Vasta classe di dispositivi in grado di generare immagini bidimensionali fisse o variabili, in bianco e nero o a colori, in relazione a diverse tipologie di informazioni e dati.
Il modo di operare di un d. elettronico consiste nel trasformare un segnale elettrico, ricevuto o memorizzato, in un segnale ottico che possa essere riconosciuto o interpretato da un osservatore umano. Pertanto, di norma, il d. è pilotato da un dispositivo elettronico in grado di convertire il segnale in una mappa bidimensionale, che riesca a rappresentare in forma opportuna immagini, caratteri o grafici. La tecnologia consente di realizzare in modo semplice ed economico memorie elettroniche in grado di immagazzinare tutta l’informazione bidimensionale rappresentata sul d., che si è così potuto evolvere in varie tipologie. Quando il segnale ottico generato dà luogo a emissione di luce, il d. è detto attivo o a emissione luminosa, quando invece il segnale ottico è visibile solamente attraverso fenomeni di interferenza, diffusione o riflessione di luce emessa da sorgenti luminose ausiliarie, o anche della sola luminosità ambientale, il d. è detto passivo.
Fra i primi dispositivi nei quali è stato necessario far fronte alle esigenze di visualizzazione sono stati gli apparecchi televisivi, per i quali furono realizzati i primi d. a tubi a raggi catodici indicati comunemente con la sigla CRT (cathode ray tube).
I CRT (➔ oscilloscopio), d. di tipo attivo, hanno rappresentato a lungo il sistema più efficiente per la visualizzazione delle immagini, e non sono ancora del tutto soppiantati. Essi hanno trovato varie applicazioni di rilievo, oltre che nell’elettronica civile, anche, per es., negli apparecchi scientifici come gli oscilloscopi, per visualizzare vari tipi di segnale e forme d’onda. A causa dell’elevata complessità, dell’ingombro, del consumo di potenza elettrica, della limitata durata, dell’elevata tensione di funzionamento, delle radiazioni emesse verso l’osservatore, questi d. sono stati oggetto di un gran numero di perfezionamenti.
Infatti, vari tentativi sono stati compiuti per realizzare d. a CRT di piccolo spessore rispetto alle dimensioni dello schermo ( d. a CRT piatti). Poiché le parti essenziali di un CRT sono la sorgente di elettroni (catodo), il dispositivo di focalizzazione e modulazione d’intensità, il dispositivo di deflessione e lo schermo otticamente attivo, i vari sistemi consistono nel modificare strutturalmente uno o più di tali elementi al fine di ridurre lo spessore e il peso totale. Una soluzione consiste nell’utilizzare fasci di elettroni guidati che si muovono in direzione parallela allo schermo e che, con opportuni sistemi di deflessione, sono indirizzati verso la zona di superficie da illuminare.
Fra i processi costruttivi e i materiali impiegati per i d. elettronici alternativi ai CRT, si possono citare: dispositivi PDP (plasma display panel), dispositivi ELD (electroluminescent display), dispositivi LCD (liquid cristal display), dispositivi ECD (electrochemical display).
Per i dispositivi a matrici di LED (light emitting diode) ➔ diodo.
D. a plasma (PDP).
Vasta classe di dispositivi che generano immagini per emissione luminosa prodotta dalla scarica nei gas. In un pannello PDP, un gas raro (spesso neon) è racchiuso in un contenitore. Scariche locali sono indotte da elettrodi costituiti da segmenti metallici rettilinei, incrociati e separati da un distanziatore dielettrico; in ciascun punto di incrocio è presente un piccolo foro nel distanziatore attraverso il quale può avvenire la scarica.
