Dispositivo che amplifica, secondo un rapporto prestabilito, il valore di una data grandezza fisica. A seconda della natura di quest’ultima, si parla di a. elettrici, a. meccanici e a. ottici; ulteriori distinzioni possono poi farsi, in base al principio di funzionamento, nell’ambito di ciascuna delle categorie suddette. Indipendentemente dal tipo e dal principio di funzionamento, ciò che caratterizza un a. è: a) la specie e il campo di variabilità della grandezza d’ingresso, cioè della grandezza che il dispositivo deve amplificare; b) la specie e il campo di variabilità della grandezza d’uscita, cioè della grandezza che il dispositivo fornisce amplificata; c) il rapporto di amplificazione (o, semplicemente, amplificazione o guadagno), pari al rapporto tra il valore della grandezza d’uscita e quello della grandezza d’ingresso.
Gli a. elettrici, o più propriamente elettronici, sono dispositivi aventi lo scopo di amplificare grandezze o segnali elettrici. L’entità dell’amplificazione è valutata definendo il guadagno come il rapporto fra le ampiezze dei segnali di uscita e quelli di ingresso. A seconda della grandezza elettrica amplificata, si distinguono gli a. di tensione e gli a. di corrente; in ogni caso la potenza elettrica è sempre amplificata e pertanto nell’a. sono sempre contenuti uno o più componenti attivi polarizzati per mezzo di un opportuno alimentatore esterno. Durante il funzionamento, parte della potenza elettrica assorbita dall’alimentatore è trasferita in uscita e pertanto è possibile definire un rendimento energetico dell’a. pari al rapporto fra la potenza uscente e quella erogata dall’alimentatore. La considerazione di tale grandezza è importante soprattutto negli a. di potenza, nei quali la potenza uscente è di entità rilevante. La fedeltà di riproduzione dell’a. permette di valutare di quanto il segnale di uscita sia distorto rispetto a quello di ingresso. Si distinguono le distorsioni non lineari e quelle lineari. Le prime hanno origine a causa delle caratteristiche elettriche non lineari dei componenti attivi, i quali possono funzionare in intervalli limitati di tensione e corrente; tali distorsioni sono trascurabili per piccoli segnali e tendono ad aumentare con l’ampiezza del segnale di ingresso. Le distorsioni lineari dipendono dalla risposta in frequenza dell’a. e sono nulle quando l’andamento del guadagno è costante con la frequenza e la risposta di fase. Tali condizioni possono essere soddisfatte solo in un intervallo limitato di frequenze, detto banda passante dell’a., al di fuori della quale il guadagno decresce rapidamente. In generale, la banda passante dell’a. è sempre la più piccola possibile in relazione a quella del segnale da amplificare, in modo da limitare al massimo il rumore in uscita, che viene valutato quantitativamente per mezzo del rapporto segnale rumore S/N (o SNR), espresso in dB. Tale rapporto, valutato in ingresso e in uscita all’a., permette di esprimere il contributo di rumore introdotto dall’a., detto fattore di rumore, pari alla differenza fra i rapporti S/N, espressi in dB, in ingresso e in uscita. Il fattore di rumore è sempre positivo, e dipende dallo schema dell’a., dal tipo di componenti usati e dalla larghezza di banda. Per aumentare l’amplificazione e diminuire il fattore di rumore, è utile porre più a. in cascata, collegati direttamente o per mezzo di opportune reti di accoppiamento. In questo caso si parla di a. a più stadi, definendo come stadio il singolo a. elementare. Usando le unità logaritmiche, il guadagno totale è pari alla somma dei guadagni, mentre il fattore di rumore complessivo dipende sostanzialmente dal fattore di rumore dei primi stadi di amplificazione: pertanto è su questi ultimi che occorre intervenire per limitare al massimo il rumore intrinseco. Gli a., classificati in base alla banda passante, si distinguono in a. in continua, in banda audio, in banda video, a microonde e per onde millimetriche. I singoli stadi di amplificazione hanno come componente fondamentale un elemento attivo a semiconduttore, che può essere utilizzato secondo diversi schemi circuitali e in diverse zone della sua curva caratteristica. Nel funzionamento in regime sinusoidale ha molto interesse definire per quale percentuale del periodo la corrente scorra sul ramo controllato dell’elemento attivo. A seconda che tale percentuale sia pari a 100, a 50 o sia minore di 50, si dice che lo stadio funziona in classe A, in classe B, o in classe C. Per percentuali comprese fra 50 e 100, lo stadio viene detto in classe AB. Passando dagli stadi in classe A a quelli in classe B e C, si ottengono valori più alti del rendimento energetico. Tuttavia solo gli stadi in classe A garantiscono un funzionamento lineare, mentre gli stadi in classe B o C sono utilizzati solo quando è tollerabile un regime di funzionamento di tipo parzialmente non lineare. In questi casi le distorsioni in uscita sono limitate con vari accorgimenti.
