Nome generico con cui si designano tutti i vegetali, esseri organizzati che nascono, crescono, si nutrono, si riproducono, muoiono. Possono essere sia organismi unicellulari sia organismi multicellulari molto complessi. Secondo particolari caratteristiche si distinguono: p. annue e perenni; p. erbacee e legnose; p. a foglie caduche o sempreverdi; p. longidiurne e brevidiurne; p. acquatiche e terrestri; p. parassite; p. alpine; p. carnivore; p. officinali o medicinali; p. pioniere; p. succulente o grasse; secondo l’utilizzazione che ne fa l’uomo si distinguono: p. ornamentali, da foraggio, da frutto.
Nel corso dell’evoluzione, gli organismi vegetali hanno certamente preceduto quelli animali, perché soltanto le p. hanno la capacità di accedere a fonti esterne di energia e convertirla in energia chimica potenziale utile per i processi metabolici; sono inoltre capaci di sintetizzare composti organici notevolmente ridotti, partendo da composti inorganici semplici e notevolmente ossidati (acqua, anidride carbonica, sali minerali solubili). Particolarità generali distintive delle p. sono: a) massima superficie del corpo adibita alla nutrizione che, a differenza degli animali, si compie attraverso grandi superfici a contatto con l’ambiente esterno; b) presenza di vari plastidi di cui quelli clorofilliani sono alla base dei processi fotosintetici. c) presenza, in aggiunta alla membrana citoplasmatica (plasmalemma), di una robusta parete cellulare solida ed elastica, di natura chimica diversa dal protoplasma che la produce (parete pectico-cellulosica, eventualmente lignificata, cutinizzata, suberificata, silicizzata, calcificata ecc., o raramente chitinosa); d) tolleranza osmotica reversibile di gran lunga superiore a quella della cellula animale permessa dalla parete cellulare, e ciò costituisce un mezzo per superare fortissime variazioni ambientali; e) accrescimento indefinito, dovuto all’attività dei meristemi apicali e intercalari (e, eventualmente, avventizi), per cui continuano a formarsi nuove parti dell’individuo per tutta la vita; f) alternanza tra una generazione sessuale o gametofitica (con individui aploidi che producono gameti) e una asessuale o sporofitica (diploide monoica o dioica, che, per meiosi, produce spore); g) assenza di separazione tra linea somatica e linea germinativa, per cui qualsiasi cellula vegetale è totipotente e capace di produrre un nuovo individuo intero, come in molti casi avviene nelle colture in vitro.
È stato inoltre dimostrato, nelle Solanacee e nelle Poacee, che anche una cellula aploide, quale un granello pollinico, possiede tutta l’informazione genetica necessaria a esprimere uno sporofito, e perciò è in grado di dare origine a una p. intera, ma aploide.
Le funzioni delle p. possono ridursi, in generale, a due: nutrizione e riproduzione.
La nutrizione, e i processi di accrescimento e sviluppo a essa collegati, tendono essenzialmente a preparare l’individuo alla riproduzione, con la quale si supera la caducità degli individui e si conserva la specie. Dal punto di vista della nutrizione, le p. possono essere autotrofe o eterotrofe. Quelle autotrofe sono chemosintetiche o fotosintetiche. La differenza fra le prime e le seconde risiede nel tipo di fonte energetica che esse utilizzano. Per es., per sintetizzare glucosio (C6H12O6) partendo da acqua e anidride carbonica, occorre reperire l’energia necessaria per edificare la molecola dello zucchero, oltre quella dissipata nel processo di biosintesi. L’organismo chemosintetico trae questa energia da reazioni ossidative (ossidazione di idrogeno solforato a zolfo, di idrogeno ad acqua, di metano ad anidride carbonica e acqua ecc., sfruttata da solfobatteri, idrogenobatteri, metanobatteri ecc.) che si svolgono nel mezzo in cui vive; l’organismo fotosintetico utilizza allo scopo alcune bande dello spettro della luce visibile. Fra le p. eterotrofe si distinguono le saprofite e le parassite: le prime vivono su materiali organici in decomposizione, come resti di p. e animali morti; le seconde invadono i tessuti di altri organismi, depredandoli delle sostanze nutritive, svolgendo il loro metabolismo in competizione con quello dell’ospite, che è danneggiato e talora totalmente disorganizzato dal parassita. Oltre ai batteri, i funghi, nella loro multiforme varietà, sono il grande filone di organismi vegetali parassiti o saprofiti. Si ammette che nei funghi la perdita della clorofilla sia avvenuta secondariamente, nel corso dell’evoluzione.