Il dislpay a plasma è di tipo attivo, poiché genera immagini luminose indipendentemente da altre sorgenti di luce e presenta facilmente effetti cromatici, sia direttamente, ricorrendo a scariche multiple di differente colore, sia mediante opportuni fosfori cromaticamente differenziati, messi posteriormente alla superficie frontale del d. (fig. 1). Le applicazioni dei PDP si sono focalizzate in due direzioni, la prima relativa ai d. per elaboratori, la seconda relativa ad apparecchi televisivi a schermo piatto. La resa ottica è simile a quella ottenibile con i CRT, presentando però, rispetto a questi ultimi, un ingombro notevolmente inferiore. Per il pilotaggio dei PDP sono stati messi a punto due differenti sistemi tecnici: il primo, detto a scarica in corrente alternata, è caratterizzato dal fatto che gli elettrodi sono connessi a una superficie dielettrica, cosicché la scarica avviene in modo indiretto, senza interessare gli elettrodi stessi. L’altro sistema, a scarica in corrente continua, possiede degli elettrodi direttamente affacciati alle camere di scarica. Nei pannelli in corrente continua, la scarica non appare immediatamente dopo l’applicazione della tensione, ma con un certo ritardo distribuito statisticamente in un piccolo intervallo di tempo. Ciò provoca una dispersione e uno sfarfallio della luminanza dello schermo. Tale fenomeno viene ridotto ponendo le celle in uno stato di prescarica (light pilot). In ogni caso i circuiti di pilotaggio del pannello devono eseguire cicli di rinfresco dell’immagine, che consistono nella scansione sequenziale e ripetuta di tutti i pixel (➔) presenti. Naturalmente i circuiti utilizzati sono diversi secondo il tipo di pannello considerato. Una variante è costituita dai cosiddetti SSPD (self-scanning panel display), che presentano un tempo di risposta particolarmente breve, minimizzando le interferenze fra pixel contigui. I PDP presentano buone doti di robustezza e lunga vita operativa.
D. a elettroluminescenza (ELD).
Questi dispositivi, otticamente attivi, utilizzano il fenomeno della elettroluminescenza in materiali semiconduttori, per cui si ottiene emissione di luce in presenza di campi elettrici applicati attraverso appositi elettrodi. Il d. è costituito (fig. 2) da opportune particelle di materiale otticamente attivo immerse in una matrice trasparente e sulle quali viene indotto localmente l’effetto della elettroluminescenza per mezzo di opportune matrici di elettrodi. A questa categoria di dispositivi appartengono i d. OLED (organic light emitting diode), nei quali l’elettroluminescenza è dovuta ad alcuni elementi organici che possono essere di tipo polimerico (POLED) o meno. A differenza dei d. a cristalli liquidi, gli OLED hanno la capacità di emettere luce propria e non necessitano, per tale ragione, di componenti aggiuntivi per essere illuminati, consentendo la realizzazione di d. molto più sottili, addirittura pieghevoli, che richiedono minori quantità di energia per funzionare.
Un Display OLED è composto da vari strati sovrapposti: su un primo strato trasparente, che ha funzioni protettive, viene deposto uno strato conduttivo, ancora trasparente, avente funzione di anodo. Successivamente vengono aggiunti gli strati organici: due strati esterni per il trasporto di elettroni e lacune, e due strati interni per la loro iniezione; infine, viene deposto uno strato riflettente che ha funzione di catodo. Quando è applicata una tensione tra anodo e catodo, le cariche iniettate, positive e negative, si ricombinano emettendo una radiazione luminosa. I circuiti di pilotaggio sono simili a quelli usati per gli LCD e possono essere a matrice attiva integrata sullo stesso display.
D. a cristalli liquidi (LCD).
In un cristallo liquido, le molecole non sono vincolate in una rigida struttura cristallina, ma possono essere facilmente orientate per mezzo di campi elettrici, magnetici, variazioni termiche o sollecitazioni meccaniche. In tal modo le proprietà ottiche di uno strato di questo materiale possono essere modificate, realizzando vari tipi di dispositivi quali d., sensori o elementi elettroottici. Un d. a cristalli liquidi consiste in un insieme di celle le cui proprietà ottiche (rifrazione, rotazione del piano di polarizzazione e diffusione della luce) sono modulate in funzione di una tensione elettrica o di un’eccitazione termica. Si realizza così una variazione della luce riflessa o trasmessa dalla cella, ottenendo un dispositivo LCD di tipo passivo, cioè non in grado di emettere luce ma di modularla. La sorgente luminosa può essere sia la luce ambientale (nei dispositivi a riflessione), sia una sorgente opportuna posizionata posteriormente alla cella (nei dispositivi a trasmissione). Le caratteristiche principali dei dispositivi LCD sono il basso consumo di potenza specifica (pochi μW/cm2), la bassa tensione di alimentazione e il piccolo spessore, che li rende compatibili con dispositivi portatili. Inoltre il d. può essere usato per ottenere immagini in proiezione. Le proprietà ottiche di un LCD dipendono dall’angolo con cui viene osservato rispetto al piano dell’immagine, il che comporta la necessità di visioni dell’immagine per lo più da posizioni frontali, anche se nei d. più recenti per impiego televisivo si sono ottenuti angoli di visione prossimi a 180°. Inoltre, la risposta e l’efficienza dipendono fortemente dalla temperatura.
