Complesso delle parti del fiore che rimangono dopo la fecondazione e contribuiscono a propagare la pianta per mezzo dei semi; è presente soltanto nelle piante Fanerogame, perciò dette anche Spermatofite. In senso stretto si considera f. l’ovario più o meno modificato e accresciuto, che contiene i semi maturi (derivati dagli ovuli); in tale senso il f. esiste solo nelle Angiosperme, perché solo queste hanno un ovario, che manca nelle Gimnosperme, le quali hanno carpelli aperti. Le Fanerogame Angiosperme hanno svariatissimi tipi di fiori e mostrano, così, grande varietà nell’aspetto e costituzione del f. (fig. 1).
I f. variano da pianta a pianta per: numero dei carpelli che li formano (da uno a molti e in quest’ultimo caso liberi uno dall’altro o concresciuti; spesso nei f. derivati da ovario pluricarpellare, alcuni carpelli si riducono tanto da non essere riconoscibili nel f. bene sviluppato); grandezza (da 1 mm a 1 m come in certe Cucurbitacee); colore; forma e produzioni superficiali (peli, emergenze, costole, spine ecc.); consistenza; deiscenza; placentazione; numero dei semi (da 1 fino a 3.700.000 come nell’orchidea Cycnoches); e per altri particolari.
Il f. consta del pericarpo o parete del f., delle placente su cui sono inseriti i semi, eventualmente di setti che dividono la cavità del f. in due o più logge. Il pericarpo è formato da 3 strati: uno, più esterno, l’ epicarpo, uno più interno, l’ endocarpo, e uno intermedio, il mesocarpo, i quali assumono, a seconda della specie, sviluppo, consistenza, composizione e rapporti vari, in base ai quali si può stabilire la distinzione pratica dei f. in secchi e carnosi. Nei f. secchi le cellule del pericarpo perdono, durante il processo di maturazione, il loro contenuto d’acqua e quindi la loro vitalità, cosicché, a maturazione compiuta, la parete del f. consta di un complesso di cellule a membrana cellulosica esile, nel quale si ramificano i fasci conduttori, e di un altro complesso di elementi sclerenchimatici lignificati. In genere, soprattutto nei f. contenenti più semi, alla maturazione dei f. segue la loro apertura automatica (deiscenza), destinata a mettere in libertà i semi (fig. 2).
Nei f. carnosi le cellule del mesocarpo presentano un accumulo di sostanze nutritizie; attraverso un complesso di reazioni chimiche l’amido, i tannini e gli acidi organici della fase immatura danno luogo agli zuccheri, alcoli, eteri, oli essenziali, che costituiscono il pregio del frutto. Contemporaneamente si formano più o meno abbondanti cromoplasti e antocianine, che conferiscono ai f. colorazioni vivaci e varie, utili al richiamo di animali disseminatori. L’epicarpo presenta verso l’esterno un aspetto lucido per ispessimento della cuticola, o glauco per la presenza di cera, opaco o vellutato per rivestimenti di peli fitti e minuti. L’endocarpo forma spesso un’unica massa con il mesocarpo ed è talora rappresentato da uno strato di cellule epidermiche più o meno sottili oppure da un complesso fortemente lignificato (endocarpo legnoso) costituente il cosiddetto nocciolo del f., come nelle drupe (oliva, ciliegia ecc.). In alcune bacche cave (peperone), le placente ovariche permangono, fortemente ingrossate. Anche alcuni f. carnosi, sebbene assai più raramente dei f. secchi, sono deiscenti.