La facoltà del movimento, così caratteristica negli animali, non può considerarsi un carattere differenziale assoluto tra questi e le p., sia perché molte p. inferiori, ciliate o flagellate, sono capaci di movimento attivo, sia perché movimenti di vari organi, pur se generalmente lenti, si osservano anche nelle p. superiori. Nelle forme inferiori, sia per la nutrizione, sia per altri aspetti, ricorrono nel mondo vegetale comportamenti simili a quelli degli animali, cosicché non è possibile segnare un limite netto fra regno vegetale e regno animale; alcune forme sono contese da botanici e zoologi e incluse dagli uni e dagli altri nelle rispettive classificazioni. Tuttavia, al regno vegetale vanno ascritti due gruppi di organismi, i Batteri e le Alghe azzurre (o Cianofite), costituenti insieme, secondo alcune classificazioni, la divisione delle Schizofite, che hanno alcune caratteristiche di estrema primitività, per cui sono inclusi nei cosiddetti Procarioti. I Procarioti hanno l’organizzazione cellulare più semplice tra tutti gli organismi attuali, essendo privi di nucleo organizzato e di mitocondri, e, per le Cianofite che sono fotosintetiche, di plastidi.
In questi organismi, che si possono considerare come fossili viventi, manca quindi la specializzazione cellulare propria della cellula di tutti gli altri organismi, detti Eucarioti (➔ eucariote; procariote). Tra gli Eucarioti si distinguono p. cellulari, o Tallofite, con forme unicellulari o pluricellulari filamentose, laminari, massicce, talora sinciziali (apocitarie) anziché cellulari, con svariatissimi gradi di complessità e sviluppo; e p. tissulari, o Cormofite, comprendenti le Briofite, i vari raggruppamenti delle Pteridofite e le Spermatofite (Gimnosperme e Angiosperme). Durante l’evoluzione, sono occorsi oltre due miliardi di anni per passare dalle prime forme viventi semplicissime alle forme acquatiche più avanzate; poi, con la conquista dell’ambiente terrestre (e con gli adattamenti che il nuovo ambiente ha imposto), si sono sviluppate progressivamente le p. vascolari, la cui distribuzione determina i paesaggi vegetali.
Le specie di p. finora note sono circa 500.000. Finora non è stato individuato nelle p. alcun tessuto paragonabile a un sistema nervoso che autorizzi a parlare di una loro ‘vita psichica’ (ipotizzata in passato per es. da G.T. Fechner nel 1848 nell’ambito della sua filosofia panpsichista e più tardi da altri sulla scia degli studi di C.R. Darwin e del figlio Francis, 1848-1925, sul movimento delle p., in particolare del botanico tedesco Raoul H. Francé). L’unica possibilità di ricerca in questo senso è data dallo studio delle reazioni delle p. a stimoli provenienti dall’esterno: fisiologicamente è possibile lo studio della ‘percezione’ dello stimolo, della trasmissione del segnale-informazione, delle reazioni della p. che ne conseguono, secondo metodi esclusivamente fisico-chimici.
La struttura generale del corpo delle p. si realizza secondo due forme principali, il tallo e il cormo: il primo non è differenziato in parti di valore diverso, come radice, caule o fusto, foglie, che invece si riscontrano nel cormo, di cui costituiscono i cosiddetti membri morfologici.
Il tallo più semplice è quello degli organismi più piccoli, costituiti da un’unica cellula, sferoidale (batteri, varie alghe), cilindroide o filiforme, oppure da un corpo pluricellulare; nei talli fissi si osserva la comparsa di una parte basale funzionante quale punto di attacco e di una parte apicale, funzionante come punto di accrescimento. Complicazione maggiore presentano altri talli. Un ulteriore perfezionamento del tallo è dato dalla sua ramificazione, tipicamente dicotomica, dovuta alla bipartizione della cellula apicale. I talli con membratura più complessa sono quelli di talune alghe marine (Laminaria, Sargassum), nei quali si notano parti che simulano le radici, il caule e le foglie, e di questi membri hanno in parte la funzione cormoide.
Nel cormo la forma è variabilissima nelle diverse p. e dipendente in gran parte dalla variabilità di forma e di grandezza di ciascuno dei tre membri citati. Così nella stessa p. (per es., in una spermatofita) si possono riscontrare forme assai diverse di foglie: foglie embrionali, squame, brattee, foglie normali, foglie fiorali e foglie sporifere. Non meno variabile è la forma del fusto: erbaceo, legnoso, scandente, strisciante ecc. Ulteriore varietà dell’aspetto del fusto è data dai tipi diversi di ramificazione. Osservazioni analoghe si possono ripetere per la radice. I tre membri fondamentali del cormo presentano inoltre vari tipi di metamorfosi; dallo studio di queste si può dedurre come i tre costituenti del cormo possano adattarsi a funzioni e ad ambienti vari, assumendo parallelamente aspetti diversi, e come la stessa funzione possa essere disimpegnata da tutti e tre gli organi del cormo, nonché dalle varie parti degli stessi talli più complessi: tanto che organi o parti della p. fra di loro del tutto differenti sia per struttura anatomica sia per origine embriologica e filogenetica possono divenire analoghi, convergendo in un’unica forma identiche funzioni.