Vi sono vari tipi di cristalli liquidi usati nei d., ma tutti sono caratterizzati dal fatto che le molecole risultano più o meno allineate lungo il loro asse, modificando varie proprietà fisiche, quali l’indice di rifrazione, la costante dielettrica, la suscettività magnetica, la conduttività elettrica. Anche la viscosità del liquido cambia a seconda della direzione, essendo il materiale fortemente anisotropo. A causa dell’anisotropia dell’indice di rifrazione si ottiene sia una deflessione del cammino ottico in funzione dell’orientamento molecolare, sia un cambiamento di polarizzazione. In generale, un dispositivo LCD consiste (fig. 3) in uno strato sottile di cristallo liquido posto fra due substrati che assolvono varie funzioni. Fra le prime applicazioni degli LCD vi sono i visualizzatori numerici a 7 segmenti, utilizzati per rappresentare cifre decimali di apparecchiature o di schermi di segnalazione. La realizzazione di tali dispositivi ha comportato la messa a punto di appositi circuiti elettronici di pilotaggio, i quali si distinguono in dispositivi a pilotaggio statico (quando ciascun segmento è pilotato separatamente e simultaneamente agli altri) e dispositivi a pilotaggio in multiplazione, adatti per numeri relativamente alti di cifre rappresentate. In quest’ultimo caso, a causa di vari elettrodi posti in parallelo agli elementi ottici, può manifestarsi un fenomeno d’interferenza per cui appaiono eccitati anche elementi che non dovrebbero esserlo (effetto crosstalk). Tale fenomeno aumenta con il numero totale dei segmenti, per cui viene adottata una tecnica più evoluta, detta a matrice attiva, nella quale sono realizzati un transistore e un condensatore integrati in corrispondenza di ogni elemento ottico, per generare il campo elettrico necessario alla polarizzazione dell’elemento stesso. Le tecniche a matrice attiva si distinguono a loro volta in tecniche FET (quando sono presenti transistori a effetto di campo, tipicamente MOS (➔), tecniche TFT (thin-film transistors) quando sono presenti transistori a film sottile, e tecniche non lineari (quando sono presenti varistori, diodi o elementi MIM, costituiti cioè da tre strati di: metallo, isolante e metallo). Tecniche a matrice attiva sono tipicamente usate per d. di elaboratori e di apparecchi televisivi, nei quali interessa ottenere una buona qualità per immagini in movimento. In questi casi, i parametri caratteristici sono il numero totale dei pixel rappresentati e la risposta nel tempo del display. Per i dispositivi LCD a colori sono usate tecniche di tipo parallelo, che utilizzano strati contenenti i colori primari (rosso, verde e blu) in strutture a mosaico, ovvero tecniche sequenziali, che realizzano l’effetto cromatico in modo additivo eccitando successivamente d. realizzati nei tre colori di base.
D. elettrochimici (ECD).
Sono d. passivi nei quali l’effetto visivo è ottenuto provocando in alcune sostanze opportune reazioni elettrochimiche, che ne inducano il cambiamento di colore. Affinché una sostanza possa essere utile a tale scopo, deve possedere un sufficiente assorbimento di luce nello spettro visibile, nonché un contrasto cromatico sufficiente, in condizioni normali di temperatura; inoltre, la reazione chimica e il conseguente effetto cromatico devono avere buone caratteristiche di reversibilità senza l’insorgenza di effetti chimici e fisici indesiderati. Sostanze con tali caratteristiche sono state trovate nell’ambito di certi ossidi (ossido di tungsteno, di titanio, di vanadio) o di certe sostanze chimiche organiche (viologeno). Mediante tali sostanze sono state costruite celle ECD utilizzabili in d. a segmenti o a matrici di pixel. Occorre notare che il funzionamento di un ECD dipende dalla quantità di carica elettrica che attraversa la sostanza sensibile, sulla base delle leggi dell’elettrochimica. Pertanto è necessario far percorrere la cella da una corrente elettrica per un certo tempo, tipicamente alcuni decimi di secondo (a tensione opportuna), per alterarne le caratteristiche cromatiche. Una volta attivata, la cella presenta spiccate caratteristiche di memorizzazione dell’informazione cromatica, che si conserva fino a che una corrente inversa non la riporti nello stato iniziale. Pertanto, un d. elettrochimico è utilizzabile in quelle applicazioni in cui interessa ottenere immagini piuttosto statiche, come nel caso di certi orologi, di schermi illustrativi o d’informazione. Tali d. presentano diversi vantaggi, come l’insensibilità alla presenza di sorgenti luminose esterne, un angolo di visualizzazione molto ampio, il pilotaggio con basse tensioni, la costruzione semplice, poco costosa e adatta ad ampie superfici. D’altro canto, il consumo di potenza è elevato ed è difficile mantenere a lungo le caratteristiche del d. senza che intervengano effetti secondari di degradazione. In tale senso un ECD è caratterizzato dal numero di cicli (ogni ciclo è costituito da un processo di colorazione e di ritorno a riposo) prima che il dispositivo si degradi sensibilmente.