Esistono diverse classificazioni dei f.; trattandosi di un apparato a funzione ecologica (protezione dei semi e loro dispersione), alcuni studiosi prendono in maggiore considerazione la morfologia, altri l’ecologia. Un sistema naturale di classificazione dei f. sarebbe quello filogenetico, che dovrebbe quindi rappresentare lo sviluppo nei tempi geologici dei vari tipi di f. da un tipo ancestrale, e quindi dovrebbe spiegare la filogenesi dei tipi diversi di f. che si trovano, per es., nella famiglia delle Ranuncolacee (follicoli secchi delle Elleboree, follicoli carnosi delle peonie, la capsula delle nigelle, la bacca dell’actea, le noci delle anemoni). Tuttavia, poiché non è ancora stabilita la filogenesi dei diversi ordini e delle famiglie delle Angiosperme (alcuni assumono quale tipo ancestrale il follicolo, altri una noce bicarpellare), un sistema filogenetico dei f. è ben lontano da una formulazione. La classificazione tradizionale, i cui termini sono descrittivi, distingue i f. in: f. veri (derivanti soltanto da ovari), f. composti o infruttescenze (➔ infruttescenza) e f. falsi. Questi ultimi costituiscono una categoria molto eterogenea, che comprende tutti gli apparati contenenti semi e che derivano non solo dall’ovario, ma anche da parti accessorie del fiore, come il ricettacolo (in tutti i f. da ovario infero e nei f. delle rose e della fragola), da antofilli o da brattee; vi rientrano anche varie infruttescenze, come quelle del fico e del gelso.
Un’ulteriore classificazione, basata sui concetti di H. Winkler, distingue i f. in aggregati (derivanti da più carpelli apocarpici di un fiore), semplici (derivanti da un solo carpello supero) e sincarpici (derivanti da 2 o più carpelli concresciuti di un solo fiore). A loro volta i tre gruppi sono suddivisi secondo il prospetto riportato in tabella; in esso non sono compresi alcuni casi particolari, rari, come i f. delle Calicantacee, delle rose ecc. riferibili ai f. aggregati, né altri, ancora più rari, come il f. dell’anacardio, né le infruttescenze (fico, gelso, ananas).
Per la filogenesi si può ammettere che i f. aggregati rappresentino il tipo più primitivo e che da essi si siano evoluti da una parte i f. semplici (per riduzione del numero dei carpelli) e dall’altra i sincarpici (per concrescenza dei vari carpelli), inoltre che i caratteri carnoso, indeiscente, dirompente e ruptile siano derivati. Il termine noce è usato nel senso più generale, cioè come f. uniseminato con tegumento secco, sia membranaceo sia legnoso. Per quanto riguarda le Gimnosperme in alcune si hanno semi che simulano un f. carnoso, come nel ginkgo (tipo drupa: i tre stati diversi derivano tutti dal tegumento seminale) e nelle torreye (dall’arillo), oppure si hanno complessi di carpelli, come nelle coccole dei ginepri fusi e simulanti una bacca; anche i coni delle Conifere si comportano come f., benché il loro valore morfologico sia diverso.
Nel corso della formazione dei f., il calice di norma cade, ma in certe specie persiste allo stato secco o anche, restando fresco e accrescendosi, accompagna il f. sino alla fine ( calice fruttifero: per es., nell’alchechengi o nel giusquiamo); la corolla di norma si stacca o, di rado, si secca e persiste; gli stami quasi sempre cadono; lo stilo si secca e si disarticola, in molte specie rimane come una protuberanza all’apice del f. oppure si accresce con l’ovario (papavero), o talora diventa organo di disseminazione (stilo piumoso di Clematis, apparato interratore in Erodium). Il ricettacolo presenta varie modificazioni, di cui le più vistose si hanno in certi fiori a ovario infero, cioè immerso nel ricettacolo: questo si accresce e acquista l’apparenza di un f. carnoso (mela). Nella fruttificazione la parte che mostra le modificazioni più vistose è l’ovario che si trasforma in f.; talora si modificano anche le parti vicine come brattee (ananas), asse dell’infiorescenza (fico) ecc.
La fruttificazione non è sempre in rapporto proporzionale con la fioritura: molti fiori si staccano prima dell’allegagione, o perché non fecondati (mancata impollinazione o polline sterile), o per difetti del sacco embrionale o per altre cause, oppure cadono i f. ancora piccoli (carpoptosi) per azione di funghi parassiti o per avversità ambientali o per disturbi fisiologici (sbilancio idrico, deficienza di alcune sostanze nutritive) ecc.
La frutticoltura è il settore dell’agricoltura che studia la fisiologia e le tecniche di coltivazione di piante arboree e arbustive, allo scopo di migliorare la qualità e di esaltare la quantità prodotta di frutti. Le piante che costituiscono i frutteti sono, nella generalità dei casi, ottenute mediante processi di selezione, di moltiplicazione agamica e di incroci di varietà selvatiche.