A. a transistori bipolari. - Appartengono a questa categoria gli a. con emettitore a massa, gli a. con collettore a massa e quelli con base a massa (fig. 1). A. con emettitore a massa (o con emettitore comune). La fig. 1A descrive lo schema tipico: il segnale di ingresso, e, una tensione applicata tra base ed emettitore del transistore, determina un segnale di corrente nella base dato da ib= e/Ri, ove Ri è la resistenza di ingresso dell’a.; tale corrente di base provoca una variazione della corrente di collettore data da ic=Aiib, ove Ai è l’amplificazione in corrente dell’a. dovuta all’effetto transistore. Il segnale di uscita u, dato dalla variazione della tensione del collettore, è quindi legato al segnale di ingresso dalla relazione u=−eAiRu/Ri, ove Ru è la resistenza di uscita dello stadio am;plificatore; AiRu/Ri rappresenta perciò il guadagno di tensione dell’amplificatore, mentre il segno negativo indica inversione di fase tra ingresso e uscita. Se si considera che per la configurazione a emettitore comune la resistenza di ingresso Ri è dell’ordine di poche centinaia di ohm, mentre la resistenza di uscita Ru, che coincide di fatto con Rc, può essere scelta dell’ordine del kiloohm, ne segue che un a. a emettitore comune ha un’alta amplificazione in tensione (dell’ordine di 100). Essendo nel transistore la legge che correla le variazioni delle grandezze in ingresso con quelle di uscita fortemente non lineare (➔ transistore), affinché il dispositivo si comporti come un amplificatore lineare, è necessario che le variazioni del segnale in ingresso avvengano entro un campo opportunamente limitato (piccoli segnali), tale cioè da poter considerare approssimativamente lineare la caratteristica del transistore. Pertanto le considerazioni fin qui svolte si applicano al caso in cui la tensione di polarizzazione, le resistenze Rb e Rc e il segnale di entrata e, siano tali che il transistore lavori, come si usa dire, nella zona lineare delle caratteristiche, cioè funzioni lontano dalla interdizione e dalla saturazione. In tali condizioni l’a. funziona in classe A ed è lineare, almeno per frequenze non troppo elevate. L’a. in classe A, ottimo per amplificare tensioni, non è un buon amplificatore di potenza a causa del suo basso rendimento di collettore (rapporto tra la potenza del segnale amplificato e la potenza della corrente di collettore). Poiché ciò è dovuto al fatto che la corrente di collettore ha una certa intensità anche in assenza del segnale di ingresso, per gli a. di potenza si adottano le altre classi di funzionamento in modo da mantenere a valori molto bassi l’intensità media della corrente di collettore. Nell’a. funzionante in classe B la corrente di polarizzazione di base è quasi nulla (transistore vicino all’interdizione), avendo corrente di collettore praticamente solo in corrispondenza dei valori del segnale di ingresso che portano il transistore in conduzione; nell’a. funzionante in classe C la giunzione base-emettitore è polarizzata inversamente, per cui il transistore è interdetto e la sua accensione è ottenuta solo se il segnale di ingresso supera un certo valore di tensione. Il rendimento di collettore è massimo nell’a. in classe C e minimo nell’a. in classe A.
A. con collettore a massa In questo tipo di a. (in inglese emitter follower; fig. 1B), il carico Re è sull’emettitore, il segnale di ingresso viene applicato tra base e massa e il segnale di uscita è prelevato tra emettitore e massa. L’amplificazione in corrente è praticamente uguale a quella della configurazione con emettitore a massa, mentre l’amplificazione in tensione è prossima a 1. Ciò segue dal fatto che nella zona attiva del transistore la differenza di potenziale tra base ed emettitore è praticamente costante (pari a qualche decimo di volt); l’emettitore tende cioè a inseguire il potenziale di base. La resistenza di ingresso è molto più elevata di quella della configurazione con emettitore a massa, mentre la resistenza di uscita è molto più bassa. Queste due caratteristiche rendono l’a. con collettore a massa particolarmente utile come trasformatore d’impedenza, molto usato come stadio di uscita in amplificatori a più stadi.
