In algebra, particolare tipo di endomorfismo di un insieme A dotato di una qualsiasi struttura algebrica. Si tratta precisamente di un endomorfismo π (diverso dall’endomorfismo identico) idempotente e cioè tale che risulti π = π2 (di conseguenza π = π2 = π3 = …, da cui l’attributo idempotente).
Il più semplice esempio di p. è costituito dalla proiezione, per es. ortogonale, di uno spazio vettoriale su di un suo sottospazio; altro esempio è l’operatore che a ogni elemento (g1, g2) del prodotto diretto G1⊗G2 di due gruppi G1, G2 associa l’elemento di G1⊗G2 costituito dalla coppia (g1, 0), oppure dalla coppia (0, g2).
La totalità dei p. di un insieme A ha essa stessa una struttura algebrica che, a seconda dei casi, può essere un reticolo, un’algebra di Boole ecc. La nozione di p. ha però interesse soprattutto in relazione agli spazi, per es., di Banach, di Hilbert, di Kantorovič; in tali spazi, infatti, i p. permettono di formulare notevoli teoremi di rappresentazione per diverse classi di operatori lineari.
Apparecchio atto a proiettare un fascio di luce intenso e ristretto, allo scopo di illuminare oggetti spesso molto lontani. È costituito essenzialmente da una sorgente luminosa posta di solito nel fuoco di uno specchio parabolico (sistema catottrico o riflettore), più raramente nel fuoco di una lente. Poiché la sorgente luminosa (arco elettrico, lampada a incandescenza ecc.) ha dimensioni molto piccole ma finite, dal p. non esce un fascio parallelo, ma un fascio divergente. Oltre che per scopi militari, p. di varia potenza sono usati anche per scopi civili: per es., nell’illuminazione di grandi spazi esterni o negli autoveicoli.
La sorgente luminosa generalmente adottata nei p. di grande potenza è la lampada ad arco; per es., le lampade ad arco corto in atmosfera di vapori di mercurio o xenon sono in grado di fornire una luminanza che va da qualche decina di migliaia ad alcune centinaia di migliaia di candele al centimetro quadro. Gli specchi sono fatti di vetro argentato o alluminato, di metallo argentato o dorato o di alluminio lucido. Nel caso che sia accettabile una certa divergenza del fascio, si usano lampade a incandescenza a filamento concentrato e non deformabile, con enorme semplificazione dell’impianto.
Negli impianti mobili, l’energia elettrica è fornita da un gruppo motogeneratore. L’impianto complessivo che alimenta, forma e dirige il fascio luminoso è detto stazione fotoelettrica e comprende, oltre al generatore, il complesso arco-specchio, un congegno per intercettare il fascio senza spegnere l’arco, dispositivi di direzione e di comando a distanza. Le stazioni fotoelettriche si contraddistinguono in base al diametro dello specchio del p.; le più grandi possono essere autotrasportate o fisse.
P. installati in un gruppo su un supporto di notevole altezza (torre-faro) vengono utilizzati per l’illuminazione di campi sportivi, autostrade o monumenti. Spesso, quando il posizionamento dei centri luminosi è asimmetrico rispetto all’asse di simmetria delle superfici da illuminare, si adottano p. asimmetrici. Analoghi dispositivi, di assai più modeste proporzioni, sono i p. di teatro, usati per concentrare l’illuminazione su determinate parti della scena (sfondi, elementi decorativi ecc.).
Apparecchio destinato a illuminare a distanza la strada da percorrere. Di regola i p. sono 2 negli autoveicoli a 4 o più ruote, 1 nei motoveicoli; nei veicoli ferroviari sono 1 o 2. Per gli autoveicoli e i motoveicoli, si tratta, di norma, di p. a riflettore parabolico (fig. 1), generalmente in materiale plastico alluminato, con lampada a incandescenza a due filamenti e lente frontale.
Il fascio prodotto dalla lampada con il filamento posto nel fuoco del riflettore (fascio abbagliante, fig. 2A) è molto intenso e leggermente conico: ne risultano raggi diretti anche verso l’alto e, lateralmente, verso la carreggiata opposta, che determinano fenomeni di abbagliamento del conducente di un veicolo che incroci. Una riduzione accettabile dell’abbagliamento è ottenuta utilizzando il fascio, diretto verso il basso (fascio anabbagliante, fig. 2B), generato dal secondo filamento, posto anteriormente al fuoco del riflettore, munito di un piccolo schermo situato sotto il filamento stesso, che intercetta i raggi diretti verso la parte inferiore del riflettore; molto spesso viene impiegato un p. per il fascio abbagliante e uno per il fascio anabbagliante, pur essendo raggruppati in un solo corpo.
