uniforme del flusso luminoso. Per ottenere maggiore uniformità è necessario frazionare il flusso totale tra molte sorgenti luminose (il che però è in contrasto con l’economia), disporre le lampade alte sul piano di utilizzazione e distanti tra loro poco più di tale altezza. In ogni caso il flusso reale delle sorgenti luminose dovrà essere notevolmente maggiore di quello teoricamente calcolato, perché non tutto è utilizzato; si chiama appunto coefficiente di utilizzazione la frazione del flusso reale che va a colpire il piano di utilizzazione. Il valore del coefficiente varia con il tipo di apparecchio illuminante, con la forma dell’ambiente, con la natura delle pareti. In una i. razionale deve essere accuratamente evitato l’abbagliamento, impedendo, con la disposizione delle lampade, con schermi ecc., la visione diretta non solo dei filamenti incandescenti, ma anche dei globi, dei tubi fluorescenti, delle superfici riflettenti o comunque intensamente illuminate.
Nell’i. naturale diurna degli ambienti chiusi, il concetto di i. media ha scarso significato perché l’intensità varia grandemente a seconda delle vicende stagionali e meteorologiche e quindi, anche se la media è buona, nessuna garanzia si avrebbe, con quella sola indicazione, che il valore minimo non discenda al disotto del limite tollerabile. Un criterio razionale è invece quello di stabilire il valore del coefficiente d’i. diurna dell’ambiente, cioè il rapporto tra l’i. media, oppure quella che vi è sul piano di lavoro nell’ambiente e l’i. che vi è nello stesso momento su una superficie orizzontale esposta, all’aperto, alla luce del cielo (riparata dai raggi diretti del sole): se il coefficiente di i. è inferiore a 0,005, l’i. è insufficiente; se è compreso tra 0,005 e 0,01, è discreta; è infine buona quando è maggiore di 0,01.
Si possono suddividere in sistemi di i. generale, nei quali l’intero ambiente è illuminato con sufficiente uniformità, e sistemi di i. individuale, nei quali sono illuminati, con la necessaria intensità, soltanto determinati posti dell’ambiente: tavoli di lavoro, banchi di macchine ecc. L’i. generale può, a sua volta, essere diretta, quando la luce giunge direttamente dalle lampade agli oggetti; semidiretta, quando vi giunge in parte direttamente e in parte per diffusione da altre superfici illuminate direttamente (soffitti, pareti); indiretta, quando la luce è totalmente trasmessa in quest’ultimo modo. L’i. individuale, quasi sempre diretta, consente economie sul consumo di energia ma non consente facilmente lo spostamento dei posti di lavoro e la trasformazione degli ambienti, ed è inoltre poco soddisfacente dal lato estetico; è adottata quando siano necessari elevati valori locali dell’illuminamento. L’i. indiretta è la migliore dal punto di vista igienico: comporta però un maggior consumo che ne ostacola la larga applicazione. Più comune è l’i. semidiretta che concilia le diverse esigenze.
In generale, molto raramente si adoperano le lampade nude, nelle quali spesso la ripartizione del flusso luminoso nelle varie direzioni non è quella più opportuna. Si ricorre perciò agli apparecchi accessori che si possono dividere in riflettori, rifrattori, diffusori e combinazioni dei tre tipi. I riflettori sono formati da involucri riflettenti di lamiera smaltata (o dotata di rivestimento lucido a base di argento, nichel, cromo) o di vetro argentato e simili che, collocati in giusta posizione, possono servire sia a concentrare il flusso luminoso prevalentemente secondo una data direzione, sia a disperderlo entro un angolo più o meno ampio. I rifrattori sono invece involucri di vetro o di altro materiale trasparente in forma di anello o coppa più o meno chiusa nel cui spessore sono ricavate scanalature spesso in diversa direzione sulle due facce, in modo da formare un sistema di piccoli prismi che rifrangono la luce inviandola nelle direzioni desiderate: questi apparecchi hanno il vantaggio di evitare in gran parte l’abbagliamento senza assorbire notevoli quantità di luce. I diffusori sono rappresentati da coppe o involucri chiusi in uno o più pezzi, di vetro, la cui trasparenza è più o meno attenuata in vari modi (vetro opalino, latteo, smerigliato ecc.). Per scopi speciali, come i. di mostre, esposizioni, scenari, occorrono talvolta apparecchi che inviino dissimmetricamente la luce come riflettori a coppa con profonda dissimmetria.