Di solito le piante da f. si distinguono in piante da frutta fresca (con polpa più o meno succulenta) e piante da frutta in guscio (priva di polpa). Le principali piante da frutta fresca si classificano di norma in: drupacee (con il f. chiamato drupa), tra le quali sono importanti il pesco, l’albicocco, il susino, il ciliegio (Rosacee) e l’olivo (Oleacee); pomacee (con il f. chiamato pomo), che comprendono il melo, il pero, il cotogno, il nespolo comune, il nespolo del Giappone, il sorbo (famiglia delle Rosacee); baccacee (con il f. chiamato bacca), cui sono da attribuire la vite (famiglia delle Ampelidacee), il ribes o uva spina, il cachi, il mirtillo e gli agrumi, questi ultimi appartenenti alla famiglia delle Rutacee (arancio, limone, mandarino, cedro, pompelmo, chinotto, bergamotto, limetta, clementina, satsuma), il cui f. è una speciale bacca detta esperidio. Altre importanti piante da frutta fresca sono il fico, il gelso, il carrubo, il melograno. Le principali piante da frutta in guscio sono il mandorlo (famiglia delle Rosacee), il noce (il cui f. è una drupa) e il nocciuolo.
Particolare importanza nella tecnica di coltivazione delle piante da f. hanno la scelta della varietà e dei metodi di moltiplicazione (per talea, per innesto), la potatura di allevamento, con cui si fa assumere alla pianta una data forma (a vaso, a piramide, a cordone, a palmetta ecc.), e la potatura di produzione. Tali pratiche influiscono sulla durata della vita produttiva e sulla quantità e regolarità della produzione di frutta. La concimazione, l’irrigazione e la lotta contro i parassiti influiscono anche sulla qualità del prodotto.
I maggiori esportatori di frutta sono Paesi Bassi, Belgio, Francia, Italia, Spagna e, tra i paesi extraeuropei, Israele, Repubblica Sudafricana e Stati Uniti. In Italia una frutticoltura industriale si sviluppò appena alla fine del 19° sec.; per le produzioni di maggior conto, si può dire che alcune specie sono coltivate in tutte le regioni italiane (pesco, prugno e susino, uva da tavola, noce, castagno), altre invece sono molto localizzate (pistacchio in Sicilia, pino da pinoli lungo il litorale adriatico e tirrenico); altre, infine, hanno importanza maggiore in alcune regioni, come è il caso del mandorlo in Puglia e isole, del fico (per i fichi secchi) nell’Italia meridionale, dell’albicocco in Campania, del ciliegio, del pero, del melo e del pesco nell’Italia settentrionale, degli agrumi in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia.
L’ambiente dove si conserva la frutta (fruttaio) deve possedere determinati requisiti, sia costruttivi, sia di condizioni ambientali (temperatura, umidità, ricambio d’aria); vi si operano inoltre disinfezioni.
Frutta è il nome collettivo dei f. commestibili, soprattutto di piante arboree, dette appunto alberi da f. o da frutta (mele, pere, ciliegie, pesche, arance ecc.), ma anche erbacee (fragole, poponi, cocomeri ecc.).
Le frutta si distinguono in carnose o a polpa, di cui si utilizza la parte polposa, e in secche o a guscio, e di queste si utilizza il seme (le frutta secche, in commercio, sono dette anche frutta essiccate). Dal punto di vista pratico si classificano in: frutta a granella: pere, mele, cotogne, sorbe; frutta con nocciolo: mandorle, pesche, albicocche, ciliegie, giuggiole, olive, susine; frutta con più noccioli: lazzeruole, nespole; frutta con semi succosi: melegranate; frutta a bacca: agrumi, fichi d’India, ribes, uva, uvaspina; frutta aggregate: lamponi, more di rovo; frutta composte: fichi, more di gelso; frutta secche: castagne, noci, nocciole, pinoli; frutta selvatiche: bagolaro, ciavardello, corbezzolo, corniolo, crespino, faggio, mirtillo.
Le essenze di frutta sono soluzioni alcoliche di vari esteri, o di altre sostanze odorose, aventi odore simile a quello dei diversi tipi di f., usate nella preparazione di gelati, confetture, sciroppi, conserve ecc.