A. con base a massa In questa configurazione (fig. 1C) il segnale di ingresso viene applicato tra emettitore e massa e il segnale d’uscita è prelevato tra collettore e massa. L’amplificazione in corrente risulta appena inferiore all’unità, mentre l’amplificazione in tensione è dello stesso ordine di grandezza di quella della configurazione con emettitore a massa.
A. reazionati. - Una porzione del segnale di uscita viene riportata in ingresso dell’amplificatore. Se tale segnale è di segno opposto al segnale di ingresso corrispondente, la reazione si dice negativa o controreazione; tale reazione negativa abbassa l’amplificazione complessiva ma aumenta la stabilità dell’amplificatore. Inoltre si può ottenere negli a. controreazionati un notevole aumento della larghezza della banda passante; la frequenza di taglio superiore infatti risulta moltiplicata per lo stesso fattore per il quale diminuisce l’amplificazione complessiva, risultando, in questo modo, praticamente costante il prodotto dell’amplificazione per la larghezza della banda amplificata. La reazione può essere di tensione o di corrente a seconda che il segnale riportato in ingresso sia proporzionale alla tensione o alla corrente del segnale di uscita, di tipo serie o di tipo parallelo se il segnale viene riportato in serie o in parallelo ai terminali di ingresso. I vari tipi di reazione hanno inoltre l’effetto di aumentare o diminuire l’impedenza di ingresso e l’impedenza di uscita dell’amplificatore.
A. differenziali. - Sono a. la cui grandezza d’uscita è una corrente o una tensione proporzionale alla differenza tra due tensioni applicate in ingresso. Nella fig. 2 è riportato, per es., lo schema di un a. differenziale di tensione. Si tratta di due transistori a. di tensione, accoppiati per mezzo del comune resistore di emettitore Re; la tensione d’uscita, ricavata ai capi dei due resistori di collettore Rc, uguali, risulta u=A(e1−e2), dove A è l’amplificazione ed e1, e2 sono le tensioni d’ingresso applicate alle basi dei transistori. Poiché, solitamente, i disturbi esterni (es. campi elettromagnetici) si presentano approssimativamente con la medesima ampiezza su entrambi gli ingressi dell’a., l’operazione di differenza tende a limitarne la presenza sull’uscita u (reiezione dei disturbi).
A. operazionali. - Si tratta di a. caratterizzati da un’alta amplificazione in tensione, un’elevata impedenza di ingresso, ciò che li rende ottimi misuratori di tensione (voltmetri), una bassa impedenza di uscita, ciò che li rende ottimi generatori di tensione per gli stadi successivi, un basso rumore proprio e un’alta stabilità di funzionamento nel tempo, dovuta alle controreazioni interne. Il nome deriva dalla possibilità che offrono di operare matematicamente sul segnale di ingresso; si hanno così integratori, derivatori e sommatori analogici.
A. a transistori a effetto di campo. - Vengono sfruttate tutte le caratteristiche dei transistori a effetto di campo, in modo particolare la possibilità di controllare la corrente che li attraversa, per mezzo di una differenza di potenziale applicata all’elettrodo di gate. Caratteristica di questa categoria di a. è l’elevatissima impedenza d’ingresso con conseguente elevato guadagno in potenza. Gran parte di quanto esposto relativamente agli a. a transistori bipolari può essere ripetuto per quelli con transistori a effetto di campo, tenendo conto dell’analogia che esiste tra emettitore, base, collettore dei transistori bipolari e source, gate e drain dei transistori a effetto di campo. La transconduttanza, definita dal rapporto tra l’incremento della corrente drain-source e il corrispondente incremento della tensione gate-source è tipicamente dell’ordine di 1000, ottenendo valori dell’amplificazione estremamente elevati.
