senescenza Il lento processo involutivo fisiologico che segue l’età matura. Negli ultimi decenni del 20° sec. si è assistito a un notevole cambiamento della durata della vita umana che, in poco più di un secolo, si è allungata di circa 20-30 anni. Questo fenomeno, che avrà sempre più conseguenze per tutte le società, è il risultato dei progressi della medicina ma anche delle migliorate condizioni di vita in senso globale. Ciò ha fatto emergere la questione dell’invecchiamento e della s. come uno dei maggiori problemi non solo biomedici ma anche socioculturali del nostro tempo.
Dato che la s. è il risultato di strette correlazioni fra fattori biologici da una parte e fattori ambientali e culturali dall’altra, risulta difficile darne una definizione non equivoca, specialmente nella specie umana. Per s. si intende infatti solitamente quel deterioramento del corpo legato al passare del tempo che porta a un progressivo aumento del tasso di morte età-specifico; la s. sarebbe dunque quel processo biologico continuo che procede per tutto l’arco della vita in modi diversi da specie a specie e da individuo a individuo.
La s. è infatti usualmente ritenuta un fenomeno fondamentalmente biologico, pressoché universale, obbligatorio e ineluttabile, sostanzialmente simile nelle varie specie dei viventi. Va però considerato che esistono organismi viventi (come le spugne, le tartarughe, e alcuni pesci e uccelli straordinariamente longevi) nei quali il fenomeno è tanto lento da apparire trascurabile. La s. è un fenomeno complesso da studiare, in quanto si può osservare in modo ottimale solo negli animali in cattività o addomesticati, oppure in condizioni ambientali particolarmente favorevoli.
Quasi tutte le società umane, per motivi pratici, economici, legali ecc., hanno tentato di dividere l’esistenza umana in periodi o età distinte; queste periodizzazioni sono state molto variabili a seconda delle differenti culture e dei differenti periodi storici. Quasi sempre, comunque, la persona vecchia è una figura ambivalente e contraddittoria, verso la quale coesistono onore e rispetto da una parte e negligenza, condiscendenza, talora perfino scarsa sopportazione dall’altra.
Spesso si continua a vedere la s. come un fenomeno fondamentalmente negativo, sia a livello personale sia a livello sociale. Alla base di questo atteggiamento c’è il pregiudizio che s. e malattia coincidano. Viceversa, i dati sulla popolazione e gli studi più moderni indicano che non solo la s. non è una malattia, ma che si può invecchiare senza malattie, in modo del tutto accettabile e con capacità fisiche, mentali, lavorative e perfino riproduttive ben preservate. Da ciò si è sviluppato il nuovo concetto di ‘invecchiamento con successo’ (successful aging), che si contrappone al concetto più usuale secondo il quale la s. va di pari passo con l’insorgere di patologie varie, fenomeno invece largamente imputabile allo stile di vita, alle avversità esistenziali e a quelle ambientali.
L’integrità morfologica e funzionale dell’organismo è continuamente insidiata da fattori nocivi esogeni ed endogeni (dalle radiazioni ionizzanti e ultraviolette ai radicali liberi dell’ossigeno, dalle sostanze cancerogene e mutagene presenti nell’ambiente e nei cibi ecc.) e perfino da possibili errori metabolici dell’organismo stesso. Per sopravvivere, le cellule hanno sviluppato, fin dall’inizio dell’evoluzione, una serie di meccanismi di difesa e di riparazione per neutralizzare questi danni. Le difese a livello molecolare sono rappresentate dai meccanismi enzimatici di riparazione del DNA (➔ riparazione), dagli antiossidanti (enzimatici e non), dalle proteine da stress termico, dall’attivazione di enzimi quali la poli(ADP-ribosio)polimerasi, mentre a livello cellulare vengono attivati i meccanismi di morte cellulare programmata, o apoptosi. Tutti questi processi costituiscono una rete di rapporti e agiscono in modo coordinato, essendo il livello di efficienza complessivo diverso da specie a specie e da individuo a individuo.
La s. è controllata pertanto da processi molecolari anti-invecchiamento che si oppongono ai danni età-correlati. Lo studio di soggetti anziani e di ultracentenari sani ha mostrato che, contrariamente a quanto ritenuto, molti importanti parametri biologici, immunologici e metabolici (come emopoiesi, attività citotossica dei linfociti, repertorio dei T linfociti, chemiotassi, funzionalità tiroidea, stabilità genomica) sono inaspettatamente ben preservati anche in età molto avanzata. In particolare, negli ultracentenari sani è stata notata la quasi totale assenza di autoanticorpi organo-specifici (presenti al contrario nel 20-40% degli anziani non selezionati), la straordinaria resistenza delle loro cellule allo stress ossidativo e alla apoptosi, e infine una capacità proliferativa cellulare indistinguibile da quella dei soggetti giovani.
L’invecchiamento fisiologico si configura pertanto come una sorta di ‘rimodellamento’, in cui alcune funzioni diminuiscono rispetto al giovane mentre altre aumentano o rimangono invariate; è quindi semplicistica e forzata la visione negativa della s. in termini di deterioramenti fisici e menomazioni funzionali. Nella s. si nota, anzi, un continuo processo di aggiustamento adattivo dell’organismo per conseguire sempre nuovi equilibri, dove è molto difficile ricercare e stabilire perdite o guadagni netti; essa è pertanto altamente modulabile sia in termini genetici sia ambientali. Dal punto di vista ambientale le tre maggiori variabili sono la temperatura ambiente, l’alimentazione e l’esercizio fisico. Interferendo opportunamente su queste tre variabili si è dimostrato che si può ritardare il processo della s. in quasi tutte le specie, dagli invertebrati ai mammiferi, ridurre l’incidenza delle principali malattie età-associate e aumentare la lunghezza della vita media. Dal punto di vista genetico sono stati avviati studi su numerose specie modello (Drosophila melanogaster, Caenorhabditis elegans, Mus musculus, Homo sapiens sapiens) per individuare i geni della longevità e quelli che si oppongono al deterioramento del soma e comprenderne il meccanismo di azione.
Due grandi problemi rimangono irrisolti: quello della maggiore longevità della donna rispetto all’uomo e quello dell’influenza reciproca del corpo e della mente sul processo di invecchiamento. Per entrambi, alle possibili interpretazioni di ordine biologico (genetico, immunitario, ormonale ecc.) se ne intrecciano altre di natura culturale, storica e di adattamento.
Tenendo presente che i tre sistemi deputati al mantenimento dell’omeostasi, e cioè i sistemi immunitario, endocrino e nervoso, costituiscono in effetti un unico sistema immuno-neuro-endocrino, responsabile delle basi cellulari e molecolari del rapporto esistente tra corpo e mente si può immaginare che esso giochi un ruolo cruciale nel processo di invecchiamento, e che sia probabilmente proprio in una modificazione di questo sistema integrato che vada ricercata a livello sistemico la causa della senescenza. Soltanto nella seconda metà del 20° sec. si è cominciato a comprendere quali profondi e devastanti effetti sul sistema immuno-neuro-endocrino abbiano situazioni di stress emotivo come il pensionamento, la perdita del partner, la depressione, la solitudine, e la stessa istituzionalizzazione, specie se involontaria e subita. Se la s. è dunque un fenomeno che interessa l’uomo nella sua globalità, a livello sia biologico sia culturale, è proprio a questo livello integrato che bisogna accettare la sfida della sua comprensione.