Un ulteriore contributo alla riduzione dell’abbagliamento è dato dalla regolazione della posizione del filamento e dalla lente, del tipo a zone, che rendono il fascio anabbagliante asimmetrico sia sul piano orizzontale (fig. 3), sia sul piano verticale. I p. per autoveicoli generano anche le luci di posizione con lampada diversa da quella principale e di potenza minore.
P. con lampade allo iodio, in particolare con aggiunta di altri alogeni, presentano prestazioni molto elevate; prestazioni ancora migliori si ottengono con l’impiego, non soltanto nel campo dei p. per autoveicoli, delle lampade allo xenon, costituite da un tubo in vetro o quarzo con due elettrodi di tungsteno alle estremità e riempito di gas xenon dopo avervi praticato il vuoto.
Apparecchio per la proiezione su schermo di immagini in movimento, utilizzato principalmente per la visione di film nelle sale cinematografiche. Prima dell’avvento della tecnologia digitale, il p. cinematografico (p. cinematografico a pellicola o 35 mm) consisteva essenzialmente in un sistema ottico di proiezione (costituito da una speciale lampada posta nel fuoco di uno specchio concavo, da un condensatore di luce e da un obiettivo per la messa a fuoco dell’immagine sullo schermo), un sistema di trascinamento della pellicola (trasferita dalla bobina di svolgimento a quella di riavvolgimento) e un sistema di raffreddamento (a circolazione forzata di aria o ad acqua).
Nonostante questo tipo di p. sia ancora molto diffuso, lo sviluppo dell’elettronica digitale ha consentito l’introduzione di una nuova generazione di p., i p. cinematografici digitali, non più fondati sull’utilizzo della pellicola ma sull’acquisizione del film in formato elettronico. Esistono sostanzialmente due tipi di p. cinematografici digitali, quelli basati sulla tecnologia DLP (digital light processing), anche detti p. a microspecchi, e quelli che utilizzano la tecnologia LCoS (liquid crystal on silicon). Nel primo tipo, la proiezione dell’immagine sullo schermo si realizza con un dispositivo integrato costituito da una matrice di microspecchi (DMD, digital micromirror device), in grado di riflettere o assorbire la luce proveniente dalla sorgente interna al p.; modulando il tempo di riflessione di ogni microspecchio (avente forma quadrata di 16 μm di lato), corrispondente al singolo pixel dell’immagine, si ottiene per quest’ultima un’ampia scala di grigi. Utilizzando inoltre un DMD per ciascuno dei 3 colori fondamentali (rosso, verde e blu) oppure inserendo tra sorgente luminosa e DMD un sistema rotante di filtri colorati, sempre nei 3 colori fondamentali, si ottengono le corrispondenti immagini a colori. La tecnologia LCoS può essere considerata ibrida tra quella DLP e quella utilizzata negli LCD (➔ display). In questi ultimi, i cristalli liquidi sono intrappolati fra due superfici vetrose attraverso le quali viene applicato il campo elettrico che modula la loro capacità di far passare la luce. Nei dispositivi LCoS il cristallo liquido è invece inserito tra una superficie vetrosa e una riflettente (microspecchio), in modo che la luce, in funzione dello stato del cristallo, possa essere riflessa oppure assorbita, proprio come accade nei dispositivi DLP. Utilizzando un dispositivo LCoS per ognuno dei 3 colori fondamentali è possibile ottenere le immagini a colori. I vantaggi della proiezione digitale rispetto a quella che utilizza la pellicola derivano essenzialmente dalla facilità della distribuzione dei film in formato elettronico, compiuta mediante supporti di memoria digitale (hard disk, Internet, satellite ecc.) e non con ingombranti bobine, peraltro più costose, e dal minore deterioramento dei supporti digitali: dopo alcune decine di proiezioni, infatti, gli effetti dell’usura delle pellicole sono già visibili sullo schermo. Il principale svantaggio dei p. digitali è rappresentato invece dal costo molto elevato, che può essere anche 10 volte maggiore di quello di un p. cinematografico a pellicola.