I succhi di frutta sono prodotti liquidi ottenuti per spremitura di frutta matura, usati per la preparazione di bevande, sciroppi, concentrati ecc. Dopo la spremitura in apposite macchine, generalmente il succo viene filtrato, centrifugato, a volte addizionato di zucchero e sterilizzato per favorirne la conservazione. La sterilizzazione può avvenire dopo che il succo è stato introdotto nei recipienti destinati alla vendita, oppure esso può essere pastorizzato (in pastorizzatori a elevata temperatura, per tempi brevissimi) prima di essere introdotto nei recipienti (che sono, di solito, ugualmente sottoposti a una breve sterilizzazione). Talvolta, invece, il succo, quale si ottiene dalla spremitura, si conserva in grandi recipienti refrigerati, sotto pressione di anidride carbonica, e poi s’introduce, previa filtrazione, nei recipienti per la vendita.
La frutta svolge un ruolo importante nell’alimentazione umana, come fonte di numerosi nutrienti. Pur con le notevoli differenze presenti da specie a specie, in generale essa è composta per una buona percentuale di acqua, che va da valori prossimi al 95%, come nel cocomero, a valori comunque non inferiori al 70-80% nella maggior parte degli altri tipi di frutta. Il suo valore energetico è invece fornito dal contenuto in glucidi, che di norma si aggira intorno al 10%, pur con le dovute eccezioni, costituite, per es., dal limone, con solo il 2,3%, e dall’uva, con il 15,6%. Sono inoltre presenti numerose vitamine (soprattutto A e C), il cui apporto nella dieta è molto rilevante. Notevole è anche l’apporto di sali minerali, soprattutto potassio, calcio e ferro, e di fibra. In generale, la frutta secca contiene una buona percentuale di lipidi, a differenza di quella fresca, ed è pertanto dotata di elevato valore energetico, mentre il contenuto in acqua risulta piuttosto basso.
Si definiscono f. naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o meno l’opera dell’uomo (per es., i prodotti agricoli e minerali, la legna, i parti degli animali: art. 820, 1° co., c.c.). Essi appartengono al proprietario della cosa madre, ma diventano oggetto di un diritto autonomo quando la loro proprietà sia attribuita ad altri (usufruttuario, usuario, affittuario), che li acquista con la separazione; prima di questa, il relativo contratto di vendita si configura come vendita di cosa futura. In ogni caso colui che fa propri i f. deve rimborsare le spese di produzione e di raccolta sostenute da altri, entro il limite del valore dei f. stessi. I f. naturali si definiscono pendenti, quando sono aderenti alla cosa produttiva; separati quando ne sono staccati; percetti, quando sono raccolti; percipiendi quando dovevano essere raccolti e questo non è avvenuto; esistenti quando si trovano presso il possessore della cosa madre; consumati quando il possessore li ha consumati o trasformati o alienati. I f. caduti naturalmente dai rami protesi sul fondo del vicino appartengono al proprietario del fondo su cui sono caduti, salvo diversa norma degli usi locali (art. 896 c.c.).
Sono invece f. civili quelli che si ritraggono dalla cosa in corrispettivo del godimento che altri ne abbia (per es., gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici e locatizi, le rendite: art. 820, co. 3, c.c.).
Il possessore in buona fede della cosa ha il diritto di far propri i f. naturali separati e i f. civili maturati prima della notifica della domanda giudiziale di rivendica; il possessore in mala fede e il possessore in buona fede per il periodo successivo alla notifica della domanda giudiziale di rivendica devono invece rispondere dei f. naturali e civili, percetti o percepibili, con l’uso dell’ordinaria diligenza, salvo il rimborso delle spese (art. 1148 e 1149 c.c.). L’usufruttuario (o l’usuario) fa propri i f. naturali e civili per la durata del suo diritto (art. 984 c.c.). Per le colture annuali o pluriennali (per es., i boschi), se il proprietario e l’usufruttuario (o l’usuario) si succedono nel godimento della cosa, l’insieme di tutti i f. si ripartisce pro rata temporis, in proporzione cioè della durata del rispettivo diritto durante il ciclo di produzione.
Nel linguaggio economico, capitale fruttifero è quello che dà una rendita, che produce interessi; buono fruttifero è il titolo che documenta il versamento di denaro fatto dal depositante a una banca, o a un ufficio postale, e il suo diritto a ricevere in restituzione, a una data scadenza, la somma depositata aumentata degli interessi (➔ buono).