Molti sistemi sono stati realizzati per ottenere schermi di elevate dimensioni, con applicazioni in campo commerciale, per annunci, rappresentazioni di film o di animazioni. In questo campo grandi differenze si hanno fra i due casi di applicazioni al chiuso, ove sono sufficienti illuminazioni di intensità inferiore, e di applicazioni all’aperto, in cui sono necessari livelli luminosi decisamente superiori. Fra tali tecniche occorre citare: a) i CRT a proiezione, che permettono di ottenere immagini televisive su uno schermo attraverso l’ingrandimento dell’immagine ottenuta con sistemi a rifrazione o a riflessione; b) i sistemi a deformazione di film d’olio; c) i sistemi a cristalli liquidi a riscaldamento laser; d) i sistemi multiscreen, costituiti da matrici di piccoli d. a colori di tipo CRT; e) i d. a matrici di sorgenti luminose a incandescenza, a fluorescenza, a tubi al neon. Le varie soluzioni, che in genere comportano elevate potenze di alimentazione, sono diverse a seconda che interessi o meno l’applicabilità a immagini in movimento.
Dal punto di vista tecnico, il confronto fra i vari tipi di d. può essere effettuato sulla base di diverse caratteristiche di funzionamento.
Tensione di alimentazione.
Tensione necessaria per pilotare il dispositivo, che dipende dal principio fisico sul quale si basa il display.
Corrente di funzionamento.
È la corrente per unità di superficie assorbita dal d. durante il suo funzionamento, misurata in A/cm2; tale corrente è molto più bassa nei d. passivi (dell’ordine dei μA/cm2), rispetto ai d. di tipo attivo (dell’ordine dei mA/cm2); dal prodotto tensione per corrente si ottiene il consumo in potenza specifica in W/cm2; i dispositivi passivi LCD sono, fra tutti, quelli a minor consumo di potenza specifica.
Contrasto.
Il rapporto fra la luminanza delle zone eccitate (on), rispetto a quelle a riposo (off), dell’immagine visualizzata; il contrasto è maggiore nei d. attivi, nei quali è direttamente legato alla luminanza della luce emessa, rispetto ai d. passivi, nei quali dipende dal grado di modulabilità della luce da parte del dispositivo; in alcuni casi è anche considerato il numero dei toni di grigio ottenibili, quando interessino intensità intermedie.
Risposta nel tempo.
L’intervallo temporale che intercorre fra una variazione brusca della tensione di eccitazione e l’attuazione della relativa funzione visiva; si distingue in risposta alla salita (rise time) e alla discesa (decay time), a seconda che la tensione stessa venga applicata ovvero portata a zero; per un’immagine televisiva interessa ottenere risposte rapide (meno di 1/30 di secondo); si hanno tempi di risposta più o meno brevi a seconda che l’effetto ottico sia ottenuto per modulazione di particelle, ioni, molecole o elettroni, ed è evidente che la risposta più breve si ha in quest’ultimo caso; tempi di risposta eccessivamente lunghi creano effetti indesiderati nelle immagini in movimento, come sfocature o effetti scia.
Luminanza (o brillanza).
Grandezza fotometrica, espressa in cd/m2. Definisce l’intensità della luce emessa da d. di tipo attivo, tenuto conto delle componenti spettrali per le quali l’occhio umano presenta la maggiore sensibilità; d. attivi con il massimo di emissione in luce gialla o verde presentano massimi valori di luminanza. Massimi valori di luminanza si hanno anche con ECD, mentre minimi con LCD.
Efficienza nella rappresentazione dei colori.
Dipende in larga misura dal tipo di principio di funzionamento utilizzato e dai materiali impiegati per la realizzazione del display.
Capacità di memoria del display.
Consiste nella possibilità di conservare o meno l’informazione visiva sul d. stesso, senza dispendio di energia, anche dopo che la tensione applicata è stata posta a zero; la capacità di memorizzazione è legata ad alti valori del tempo di decadimento dell’immagine ed è una proprietà utile solo quando il d. è utilizzato principalmente per immagini fisse.
Durata e tempo di vita del display.
Dipende dal tipo di tecnologia e di materiali usati e dalla loro stabilità chimico-fisica; in generale, durate maggiori si hanno in corrispondenza di minori consumi di energia.