Nei locali di abitazione la soluzione più economica è quella di una i. generale sufficientemente intensa, integrata con lampade individuali nei luoghi in cui si svolgono attività particolari. In uffici e scuole sono da preferire i sistemi di i. generale; gli apparecchi più usati sono i diffusori; il flusso totale deve essere ripartito in un numero conveniente di lampade poste piuttosto alte in modo da avere una buona uniformità. Nei locali industriali si usano apparecchi d’i. atti a ridurre le probabilità di abbagliamento; le pareti si tinteggiano di bianco, quando ciò sia possibile, per aumentare l’utilizzazione della luce. L’i. è, in genere, diretta e generale. Lampade individuali sono riservate a lavorazioni minute.
Negli ambienti aperti è possibile soltanto l’i. diretta. Nelle vie strette, per es., si impiegano lampade di modesta potenza piuttosto ravvicinate, poste a circa 4 m di altezza dal piano stradale, mentre per vie più importanti si aumenta la potenza, la distanza e l’altezza, fino a circa 10 m. Per grandi piazze si usa spesso l’i. mediante batterie di proiettori collocati sopra sostegni alti parecchie decine di metri o su alti edifici in posizione adatta. Questo sistema, detto a inondazione di luce, ha avuto importanti applicazioni anche per piazzali ferroviari, calate portuali, campi sportivi, aeroporti e simili. All’ingresso e all’uscita delle gallerie autostradali, l’illuminamento deve essere tale da ovviare alla difficoltà di adattamento dell’occhio umano a brusche variazioni di i., soprattutto nelle ore diurne. Una branca che ha avuto notevole sviluppo è quella dell’i. notturna dei monumenti, mediante batterie di proiettori. Le singole applicazioni in questo campo debbono essere attentamente studiate, caso per caso, in relazione al carattere della costruzione e all’effetto da ottenere.
Nelle sale operatorie si richiede un’i. forte ma con esclusione di fenomeni di abbagliamento, di ombre portate sul campo operatorio e di calore riflesso. È assolutamente indispensabile che l’i. sia assicurata con continuità anche nelle ore notturne e nel caso d’improvvisa interruzione dell’erogazione dell’energia sulla rete di distribuzione ordinaria, che si possa variare entro determinati limiti l’incidenza dei raggi luminosi sul campo operatorio e che la manovra di regolazione degli apparecchi sia pronta e facile; non essendo possibile ottenere tutti questi requisiti con l’i. naturale, si è ricorsi alla totale i. artificiale, abolendo del tutto le aperture verso l’esterno.
Per quanto riguarda i palcoscenici teatrali, lo schema generale dell’impianto di i. deve comprendere diverse sorgenti luminose: laterali, frontali, dall’alto e, in casi particolari, anche dal basso. Tutto il sistema di i. è controllato da un elaboratore, che provvede a eseguire gli effetti di luce voluti, fissando istante per istante il numero, il tipo di ciascun apparecchio, la posizione, l’effetto e la potenza relativa, il colore ed eventuali altre caratteristiche. Per quanto riguarda i teatri di posa cinematografici e televisivi, l’i., a differenza della luce di palcoscenico, non deve soltanto illuminare o delineare il quadro, ma deve adeguarsi alle necessità dei supporti di registrazione, quindi avviene quasi completamente dall’alto, da dove scendono gli apparecchi appesi a canne di prolunga, pantografi o estensori a cannocchiale, a loro volta applicati al soffitto.