Le p. hanno per le varie religioni importanza, significati e funzioni ricchi e molteplici. L’albero è sede di vita duratura, continua o continuamente rinnovata, perciò di potenza divina; come tale, può essere centro di un luogo sacro (cfr. la Āshērāh nell’ambiente di formazione dell’ebraismo, gli alberi nelle raffigurazioni culturali minoiche, la quercia di Dodona ecc), elemento del culto funebre, veicolo delle teofanie (per es. roveto ardente biblico), o simbolo della divinità (come il pino di Attis o il sicomoro di Nut). La p. attira a sé diverse azioni di culto: per es., tagliare e portare in processione alberi (dendroforia) o rami (una divinità raffigurata in atto di tagliare un albero è il gallico Esus). Nella cosmologia religiosa l’albero assume funzioni di «asse del mondo», ora nella sua forma originaria (per es., il germanico Yggdrasill), ora stilizzata (per es., il pilastro djed nella religione egiziana), ora ridotto a forme varie di palo (a queste si ricollegano i pali totemici, i pali sciamanici ecc.; anche la croce cristiana vi ha addentellati ideologici).
Abstract di approfondimento da Fisiologia delle piante di Amedeo Alpi e Pierdomenico Perata (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
A differenza degli animali, che hanno una crescita limitata alla fase iniziale della loro vita, le piante crescono sempre e ripetono, durante il loro ciclo vitale, fenomeni che sono tipici dell’embriogenesi. Si dicono infatti organismi a ‘embriogenesi continua’ o a ‘ontogenesi ricorrente’. La crescita continua, sia dell’apparato epigeo che di quello radicale, sembra rispondere egregiamente a quell’incremento di interazione, rispettivamente con l’atmosfera e il suolo, che è tipico di organismi di superficie. Gli animali, che sono invece organismi cavitari, non hanno questa esigenza.
I parametri fisico-ambientali che più influenzano la fisiologia delle piante sono la luce e la temperatura; spesso la loro azione si combina in modo tale da rendere difficile una separazione degli effetti. Comunque si può dire che la luce è responsabile di molti aspetti morfogenetici (fotomorfogenesi) e quindi funzionali, dipendenti dalla lunghezza d’onda della radiazione luminosa. La durata dell’illuminazione determina invece altri importanti aspetti del differenziamento (fioritura, ecc). La luce determina, inoltre, quei tipi di crescita – crescita diseguale o differenziale di organi – che sono alla base del particolare orientamento che fusti e foglie manifestano rispetto alla direzione dell’illuminazione (fototropismo). La temperatura gioca invece un ruolo preminente nell’insorgenza della dormienza dei semi e delle gemme.
La fotomorfogenesi è, dunque, la regolazione della forma della pianta mediante la luce, ma, perché questo avvenga, essa deve essere assorbita da specifici fotorecettori che sono: (a) i fitocromi (presenti in più forme), che assorbono prevalentemente nel rosso e nel rosso lontano, ma anche nel blu; (b) i crittocromi, pigmenti implicati nella fotorecezione della luce blu e anche dell’ultravioletto prossimo al blu (UV-A); (c) il fotorecettore UV-B, che assorbe le radiazioni ultraviolette comprese tra 280 e 320 nm. I fitocromi sono alla base di molti fenomeni tra i quali l’adattamento delle piante a variazioni di condizioni di luce. È questo il caso di una pianta che cresce all’ombra di un’altra e che mostra un maggiore sviluppo dei suoi steli: è la cosiddetta ‘risposta di fuga dall’ombra’. Tra gli altri processi regolati dai fitocromi vi sono i ritmi circadiani, cioè tutti quei processi che si ripetono con periodicità di circa 24 ore: eventi cellulari come la mitosi o la respirazione, oppure eventi macroscopici come i movimenti fogliari. Infine, è accertato un ruolo dei fitocromi nella regolazione dei potenziali di membrana dei flussi ionici e dell’espressione genica. La luce blu, recepita dai crittocromi, provoca, invece, l’allungamento degli steli e stimola l’apertura degli stomi; anch’essa partecipa alla regolazione dell’espressione genica.