A. dielettrici. - Sono a. di potenza per correnti alternate ad alta frequenza, basati sul fatto che la capacità, e quindi la reattanza di un condensatore il cui dielettrico sia un materiale ferroelettrico (per es. titanato di bario) varia al variare della tensione applicata. Secondo una delle disposizioni più usuali (fig. 3), un condensatore a titanato di bario, c, costituisce, insieme con un induttore, a, e un condensatore normale, d, un circuito oscillante accordato su una frequenza molto vicina a quella di un oscillatore ad alta frequenza, f, il cui circuito comprende anche un resistore, g. Al condensatore c viene applicata, sovrapposta alla tensione continua fornita dal generatore b (tensione di polarizzazione), la tensione variabile da amplificare, e; questa determina corrispondenti variazioni della capacità di c e quindi dell’impedenza del circuito oscillante e, in definitiva, dell’intensità i della corrente ad alta frequenza che percorre il resistore g: ai capi di questo insorge una tensione ad alta frequenza u, la cui modulazione di ampiezza riproduce, amplificata, la tensione d’entrata, e; la frequenza di quest’ultima dev’essere molto minore di quella dell’oscillatore f.
A. magnetici. - Sono a. di potenza per corrente continua, basati sul fatto che la permeabilità di un nucleo ferromagnetico varia al variare della magnetizzazione. Uno dei circuiti ai quali più comunemente si ricor;re in pratica è l’ a. magnetico in parallelo. Su un nucleo ferromagnetico, a (fig. 4), sono tre avvolgimenti: il primo, b, detto avvolgimento di controllo, è alimentato dalla tensione e che deve essere amplificata, mentre il secondo, c, detto avvolgimento di alimentazione, è alimentato da un generatore ad alta frequenza, e il terzo, d, detto avvolgimento di potenza, è chiuso sul resistore di carico, f, ai capi del quale si ricava la tensione d’uscita, u. Quando e è massima, e tale da portare il nucleo alla saturazione, la permeabilità del circuito magnetico è minima, l’accoppiamento tra alimentazione e carico è parimenti minimo, e minima è u; quando e è nulla, il dispositivo diventa sostanzialmente un trasformatore ordinario, e u è massima: le variazioni di u riproducono quindi, a un livello di potenza assai più elevato, quelle di e.
A. molecolari. - Sono a. a radiofrequenza, a basso livello di rumore, più noti con la denominazione di maser.
A. parametrici. - A. a radiofrequenza, a basso livello di rumore, basati sulle variazioni d’impedenza di un bipolo non lineare. A seconda della natura di quest’ultimo, si possono distinguere: a. a diodo, a. a ferrite e a. a. fascio elettronico. Lo schema di principio è quello illustrato dalla fig. 5: il bipolo non lineare, b, costituisce l’elemento di accoppiamento di due circuiti, uno comprendente la sorgente della tensione da amplificare, e, e un filtro, a, risonante sulla frequenza fs di e, l’altro comprendente un generatore, d, detto pompa, e un filtro, c, risonante sulla frequenza, fp, del generatore; la tensione d’uscita u, che si ricava ai capi di b, ha una frequenza fu pari alla somma oppure alla differenza di fs e fp e risulta amplificata a spese dell’energia fornita da d.
A. a resistenza negativa, a diodi. - Alcuni tipi di diodo (diodi tunnel, Gunn, IMPATT) presentano un tratto della caratteristica tensione-corrente ad andamento decrescente, per cui, opportunamente polarizzati, si comportano nei riguardi di segnali di ampiezza limitata come una resistenza negativa; collegando tali diodi a una linea di trasmissione, i segnali incidenti su essi sono amplificati. Tali a. trovano impiego nel campo delle microonde.
A. rotanti. - Sono a. di potenza per corrente continua costituiti da speciali macchine dinamoelettriche, ai quali si ricorre quando si vogliano conseguire alti livelli di potenza della grandezza d’uscita, per es. di decine o centinaia di kW, pressoché irraggiungibili con a. di altro tipo. Gli a. rotanti, dei quali esistono vari tipi, possono essere raggruppati in tre categorie. La prima, comprende i tipi detti magnavolt e rapidina, la seconda, tipicamente rappresentata dall’ amplidinamo, e infine la terza, costituita da dinamo autoeccitate (regulex, rototrol).
A. elettroacustici. - Si tratta di a. per corrente alternata, nei quali la grandezza d’entrata è una corrente fonica, cioè una corrente variabile a frequenza acustica, proveniente da un microfono o da un fonorivelatore, e la grandezza d’uscita è anch’essa una corrente fonica, a più elevato livello di potenza, destinata ad alimentare un altoparlante o un fonoregistratore (discografico, magnetofonico o elettroottico).