La variazione della durata dell’illuminazione attiene a una vasta gamma di risposte delle piante (l’allungamento degli steli, la crescita delle foglie, alcune forme di dormienza, la formazione degli organi di riserva, la caduta delle foglie e, primariamente, la fioritura) che si manifestano in specifiche stagioni dell’anno. Tale insieme di fenomeni va sotto il nome di ‘fotoperiodismo’ perché queste risposte sono dovute alla capacità delle piante di percepire la particolare alternanza di periodo luminoso e periodo oscuro che si verifica. Negli anni Venti del Novecento si scoprì che le piante fiorivano non solo a seguito del lavoro fotosintetico, ma anche per essere state coltivate, per un certo periodo di tempo, in giorni caratterizzati da durate assai precise delle fasi luminose e oscure. La classificazione delle piante a seconda delle loro risposte viene solitamente fatta in base alla fioritura, ma molti altri aspetti del differenziamento sono influenzati dalla durata del giorno. Si distinguono così piante a giorno corto e piante a giorno lungo e tutta una serie di situazioni intermedie. Le piante in realtà percepiscono la lunghezza del giorno misurando la durata della notte ed è la foglia il sito di percezione dello stimolo fotoperiodico. A seguito di questo stimolo si forma una sostanza che, migrando nell’apice dei germogli, li induce a fiorire.
La fioritura può essere stimolata, in certe specie, anche da un periodo di basse temperature (1412 °C). È nota la vernalizzazione come trattamento a freddo imposto a semi o piante per indurre la fioritura. In questo caso il sito di percezione dello stimolo, diversamente dal fotoperiodo, è l’apice del germoglio.
Altro fenomeno indotto dalla temperatura è la dormienza. In ambienti in cui le piante vivono per diverse settimane o per mesi a temperature prossime al di sotto del punto di congelamento, le gemme restano vive nonostante venga ridotta moltissimo la loro attività metabolica: divengono cioè gemme dormienti, così come i semi, in queste stesse condizioni, restano dormienti, cioè incapaci di germinare. I meccanismi molecolari che impediscono ai semi di germinare sono molteplici, dal potenziale osmotico dei tessuti circostanti, alla presenza di sostanze inibitrici anche di natura ormonale oppure alla richiesta di un periodo di specifiche temperature. Meccanismi simili operano nella dormienza delle gemme con una frequente partecipazione anche del fotoperiodo.
I molteplici processi metabolici che hanno luogo contemporaneamente nelle cellule, così come i vari processi fisiologici che si svolgono a un tempo in tutti gli organismi viventi, sono finemente regolati. In altre parole la totalità di questi eventi si deve susseguire in modo ben coordinato affinché l’organismo possa vivere senza scompensi. Vi deve quindi essere uno scambio di segnali interni all’organismo, con una catena costituita da stimolo, percezione e risposta.
L’elemento della percezione ha sostanzialmente sempre la stessa natura: si tratta di proteine. Gli stimoli possono essere invece di natura fisica o chimica (tra di essi, gli ormoni). La risposta si articola in una complessa cascata di eventi biochimici chiamata ‘trasduzione del segnale’ all’interno della quale possono ritrovarsi di nuovo gli ormoni. Gli ormoni, prima di essere considerati anche nelle piante, sono stati scoperti negli animali dove furono identificati specifici organi, le ghiandole endocrine, capaci di sintetizzarli in quantità estremamente ridotte e riversarli nel sangue. In questo modo, gli ormoni raggiungono qualsiasi punto dell’organismo, producendo effetti particolari e mirati. Durante gli anni Trenta del Novecento, si ottennero le prime evidenze scientifiche della presenza degli ormoni nei vegetali. Tuttavia il sistema ormonale delle piante presenta sostanziali differenze, dovute alla minore specializzazione in organi (radici, fusto, foglie, fiori, frutti), allo sviluppo principalmente superficiale e all’immobilità. A questa minore complessità morfologica corrisponde un sistema di regolazione meno elaborato, per il quale raramente si rinviene una specificità di produzione, come pure una specificità di azione. Inoltre, risulta assente un sistema riferibile a quello nervoso degli animali, basato su impulsi elettrici.
Molti processi fisiologici complessi, quali la crescita e la divisione cellulare, la fioritura, la dormienza, la senescenza, la maturazione ecc., richiedono la contemporanea presenza di pressoché tutte le classi ormonali note, al punto che si potrebbe pensare a una totale assenza della loro specificità di azione. Tuttavia, se si esaminano risposte fisiologiche circoscritte a tessuti particolari, allora si nota anche un’elevata specificità. Pertanto gli ormoni delle piante, pur causando talora effetti specialistici a livello tissutale, sono di fatto polivalenti; i processi fisiologici sono regolati dalla funzione ormonale nella sua globalità, anziché da singoli ormoni, come accade, in modo più evidente, negli animali.
Gli ormoni rinvenuti nelle piante sono le auxine, le gibberelline, le citochinine; a ciascuna di queste classi appartengono molte molecole con azione ormonale. Altre sostanze ormonali sono l’acido abscissico, l’etilene, l’acido jasmonico e i brassinosteroidi. Inoltre, si hanno anche evidenze sperimentali circa l’esistenza nelle piante di altre sostanze ormonali, ma la loro natura non è chiara al momento.