La grandezza d’entrata e quella d’uscita sono grandezze meccaniche, in genere spostamenti, lineari o angolari, di determinati organi, donde l’uso d’indicare gli a. meccanici anche come a. di spostamenti (o di movimenti). In base al principio di funzionamento, si possono distinguere le seguenti categorie principali: a leva, a leva ottica, elettromeccanici e a fluido.
A. a leva. - Come il nome stesso dice, questi a. sono costituiti da una leva o da un sistema di leve. L’amplificazione statica, cioè il rapporto tra gli spostamenti, può essere notevole, anche dell’ordine di qualche centinaio, ma l’amplificazione di potenza è sempre minore dell’unità, a causa delle perdite per attriti e delle resistenze passive in genere.
A. a leva ottica. - Basati sul principio della leva ottica, trasformano uno spostamento lineare di un organo meccanico nello spostamento lineare, centinaia o migliaia di volte più ampio, di un’immagine luminosa su uno schermo. Sono impiegati quasi esclusivamente in strumenti di misurazione (comparatori, estensimetri ecc.).
A. elettromeccanici. - La grandezza meccanica d’entrata viene convertita, mediante un trasduttore elettromeccanico, in una grandezza elettrica; questa viene amplificata e quindi riconvertita, mediante un secondo trasduttore elettromeccanico, in una grandezza meccanica di uscita. Esistono diversi tipi di a. elettromeccanici, i quali vengono classificati in base al tipo di trasduttore utilizzato.
A. a fluido (o fluidodinamici). - Sono a. di potenza, usati nei servomeccanismi, nei quali l’energia della grandezza d’uscita viene fornita da un fluido in pressione: un liquido, di regola olio (a. a liquido o idraulici), o un aeriforme, di regola aria (a. a gas o pneumatici), il cui efflusso viene controllato dalla grandezza di entrata. Se ne hanno di tre tipi fondamentali: a ugello, a getto, a pistone. Nel primo tipo, il fluido in pressione, proveniente da a (fig. 6 A), sgorga da un ugello, b, di fronte al quale è uno schermo, c, a cui è applicato lo spostamento d’entrata e; il condotto che adduce il fluido all’ugello ha una strozzatura, d, e una presa di pressione, f. La pressione in f è quella stessa del fluido all’ingresso se lo schermo è addossato all’ugello, ed è invece minore, per effetto della perdita di pressione in d, via via che lo schermo si allontana dall’ugello; le variazioni della pressione in f possono essere convertite in vari modi in uno spostamento meccanico, costituente l’uscita dell’a.; nel secondo tipo il fluido effluente da un ugello (a in fig. 6 B), batte su uno schermo fisso, b, sul quale si affacciano le estremità di due tubicini, c e d, costituenti due prese di pressione. Lo spostamento d’entrata e è applicato all’ugello; gli spostamenti di questo si traducono in variazioni di segno opposto della pressione nei tubicini. Analogo è il funzionamento dell’a. del terzo tipo costituito da un cassetto di distribuzione a pistone, il quale, mosso dallo spostamento d’entrata, scopre progressivamente alcune luci e genera due pressioni variabili in senso contrario che vengono convertite nello spostamento, amplificato, di un organo meccanico.
Sono a. che hanno lo scopo di amplificare flussi luminosi o immagini ottiche. Gli a. di flusso possono essere realizzati in vari modi. Come tale funziona, per es., un relè fotoelettrico che governi il funzionamento di un proiettore: un flusso luminoso relativamente debole incidente sull’elemento fotosensibile del relè viene convertito, in un certo senso, nel flusso, assai più intenso, emesso dal proiettore. A. ottici d’immagini sono, naturalmente, gli oculari e gli apparecchi d’ingrandimento (ingranditori e microscopi); nell’uso corrente, peraltro, la qualifica di a. d’immagine viene riservata agli a. di brillanza: dispositivi che servono a produrre immagini brillanti, comodamente osservabili, o fotografabili, a partire da immagini deboli, poco o pochissimo brillanti. Gli a. di brillanza elettronici sono speciali tubi elettronici, nei quali l’immagine di cui si vuole amplificare la brillanza viene convertita in un’immagine di elettroni, successivamente accelerati e focalizzati su uno schermo fluorescente: su questo si produce un’immagine simile a quella primaria, ma la cui brillanza può essere anche decine di migliaia di volte maggiore.